Ex-aeroporto Kinisia, Trapani: pestaggi, affari e censura nell'inferno dellla tendopoli del Cie

 

Il consorzio Connecting People gestisce 3 Cie, un Cara e “strutture private sociali"
Stefano Galieni
«A Trapani non ci fanno mancare niente per quanto riguarda gli immigrati. Abbiamo 3 Cie di cui uno diviene operativo oggi, un Cara, un paio di centri di accoglienza e in più strutture ufficialmente del privato sociale. Peccato che a gestirle tutte, ma tutte sia un unico consorzio, la Connecting People».
 Valeria, dell’Onlus Caribou, commenta amaramente la situazione mentre un vento bollente e il sole a picco ardono nel pomeriggio siciliano. Kinisia, area isolata dell’ex aeroporto militare, ci si arriva imboccando una strada sterrata, sullo sfondo, tende azzurre da campo profughi, filo spinato e container colorati, come mattoncini lego, a sbarrare la vista. E poi automezzi dei vigili del fuoco e della polizia, sbarre all’ingresso e una grande tenda a lato con i colori del deserto. Nella tendopoli c’erano lunedì 48 persone. La settimana precedente in molti avevano provato, qualcuno con successo a fuggire. I riacciuffati raccontano di pestaggi indiscriminati, mostrano lividi. «Loro affermano di essere stati picchiati, la polizia nega, ma anche se non ci fossero state le botte quello che ho visto è inimmaginabile – racconta Jean Leonard Touadì – deputato, l’unico di una delegazione a cui è stato consentito l’accesso al centro in base alle disposizioni di Maroni per nascondere lo scempio che si fa del diritto. Touadì esce parla con i giornalisti con indignazione: «Un pastore non terrebbe le proprie pecore in quelle condizioni – racconta – Quello è un inferno vero e proprio. Ho visto un uomo adulto, con le tracce recenti di un intervento chirurgico, sdraiato sul materasso sotto la tenda. Non riesce a muoversi, non può stare lì. Ho visto 4 marocchini transessuali esposti al rischio di violenze e ho visto richiedenti asilo, persone per cui la legalità nazionale e internazionale viene negata più volte. Non debbono esistere questi posti». Fuori dal centro, attivisti di Caribou, di Rifondazione, della Cgil e giornalisti. Edwig lavora per una emittente olandese, segue il caso di una connazionale legalmente sposata con un ragazzo tunisino. La ragazza W. È quasi al termine di una gravidanza, suo marito è stato trattenuto illegalmente perché giudice di pace, prefettura e questura trovavano la situazione troppo complessa per risolverla. Il marito ha cercato di percorrere le vie legali, era preoccupato per lo stato di salute di sua moglie e alla fine ha deciso di fuggire. Di questo illegittimo sequestro di persona forse dovrà rispondere il governo italiano, ancora una volta in sede U.E. La vicaria del prefetto di Trapani e il responsabile dell’ufficio immigrazione sono visibilmente imbarazzati, non possono difendere l’indifendibile e parlano anche del disagio sofferto dagli operatori di polizia. Sono fiduciosi, oggi dovrebbe aprire il nuovo Cie, 206 posti, che sostituirà la tendopoli. Ma anche la storia di questo grande e inquietante bunker che si intravvede dall’autostrada offre di che pensare. È stato progettato 9 anni fa, in contrada Milo come “Villaggio dell’accoglienza”. Ideato dal potente senatore D’Alì, pare sia costato almeno 10 milioni di euro salvo poi scoprire che non era a norma con gli impianti fognari. Ora miracolosamente il centro apre, sarà un carcere di massima sicurezza ultramoderno dove si potrà restare per 18 mesi senza aver commesso nulla. E solo i parlamentari disposti a monitorarne le condizioni vi potranno accedere. I giornalisti sono un intralcio, lunedì ad un reporter che scattava foto al Cie di Kinisia è stato imposto di cancellarle ed è stato identificato. Le intercettazioni di cui tanto si parla, raccontano di cose che non si debbono sapere, quelle immagini di cose che non si debbono vedere e i colpevoli, per chi governa, sono coloro che informano.
Liberazione 28 giugno 2011
 
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