Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

04 giugno 2014

Viminale: «ius soli» ai figli dei rifugiati nati in Italia
Il sole 24 ore, 04-06-14
Marco Ludovico
ROMA - Con una mossa a sorpresa il ministero dell`Interno introduce lo jus soli. L`acquisizione della cittadinanza a causa del fatto di essere nati in Italia viene da tempo invocata a partire dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e dal premier Matteo Renzi. Nell`attesa di una legge problematica da licenziare in Parlamento in tempi brevi - sarebbe una rivoluzione, trappole e cavilli politici salterebbero fuori ovunnque - il clima politico però è cambiato dopo le elezioni europee.
E ieri, alla Camera, nella sala del Mappamondo si è svolto un convegno dell`Anfaciassociazione nazionale dei funzionari civili dell`Interno sul diritto d`asilo dove c`erano, tra gli altri, i prefetti Bruno Frattasi (presidente Anfaci), Ignazio Portelli (segretario generale), Riccardo Compagnucci (vicario del dipartimento Libertà civili e Immigrazione), Mario Morcone (già capo dipartimento Libertà civili). Alla fme del dibattito la novità è stata annunciata dal sottosegretario all`Interno Domenico Manzione (Pd), renziano, con delega all`immigrazione.
«Stiamo mettendo a punto una circolare interpretativa ha spiegato il sottosegretario - ormai quasi pronta e in emanazione a breve scadenza, per riconoscere la cittadinanza italiana a coloro che sono figli di chi ha ottenuto la protezione internazionale». Un istituto con due status: quello di rifugiato, o in alternativa, la protezione sussidiaria. Forte dell`esperienza di magistrato e di giurista, Manzione sta preparandola circolare estendendo il diritto alla cittadinanza, peri figli di chi ha protezione internazionale, in analogia al riconoscimento che ora già spetta ai figli degli apolidi (per i genitori invece resta l`iter ordinario). Proprio l`attuale normativa (legge n. 5 febbraio 1992, n.91) stabilisce all`articolo i che è «cittadino per nascita» - oltre a chi è figlio di padre o madre cittadini italiani - anche «chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi»: condizione, quest`ultima, che definisce «una persona che nessuno Stato considera come proprio cittadino» come si legge sul sito del ministero guidato da Angelino Alfano.
Se dunque per le norme sulla cittadinanza apolidi e rifugiati possono essere considerate condizioni analoghe avremo presto una prima applicazione dello jus soli. La platea degli interessati, del resto, per ammissione dello stesso Manzione «è ristretta».
Secondo stime di fonti qualificate del Viminale, in effetti, si tratta di duecento persone al massimo. Non è questione
di cifre, però, ma di un atto con un valore simbolico e politico indiscutibile. Una sfida che potrebbe risultare
alla fine vincente, nonostante le inevitabili polemiche, proprio perché riguarda numeri ridotti.
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Chiesa dell`accoglienza
L'Osservatore romano, 04-06-14
Lampedusa, 3. «Grazie alla collaborazione con le forze dell`ordine, abbiamo potuto dare una prima, semplice, generosa e doverosa accoglienza a questi sfortunati. Abbiamo portato loro dell`acqua, del cibo e anche dei vestiti puliti e asciutti.
Ancora una volta l`isola di Lampedusa, con i suoi uomini e le sue donne, accoglie uomini, donne e bambini che fuggono dalla guerra, nella speranza di trovare in Europa un futuro migliore». Parole del parroco di Lampedusa, don Mimmo Zambito, tra i primi - come riferisce il quotidiano «La Sicilia» - a farsi trovare sul molo Favaloro per accogliere, sabato mattina, gli ultimi migranti arrivati sull`isola. Nonostante il centro di accoglienza sia chiuso da diversi mesi c non ci siano luoghi dove poter ospitare anche temporaneamente immigrati, 230 uomini, 29 donne e 12 bambini, sono stati condotti a Lampedusa prima del trasferimento a Porto Empedocle.
