Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

04 giugno 2012

Ue: superati i 20 milioni di immigrati extracomunitari, sono il 4% della popolazione.
Il Rapporto immigrazione, asilo e libertà di movimento stima le presenze irregolari tra i 2 e i 4,5 milioni. “Anche con disoccupazione al 10% molti Stati membri presentano carenza di lavoro in alcuni comparti”.
Immigrazioneoggi, 04-06-2012
Sono 20,2 milioni gli extracomunitari immigrati legalmente nell’Unione europea, pari a circa il 4% della popolazione totale dei 27 Paesi (502,5 milioni) e al 9,4% dei 214 milioni di migranti regolari riconosciuti nel mondo. È uno dei dati del Rapporto 2011 su immigrazione, asilo e libertà di movimento nella Ue presentato venerdì scorso dalla commissaria europea per gli Affari interni, Cecilia Malmstrom.
Il rapporto della Commissione, tra i vari aspetti, sottolinea l’importanza dell’immigrazione come fattore dell’agenda europea per la crescita in un continente che invecchia .
“Anche con un tasso di disoccupazione attorno al 10% – si legge – molti Stati membri sperimentano carenze di forza lavoro e di capacità in diversi settori e per diverse ragioni”. In un sondaggio Eurobarometro che accompagna lo studio, il 68% degli europei pensa che gli immigrati regolari dovrebbero godere degli stessi diritti dei cittadini europei. Ma solo il 42% pensa che l’immigrazione andrebbe incoraggiata per fronteggiare il calo demografico e le carenze di forza lavoro, mentre il 46% è convinto del contrario. Ed è appena il 53% degli europei a pensare che l’immigrazione arricchisca economicamente e culturalmente i Paesi che la ricevono.
Sul fronte dell’immigrazione clandestina, il rapporto stima la presenza di immigrati illegali tra i 2 e i 4,5 milioni mentre, nel 2011, sottolinea come l’accesso all’Unione europea sia stato negato a 343.000 persone (-13,% rispetto al 2010) e 468.500 sono state fermate dopo essere riuscite ad entrare illegalmente (nel 2010 erano state 505.000).
Le domande di asilo lo scorso anno sono salite a 302.000, con un aumento del 16,2% rispetto al 2010, ma sempre molto al di sotto del picco di 425.000 del 2001.



Immigrati: la denuncia del consigliere «Tentato linciaggio contro richiedenti asilo»
il Mattino, 04-06-2012
NAPOLI - «Dodici richiedenti asilo tra cui 4 donne incinte ed una in allattamento costretti per oltre 24 ore in un autobus fuori l'albergo di Ottaviano nel quale erano stati ospitati fino a che non era scaduta la convenzione.
L'assenza di direttive da Protezione Civile, struttura regionale e prefettura, la tensione che è salita alle stesse con rischio concreto di linciaggio evitato solo grazie all'intervento in nottata di CGIL e associazioni ma senza che ancora in mattinata si sia trovata una soluzione definitiva»
Lo denuncia in una nota il consigliere regionale del Pd Antonio Amato. «Quanto accaduto ad Ottaviano è inquietante e sta a dimostrare l'assoluta approssimazione e la scarsa trasparenza con la quale in Campania si sta gestendo, fin dall'inizio, la questione dei richiedenti asilo».
Secondo la denuncia di Amato, scaduta la convenzione dell'albergo, si era trovata una soluzione temporanea ad Avellino per la quale per mancavano dei documenti e che gli stessi migranti rifiutavano.
«Si è determinata una soluzione paradossale, con queste persone tra cui donne incinte, costrette a lasciare la struttura alberghiera e salire su un autobus che li avrebbe dovuti portare ad Avellino. Ma l'autobus non è mai partito, la tensione è man mano diventata esplosiva: non arrivavano indicazioni dalla protezione civile che ha lasciato tutto il peso della questione sulle forze dell'ordine presenti. Ad un certo punto, come denunciato da alcuni attivisti, sono arrivate anche persone malintenzionate con mazze e pietre per far scendere i migranti dall'autobus privato che doveva tornare in deposito.»



