Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

11 novembre 2010

E adesso chi lo spiega all'amico Gheddafi?
l'Unità, 11-11-2010
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
ROMA - E adesso vallo a spiegare all'«amico Muammar», al «grande statista dotato di equilibrio e modera-zione», al Colonnello munifico e omaggiato dal Cavaliere, vallo a spiegare al Raìs libico che il Governo italiano da ieri viene impegnato dal Parlamento «a sollecitare con forza le autorità di Tripoli affinché ratifichino la Convenzione Onu sui rifugiati e riparano l'ufficio dell'Unhcr a Tripoli quale premesse per continuare le politiche dei respingimenti dei migranti in Libia». La «patata bollente» è finita nelle mani del titolare della Farnesina, Franco Frattini. L'emendamento del radicale del Pd Matteo Mecacci, passato con 274 sì contro 261 no, incide sul Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione Italia-Libia, sottoscritto nell'agosto 2008 da Berlusconi e Gheddafi.
Il giorno dopo, il nervosismo del ministro degli Esteri non è scemato. Quel triplice schiaffo sulla Libia è anche una sua sconfitta personale. Frattini aveva provato a convincere i deputati di Futuro e Libertà: «L'Ue ha parlato chiaro con un accordo sottoscritto da due commissari con due ministri libici - aveva argomentato il titolare della Farnesina -. Se non usiamo le parole di quell'accordo rompendo la collaborazione Ue in materia migratoria apriamo le porte a tutti quello che vogliono entrare liberamente in Italia». Il risultato della sua perorazione è stato nullo. Ed ora quel vincolo parlamentare deve essere tradotto in azione diplomatica. Nonostante le sollecitazioni delle più importanti organizzazioni per i diritti umani, la Libia non ha ancora sottoscritto la Convenzione Onu sui rifugiati del 1951, il testo base che garantisce il rispetto dei diritti umani e la tutela di chi è costretto a fuggire dal proprio Paese. L'art. 33 parla del divieto di respingimento. Cosa pensi di questo problema, Gheddafi lo ha chiarito l' 11 giugno 2009 a Roma, in una conferenza stampa tenuta assieme a Silvio Berlusconi: «L'asilo politico? Una menzogna diffusa - tuonò il Colonnello -Chiedono asilo politico? Gli africani non ne hanno bisogno, è gente che vive nella foresta o nel deserto». E ancora: «Se dovessimo ascoltate Amnesty International potrebbero muoversi e vi trovereste tutta l'Africa in Europa...». Il tutto sotto lo sguardo compiaciuto del Cavaliere. Il generale di brigata Mohamed Bashir Al Shabbani, direttore dell'ufficio immigrazione, ha dichiarato ad Human Rights Watch che «non ci sono rifugiati in Libia. Ci sono individui che si intrufolano illegalmente nel Paese e non possono essere descritti come rifugiati. Chiunque entri nel Paese senza documenti e permessi formali viene arrestato». Quando Human Rights Watch ha chiesto ad Al Shabbani come facesse a sapere che nessuno di essi fosse un rifugiato, o se tra di essi potessero trovarsi uno o due rifugiati, e come potesse distinguerli dagli altri, ha risposto: «Non mi sono mai trovato di fronte ad una simile eventualità».
L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha «appreso con favore che il tema relativo alla tutela dei diritti dei richiedenti asilo in Libia abbia ottenuto la maggioranza dei voti in Aula alla Camera». Lo afferma Laura Boldrini, portavoce dell'Unhcr. «Riteniamo altresì importante - aggiunge - che vi sia stato il riconoscimento da parte del Parlamento del ruolo dell'Unhcr in Libia e sia stato quindi richiesto al Governo di agire a livello bilaterale e internazionale affinché l'ufficio dell'Alto commissariato a Tripoli possa riprendere a lavorare senza le attuali limitazioni». Secondo Boldrini è anche «rilevante che sia stato chiesto al Governo di sollecitare la Libia a firmare la convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951». «Va comunque ribadito - conclude la portavoce dell'Unhcr - che tali presupposti non possono essere considerati sufficienti a legittimare la politica dei respingimenti indiscriminati in alto mare, poiché questa impedisce a chi ne ha diritto di poter accedere alla procedura d'asilo nel territorio italiano». «Sono contento dell'esito del voto di ieri (martedì, ndr) alla Camera sui rapporti tra Italia e Libia», le fa eco il vescovo di Mazara del Vallo e componente della commissione episcopale per l'immigrazione, mons. Domenico Mogavero, a margine dell'assemblea generale della Cei. «Io sto dalla parte di chi chiede la rinegoziazione del patto italo-libico, il rispetto dei diritti umani», precisa il vescovo. «Mi ritrovo con il portavoce dell'Unhcr Laura Boldrini, che su questa battaglia si sta giocando la faccia».