Tutti di origine eritrea, erano stati salvati dall`equipaggio di una motovedetta della capitaneria di porto che li ha trovati la notte precedente, a trenta miglia dall`isola. I migranti erano a bordo cli un barcone alla deriva lungo venticinque metri con il motore fermo a causa di un`avaria. Durante le ore passate a Lampedusa sono stati assistiti anche dal parroco, don Mimmo Zambito, che si è fatto trovare sul molo Favaloro insieme al suo vice, don Giorgio Casula. Zambito, erede di don Stefano Nastasi, che per primo chiamò a Lampedusa Papa Francesco, ha portato con sé diversi aiutanti e volontari della Caritas parrocchiale, Marta Bernardini e Francesco Piobbichi, dell`Osservatorio Mediterranean Hope della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, i giovani della Caritas della diocesi di Tricarico (Matera) e della parrocchia tedesca di Sankt Wendel ospiti della parrocchia di San Gerlando a Lampedusa. Dopo la strage avvenuta tra il 12 C il 13 maggio a cento miglia da Lampedusa, il direttore di Caritas Italiana, don Francesco Antonio Soddu, ha ripetuto che «è una sconfitta di tutti e di ciascuno», perché «bisognerebbe mettere sempre in primo piano la vita di ognuno e il pieno rispetto dei diritti umani». Dal canto suo il presidente di Caritas Italiana, monsignor Giuseppe Merisi, ha denunciato la fatica di una politica comune, «perché a dettare le politiche dell`immigrazione in ambito europeo sono ancora rigorose logiche di difesa della sovranità». Anche le ultime emergenze «mostrano come la tensione tra la necessità di proteggere coloro che il diritto internazionale ci impone di accogliere e tutelare e la difficoltà di implementare sistemi di accoglienza e tutela sostenibili ed omogenei crea una zona grigia nella quale si trovano a vagare, sempre più numerosi, i profughi che giungono sulle nostre coste. Spesso purtroppo trovando la morte».
Per la Caritas, visto che neanche l`operazione Mare Nostrum sembra sufficiente, c`è da capire qual è il dispositivo
necessario da mettere in atto per salvare la vita a queste persone: «Le tragedie di questi giorni ci danno la dimensione del fenomeno: ci fanno capire la forte spinta da questi Paesi di persone in fuga da guerre e violenze. Occorre una "riflessione di sistema", sia a livello europeo sia tra il vecchio continente e i Paesi africani». Il 27 marzo scorso, in una lettera aperta, Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, Arci, Caritas Italiana e Fondazione Migrantes hanno chiesto un tavolo di confronto per definire in tempi rapidi un piano nazionale di accoglienza e integrazione.



Gli esuli di via Curtatone tutti e 400 eritrei ed etiopi che ora hanno un tetto sulla testa ma lo sgombero fa paura
Ci sono anche 22 bambini. E' una delle quattro occupazioni dei rifugiati a Roma, spiega Alberto Barbieri, di Medici per i diritti umani, assieme al Collatino, Ponte Mammolo e Salam Palace di Tor Vergata. In via Curtatone sono autogestiti, c'è ovunque ordine e pulizia. Le regole che si sono imposti non ammettono alcol, fumo o urla
la Repubblica, 04-06-014
VLADIMIRO POLCHI video di MARCO PALOMBI
ROMA - Nella stanza dei bambini ci sono sedie e tavolini bassi. Due scatole di giochi e una vasca con tre pesciolini rossi. Sullo stesso piano c'è la sala riunioni: tre rifugiati stanno seguendo un corso teorico di guida. Pochi passi più in là si entra nell'appartamento, o meglio nella camera, di una famiglia: letto, divano, tv, frigorifero, due armadi a muro, una cucina da campo, un tavolo. La mamma sta guardando un quiz con Gerry Scotti, il figlio di due anni e 4 mesi dorme tranquillo. Il bagno è in comune sul corridoio: la luce non si accende.
A due passi dalla stazione Termini. Benvenuti nel "grande palazzo": otto piani al centro di Roma, in via Curtatone, a due passi dalla stazione Termini e dal Consiglio superiore della magistratura, di fronte alla sede romana del Sole24Ore. Occupata nel settembre 2013, oggi la vecchia sede dell'Ispra (Istituto superiore protezione ambientale) dà rifugio a 400 eritrei ed etiopi e 22 bambini. Tutti rifugiati. Tutti disoccupati, tranne una ventina che hanno un lavoro. Repubblica già c'era entrata a inizio anno, ora ci siamo tornati con le telecamere. Senza appuntamento, senza avvertire, ci siamo presentati alla porta, ci hanno fatto entrare, ci hanno raccontato.
