Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

10 novembre 2010

Vota con l'opposizione per chiedere all'Esecutivo la fine dei respingimenti in mare
Immigrazione, Fli manda sotto il Governo tre volte
la Padania, 10-11-2010
MILÀN - Lo sgambetto era nell'aria e puntualmente è arrivato. La materia però è di quelle che scottano troppo per essere usate come arena politica: i respingimenti di clandestini. Ieri, infatti, come annunciato da Italo Bocchino nemmeno 24 ore prima, il governo è stato ripetutamente battuto alla Camera nelle votazioni sul trattato di Amicizia Italo-Libico grazie al voto determinante dei finiani. L'incidente si materializza con la presentazione da parte del radicale Matteo Mecacci, gruppo Pd, di un emendamento che chiede sostanzialmente di bloccare i respingimenti in mare per il mancato rispetto dei principi umanitari. Nonostante il parere negativo del relatore dell'Esecutivo, l'opposizione prevale (274 voti contro 261) grazie all'appoggio determinante di Futuro e Libertà che dunque, subito dopo aver annunciato la politica delle "mani libere", passa subito dalle parole ai fatti. Stupisce, però, il terreno scelto come campo di battalia. In virtù del testo approvato, infatti, il governo viene impegnato «a sollecitare con forza le autorità di Tripoli affinché ratifichino la Convenzione Onu sui rifugiati e riaprano l'ufficio dell'Unhcr a Tripoli quale premessa per continuare le politiche dei respingimenti dei migranti in Libia». Il cuore dell'emendamento, però, diventa più esplicito più avanti, laddove si chiede, senza mezzi termini, che si sospenda «la politica dei respingimenti dei migranti in Libia dato che tale politica viola sia il principio fondamentale di non respingimento previsto dalla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 e considerato un principio di diritto internazionale generale, sia il pieno accesso alle procedure di asilo nell'Unione europea». Da parte dei finiani, dunque, si tratta di una sconfessione in piena regola di tutto quanto sottoscritto finora, oltre che di uno dei più riconosciuti e apprezzati successi del Governo: lo stop agli sbarchi sulle coste siciliane. Fli però fa sul serio e lo dimostra votando con l'opposizione altre due volte e portando quindi a tre i capitomboli di giornata del Governo.
Il clima in aula è rovente. E confuso. «Dobbiamo far capire a Berlusconi che senza i voti di Fini non va da nessuna parte» spiega un concitato Bocchino ad alcuni scettici del suo gruppo mentre dai banchi del Pdl c'è chi gli urla "Buffone, buffone!". Qualcuno, a questo punto, cerca di metterla sul piano fisico ma viene fermato. Poi la parola passa al tabellone luminoso. Vedendo l'esito del voto i deputati di Pdl e Lega si alzano per applaudire ironicamente i colleghi di Fli. È evidente a tutti, come afferma subito trionfante Dario Franceschini. che si tratta di «prove tecniche di sganciamento» ma per tutti è altrettanto evidente che è stato scelto un terreno di gioco inadatto. «Che Fli voti con l'opposizione - commenta il ministro della Difesa Ignazio La Russa - non fa più notizia, ma votando un emendamento come quello che è passato ci si dovrà assumere la responsabilità di rivedere i barconi di disperati sulle coste italiane». «L'Unione europea - ricorda il ministro degli Esteri Franco Frattini - ha parlato chiaro con un accordo sottoscritto a ottobre da due commissari con due ministri libici. Se non usiamo le parole di quell'accordo rompendo la collaborazione Ue in materia migratoria apriamo le porte a tutti quello che vogliono entrare liberamente in Italia». Attonito è anche il leghista Stefano Stefani. «È un segnale di rottura su uno dei punti fondamentali dell'accordo di governo che
avevano sottoscritto - fa notare il presidente della Commissione Affari Esteri - Sono matti, vogliono farci invadere. I deputati di Fli si prenderanno la responsabilità di quello che hanno fatto, ma forse non sanno cosa hanno fatto».
I finiani, però, si godono il successo e le carezze dei nuovi alleati. «L'emendamento approvato - si affretta a commentare il presidente del Copasir Massimo D'Alema - vincola il governo italiano, non quello libico, a rispettare le convenzioni intemazionali, ciò che il governo italiano non ha fatto». «Non c'è più spazio per i traccheggiamenti - tira le somme Pier Luigi Bersani - Oggi si registra la crisi del centrodestra».