Fini, basta con gli immigrati

il Giorno, 11-11-2010
Se Fini continuerà con la svolta a favore dell'ingresso degli immigrati (che gli italiani non tollerano più, visti i continui flussi in continuo aumento che porteranno a ben futuri scontri sociali tra italiani e stranieri in crescita che, senza un lavoro, pretenderanno sempre di più dallo  Stato che li ha  accolti) avrà  poche possibilità di poter diventare in futuro il
potenziale Presidente del Consiglio! Siamo stufi di essere il ventre molle d'Europa, col risultato di un incremento di criminalità e scontri etnici futuri!



Le modifiche del Parlamento impegnano l'Italia a far pressioni su Tripoli riguardo l'asilo politico dei migranti
Minati i patti Italia-Libia ma non i respingimenti
Liberazione, 11-11-2010
Stefano Galieni
La rottura che si è consumata nella maggioranza di governo l'altro ieri con le 3 mozioni sull'accordo italo libico, hanno un significato sia di forma che di sostanza. L'elemento più rilevante è quello andato in porto grazie al testo presentato dal radicale Mecacci, una posizione per certi versi di basso profilo ma che è di per se servita a mettere in difficoltà l'asse preferenziale fra Berlusconi e Gheddafi. In pratica l'Italia si deve impegnare affinché la Libia consenta e riconosca la possibilità di accedere all'asilo politico ai profughi che giungono sul suo territorio, ratifichi la Convenzione di Ginevra del 1951 sui diritti umani e permetta di poter agire in piena autonomia ai rappresentanti dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). Secondo la mozione questa deve essere una premessa necessaria affinché possano essere effettuati respingimenti in mare verso il paese nordafricano. Le altre due mozioni, meno importanti nella sostanza, impongono, all'interno del trattato di amicizia italo libico sia di rivedere le regole di ingaggio dei soldati italiani che cooperano nei respingimenti con gli equipaggi libici (l'uso delle armi) sia di veder garantite le acque internazio-nali ai pescherecci italiani. «Un elemento di discontinuità importante - commenta Fulvio Vassallo Paleologo, dell'università di Palermo ed esperto di diritto dell'immigrazione _ che interrompe l'approccio bipartisan con cui ci si era
sin dal 2000 rapportati al governo di Gheddafi. Una discontinuità però insufficiente, la mozione è finalizzata a poter continuare con la pratica illegale dei respingimenti collettivi. Una pratica che resta in contrasto con il diritto internazionale e che il governo italiano continua ad applicare indiscriminatamente in Libia come in Egitto». Per Laura Boldrini, portavoce in Italia dell'Unhcr, la votazione è positiva perché porta a rivedere il trattato italo libico e di fatto rappresenta un importante riconoscimento da parte della maggioranza del parlamento italiano del ruolo di difesa dei diritti umani svolto dall'Unhcr. Anche per Boldrini questi presupposti non possono essere considerati però sufficienti a legittimare la politica dei respingimenti indiscriminati in alto mare, poiché questa impedisce, a chi ne ha diritto di poter accedere alla procedura di asilo nel territorio italiano. Commento positivo anche dall'Arci per bocca di Filippo Miraglia, responsabile immigrazione che nota con soddisfazione come finalmente le tematiche connesse all'accordo italo libico non siano più di esclusivo dominio del ministero dell'interno ma tornino ad essere anche prerogativa parlamentare. E mentre nella maggioranza continuano le polemiche soprattutto contro Fli- paragonata nel Pdl a Rifondazione (?) per il solo fatto di aver espresso valutazioni rispetto alla necessità di veder maggiormente rispettati i diritti umani, si apre una partita interessante nei rapporti mediterranei. Una reazione indiretta ma stizzita è giunta dal vice ministro libico per gli affari europei Abdelati Al-Obeidi, capo della delegazione di Tripoli al Consiglio dell'Onu sui diritti umani. Il diplomatico, l'altra sera era a Ginevra per l'esame periodico universale, meccanismo del Consiglio Onu dei diritti umani in base al quale 192 Stati membri delle Nazioni Unite subiscono a turno un "esame" sulla situazione ed il rispetto dei diritti umani nel Paese. Definendo la Libia come paese di origine, transito e destinazione dell'immigrazione,  il vice ministro ha lanciato un monito alla Comunità Europea: «Non siamo disposti a fare la polizia di frontiera». La richiesta reiterata è quella di un partenariato che veda coinvolti tanto i Paesi africani di partenza quanto l'intera Ue, garantendo alla Libia maggiori risorse di quelle che già vengono fornite. Nei fatti il governo libico non gradisce l'idea che coloro che fuggo¬no da un paese in guerra possano chiedere asilo a Tripoli, il governo italiano non si pone il problema, chiamando i richiedenti asilo "clandestini" la maggioranza che si è creata in parlamento, vorrebbe spostare i problemi .tutti sul fronte libico lavandosi la coscienza. Una situazione di empasse che potrebbe presto portare a nuovi sviluppi tanto da mettere in crisi gli accordi trionfalmente firmati da Berlusconi. Dopo l'ultima umiliante accoglienza tributata al dittatore libico, uno degli amici fondamentali del premier, l'alleanza da poco siglata potrebbe scricchiolare. In silenzio invece, si espellono regolarmente persone in Egitto, con un accordo bilaterale che tutto consente e su cui nessuno sembra voler mettere bocca.