Licata, immigrati tentano fuga dal centro: agente picchiato e ferito
Canicatti web notizie, 04-06-2012
Un poliziotto è stato picchiato da alcuni dei 39 immigrati che hanno tentato una fuga dal centro di accoglienza di via Panepinto, a Licata.L’agente è finito al pronto soccorso, dove medicato, è stato giudicato guaribile in dieci giorni. Uno dei protagonisti della rivolta è stato arrestato per resistenza a Pubblico Ufficiale. Degli altri 38 fuggitivi, 20 sono stati subito bloccati, gli altri hanno fatto perdere le tracce. I 39 immigrati fanno parte del gruppo di marocchini e tunisini sbarcati l’altro giorno sulla spiaggia di Ribera. Intanto sono stati trasferiti sempre a Licata i 43 nordafricani, approdati ieri mattina al porto di Porto Empedocle. Nel corso delle prime operazioni dal piazzale della struttura di accoglienza adiacente al porto empedoclino, gestita dalla Protezione civile ed attualmente inagibile, un giovane nordafricano è uscito dalla coda che conduceva al pullman ed è scappato, riuscendo solo per un momento a sfuggire al controllo delle forze dell’ordine. Dopo un breve inseguimento, è stato riacciuffato dagli agenti. Si era nascosto tra la sterpaglia e un muro di cinta di un terreno.



Cittadinanza ai figli di immigrati de Magistris: non  solo promesse
la Repubblica, 03-06-2012
La cittadinanza onoraria ai figli degli immigrati nati a Napoli "non è solo una promessa. Stiamo lavorando su atti concreti". Lo ha dichiarato il sindaco de Magistris, che questa mattina ha partecipato con l'arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, alla terza edizione di 'Arcobaleno dello sport', organizzata dal Coni di Napoli e riservata a figli di immigrati e napoletani di età compresa fra i 10 ed i 15 anni.
"Non vogliamo fare solo un atto simbolico dando la cittadinanza onoraria ai figli di immigrati che nascono a Napoli - ha spiegato de Magistris - ma stiamo lavorando a una delibera che dia loro anche gli stessi diritti dei cittadini italiani che nascono nella nostra straordinaria città". "Questi - ha sottolineato il sindaco - sono atti concreti che anticipano quello che dovrebbe fare il legislatore e che da troppi anni non fa, e che anche il Presidente Napolitano aveva auspicato: lo 'ius soli', chi nasce in Italia è cittadino italiano. A Napoli lo faremo - ha concluso - dando ai figli degli immigrati diritti identici a quelli dei nostri figli".