MAGGIORANZA K0 • Modifica del Trattato con la Libia: Fli sta con l'opposizione
Immigrati, Fini affonda il barcone del governo
il manifesto, 10-11-2010
Carlo Lania
ROMA -Italo Bocchino l'aveva detto: «Da adesso si avanti provvedimento per provvedimento, abbiamo le mani libere». Neanche 24 ore dopo, le parole del capogruppo di Futuro e libertà alla Camera si trasformano nell'anticamera della crisi, con i finiani che mandano sotto il governo per ben tre volte votando con Pd, Idv e Udc prima un emendamento del radicale Matteo Mecacci che impegna l'esecutivo a rivedere il Trattato di amicizia Italia-Libia (passato con 274 voti a favore e 261 contrari), poi una mozione dell'Udc sempre sullo stesso argomento e infine facendo approvare - grazie ai voti dell'opposizione - un'altra mozione, questa volta della stessa Fli, sempre sul Trattato, mozione sulla quale il governo aveva sempre espresso parere contrario. E così con una fava (il Trattato), i finiani prendono due piccioni: fanno capire a Berlusconi che le promesse fatte a Perugia da Fini non sono chiacchiere e mandano un messaggio al «mediatore» Umberto Bossi smarcandosi su un tema caro alla Lega come l'immigrazione. Esulta l'opposizione, con Massimo D'Alema che in piedi proclama la fine della maggioranza: «Prendetene atto e andatevene», dice accompagnando l'invito con un gesto esplicito della mano. «Prove tecniche, prove tecniche» ripete invece con il sorriso sulle labbra Dario Franceschini alludendo all'imminente crisi. Governo e maggioranza accusano il colpo. In piedi dopo il voto, i deputati di Pdl e Lega applaudono ironicamente verso gli ex colleghi di Fli. «Vogliono il ritorno dei barconi - si sfoga Ignazio La Russa -, se è così è un boomerang per una forza di centrodestra», mentre il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto parla di «voto ir-responsabile che rischia di incentivare l'immigrazione clandestina».
A Berlusconi il voto di ieri deve aver fatto male più di uno schiaffo. Contestato dagli alluvionati in Veneto e dai terremotati in Abruzzo, alla Camera il premier vede allargarsi una crepa gigantesca sulla tenuta del suo governo. E per di più su una materia come il Trattato con la Libia, simbolo è orgoglio della sua personale amicizia con Muhammar Gheddafi. L'emendamento che il radicale Mecacci presenta alla mozione della maggioranza impegna il governo a rivedere il Trattato di fatto costringendo la Libia a ratificare la Convenzione dell'Orni sui rifugiati e a riaprire a Tripoli l'ufficio dell'Unhcr, l'Alto commissariato per i rifugiati. In parole povere al rispetto dei diritti umani nei confronti degli immigrati respinti dall'Italia. Una revisione del Trattato resa urgente anche da quanto accaduto al peschereccio mitragliato da una delle sei motovedette regalate proprio dal nostro paese alla Libia. «Dobbiamo far capire a Berlusconi che senza i Voti di Fini non va da nessuna parte» spiega Bocchino ai suoi prima del voto, mentre il sottosegretario Mantica tenta un disperato quanto inutile tentativo di convincere gli ormai ex alleati ad allinearsi al governo. Tutto inutile, al punto che dopo i voto la maggioranza ritira la sua mozione.
E' la prima volta che in aula Fli fa lo sgambetto al governo, dando vita di fatto a una maggioranza alternativa. Per Bersani è il segnale che è giunto il momento di premere sull'acceleratore. «Non c'è più spazio per i traccheggiamenti: la maggioranza deve rendere formale la crisi», dice il segretario del Pd. Esclusa, per Bersani, anche la possibilità di un Berlusconi bis. «Sarebbe un delirio», spiega. «Serve una ripartenza. Un governo con esponenti autorevoli e in discontinuità rispetto a oggi». Non la pensa così, ovviamente, Maurizio Sacconi. Per il ministro del Lavoro, che si rifiuta persino di considerare inevitabile la rottura con Fini, «non è sulla Libia che cadrà il governo». E piuttosto che parlare di crisi, tra le file del governo si preferisce tornare ad agitare la solita propaganda contro i clandestini. Come fa il ministro degli Esteri: «L'Unione europea    -    dice Frattini - ha parlato chiaro con una accordo sottoscritto a ottobre da due commissari con due ministri libici. Se non usiamo le parole di quell'accordo rompendo al collaborazione in materia migratori, rischiamo di aprire le porte a tutti coloro che vogliono entrare liberamente in Italia». Tocca al solito Bocchino replicare. E la risposta punta chiaramente a rassicurare l'elettorato di destra. «Qui si vuol far passare uno voto in favore dei diritti umani - sottolinea infatti Bocchino-  come un voto contro i respingimenti su cui noi siamo ovviamente a favore».