Respingimenti

il Fatto Quotidiano, 11-11-2010
Marco Palombi
Italia-Libia,. su cosa è andato sotto il governo Intanto  va chiarito che i respingimenti in mare dei migranti non sono previsti da nessuna legge: non se ne parla nella Bossi-Fini, non nei vari decreti sicurezza e nemmeno nel recente Trattato di amicizia italo-libico. I respingimenti collettivi sono semplicemente una prassi, peraltro inaugurata già durante il precedente governo Berlusconi, quando al Viminale sedeva Giuseppe Pisanu: l'innovazione della gestione Maroni, coadiuvato dalle autorità libiche, e che ora avvengono addirittura in mare. Il motivo per cui non c'è legge che li preveda è semplice: i respingimenti collettivi violano buona parte del diritto internazionale - la Dichiarazione dei diritti dell'uomo, la Convenzione di Ginevra - e persino la Costituzione italiana (art. 10) perché in buona sostanza hanno l'unico scopo di non riconoscere il diritto d'asilo a chi ne avesse i requisiti. A Lampedusa, per capirci, nel 2008 sbarcarono circa 27 mila cittadini stranieri: il 75% chiese asilo e la metà lo ottenne. Oggi, sostiene il nostro governo, quelle persone faranno la loro richiesta in Libia, ma è una bugia: Tripoli non riconosce il diritto d'asilo e ha pure chiuso l'ufficio Onu che si occupa di rifugiati. È su questo tema che l'esecutivo e andato sotto tre volte martedì: l'emendamento del radicale Mecacci - Colombo (e le conseguenti mozioni di Udc e Fli) prevedeva di legare i respingimenti all'effettiva applicazione del diritto internazionale in Libia, il governo ha dato parere  negative e Gianfranco Fini-che ormai propone
pubblicamente di cambiare anche la "sua" legge sull'immigrazione ("a volte chiede agli stranieri cose assurde")-ha cominciato ufficialmente a uscire dalla maggioranza.