Cittadinanza, una legge possibile
l'Unità, 03-06-2012
Livia Turco
È UNA BUONA NOTIZIA LA CALENDARIZZAZIONE IN AULA SU PROPOSTA DEL PD PER LA FINE DI GIUGNO DELLA LEGGE SULla cittadinanza. «Chi nasce e cresce in Italia è italiano» è una battaglia che il Pd ha condotto con grande determinazione e che intende perseguire fino al traguardo della modifica legislativa. La nostra è una battaglia che viene da lontano, il primo testo di legge di modifica (Turco, Violante, Montecchi) lo depositai personalmente nell’agosto del 2000 e raccoglieva l’elaborazione della Commissione per le politiche d’integrazione della Presidenza del consiglio dei ministri che il governo Prodi aveva insediato sulla base della Legge 40/98. Tale Commissione, presieduta dalla professoressa Giovanna Zincone, aveva promosso un’accurata ricerca e svolto un importante convegno (Febbraio 1999) che aveva riunito esperti, personalità politiche e religiose per discutere del tema della cittadinanza, con centrandosi in particolare sulla condizione dei minori.
Negli anni successivi, prima l’Ulivo poi il Pd, hanno sempre rinvenuto in questo tema una priorita?. In questa legislatura, fin dai primi mesi, l’iniziativa di Claudio Bressa, Roberto Zaccaria, Sesa Amici, Jean-Leonard Touadi? e Andrea Sarubbi nella Commissione affari costituzionali e? stata incalzante. Si e? arrivati al testo unificato elaborato dalla relatrice Isabella Bertolini, che noi abbiamo criticato perche? non comporta nessun miglioramento significativo rispetto alla situazione attuale. Quest’iniziativa legislativa, e? stata accompagnata da una mobilitazione dei «nuovi italiani» del Forum del Pd. La novita? di cui il Parlamento nel suo insieme, e dunque anche i colleghi del centrodestra, devono tenere in considerazione, e? il clima culturale nuovo che si e? determinato nel Paese. La campagna «L’Italia sono anch’io», promossa da un cartello di sindaci ed associazioni, che prese le mosse due anni fa a Reggio Emilia, ha coinvolto numerosissime persone raccogliendo migliaia di firme. Un fatto importante e non scontato in momento difficile nella vita del nostro Paese che ha avuto il merito di sollecitare ciascuno di noi a guardare oltre se stesso, accorgersi per la prima volta che questi ragazzi e ragazze, nonostante siano come noi, non possono declinare la loro identita?, non possono dirsi italiani e sono al contempo vittime di discriminazioni. Stranieri nel Paese dove sono nati e cresciuti. Insomma, quella raccolta di firme, e? stata un’occasione di crescita culturale e civile del nostro Paese, sostenuta dalle parole importanti del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dalle iniziative di tanti sindaci che hanno conferito la cittadinanza onoraria ai giovani nuovi italiani. Dunque occorre stringere. Il Parlamento e tutte le forze politiche possono rapidamente trovare un accordo e compiere un gesto di saggezza verso il Paese, un gesto di speranza e di umanita? che guarda al futuro dell’Italia e dell’Europa. Perche? questo concetto e? in gioco quando ci si pone la domanda «Chi e? il cittadino italiano in questo terzo millennio?». Non e? un omaggio agli immigrati o ai figli degli immigrati. E? un tratto di identita? culturale del nostro Paese. Noi legislatori, dobbiamo guardare all’Italia e al suo bene comune.
Cio? richiede che ciascuno deponga le armi, rinunci al suo progetto originario e si metta a disposizione per la costruzione di una soluzione condivisa, si individui un punto di incontro. Non e? difficile. Bisogna innanzitutto rimuovere quel «risiedere ininterrottamente per 18 anni in Italia» come condizione per rivolgere domanda di cittadinanza. E? l’aspetto piu? odioso della nostra legge che non ha eguali in Europa. Nella proposta del Pd si prevedono due ipotesi. Quando il figlio nasce in Italia da genitori stranieri che sono in Italia da 5 anni e dunque hanno un progetto d’integrazione, i genitori stessi possono chiedere la cittadinanza per il figlio che sara? poi confermata dal diretto interessato al compimento del 18esimo anno. Per i ragazzi/ragazze che arrivano in eta? scolare in Italia, la domanda di cittadinanza puo? essere presentata al termine del ciclo di studi.
Credo che una buona mediazione possa essere costruita valorizzando i percorsi di formazione e inclusione per fare si? che l’acquisizione della cittadinanza italiana ne sia espressione oltre che motore. L’ipotesi potrebbe essere quella di prevedere, anche per chi nasce in Italia, il legame tra frequenza scolastica e domanda al riconoscimento della cittadinanza per esempio prevedendo che i genitori stranieri, che vivono in Italia da cinque anni, possono rivolgere domanda di cittadinanza al momento del compimento del quinto anno di eta?, cioe? al momento di inizio della scuola primaria. La scuola, come sappiamo, e? il laboratorio di una nuova cittadinanza culturale attraverso l’esperienza quotidiana della convivenza tra ragazzi e ragazze provenienti da diverse origini e attraverso l’educazione interculturale. Quest’ultima dovrebbe diventare parte integrante nella programmazione e nello sviluppo dell’attivita? didattica di tutte le scuole italiane. Per chi arriva in Italia in eta? scolare la domanda di acquisizione della cittadinanza dovrebbe avvenire al compimento del primo ciclo scolastico. La scuola di oggi e? lo specchio della societa? di domani, per cio? occorre rendere stringente il legame tra scuola e cittadinanza. Crediamo sia questa la chiave per una soluzione equilibrata. E? importante che questa battaglia ricominci a vivere nel nostro Parlamento, cosi? come in Europa, anche grazie alla mobilitazione promossa dal capogruppo Pd nel Parlamento europeo David Sassoli insieme a tutto il gruppo dei Socialisti e Democratici europei.