Le complicazioni del "decreto casa". "Via Curtatone è una delle quattro grandi occupazioni di rifugiati a Roma - spiega Alberto Barbieri, coordinatore di Medici per i diritti umani - assieme al Collatino, Ponte Mammolo e Salam Palace di Tor Vergata. Spazi autogestiti, chiusi, simbolo del fallimento del sistema d'accoglienza del nostro Paese". Situazioni che potrebbero peggiorare alla luce delle nuove norme del cosiddetto "decreto casa": "Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza". Un testo che rischia di complicare ancor più la vita di migliaia di rifugiati "occupanti".
"Qui solo richiedenti asilo". A farci da guida nel "grande palazzo" al centro di Roma è Adhanam, membro del comitato che coordina gli occupanti. Fuggito dall'Eritrea a piedi, in Sudan ha pagato mille dollari ai trafficanti d'uomini per arrivare in Libia. "Lì ci hanno trattati come scimmie. Ci hanno rinchiuso in un furgone. Ci hanno chiesto altri mille dollari per imbarcarci per la Sicilia". Una volta arrivati in Italia, "siamo stati abbandonati". Adhanam parla in inglese, si indigna, rivendica diritti: "Qui siamo tutti in regola coi documenti, rifugiati e richiedenti asilo. Molti di noi sono laureati. Nessuno è scappato per motivi economici, ma solo per la libertà e per poter sopravvivere in pace". L'occupazione all'inizio doveva essere solo dimostrativa. "Occupare un simbolo al centro di Roma per dire "esistiamo!" e chiedere il rispetto dei nostri diritti. Molti di noi venivano dal Cara di Castelnuovo di Porto, altri vivevano da homeless a Ponte Mammolo. La risposta? Nessuna. Molti giornalisti hanno bussato alla nostra porta, nessun uomo delle istituzioni".
La normalità nell'emergenza. Quello che stupisce del "grande palazzo" è la normalità nell'emergenza. Immaginate sporcizia, urla, puzza? Sbagliato. Per essere un vecchio palazzone abbandonato, ora sovraffollato, qui tutto è abbastanza in ordine, abbastanza pulito. Ma soprattutto c'è un grande silenzio, neppure i bambini fanno rumore. "Ci siamo dati delle regole  -  spiega la nostra guida - non sono ammessi alcol, fumo, urla. Non dobbiamo dare fastidio a chi vive o lavora qui vicino. Nessuna associazione ci aiuta, andiamo alle mense della Caritas o del centro Astalli. Qualche ristorante a fine giornata ci regala il pane che avanza". L'elettricità c'è quasi ovunque, le tv sono accese, l'ascensore e i condizionatori sono rotti. L'acqua c'è, ma la pompa non è potente abbastanza e non arriva a servire gli ultimi piani.
"La paura si chiama sgombero". Una madre ci accoglie nella stanza dove vive con il piccolo figlio. Ci fa vedere gli armadi che ha trovato per strada, il divano, la cucina. Tiene tutto pulito. "Grazie a Dio, abbiamo un tetto sulla testa", ci dice. La paura si chiama "sgombero". Adhanam ci guarda: "L'Italia non è un Paese per rifugiati". Poi ci saluta.



Anci: 9 mila minori non accompagnati in Italia, +98,4% in due anni
Sempre piu' maschi, prossimi alla maggiore eta', e provenienti soprattutto dai Paesi dell'Africa, Bangladesh e dall'Afghanistan
stranieriinitalia.it, 04-06-14
Roma, 4 giugno 2014 - Piu' di 9 mila minori stranieri non accompagnati, aumentati del 98,4% in due anni. Sempre piu' maschi, prossimi alla maggiore eta', e provenienti soprattutto dai Paesi dell'Africa, dal Bangladesh e dall'Afghanistan.
E' questa - riferisce una nota - la fotografia sviluppata dal V Rapporto Anci-Cittalia sui minori stranieri non accompagnati in Italia, che verra' presentato domani nella sede Anci di Roma. Il Rapporto rappresenta nei fatti quasi un censimento, dato che i Comuni che hanno partecipato attivamente all'indagine rappresentano circa il 70% del totale della popolazione residente in Italia al 31 dicembre 2012. Tra i dati sottolineati nel Rapporto, inoltre, il netto incremento dei Comuni di medie e piccole dimensioni impegnati nell'accoglienza, che si affiancano all'ovvia preponderanza delle citta' metropolitane all'interno di un contesto in cui, sottolinea lo stesso Rapporto, '''i minori non accompagnati rappresentano sempre piu' una compenente del piu' vasto fenomeno migratorio ma, piu' specificamente, della migrazione di categorie particolarmente vulnerabili''.