Brescia: ancora in aria per vivere

altrenotizie, 11-11-2010
Bruna Brioni
"Non molliamo" hanno detto i cinque immigrati dalla gru, dove da giorni sono arrampicati a 35 metri d'altezza, dopo che ieri nel primo pomeriggio uno di loro ha deciso di scendere. L'immigrato, che ha resistito ben undici giorni, pare sia stato accompagnato in questura non appena toccato il suolo di Piazzale Cesare Battisti a Brescia. Le condizioni di salute del giovane immigrato di origini indiane sembra non fossero affatto buone.
Il questore di Brescia, Vincenzo Montemagno, ha però chiarito che “l'immigrato sceso dalla gru è stato subito visitato. Le sue condizioni di salute sono più che buone'', ha aggiunto e ''l'immigrato é stato nutrito e ora si sta valutando la sua posizione''. Ma la protesta continua. Gli altri immigrati restano su.
Dopo i momenti critici di lunedì scorso quando la polizia ha cancellato il presidio a sostegno dei sei immigrati e distribuito manganellate, cariche ed arresti, la situazione è in una fase di stallo. Di fatto il presidio smantellato per ragioni di sicurezza, si è trasformato in una manifestazione permanente e si è spostato di una trentina di metri dalla gru, animandosi di numerose iniziative di solidarietà: dai cittadini, alle associazioni antirazziste,  ai comitati è un spontanea e continua protesta.
Le notizie di queste ultime ore ci vengono dalla conferenza stampa indetta nel primo pomeriggio dalle associazioni che fino ad oggi hanno sostenuto la lotta degli immigrati. La richiesta è di una tregua di 48 ore per allentare la tensione e prendere in esame una serie di questioni – condizioni. Si chiede di allentare la presenza delle forze dell'ordine e ripristinare una normale circolazione della zona che da lunedì risulta "bonificata".
Inoltre, si vorrebbe anche che i cinque lassù non rimanessero di fatto isolati, dato che non hanno più alcun modo di comunicare con il resto del mondo sotto di loro, se non gridando da 35 metri d'altezza. Per scongiurare qualsiasi "incidente", anche dovuto a reazioni scomposte dei cinque, le altre richieste riguardano la sicurezza: niente più tentativi di posizionare le reti sotto la gru e dotare i cinque di imbragature di sicurezza. Gli ultimi tentativi di posizionare la rete avevano prodotto reazioni molto forti nei sei immigrati. Nella giornata di martedì si erano molto agitati temendo fosse il preludio ad un intervento di forza e alcuni di loro avevano percorso gran parte del braccio sospeso nel vuoto della gru, lanciando alcuni oggetti.
La paura è che le reazioni fuori controllo e il gelo di questo stallo porti a qualche epilogo tragico. Proprio ieri infatti il prefetto Livia Narcisa Brassesco Pace, dopo il nulla di fatto con sindacati e opposizione, ha dichiarato che “nessun tavolo di trattativa, nessun permesso di soggiorno sarà concesso fuori dalle leggi italiane". E ha aggiunto, a sfregio di qualsiasi tentativo di sbloccare l'empasse "aspetteremo giorni, anche settimane".
Si attende quindi che chi è salito, semplicemente scenda. Se da un lato si scongiura così l'ipotesi temuta in questi giorni di un tentativo di farli scendere con la forza, dall'altro sfuma ogni possibilità di gestione del problema, di trattativa e di mediazione. Intanto la zona è sostanzialmente blindata, mentre il tempo scorre e le condizioni dei cinque rimasti sulla gru si fanno ogni giorno più difficili, sia per lo stress che per la fatica fisica di una condizione molto dura, per il freddo e per il consumarsi di energie e lucidità. Lo smantellamento del presidio che fino a lunedì’ consentiva loro di ricevere assistenza dai loro compagni, amici o dai comuni cittadini presenti li ha lasciati senza speranza. Il cibo della polizia,anche se preparato dalla Caritas locale, non lo vogliono.
Di certo gli immigrati in lotta per il permesso di soggiorno, negato a causa del “trucchetto” dell’inserimento nell’ordinamento del reato di clandestinità e dai datori di lavoro dileguatisi nella notte, prima o poi scenderanno. Ma su quella gru rimangono sospesi i diritti negati a tanti e insieme a loro tramonta il futuro di un’altra Italia. Questa protesta evidenzia quanto questo paese abbia rinunciato a gestire politicamente e fino in fondo l’immigrazione. Intanto i riflettori restano accesi e stasera Brescia conoscerà le luci della ribalta del teatro di Santoro e di Annozero. C’è chi già spera che l’effetto tv possa dare una svolta alla situazione. Anche soltanto un filo di  voce a questi  lavoratori che qualcuno chiama clandestini.