Terremoto: iniziato il ponte aereo predisposto dal Governo tunisino dall’aeroporto di Bologna.
In 300 scelgono il ritorno momentaneo in patria anziché la tendopoli. Il servizio coordinato dalla Polizia di frontiera.
Immigrazioneoggi, 04-06-2012
A casa e non in tendopoli: questo hanno pensato i trecento tunisini che giovedì scorso si sono imbarcati su due airbus della Tunisair dall’aeroporto Marconi di Bologna, diretti alla capitale del Paese nordafricano.
Le loro case, colpite dal terremoto nei territori di Ferrara, Modena e Mantova non sono più abitabili, per molti anche la prospettiva di un’occupazione al momento è sfumata, per via delle numerose aziende che per il sisma hanno chiuso i battenti. Da questo alla decisione di passare la fase di precarietà nella famiglia di origine per poi tornare quando le cose saranno migliorate.
Il rimpatrio – riferisce na nota dell’Ansa – è stato agevolato dalle strutture aeroportuali, coordinate dalla Polizia di frontiera. In gran parte donne e bambini, che sono stati accolti in uno spazio dedicato e avviati ai gates per controllare i documenti. Presenti anche rappresentanti del Governo e della diplomazia tunisina. I numerosi bambini sono stati accolti dagli assistenti della Marconi Handling nelle sale di imbarco, la cui apertura è stata protratta oltre il normale orario. E a loro sono state date informazioni sul viaggio, la velocità e i tempi. Le operazioni si sono svolte con ordine, e alla fine i rappresentanti delle autorità tunisine hanno ringraziato il direttore di zona e il dirigente della Polizia di frontiera. Il ponte aereo predisposto dal Governo tunisino rimarrà a disposizione per altri voli.