FINI CI REGALA I CLANDESTINI

FLI VOTA COL PD Maggioranza sotto tre volte sugli accordi Italia-Libia: e ora respingere i barconi sarà più dura. Messaggio dei vescovi a Casini: «Futuro e Libertà inaccettabile». E Pier lo molla
Libero, 10-11-2010
FRANCO BECHIS
C'era una cosa che sicuramente ha funzionato nella politica di immigrazione italiana: il trattato con la Libia sui respingimenti dei clandestini. Da quando è stato firmato si sono decimati gli sbarchi sulle nostre coste. Lampedusa è tornata ad essere una magnifica isola per la villeggiatura. Mafia, camorra e ndrangheta hanno perso manovalanza. Da ieri quel trattato (...)
(...) è carta straccia. Lo ha smontato Gianfranco Fini solo per fare un dispetto a Silvio Berlusconi e a Umberto Bossi che domani dovrà incontrarlo per verificare i margini di una trattativa evidentemente inutile. Per tre volte le armate finiane sono andate a braccetto con il Pd di Pierluigi Bersani e con l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro votando prima una mozione poi due emendamenti che modificano sensibilmente il trattato fra Italia e Libia. Una dimostrazione muscolare che rischia di provocare grandi guai alla sicurezza delle coste italiane. E che furbescamente è stata organizzata per rivendersela alla meglio verso un elettorato che ancora ricordava Fini padre insieme a Umberto Bossi della prima legge italiana per regolamentare l'immigrazione ed estirpare la piaga della clandestinità. I tre voti uniti Fini-Pd-Idv infatti fingono il buon cuore e una ragione umanitaria: chiedono ad esempio che apra un ufficio dell'Orni in Libia per verificare prima che si imbarchino nei barconi se nel gruppo di disperati oltre a possibili criminali si nascondano anche immigrati che avrebbero diritto di asilo. Potrebbero esserci- dicono i proponenti- e con un ufficio Onu otterrebbero regolare documento di identità e verrebbero accolti in Italia. Il buon cuore è lo schermo, perché il caso è stato già affrontato nel¬le trattative fra Unione europea e Libia. L'eventuale presenza di dissidenti su quei barconi- prima del trattato fra Italia e Libia- ammontava a un caso ogni diecimila sbarcati. Importantissimo, certo, come la dignità di ogni uomo. Ma evidentemente pretestuoso, vista l'insignificanza percentuale. Con i tre emendamenti però verrebbe modificato unilateralmente un trattato internazionale. E se la Libia- basandosi giustamente sul diritto internazionale-non fosse disposta ad accogliere le modifiche, potrebbe annullare le intese che non sarebbero più efficaci su nessun punto. Da domani stesso- appresa la risoluzione unilaterale del trattato- potrebbero terminare vigilanza e pattugliamento nelle acque internazionali mettendo fine a quella efficacissima barriera. Potremmo ricordare la giornata di ieri come quella della breccia di Fini a porta Tripoli. Per un semplice dispetto personale a un leader di cui vorrebbe prendere il posto, il presidente della Camera ha buttato a mare non solo l'unica buona legge che portava la sua firma, ma anche la sua bandiera sulla legalità. Ha regalato un po' di barconi di clandestini agli italiani e delle buone truppe a quella criminalità organizzata che solo a parole Fini e i suoi vorrebbero combattere. Da ieri gli italiani hanno un problema in più, mentre mafia e camorra stappano champagne. E' un ottimo inizio per quella destra moderna ed europea che sarebbe nata in un teatrino di Bastia Umbra. Ma purtroppo è solo l'inizio di una lunga fine. Quel che è andato in scena alla camera rischia di essere l'antipasto di una lunga guerriglia che continuerà anche su altri provvedimenti rilevanti del programma di governo. Potrebbe accadere sul federalismo, sulla sicurezza o sul fisco già nei prossimi giorni. Non c'è più molto tempo per staccare davvero la spina a Fini. Prima che distrugga l'Italia.



SU GHEDDAFI È QUESTIONE DI CIVILTÀ...