Immigrati, scende dalla gru un manifestante

RadioLombardia, 11-11-2010
Uno dei sei immigrati, che stanno manifestando contro la legge sanatoria dal 30 ottobre, è sceso ieri dalla gru situata nel cantiere della metropolitana a Brescia. Si tratta di un indiano che è stato immediatamente accompagnato in questura, poi visitato e nutrito. Secondo il questore di Brescia le sue condizioni sarebbero più che buone. L'immigrato era convinto di dover rimanere sulla gru soltanto un giorno poi ha avuto paura del carcere o d'essere rimpatriato e vi è rimasto 11 giorni. Sempre ieri inoltre è stato lanciato un appello di CGIL, CISL, UìL, ACLI, ARCI, Diocesi di Brescia, per chiedere ai manifestanti della gru di via San Faustino di scendere e sostenere insieme alle istituzioni le ragioni del loro impegno per il riconoscimento di dignità e diritti così da individuare una soluzione nel rispetto della legalità.



Brescia, padre di senegalese su gru: Sbagli, scendete

Apcom, 11-11-2010
Diaw Alboury si rivolge a figlio e chiede mediazione al Questore
Milano,  - Alboury Diaw, padre del 21enne Papa Modou, il giovane senegalese che da 12 giorni, insieme con altri quattro cittadini stranieri, protesta su una gru nel centro di Brescia, lancia un appello al figlio affermando di non condividere la sua protesta e di essere "molto addolorato e preoccupato per il suo comportamento". In un comunicato diffuso dalla polizia e firmato gli "Amici di Alboury", si spiega che il genitore "ha chiesto aiuto a membri autorevoli della Comunità senegalese e degli altri immigrati ed al Questore di Brescia per una soluzione immediata della vicenda". "Dopo i due tentativi dei giorni scorsi, infruttuosi a causa dell'intransigenza dei compagni sulla gru, il padre invita nuovamente il figlio e quanti hanno la possibilità di comunicare con lui, a scendere ed interrompere l'illegittima protesta" continua la nota, spiegando che Alboury Diaw "è convinto che solo attraverso il rispetto delle leggi del Paese ospitante ed il reciproco riconoscimento del 'valore di persona' si possa avviare un percorso di vera integrazione". Nel primo pomeriggio di oggi l'uomo "è intenzionato a riprovare un contatto con il figlio e chiede aiuto a tutti coloro che gli vogliano bene".