Nella tendopoli con arabi e sikh l’ultima scommessa multietnica
Dal cibo all’igiene, sfida ai pregiudizi quando cadono tutti i muri
la Repubblica, 02-06-2012
Michele Smargiassi
"Niente tonno! Voglio il wurstel!" Ma un campo profughi non è un ristorante
I cinesi sono quasi tutti scomparsi, i tunisini a centinaia ritornano nel loro Paese
MIRANDOLA - "Niente tonno! Voglio il wurstel!". Ma la mensa di un campo profughi non è un ristorante, i cuochi fanno miracoli ma il menù non è infinito. «Voi cucinate solo cose che piacciono a quegli arabi!», gran pugno sul tavolo, le voci si alzano, poi qualcuno interviene, l´inizio di zuffa è sedato. «Poi quel signore si è pentito e ha offerto da bere», conclude il racconto Egidio Pellagatti, toscano, responsabile del campo Costa di Mirandola, affidato all´Anpas. «Ma se non stiamo attenti, ogni cosa è un pretesto». Per scongiurare la guerra etnoreligiosa del wurstel contro il tonno, del ragù contro le melanzane, ci vogliono doti che non facevano parte del bagaglio dei volontari della protezione civile, non prima di questo terremoto d´Emilia, il primo terremoto multietnico nella storia d´Italia.
L´Emilia è già una terra multicolore, e non da oggi. Qui a Mirandola la quota di immigrati è del 16%, ma ci sono comuni dove si sfiora il 20. Se poi conti solo i lavoratori, siamo già a un quarto del totale. Che tre dei dodici operai morti sotto le macerie fossero stranieri non è caso, ma crudele statistica. In più, il terremoto ha un suo modo di ribaltare le cifre, come ribalta le pareti. E adesso, nelle tendopoli di tela azzurra che hanno rimpiazzato i paesi rosso mattone, gli italiani sono finiti in minoranza. Anche in estrema minoranza, come qui al Costa, dove su trecento accampati solo ventotto hanno il passaporto tricolore. C´è una spiegazione, anzi più d´una. Negli edifici vecchi del centro storico ora devastato, più di una casa su tre era abitata da extracomunitari. Aggiungi che «gli stranieri non hanno legami affettivi con le loro case in affitto, non hanno problemi a lasciarle, e non hanno parenti che li accolgono», spiega Domiziano Battaglia, coordinatore dei campi per il comune, «così sono stati i primi, subito dopo il terremoto del 20, a rifugiarsi in massa nelle tendopoli».
Così, quando sono arrivati anche gli italiani stremati dalla seconda botta di martedì, hanno trovato campi già popolati da stranieri. «Avete dato la precedenza a loro!», gridavano giorni fa davanti al municipio da campo Ciro e Salvatore, fratelli di Acerra, che avevano dormito per una settimana in auto ai piedi della loro palazzina lesionata. La risposta in Comune è secca: «La regola è: entra chi è residente nel comune, noi non facciamo altre distinzioni». Ma certo bisogna evitare che le tendopoli diventino dei centri di prima accoglienza impropri. Tutti i campi ora hanno un pass, la Caritas controlla che non vengano forniti aiuti doppi alle stesse persone, «e di notte facciamo le ronde perché c´è sempre qualcuno che prova a scavalcare il recinto», ammette il volontario Antonio. È insomma una Italia multiculturale rovesciata, dai pesi ribaltati, quella che si è formata nelle tendopoli per una serie di eventi tragici e involontari. Ma a suo modo è un laboratorio, una prova da stress dei possibili scenari futuri della convivenza. Coi muri di cemento, il terremoto abbatte i muri invisibili che in una società complessa fanno da cuscinetto, tengono le distanze fra i gruppi e le culture. Niente porte blindate, niente quartieri separati nelle tendopoli. «Abbiamo tende da sei o da dieci letti e dobbiamo riempirle», spiega con la forza dell´evidenza Maria Zanot, coordinatrice del campo della regione Friuli. Ma quando hai una dozzina di nazionalità diverse, alcune ostili fra di loro, fare l´assegnazione dei posti è una specie di Risiko che richiede conoscenze geopolitiche non banali. «Che non devo mettere pachistani e indiani nella stessa tenda lo so già, ma potrò metterci sikh e islamici?».
Alcuni dilemmi si sono risolti da soli. I cinesi, seconda nazionalità per presenze, nei campi quasi non ci sono. «I cinesi sono spariti», ti dicono sorpresi i servizi anagrafe delle tendopoli. Non li trovi neanche in paese, nelle tende autogestite. Come se fossero svaniti assieme all´onda sismica. Probabilmente fuggiti altrove, in assoluto silenzio, in quel mistero che aleggia da sempre attorno alle loro correnti migratorie. I tunisini, invece, se ne vanno ufficialmente: il console in Italia è passato a offrire rimpatri gratuiti, e almeno trecento hanno già approfittato, «Domani parte una nave da Genova, andrei anch´io ma ho i documenti in questura che è crollata», racconta Edi, con stizza. Anche i consoli di Marocco e India hanno fatto offerte simili. I romeni sono partiti in pullman. Torneranno? Le fabbriche sono chiuse. Ma c´è da chiedersi se ci saranno abbastanza braccia per la frutta e la vendemmia, fra qualche mese. Le badanti dell´Est, invece, se ne stanno andando alla spicciolata, impaurite, magari con qualche scusa: «Sonja ha detto che le è morto uno zio, ma adesso come faccio con mia madre...», chiede aiuto disperata al desk comunale una signora, «proprio adesso...». Ma non bastano le fughe volontarie a riequilibrare la babele dei campi. A Cavezzo gli avvisi sono tutti in tre lingue, italiano arabo e hindi. Qui non ci sono tende, sono due campi da tennis coperti da una gran volta di legno e acciaio a prova di catastrofe. Una sola enorme camera da letto a trecento piazze. «Le famiglie marocchine, la sera della scossa grande, non volevano entrare, dicevano che le donne non possono dormire con gli uomini», racconta Francesco Gasperi detto Gas, 19 anni e pettorina da volontario, «ma pioveva e ho detto: c´è solo una scelta, asciutti o bagnati. Hanno discusso un po´ e sono entrati».
A Mirandola, invece, i musulmani chiedevano bagni separati, e qui Pelagatti che è un uomo tranquillo è sbottato, «e che, è una tendopoli o una bagnopoli?». Poi però ti confessa che «in realtà sono gli italiani che mugugnano di più». Per esempio Antonio e Sara: «Gli stranieri si lavano i piedi davanti alle tende». Bisognerebbe spiegare ad Antonio e Sara cosa sono le abluzioni rituali prima della preghiera del venerdì. Ma forse c´è chi lo può fare. Ecco Gurwinder Sikh detto Guru, ha solo 17 anni ma guai se non ci fosse, l´interprete del campo, in realtà il mediatore culturale, paziente, simpatico, «se parli le cose si risolvono» è il suo mantra. Ha organizzato una squadra di coetanei, sikh e indù, che aiuta a pulire i bagni e a servire alla mensa. Ecco, saranno forse i ragazzi come Apooraf, come Gurminder, immigrati di seconda generazione, né più stranieri né del tutto italiani, a costruire la convivenza difficile. Oppure quelli come Mohamed, imponente marocchino ottimista. In coda alla macchinetta del caffé sgrida bonario i connazionali maleducati: «in fila! Bisogna fare la fila!». In Italia da vent´anni, chiama «mamma» la signora Maria, vicina di casa sfollata anche lei. «Sai», ti dice conciliante, «bisogna avere pazienza, il terremoto scuote la terra e la testa». Vero, ma proprio per questo nel campo della provincia di Trento, a San Felice, ogni minima infrazione è una miccia: non svuotare subito la lavatrice, egemonizzare le prese per i cellulari, fumare in tenda. Luisa Zappini, ex infermiera, donna decisa, governatrice del campo, ha un metodo: «Agli ospiti diciamo: non è un albergo, è casa vostra, non siete serviti, datevi da fare». Ogni gruppo nazionale elegge un referente, e se qualcuno sgarra, è il referente che viene richiamato per rottura del patto. Certo, un campo profughi multietnico è la nostra società compressa in una provetta. Magari, questo esperimento non previsto e non voluto servirà perfino a imparare qualcosa.