GOVERNO BATTUTO SUI RIFUGIATI. DECISIVI I VOTI DI FUTURO E LIBERTÀ
Secolo, 10-11-2010
ROMA. Tre votazioni e tre sconfìtte ieri per il governo alla Camera. Prima è stato approvato l'emendamento presentato da Matteo Mecacci, radicale del Pd, alla mozione sul trattato di Amicizia Italia-Libia. Votando con l'opposizione sull'emendamento che di fatto impegna l'esecutivo a rivedere il trattato di "amicizia" con la Libia, Futuro e Libertà ha fatto ha fatto andare sotto l'esecutivo, dopo la rottura sancita da Gianfranco Fini a Bastia Umbra. L'emendamento - a cui il governo era contrario e dove si chiedeva che i respingimenti vengano effettuati in base agli accordi internazionali e ai principi umanitari - è passato con 274 voti a favore e 261 voti contrari.
La seconda sconfitta nell'Aula della Camera ha colpito il governo su una mozione presentata dall'Udc sempre sui rapporti tra Italia e Libia. Il parere del governo era contrario, Fli ha votato a favore. Il testo è passato con 281 sì, 269 no e un astenuto. La terza battuta d'arresto per il governo sul trattato Italia-Libia è arrivata con l'approvazione della mozione presentata da Fli, a cui il governo aveva sempre dato parere contrario. È il primo atto concreto, dopo l'ultimatum di Fini da Bastia Umbra, che evidenzia la fragilità della maggioranza e che mette in crisi la linea improntata alla minimizzazione scelta dal Pdl. Dopo il voto, tutti i deputati del Pdl e della Lega si sono alzati in piedi tributando un ironico applauso ai colleghi di Fli, cui hanno urlato «Bravi, bravi»!. Il leghista Gianpaolo Dozzo aveva detto prima del voto che l'atteggiamento assunto da Fli su questo emendamento era «una prova di sganciamento» dei finiani dalla maggioranza.
Italo Bocchino, capogruppo di Fli a Montecitorio, conferma che si tratta di un segnale politico da non sottovalutare: «Abbiamo detto che abbiamo le mani libere... Siamo a favore dei respingimenti - ha aggiunto - ma anche per il rispetto dei diritti umani e quindi chiediamo solo che l'Onu riapra le sue sedi in Libia, è una cosa che nessuno ci può contestare». Irritatissimo il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto che ha bollato come irresponsabile l'atteggiamento dei finiani: «È un voto irresponsabile che rischia di incentivare l'immigrazione clandestina. Questo voto è avvenuto anche per la responsabilità determinante dei parlamentari del Fli». Subito dopo metteva le mani avanti il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, per il quale «non è sulla Libia, ovviamente, che cade il governo».



