Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Quando la cittadinanza arriva in ritardo

Mauro Valeri

A causa dell’attuale norma sulla cittadinanza, molti figli di immigrati, pur se nati e cresciuti in Italia, e nonostante abbiano buone qualità atletiche, sono costretti a rinunicare alla carriera sportiva. Senza la cittadinanza, infatti, non possono disputare i campionati italiani né aspirare a gareggiare con la maglia della Nazionale, né entrare a far parte di società sportive militari. Sono stranieri in un’attività, come quella sportiva, dove esistono quote che – in nome della salvaguardia dello sport italiano – tendono a limitare la presenza di atleti stranieri! Viene da chiedersi a chi giova disperdere un simile “patrimonio sportivo”, in un momento in cui lo sport italiano mostra una crisi piuttosto preoccupante. Indubbiamente, esistono anche casi in cui l’iter per l’ottenimento della cittadinanza è stato accelerato proprio per “meriti sportivi”, ma sono casi rari e soprattutto che al massimo hanno ridotto i tempi di attesa che passano (e parliamo in genere di anni) dal momento della richiesta a quello della concessione della cittadinanza.

Il ritardo della concessione della cittadinanza ha rischiato di compromettere, ad esempio, la carriera del mezzofondista Marco Najbe Salami, nato a Ostiglia nel 1985, da genitori marocchini. Anche per lui, l’integrazione è avvenuta attraverso lo sport: prima il calcio, poi, da quando ha quindici anni, le piste di atletica. I sacrifici che la corsa impone e che Marco accetta con determinazione, danno i loro frutti, tanto che presto diviene un giovane talento del mezzofondo. Quando però arriva il fatidico diciottesimo anno di età, scopre che la cittadinanza richiesta dai genitori – presenti in Italia da molti anni – non è ancora stata accettata. Visto che è nato in Italia, Marco decide di chiederla direttamente lui. Ma nel frattempo, se vuole rimanere in Italia ed evitare di essere rimpatriato in Marocco, deve andare a lavorare, perché alla scuola ha anteposto l’atletica. A rendere la situazione ancor più paradossale è che Marco, grazie al suo impegno, ha ottenuto i tempi per poter partecipare ai Mondiali juniores 2004. Ma la cittadinanza, anche se dovuta e promessa, non arriva. Così, dopo aver dovuto rinunciare agli Europei juniores 2003 (perché disputati una settimana dopo il suo diciottesimo compleanno), ora deve saltare anche i Mondiali! Marco decide di mollare: trascorre l’estate a raccogliere le angurie. “Dalle piste da corsa, ai campi di angurie”. Per fortuna è una rabbia passeggera, e, ottenuta finalmente la cittadinanza, decide di riprendere la sua corsa. Ora è un atleta dell’Esercito, ed è da molti considerato una promessa dell’atletica italiana che può anche sognare le prossime Olimpiadi. Eppure, ogni volta che Marco mangia un’anguria, non può non pensare anche a chi non ce l’ha fatta per un “banale ritardo” che però può comprometterti la vita.

Leggermente differente, ma altrettanto emblematica, è la storia di Mario Balotelli. Nato in Italia nell’agosto 1980, è stato affidato ad una famiglia italiana sin da quando aveva tre anni. Nonostante questo, fino a quando non ha raggiunto la maggiore età, era un cittadino straniero. Un ragazzo ghanese. Così, non ha potuto partecipare agli ultimi Giochi olimpici di Pechino, perché disputati un mese prima che potesse richiedere la cittadinanza. Rinunciare ad una importante esperienza sportiva e umana, come quella di indossare la maglia della Nazionale olimpica, è una ferita che richiede una buona determinazione per essere cicatrizzata. Nel caso di Mario, il fatto di avere una importante società alle spalle lo ha certamente aiutato a continuare la sua carriera, sebbene resta il sapore amaro di un amore non corrisposto.