Quelle immigrate lontane dai figli più 750mila bambini senza genitori
L'appello dell'associazione Salvamamme:"Subito sostegno a minori". Un progetto a sostegno dei bimbi romeni in occasione della Giornata del Bambino
la Repubblica, 01-06-2012
Maria lavora in Italia e ha lasciato le sue due bambine in Romania, affidandole a sua suocera. Era l'unico modo per poterle fare vivere bene a casa e dare loro un futuro. Da qualche anno fa la badante e non vede le piccole da mesi. Storie come queste, di donne che per lavoro sono costrette a lasciare i propri cari, ce ne sono tante in Italia. Immigrate che in patria hanno lasciato tutto, anche i figli. Secondo una ricerca di Salvamamme 1 in collaborazione con l'Associazione romeni in Italia 2, su 5 milioni di bambini di nazionalità romena, 750mila sono stati lasciati in patria dai propri genitori partiti in cerca di fortuna. Si calcola che in Romania ci siano almeno 40 mila ragazzini che sono figli di lavoratori romeni a Roma.
"Il tema degli orfani bianchi – spiega il vice-presidente del Parlamento Europeo, Roberta Angelilli - è un fenomeno che per le sue proporzioni deve essere studiato ed analizzato profondamente. Di recente, ho proposto in Europa un progetto pilota per raccogliere più dati possibili. Vogliamo capire quali sono le conseguenze economiche e sociali. Al momento solo le associazioni si sono occupate di questo tema, manca l’intervento delle istituzioni".
Tenendo conto che la comunità romena, in Italia, è di circa 120mila persone, Salvamamme ha deciso di prendersi carico di questo problema, aprendo un tavolo di discussione in occasione della Giornata del Bambino. Il convegno ha offerto la possibilità di raccontare a molti emigrati le proprie storie di sofferenza ma anche quello di mettere in atto una serie di interventi quali sostenere l’ambientazione nel nuovo Paese dei figli dopo l’eventuale ricongiunzione familiare; creare comitati locali a sostegno dei figli rimasti in Romania e coinvolgere le grandi realtà associative.
Fra le priorità la formazione delle famiglie con l'aiuto di esperti e neuropsichiatri infantili. Salvamamme e Romeni in Italia intendono portare avanti interventi concreti. Tra le iniziative: c'è quella per sostenere i bambini che arrivano in Italia dopo l'eventuale ricongiungimento familiare e sollecitare i sindaci dei comuni di origine per collaborazioni di ordine tecnico e per creare comitati locali a sostegno dei figli rimasti in patria.
Il tavolo di lavoro ha offerto la possibilità di raccontare anche alcune storie di sofferenza, come quella di Maria, una donna venuta in Italia con il marito, che ha dovuto lasciare le sue due bambine in patria affidate alla suocera.
"Durante il tavolo di lavoro è stato possibile formarsi soltanto un'idea parziale di una realtà estremamente variegata e complessa e delle conseguenze che possono emergere", ha commentato Grazia Passeri, presidente di Salvamamme. "Una strada da percorrere potrebbe essere proprio quella della formazione dei  genitori che si sentono a rischio, fornendo solo la capacità di leggere gli avvenimenti in modo corretto e di saper rispondere alle insidie del rapporto a distanza".



 

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