Immigrazione, da Fli tre colpi al governo

Italia-Libia: Pdl e Lega in minoranza sui respingimenti
Avvenire, 10-11-2010
GIANNI SANTAMARIA
Il Governo va sotto in materia di immigrazione. Una vera e propria gragnuola di colpi, con la quale Futuro e libertà dapprima fa passare un emendamento del Pd alla mozione della maggioranza sulla revisione del trattato di amicizia italo-libica. Poi ripresenta e fa approvare il testo, ritirato dal governo. Infine, vota una mozione dell'Udc sulla stessa materia.
Gianfranco Fini lo aveva promesso e Italo Bocchino lo ribadisce: «Abbiamo le mani libere». Ma per le prove di showdown non deve nemmeno passare il mese promesso dallo stesso Bocchino. Al primo passaggio parlamentare su un tema spinoso c'è lo sgarbo agli ex alleati: proprio alla Camera e su un tema del quale il numero uno di Montecitorio ha fatto una sua bandiera. Opposizioni compatte, finiani pure. Anche se pare che alcuni deputati - tra cui Menia, Moffa, La Morte, Paglia e Consolo, che però smentisce - non avessero intenzione di seguire le direttive di partito. Per questo Bocchino, sommerso dalle urla di "buffone, buffone" degli ex alleati, sarebbe andato a convincerli uno ad uno dicendo: occorre far capire a Berlusconi che senza i voti di Fini non va da nessuna parte.
Alla fine, nonostante il parere sfavorevole espresso a nome del governo dal sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica, la modifica proposta dal radicale del Pd Matteo Mecacci ottiene disco verde con 274 voti a favore e 261 contro. Il testo impegna il governo «a sollecitare con forza le autorità di Tripoli affinché ratifichino la Convenzione Onu sui rifugiati e riaprano l'ufficio dell'Unhcr a Tripoli quale premessa per continuare le politiche dei respingimenti dei migranti in Libia». A questo punto Pdl e Carroccio ritirano la mozione. Ma Fli la fa sua per il voto in aula. Favorevole per 281 a 270. Infine, a sera ottiene via libera anche una mozione del centrista Ferdinando Adornato. Con numeri ancora maggiori: 281 si, 269 no e un astenuto. Non passa invece un testo dell'Idv, sul quale i finiani si astengono.
Tre volte sotto. Una débacle. Se non sono prove di terzo polo, certo è il primo smarcamento forte del dopo-Perugia. E viene sottolineato dagli applausi ironici dai banchi dei pidiellini e dei leghisti. Questi ultimi incassano lo schiaffo finiano all'apertura al dialogo appena formulata da Umberto Bossi. E per di più su un tema sensibile per il loro elettorato. A dimostrare che i colpi sono duri e sono arrivati al bersaglio, è la reazione del governo. Per il ministro della Difesa, Ignazio La Russa con questo voto «ci si dovrà assumere la responsabilità di rivedere i barconi di disperati sulle coste italiane». Allarme condiviso dal collega degli Esteri Franco Frattini, per il quale, «rompendo la collaborazione Ue in materia migratoria, apriamo le porte a tutti quelli che vogliono entrare liberamente in Italia». Frattini interviene in aula accogliendo la sollecitazione del leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini. «È incomprensibile - aveva detto Casini, rivolto al capogruppo Pdl, Fabrizio Cicchitto - che il Parlamento si divida così drammaticamente sulla salvaguardia dei diritti». Nel voto di ieri il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi vede confermata la vicinanza dei finiani ai radicali. «Ma non è sulla Libia che cade il governo», assicura. Voto «irresponsabile» tuona Cicchitto, che rinfaccia ai futuristi una ritorsione. Gli interessati si difendono contestando che l'emendamanto metta in discussione i respingimenti. Enzo Raisi ironizza: «Se non sono capaci di respingere Ruby non se la prendano con noi». Benedetto Della Vedova, Fabio Granata e Bocchino (per il quale gli ex alleati fanno demagogia) rimandano al mittente l'accusa e sottolineano l'importanza dei diritti umani.



Fini passa ai fatti, governo sotto alla Camera sul trattato con la Libia per gli immigrati

Finanza Mercati, 10-11-2010
La revisione del trattato Italia-Libia dà occasione ai finiani di passare dalla parole ai fatti e di mettere il governo in minoranza. Ieri, alla Camera, Fli ha votato per tre volte con l'opposizione, e per altrettante volte il governo è stato battuto sulle mozioni sui rapporti con la Libia. Oggetto del «contendere», un emendamento presentato dai Radicali alla mozione di maggioranza sulle iniziative per la revisione del trattato di amicizia Italia-Libia firmato da Berlusconi e Gheddafi. Matteo Mecacci ha chiesto al governo un impegno a sollecitare Tripoli affinchè ratifichi la Convenzione Onu sui rifugiati e riapra l'ufficio dell'Unhcr, come premessa per continuare le politiche dei respingimenti dei migranti in Libia. «La maggioranza non c'è più», ha commentato D'Alema.



FINI A BUCAREST: LOTTA AL CRIMINE CON L'INTEGRAZIONE

Secolo, 10-11-2010
Giovanna Taormina
Non può esservi un'efficace lotta alla criminalità in assenza di uno stretto coordinamento e di uno scambio di informazioni tra autorità competenti e amministrazioni, ovvero senza interventi che mirino a ridurre l'area dell'emarginazione e del degrado attraverso politiche attive per l'integrazione». Lo afferma il presidente della Camera, Gianfranco Fini, nel suo intervento all'università di Bucarest dove gli è stata conferita la Laurea honoris causa per il suo impegno di integrazione in Europa, nel corso del quale ha affrontato i temi della sicurezza e delle politiche migratorie. Nel corso della sua visita a Bucarest, Fini ha anche incontrato la presidente della Camera romena Roberta Anastase. «Troppo spesso - aggiunge Fini - le autorità politiche oscillano tra la tendenza ad alimentare l'illusione che tutti i problemi possano essere fronteggiati attraverso risposte che rappresentano dei veri e propri "slogan" e la tendenza a cadere in una sorta di fatalismo che induce a ritenere che nulla si possa fare per la concomitanza di troppe cause esterne». La terza carica dello Stato mette in guardia dal rischio di «enfatizzare e strumentalizzare paure e insicurezze sociali per imporre vincoli alle libertà, secondo un criterio che negherebbe l'opportuno e ragionevole bilanciamento tra il rispetto dei diritti fondamentali e la necessaria protezione da assicurare all'ordinamento democratico». Per questo «sicurezza e inclusione sociale vanno affrontati insieme nelle diverse misure devono procedere in parallelo». «È per altro innegabile - spiega Fini nella sua lectio magistralis - che la crescita esponenziale della domanda di sicurezza è talora strumentalmente innescata da chi ritiene di poter trarre vantaggio da una mobilitazione di tipo emotivo dell'opinione pubblica». Fini sottolinea il valore della politica di cooperazione dell'Unione europea e la valorizzazione delle organizzazioni rappresentative della società civile, ovvero delle ong. «In questa prospettiva -spiega - assumono particolare rilievo le iniziative finalizzate a semplificare e ad armonizzare le procedure per la concessione del diritto di asilo e il contrasto al traffico di immigrati irregolari».