I dati, inoltre, sostengono le istanze dei Comuni, ribadite dal delegato all'Immigrazione dell'Anci Giorgio Pighi: ''L'istituzione del Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati - dice - rappresenta un passo in avanti verso un'assunzione di responsabilita' da parte dello Stato centrale: un percorso che va potenziato sempre piu', nell'ottica della creazione di un Sistema nazionale che, sul sistema dello Sprar, operi per l'ottimizzazione delle risorse e innalzi il livello di protezione. Risulta piu' che mai necessario - sostiene ancora Pighi - un ripensamento delle politiche di accoglienza che, nel rispetto delle diverse responsabilita' istituzionali, scongiuri il rischio di scaricare sugli enti locali la gestione di emergenze facilmente prevedibili''.
Alla presentazione del Rapporto parteciperanno, tra gli altri, il presidente dell'Anci Piero Fassino, il delegato Anci all'Immigrazione Giorgio Pighi, la vicepresidente della Commissione parlamentare per l'Infanzia e l'adolescenza, Sandra Zampa, e il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli.



Stiamo tutti con gli sposi
Dal film "io sto con la sposa" alla necessità di una violazione di massa dei dispositivi della frontiera
Melting Pot Europa, 04-06-14
Un poeta palestinese siriano e un giornalista italiano incontrano a Milano cinque palestinesi e siriani sbarcati a Lampedusa in fuga dalla guerra, e decidono di aiutarli a proseguire il loro viaggio clandestino verso la Svezia. Per evitare di essere arrestati come contrabbandieri però, decidono di mettere in scena un finto matrimonio coinvolgendo un’amica palestinese che si travestirà da sposa, e una decina di amici italiani e siriani che si travestiranno da invitati. Così mascherati, attraverseranno mezza Europa, in un viaggio di quattro giorni e tremila chilometri. Un viaggio carico di emozioni che oltre a raccontare le storie e i sogni dei cinque palestinesi e siriani in fuga e dei loro speciali contrabbandieri, mostra un’Europa sconosciuta. Un’Europa transnazionale, solidale e goliardica che riesce a farsi beffa delle leggi e dei controlli della Fortezza con una mascherata che ha dell’incredibile, ma che altro non è che il racconto in presa diretta di una storia realmente accaduta sulla strada da Milano a Stoccolma tra il 14 e il 18 novembre 2013.
Ed oggi che migliaia di persone sono ingabbiate dalle norme europee nel primo paese di approdo, la realtà raccontata nel film ha bisogno di diventare pratica di massa. Perché i confini europei oggi si attraversano a pagamento, nel Canale di Sicilia, ma anche qui, dove le frontiere europee segmentano i percorsi dei migranti.
E’ il momento di mettersi in viaggio, facendo spazio nei sedili posteriori, per supportare gratuitamente chi cerca di violare i confini interni, in attesa del no borders train del prossimo 21 giugno, una sfida lanciata dai movimenti contro le frontiere dell’Europa.
Insomma, per noi sono tutti sposi e così come gli autori del film non eisteremo a disobbedire alle frontiere insieme a loro.
La guerra in casa
"Quale poliziotto di frontiera chiederebbe mai i documenti a una sposa?" - si sono chiesti gli autori.
"La prima volta che ce lo siamo chiesti, era una sera di fine ottobre del 2013. Da quando la guerra ci era entrata in casa, non parlavamo d’altro. Delle migliaia di persone in fuga dalla guerra in Siria che ogni giorno arrivavano a Milano dopo essere sbarcate a Lampedusa. Alcuni capitava di ospitarli direttamente a casa nostra, e di ascoltare i loro racconti sulla guerra e sui naufragi. Ripartivano tutti nel giro di pochi giorni, sempre senza documenti, pagando cifre da capogiro ai contrabbandieri che li portavano in Svezia. Ma l’eco dei loro racconti continuava a risuonare nelle nostre case e nelle nostre teste. Fino a quando abbiamo deciso di fare qualcosa."