INTERVISTA -  Wijdan Fawaz al-Hashemi  -  Ambasciatrice e artista: vi dico perché l'integrazione fallisce
L'Islam in Europa? Così si va al conflitto
il Sole, 11-11-2010
Karima Moual
Il primo contatto sono gli occhi grandi, accesi e attenti. Sono quelli della prima donna ad entrare in carriera diplomatica in Giordania nel 1962, rappresentando il suo paese all'estero. Ma la principessa e ambasciatore di Giordania in Italia Wijdan Fawaz al-Hashemi è anche un'artista - le sue sue opere oggi si trovano in numerosi musei, tra cui il British Museum, il National Museum of  Women in the Arts negli Stati Uniti - è storico dell'arte, con un dottorato di ricerca in Storia dell'Islam. Oggi mi aspetta sorridente dietro un elegante scrivania, non per parlare di arte, ma dimusulmani e di come vengono percepiti e come si rapportano all'interno delle società occidentali.
Le prima parole sono di preoccupazione: «Perché i problemi economici in questa fase stanno aumentando le chiusure in Italia e in Europa  verso gli immigrati soprattutto verso i musulmani». Sempre di più, in effetti i partiti populisti di destra - e lo vediamo anche con l'ultima vittoria dei movimenti tea party negli Stati Uniti -stanno avendo successo grazie alla leva anti-islam.
«È un fenomeno molto pericoloso», sostiene Wijdan Fawaz al-Hashemi: «L'estremismo e il conservatorismo non fanno altro che rafforzare dall'altra parte altro estremismo e conservatorismo. Di questo deve tenerne conto chi pensa all'oggi dimenticandosi il domani che verrà».
Se siamo arrivati a questo punto, però, è anche per una vulnerabilità dell'islam stesso, o meglio dei suoi rappresentanti ancora in difficoltà e ambigui su alcuni temi qua-li per esempio i diritti umani, la posizione della donna, l'interpretazione del corano. «Io non sono assolutamente d'accordo, nel dire che l'islam è in una posizione di vulnerabilità, perché dobbiamo vedere in profondo cosa dice il corano. Dobbiamo vedere le origini dell'islam e del corano. E che cosa troviamo di debole? In realtà trovi qualsiasi interpretazione». Per una volta non siamo d'accordo io e la principessa Wijdan, perché è qui che io trovo la vulnerabilità dell'Islam, le varie interpretazioni sono sì la forza, ma possono essere anche la gabbia.
«Non si può - continua Wijdan - dare credito a chi, ignorante della sua religione, commette reati contro la propria donna in nome dell'islam. Perché questo non è l'islam, e chi fa informazione in Occidente non deve accreditare certe interpretazioni come il vero islam. Oggi vedo che i fondamentalisti e i conservatori europei, per trovare la scusa e giustificare la loro battaglia contro l'islam, al fine di arrivare ai loro obbiettivi, prendono tutte queste parti deboli dell'islam, dandogli spazio, credibilità e notorietà, creando un islam chiuso in casa, a discapito di quello vero che ci avvicina e non ci allontana».
Ci troviamo dunque ad aver creato delle vere comunità musulmane sempre più chiuse con il conseguente dubbio sull'integrabilità dei musulmani in Europa
«A chi mette in dubbio l'integrabilità dei musulmani in Europa io vorrei rispondere con un'altra domanda: ma l'Europa è dav-
vero pronta e volenterosa a integrare i musulmani, e accettarli tra di loro? Perché troviamo in programmi televisivi  o ancora in giornali, chiamate a rispondere, persone che non hanno una conoscenza appropriata e profonda? Ignoranti della loro stessa religione, incompetenti chiamate a rispondere a questioni molto più grandi di loro. E che a malapena parlano in Italiano».
Il finale sa un po' di autocritica: «Bisogna essere più colti e più istruiti nel mondo arabo, c'è ancora troppa ignoranza - ammette Wijdan - non conosciamo bene la nostra religione e la nostra storia in modo ampio e più profondo. Dobbiamo combattere l'ignoranza nel mondo arabo. L'ignoranza è il nemico più grande per qualsiasi popolo. E quello che sta succedendo oggi in Europa è anche un'avanzata d'ignoranza. Perché altrimenti come potremmo interpretare Wilders in Olanda, e il successo che ha, solo per il lavoro che fa contro l'Islam e i musulmani riuscendo ad avere anche un significativo seguito?».