"Integrazione contro il crimine»

Avvenire, 10-11-2010
La Romania è  pronta  ad entrare nell'area Schengen  e  «l'Italia non si opporrà». Gianfranco Fini da Bucarest, dove come presidente della Camera ha incontrato le quattro massime cariche dello Stato romeno, rilancia le relazioni diplomatiche tra i due Stati ed invita gli «amici europei a non avere paura» per l'adesione della Romania al trattato di libera circolazione. All'area Schengen aderiscono 28 Paesi, ma proprio Bucarest è ancora in attesa del via libera definitivo, insieme a Bulgaria e Cipro. Sull'ingresso del Paese balcanico pesano i dubbi sul grado di efficienza nel controllo delle frontiere, così come sulle questioni della sicurezza e dell'integrazione: due temi che Fini ha affrontato con i presidenti di Camera e Senato, Roberta Anastase e Mircea Geoana, con il primo ministro Emil Boc ed il presidente Traian Basescu. Fini ha fatto anche riferimento ad alcune polemiche riportate dai media romeni sui rapporti tra Italia e Romania: «Il ministro Maroni ha un ottimo rapporto con il suo omologo - ha sottolineato - e conosce l'impegno delle forze di sicurezza romene». Un appello lo ha comunque rivolto alle istituzioni di Bucarest: «Dovete far capire in tutti i modi ai partner europei, che i più preoccupati per il controllo delle frontiere siete voi». Infine, nella lezione tenuta all'università della capitale romena in occasione della laurea ad honorem conferitagli per l'impegno in favore dell'integrazione in Europa, il presidente della Camera si è soffermato sui temi della sicurezza e delle politiche migratorie: «Non può esservi un'efficace lotta alla criminalità in assenza di uno stretto coordinamento e di uno
scambio di informazioni tra competenti e amministrazioni, ovvero senza interventi che mirino a ridurre l'area dell'emarginazione e del degrado attraverso politiche attive per l'integrazione». Proprio su questi temi i rapporti tra Roma e Bucarest a volte sono stati tesi. Ma «sicurezza e inclusione sociale -ammonisce Fini - vanno affrontati insieme nelle diverse misure e devono procedere in parallelo». Anche per evitare che «la domanda di sicurezza sia talora strumentalmente innescata da chi ritiene di poter trarre vantaggio da una mobilitazione di tipo emotivo dell'opinione pubblica».