"L’idea della sposa, all’inizio sembrava più una battuta che altro. Ma poi lentamente ha preso forma. E quando abbiamo conosciuto Abdallah, Manar, Alaa, Mona, Ahmed e Tasnim ci è sembrato che non potevamo non fare quel salto nel vuoto. Per il semplice fatto che quando trovi un complice ai tuoi sogni, non puoi più tirarti indietro."
"All’alba del 14 novembre 2013, ci siamo incontrati davanti alla stazione centrale di Milano. Eravamo ventitré tra ragazzi e ragazze. Amici italiani, palestinesi e siriani. Chi coi documenti, chi senza, ma tutti vestiti eleganti come se stessimo davvero andando a un matrimonio".
"Da quando la prima volta avevamo parlato della sposa, erano passati esattamente 14 giorni. È difficile spiegare come siamo riusciti in così poco tempo, e senza soldi, a individuare i personaggi del documentario, a scrivere il trattamento del film e a mettere in piedi una troupe cinematografica. E tutto questo mentre nel frattempo ci occupavamo della logistica del viaggio: noleggiare le automobili, stabilire le tappe, cercare ospitalità. E soprattutto mentre attraversavamo Milano in lungo e in largo alla ricerca di un parrucchiere dove tirare al lucido le acconciature dei nostri cinque personaggi sbarcati due settimane prima a Lampedusa, e di un negozio dove poter comprare cravatte, camicie, completi eleganti e soprattutto un vestito da sposa a prezzi stracciati. Anche se poi, più che il vestito, il difficile è stato trovare la sposa".
"Le prime due ragazze siriane a cui l’abbiamo chiesto, ci hanno dato buca. Ormai avevamo deciso che Tareq si sarebbe travestito da sposa. E invece alla fine, ci siamo ricordati che Tasnim era in Spagna. L’abbiamo chiamata ed ha accettato entusiasta. E per fortuna, perché era lei la sposa perfetta per questo film!"
"Ventimila morti in frontiera nel Mediterraneo sono abbastanza per dire basta. Non sono vittime del fato né della burrasca. Ma di leggi alle quali è arrivato il momento di disobbedire. Per questo motivo ci siamo improvvisati trafficanti per una settimana. E abbiamo aiutato cinque palestinesi e siriani in fuga dalla guerra a proseguire il loro viaggio dentro la Fortezza Europa. Al momento dell’uscita del film, potremmo essere condannati fino a 15 anni di carcere per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma siamo pronti a correre il rischio. Perché abbiamo visto la guerra in Siria con i nostri occhi, e aiutare anche una sola persona ad uscire da quel mare di sangue, ci fa sentire dalla parte del giusto".
"È un rischio folle quello che ci stiamo prendendo. Ma vogliamo credere che esista una comunità di persone, in Europa e nel Mediterraneo, che come noi sognano che un giorno questo mare smetta di ingoiare le vite dei suoi viaggiatori e torni ad essere un mare di pace, un mare dove tutti siano liberi di viaggiare, e dove nessuno divida più gli uomini e le donne in legali e illegali".
"Quella comunità esiste. È fatta delle persone che ci hanno ospitato durante il nostro viaggio attraverso l’Europa. E di voi che state leggendo questa pagina. Siamo molto più numerosi di quanto pensiamo. E questo è il film che ci mancava. Un film manifesto in cui riconoscersi, noi che crediamo che viaggiare non sia un crimine e che criminale sia invece chiudere gli occhi di fronte ai morti di viaggio sulle nostre spiagge mediterranee e di fronte ai morti nella guerra in Siria".
"Questo film è nato dal sogno di tre persone, senza nessun produttore alle spalle. E ora quel sogno, per essere realizzato, ha bisogno del vostro aiuto.
Pre-produzione, produzione e post-produzione del film costano 150mila euro. Dobbiamo raccogliere almeno la metà della cifra entro la fine di giugno per chiudere il film in tempo per iscriverlo al festival di Venezia a settembre ed essere distribuiti in sala dal prossimo autunno".
"Non preoccupatevi se non avete grandi risorse. Anche una piccola donazione può fare la differenza. A patto che convinciate almeno un amico a fare altrettanto. In cambio vi offriamo il download del film, un DVD, un libro, un biglietto del cinema, una maglietta, o una proiezione pubblica in anteprima con noi registi".
"E guardate che in ballo c’è molto di più del nostro lavoro. C’è la possibilità di dimostrare che questo amato Mediterraneo non sia soltanto un cimitero, ma che possa ancora essere il mare che ci unisce".

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