Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Cultura/e

Sara Medici
Scriveva Marcel Proust, francese di larga fama: “l’autentico viaggio di scoperta non consiste nel cercare paesaggi nuovi, ma nel guardare con nuovi occhi”. E diceva mia nonna, donna saggia seppur di nessuna fama: “quello ha gli occhi foderati di prosciutto”, quando voleva stigmatizzare qualcuno che non si accorge di ciò che gli succede intorno, intendendo con “prosciutto” quel tanto di materia inerte e grossolana che, se posata sugli occhi, ne impedisce la chiara visione.

Così, ripensando a mia nonna, mi è venuto in mente che anche per vedere cosa sta accadendo in Italia e nel mondo in questo in-stante storico è fondamentale toglierci dagli occhi quelli che comunemente chiamiamo pre- concetti o pre-giudizi, la materia inerte che ci vela la vista. Il nostro “prosciutto” sono, infatti, tutte le definizioni fisse da cui partiamo, le categorie con cui interpretiamo gli eventi in modo da poter riconoscere ciò che accade.
Tuttavia oggi l’Italia, limitiamoci all’Italia, sta vivendo un’epoca indecifrabile dalla memoria storica dei suoi ultimi mille anni; assistiamo ad eventi che non avevamo previsto e di cui non conosciamo gli effetti, per citarne solo alcuni: la Grande Migrazione di popoli verso l’Europa e la rivolta nord africana, il dominio sovra statale dell’economia globale e la degenerazione della Democrazia. A proposito della velocità con cui oggi si modifica lo status quo scrive Ryszard Kapu?ci?ski, ritenuto il più grande reporter del Novecento:

Lo storico francese Fernand Braudel ha ideato una teoria che paragona il processo storico a un fiume. Ciò che si trova in superficie scorre a grande velocità, mentre ciò che si trova sottacqua si sposta lentamente. Così oggi gli avvenimenti scorrono velocemente, ma nel contempo si nota anche una grande stabilità delle vecchie strutture e dei vecchi modi di pensare. Questi ultimi cambiano molto più lentamente. Spesso, affascinati come siamo dal corso degli eventi e dai mutamenti di superficie non ci accorgiamo che, in profondità, la vita continua a svolgersi come prima. Le stesse istituzioni, lo stesso modo di pensare, le stesse abitudini, la stessa tradizione.  

Se la teoria di Braudel è corretta possiamo arrivare a dire che il mondo di oggi è irriconoscibile con gli occhi di ieri in quanto il divario tra l’accelerazione del processo di trasformazione del mondo contemporaneo e la forza d’inerzia del pensiero e delle abitudini della gente è diventato abissale. Allora l’intento di chi si propone al corpo sociale nella funzione di intellettuale e/o di guida culturale dovrà essere quello di approdare ad un pensiero che sia il più possibile corrente nel senso in cui si chiama “corrente” una moneta. Un pensiero colto, ossia coltivato a partire dall’evidenza sensibile, che utilizzi il termine cultura nell’accezione antropologica di abilità con cui ci si mantiene all’altezza del proprio tempo, cioè di metodo di conoscenza con cui si risponde alla contemporaneità per gestire al meglio i mezzi utili allo scambio tra gli uomini e i popoli al fine di far progredire l’umanità verso il benessere e il benestare . Allora per fare cultura, cioè per guardare senza prosciutto sugli occhi, come voleva la nonna, e per vedere ex-novo la realtà, come voleva Proust, dobbiamo innanzitutto lasciare tutte quelle griglie teoriche che conducono il nostro pensiero per le solite vie pre-definite, che in verità non sono né scontate né, tantomeno, le uniche possibili.
Essendo io europea, e appartenendo di fatto a quella cultura che in età moderna ha colonizzato il globo non solo militarmente ed economicamente, ma anche mentalmente, mi rendo conto che l’Europa ha ucciso le culture e le forme mentali che incontrava e le ha sostituite con la propria, nata nel Mediterraneo: la filosofia, la tanto decantata Democrazia e il suo Dio, unico, bianco e maschio. Mi chiedo, allora, quale sia il nostro “prosciutto”; quali siano, cioè, i concetti a priori, i fondamenti, su cui si basa una cultura che sebbene abbia da sempre voluto dominare il mondo tuttavia ha drammaticamente dimostrato di non essere in grado di governarlo.
A questo proposito è in atto, dagli anni Sessanta del secolo appena trascorso, una revisione critica del nostro pensiero che individua nella forma mentis dicotomica una tra le fondamentali categorie mentali dell’Occidente. Una categoria filosofica che si basa, per conoscere la realtà, sulle qualità degli opposti: bianco/nero, dolce/amaro, bene/male, piacere/dolore e li pensa in opposizione appunto, in disgiunzione, o…o. O è bianco o è nero, o è bene o è male, è il famoso principio di non contraddizione. Un pensiero chiaro, pulito, bianco e trasparente che si traduce nella Dialettica, cioè in un procedimento di discussione dei contrari dove uno deve dimostrare la propria verità contro l’altro. E’ un modo di pensare basato sulla convinzione che per conoscere qualcosa di vero della realtà devo escludere il suo opposto: o è vero o è falso. E’ uno schema mentale disgiuntivo, escludente uno dei poli del discorso, e si configura come l’opposto di quello basato sull’inclusione, sulla “e”, per intenderci: il bene e il male, il maschile e il femminile, il brutto e il bello, il vero e il falso. Il primo modo, il nostro, porta al concetto di nemico, di scontro, di guerra, perché ha la necessità di eliminare/distruggere uno dei poli per fondare la propria verità, il secondo, l’altro modo possibile, porta invece al concetto di relazione poiché non escludendo nulla ha la necessità, per definire il reale, di confrontare i due termini del discorso al fine di trovare il nesso che li tiene insieme.
Così il primo modello, il nostro, fonda un discorso polemico (polemos in greco significa guerra) mentre il secondo un discorso amoroso laddove Eros è la forza attrattiva/coesiva necessaria alla relazione tra gli opposti. Allora mentre la cultura di questo mondo esclude, conosce per separazione, e quindi porta all’immagine a priori di avversario, producendo diatriba, la cultura dell’altro mondo, della relazione, include e conosce per analogia, quindi porta al concetto a priori di compagno producendo dia-logos, cioè il processo di movimento/relazionale, il discorso amoroso.
Detto questo oggi più che mai, sotto le sfide della contemporaneità, si sente il bisogno di uno sforzo di pensiero creativo; un processo culturale abbastanza duttile da sapersi confrontare con tutti i mondi del mondo e abbastanza umile da avere il coraggio di abbandonare schemi obsoleti. Infatti il terzo mondo, (non) bianco e (non) nero, sincretico, creolo, androgino, appare solo se vengono messe in campo quelle forze d’attrazione e di repulsione, di coesione e di coerenza, che sono proprie di una relazione erotica e che in natura stanno alla base di qualsiasi processo creativo, anche di quello culturale. Dobbiamo essere consapevoli, infatti, che la scoperta del mondo, la conoscenza, deriva dalla tensione, dal movimento, tra il nostro essere presenti a tutto ciò che ci appare davanti agli occhi e la necessità di co-rispondenza con l’altro-tutto a cui questo esserci spinge la nostra mente.


















 


 















 

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