Meno male che ci sono Costituzione ed Unione Europea

OLI 277: 10-11-2010
Saleh Zaghloul
Nello scorso settembre sono state emesse tre sentenze di vari livelli di giudizio che hanno tutelato i cittadini immigrati dalla discriminazione di una pubblica amministrazione inefficiente e “poco amica” degli immigrati:
1) Il Consiglio di Stato, con sentenza del 29 settembre 2010, ha dato ragione ad un cittadino straniero al quale la questura di Bologna aveva rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno solo perché il suo reddito non era sufficiente. Per il Consiglio di Stato, invece, occorre che in sede di revoca o rifiuto del permesso di soggiorno sia rispettata la Convenzione europea dei diritti del uomo (del 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848) e si tenga conto della situazione familiare dello straniero. Lo straniero in questione è “coniugato in Italia e con figli minori - uno dei quali nato in Italia - frequenta le scuole italiane”.
2) Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, con sentenza del 21 settembre 2010, ha dato ragione ad una cittadina dello Sri Lanka alla quale il Comune di Milano aveva revocato il sussidio integrativo al minimo vitale in quanto non titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno), ma in possesso del solo permesso di soggiorno con validità biennale. Il TAR della Lombardia invece ha fondato la sua decisione sulla sentenza 187/2010 della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la norma che esclude gli immigrati regolarmente soggiornanti privi del permesso CE dal diritto all’assegno di invalidità.
3) La Corte di Cassazione, con sentenza 19893 del 20 settembre 2010, ha dato ragione ad una cittadina ecuadoriana alla quale la Questura di Genova aveva rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno in quanto nel 2006 si era separata dal cittadino genovese con il quale si era sposata nel 1999. Per la Cassazione, invece occorreva applicare il decreto legislativo n. 30 del 2007, di attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa ai diritti dei cittadini dell’Unione Europea e dei loro familiari, in base al quale la cittadina ecuadoriana ha il diritto al rinnovo del permesso di soggiorno in quanto il suo matrimonio aveva avuto una durata superiore a tre anni.
Tre sentenze che dimostrano l’arretramento e la chiusura della politica italiana nel governo dell’immigrazione, dove, per trovare basi giuridiche positive che aiutino l’integrazione degli immigrati ed il rispetto dei loro diritti, occorre ritornare alla Carta Costituzionale del 1948 o rivolgersi all’Europa, alle sue direttive e convenzioni.
Le tre sentenze dimostrano inoltre che non c’è cosa più falsa di quella che propagandano partiti e giornali xenofobi a proposito di legalità ed immigrazione. La legalità ed il rispetto della legge è un interesse concreto degli immigrati i quali si rivolgono volentieri ai giudici che spesso ristabiliscono la legalità dando loro ragione. La verità è che Costituzione, Unione Europea, legalità, leggi, regole e giudici danno fastidio ai più forti, ai più ricchi ed ai razzisti.



«Pronti alle barricate in Europa contro il pacchetto sicurezza»

il Riformista, 10-11-2010
LORENZO ROBUSTELLI

DAVID SASSOLI. L'europarlamentare pd: «A governo italiano sui Rom ha seguito il modello francese, già stigmatizzato dall'Ue. Una manovra elettorale».
? Bruxelles. Il pacchetto sicurezza varato venerdì scorso dal Consiglio dei Ministri «seguendo i cattivi esempi francesi» arriverà a Bruxelles più rapidamente del solito. Ci penseranno gli eurodeputati Socialisti&democratici (S&D), parola del capo della delegazione italiana David Sassoli, che annuncia che «siamo pronti, preparati a riaprire la questione, se il governo davvero porterà avanti il suo progetto, anche perché oggi sono presi di mira i Rom, ma domani chissà con chi potrebbero prendersela».
Quello che più allarma gli esponenti del centrosinistra a Strasburgo e del Pd in particolare è che «mentre l'Europa ha già chiarito la sua posizione sulla questione, il governo italiano ripropone la cacciata dei Rom, mettendo in grave difficoltà tutto il Paese davanti a Bruxelles». Sassoli spiega che «la Commissione europea ha già trattato e resi espliciti i termini della questione, accogliendo le indicazioni del Parlamento europeo: stiamo parlando di cittadini dell'Ue che vivono in un paese dell'Ue e cacciarli come prevedono le norme varate dal governo italiano vuol dire violare le regole comunitarie».
I Socialisti&Democratici questa volta non hanno intenzione di aspettare che la questione si ponga solo quando ci saranno eventuali espulsioni di massa dei Rom, quando il pacchetto sarà depositato ufficialmente «il gruppo S&D - annuncia Sassoli - chiederà alla commissaria Ue alla Giustizia Viviano Reding di valutare la compatibilità delle nonne italiane con le regole sulla libera circolazione dei cittadini». Secondo l'eurodeputato l'Italia non ha imparato la vera lezione che è venuta da quanto è avvenuto in Francia, «quell'esperienza invece fa scuola, l'Unione europea non si riconosce in quanto fatto da Parigi, lo ha criticato e contestato, istruendo procedure di infrazione e imponendo al governo francese di modificare entro quindici giorni la sua legislazione in materia di libera circolazione per evitare un ricorso alla Corte di Giustizia».
C'è un dubbio però nella mente di Sassoli: «Questo è il terzo pacchetto sicurezza che il governo vara in tre anni, per "aggiustare il tiro", come ha spiegato il ministro Maroni, ma in realtà forse è iniziata la campagna elettorale, probabilmente questo è il loro vero scopo. Perché se a Roma si fosse osservata con appena un po' di attenzione la posizione dell'Ue si sarebbe tenuto conto del fatto che le espulsioni sono possibili solo in casi eccezionali e assolutamente individuali se il soggetto è un pericolo concreto per la sicurezza pubblica, non basta che sia giudicato "privo di mezzi di sostentamento"». Invece nel centrodestra italiano «c'è una voglia di espulsioni che non fa i conti con le responsabilità che abbiamo verso tutti i cittadini comunitari. Mi sembra che su tutto faccia premio una forte e inaccettabile tentazione razzista».
Però a proposito dei Rom ci sono in Europa delle questioni ancora aperte, le espulsioni di massa sono un provvedimento, semplicemente, illegale, ma non ci si può nascondere il fatto che esistono difficoltà di convivenza. «Quello dei Rom - sostiene Sassoli - è un problema che gli Stati devono affrontare nella sua complessità: il problema della sicurezza esiste per i cittadi¬ni che ne ospitano le comunità, ma esiste anche per i membri di queste comunità, bisogna affrontare il tema di come accoglierli nelle nostre città e quello del lavoro, della scolarizzazione. Queste sono responsabilità di tutti gli Stati, che non possono essere delegate ad altri o semplificate come fa il Governo italiano. Quello che non è davvero più accettabile è che ancora nel ventunesimo secolo sopravvivano tentazioni di segregazione o di isolamento che per noi sono intollerabili».
L'Italia deve dunque abbandonare «una strada già bloccata dall'Unione europea, tanto più se questi sono provvedimenti elettorali all'insegna dell'espulsione dei Rom o delle prostitute, che rischiano di lasciare in eredità al prossimo Governo pesanti provvedimenti che penalizzano tutto il Paese», conclude Sassoli.