Un altro esempio di quanto la normativa sulla cittadinanza possa incidere nella carriera di un professionista è emerso di recente, con il “caso Amauri”. Nato in Brasile nel 1980 e arrivato in Italia a 21 anni per motivi calcistici, Amauri ha chiesto di acquisire la cittadinanza italiana a seguito del matrimonio con Cynthia Cosini Valaderes, diventata italiana per le sue ascendenze. Quando si sono sposati, nel marzo 2009, la legge prevedeva che uno straniero potesse richiedere la cittadinanza italiana dopo un anno dal matrimonio con una cittadina italiana. Il tempo si dimezzava in caso la coppia avesse un figlio, come nel caso di Amauri e Cynthia. Conti alla mano, a settembre Amauri avrebbe potuto richiedere il passaporto italiano ed essere inserito nella Nazionale, giusto in tempo per i Mondiali che si disputeranno in Sud Africa nell’estate 2010. Invece, anche Amauri ha dovuto fare i conti con la recente “legislazione sulla sicurrezza”, che ha raddoppiato i tempi di concessione della cittadinanza per gli stranieri sposati con cittadine italiane (ma cosa c’entri il matrimonio con la sicurezza non è dato saperlo!). Se tutto va bene, quindi, Amauri diverrà italiano a marzo 2010. Probabilmente troppo tardi per i Mondiali. E nasce anche il sospetto che il calo di prestazione fatto registrare di recente da Amauri, potrebbe essere ricondotto alla delusione di questa sorta di infinita corsa ad ostacoli per ottenere la cittadinanza.

Che il riconoscimento della cittadinanza non risolva tutti i problemi di razzismo, lo ha ricordato il recente episodio di cui è stato vittima il romanista Stefano Okaka. Nato in Italia da genitori nigeriani, Stefano è cittadino italiano da quando ha compiuto 18 anni e ha già giocato con la Nazionale Under 19. Ciò non toglie che, come altri calciatori neri, sia stato spesso vittima di insulti razzisti in diversi stadi della penisola. Ma quello che gli è accaduto l’altra sera, durante la partita di Europa League contro i bulgari del CSKA, lo ha davvero colpito. A insultarlo con i soliti buuu razzisti non sono stati i tifosi avversari, ma qualche romanista che se l’è presa con Stafano addirittura dopo che lui aveva segnato il gol del vantaggio! Quei buuu hanno avuto il potere di frenare la corsa sotto la curva di un ragazzo che voleva condividere con i suoi tifosi la gioia per un gol importante (e che avrà pensato: “Se mi insultano quando segno, immagina quando sbaglio una partita!”). A offendere Stefano sono stati molto probabilemnte tifosi che vorrebbero mantenere la Roma “razzialmente pura”. Scorrendo gli annali dell’Osservatorio sul razzismo nel calcio è possibile trovare numerosi precedenti, che possono essere distinti in “razzismo preventivo” e “razzismo punitivo”. Rientrano nel primo caso tutti gli episodi nei quali i tifosi hanno contestato l’annuncio dell’acquisto di un calciatore nero o “ebreo”. In molti ricordano il manichino nero appeso allo stadio da tifosi veronesi - con una coreografia in pieno stile KKK - per esprimere il loro dissenso all’acquisto del calciatore nero Ferrier, oppure i volantini distribuiti dai tifosi romanisti contrari all’acquisto del black italian Dayo Oshadogan, con su scritto “Oshadogan raus. No all’Italia multirazziale”. Vittime di questo razzismo preventivo sono stati anche il calciatore israeliano Rosenthal (insultato da tifosi dell’Udinese) e il “nero ed ebreo” olandese Winter, vittima dei tifosi laziali, ma che comunque è riuscito ad ottenere l’ingaggio. Come Okaka, però, anche Winter ha dovuto subire gli insulti razzisti dei propri tifosi (e la maglia rilanciata dai tifosi laziali a cui l’aveva donata sembra aver fatto scuola!), così come è accaduto a Oshadogan, all’altro black Italian Stefano Layeni, o al nigeriano Omolade, insultato dai “suoi” tifosi del Treviso, che però ha determinato una risposta forte ed unitaria da parte dei suoi compagni di squadra, che la domenica successiva si sono presentati in campo tutti con la faccia dipinta di nera. Difficile pensare che i compagni di Okaka arrivino ad un simile gesto. Basterebe una dichiarazione schietta contro il razzismo, così come ha fatto di recente Antonio Cassano (“Le partite vanno sospese e, se serve, dare partita persa a chi sbaglia. Il mondo deve essere uguale per tutti, non diviso tra bianchi e neri”). L’impressione però è che a Roma non avverrà neanche questo. L’ultima volta che capitan Totti ha fatto una dichiarazione simile, è stato criticato dai suoi stessi tifosi. Non resta che confidare in Ranieri, che già in passato ha trovato le giuste parole per esprimere un giudizio netto contro il razzismo anche dei “propri” tifosi.

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