Prigioni inglesi stracolme
Cameron paga i galeotti stranieri disposti a tornarsene in patria
Il governo darà 1.500 sterline in contanti agli immigrati incarcerati che accettano di tornarsene a casa; oltre al denaro avranno uno sconto di pena fino a nove mesi
Libero, 11-11-2010
ALESSANDRO CARLINI
LONDRA - C'è una contraddizione nel recente operato del governo di David Cameron. Mentre sottopone il Regno Unito a una "cura dimagrante" fatta di riduzione del numero dei dipendenti pubblici, aumento delle tasse universitarie e taglio generalizzato della spesa pubblica, dall'altra parte è pronto a sottoscrivere cospicui assegni a rapinatori, stupratori e agli altri criminali stranieri che affollano le carceri del Paese.
Si tratta di ben 1.500 sterline (1.750 euro) in contanti, che verranno dati agli immigrati che accettano di tornare in patria: oltre al denaro, possono anche contare su uno sconto di pena fino a nove mesi. Ma ricevono anche soldi, 750 pound (870 euro), i criminali stranieri appena usciti di galera che si accordano con le autorità sul ritorno nel loro Paese.
IL PROGRAMMA
Questa iniziativa non è nuova. Erano stati i Laburisti al governo, nel 2006, a introdurla. L'assegno però era di sole 500 sterline (580 euro), alle quali se ne sarebbero aggiunte altre mille, ma solo dopo il rimpatrio degli immigrati. Ma quei soldi non gli venivano dati così, brutalmente, in mano, ma erano all'interno di un programma di reinseri-mento in società. L'idea era di aiutare i detenuti, una volta usciti di prigione, ad aprire una piccola attività e rifarsi una vita.
Allora i Conservatori avevano votato contro, gridando addirittura allo scandalo. Oggi, invece, che devono risolvere l'annoso problema delle carceri stracolme di persone, la pensano diversamente.
E in molti gridano allo scandalo, affermando che è "osceno",   come  ha   affermato   il quotidiano Telegraph, dare quei contributi a chi ha commesso un crimine, mentre se ne tolgono dalle tasche di tutti i britannici sotto forma di tagli e nuova "austerity". Qualcuno potrebbe pensare anche che questo sia un vero e proprio incentivo a delinquere, così da poter tornare in patria con un bel po' di sterline in tasca, in Paesi, africani o asiatici, in cui grazie alla valuta debole, si può disporre di una piccola fortuna. L'anno scorso 1.660 dei 5.535 criminali stranieri hanno sfruttato questo incentivo.
Erano stati condannati per i crimini più disparati, fra cui un'immigrata della Malesia, Agnes Wong, che aveva ucciso un bambino di 17 mesi.
L'INCENTIVO
Se anche l'anno prossimo ci sarà lo stesso numero di rimpatriati, il conto per i sempre più poveri contribuenti britannici sarà di tre milioni di sterline, soldi che potrebbero venire usati per ben altri motivi.
Uno dei primi a gridare allo scandalo è stato Dominic Grieve, il procuratore generale di Inghilterra e Galles, che ha detto: «Così il crimine paga e ai cittadini spetta il conto».
Ma non è l'unica iniziativa che ha sollevato critiche. Il ministro della Giustizia, Ken Clarke, vorrebbe costruire prigioni accanto a fabbriche o impianti per il riciclo dei rifiuti dove i detenuti verrebbero impiegati in vista del loro reinserimento.
Il ministro vuole che i carcerati si abituino a un «duro lavoro di routine» in grado per prepararli alla vita che li attende fuori dal carcere.
Troppo spesso infatti, le prigioni sono luoghi di "inezia e noia", dove alzarsi dal letto la mattina viene visto come un optional. Certo, non si capisce perché a fronte di tutta questa severità, alla fine si riducano a pagare gli immigrati per andarsene.


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