Gli immigrati tornano in piazza  "No al razzismo, sì ai diritti"
Corteo collegato alla lotta dei lavoratori di Brescia. Domani alle 21 assemblea al Tpo e sabato manifestazione in centro dalle 14,30
la Repubblica, 10-11-2010
SARA SCHEGGIA
Una grande manifestazione regionale che da Bologna tornerà a far sentire la voce degli immigrati e che sarà collegata alla protesta dei lavoratori di Brescia, da dieci giorni su una gru. Riparte sabato il movimento che lo scorso primo marzo ha portato in piazza migliaia di persone per lo sciopero dei lavoratori stranieri contro il razzismo e la legge sull'immigrazione Bossi-Fini. In preparazione dell'iniziativa, a cui hanno aderito un centinaio di associazioni da tutta l'Emilia Romagna, domani alle 21 al centro sociale Tpo (via Casarini 17) si terrà un'assemblea cittadina a cui parteciperà anche il segretario della Fiom di Bologna, Bruno Papignani.
"Contiamo di superare le diecimila presenze dello scorso marzo - spiega Sene Bazir, del comitato Primo Marzo - diciamo no al razzismo e daremo visibilità ai diritti di chi si nasconde per paura di essere rimpatriato". Lunghissima la lista delle adesioni, da associazioni come Emergency o l'ambulatorio Sokos di Bologna, fino alla politica, con Italia dei Valori e Sinistra Ecologia e Libertà, o realtà come Cospe e sindacati da varie città come la Fiom. L'appuntamento è per sabato alle 14.30 in piazza XX settembre: da lì il corteo sfilerà lungo un tratto di viali e risalirà per via Amendola, per poi attraversare la zona universitaria e ritornare verso l'autostazione da via Indipendenza. Il tutto, senza fiorare la parte di centro vietata alle manifestazioni, altro punto che gli organizzatori inseriscono tra le voci della protesta. "Lanciamo un appello a tutte le realtà in lotta contro la crisi e le politiche del governo - sottolinea Neva Cocchi del Tpo, che aderisce al movimento insieme a Bartleby e Crash - dal mondo della scuola ai lavoratori delle fabbriche".
"Il nostro è un laboratorio aperto - conferma la portavoce del comitato, Cécile Kyenge Kashetu - ci stiamo preparando al primo marzo 2011: la nostra forza è un movimento che parte dal basso".
Altri temi caldi al centro della manifestazione, la richiesta di chiusura dei due centri di identificazione ed espulsione della regione (Bologna e Modena) e i fatti di Brescia, dove non è esclusa una protesta parallela collegata a quella bolognese.
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