Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 luglio 2013

Perché l'umanitarismo rovina l'immigrazione
Per integrare i lavoratori stranieri occorre premiare i regolari, espellere i clandestini e investire nei Paesi d'origine
il Giornale, 22-07-2013
Renato Brunetta
Strano Paese il nostro, tutto intento a ponderare le parole e gli aggettivi utilizzati con riferimento alla realtà degli immigrati, e al contempo totalmente incapace di vedere e capire, prima che sia troppo tardi, fenomeni macroscopici e dalla grande potenzialità eversiva. E quand'anche vede, lo fa con gli occhi del bambino, ripercorrendo fino alla noia luoghi comuni, emozioni, sentimentalismi, sempre comunque guardando indietro e quasi mai progettando seriamente per il futuro.
È il caso della percezione socio-istituzionale, estremamente variabile ed erratica, che sul fenomeno dell'immigrazione si è avuta nel tempo in Italia. Ciò che manca, anche a livello di percezione sociale (per non parlare di quella dei policy maker), è che cosa vogliamo fare della nostra immigrazione dopo gli anni dell'accumulo silenzioso e prima che sia troppo tardi. Prima, cioè, che si inneschi, più o meno inconsapevolmente, un'esplosione razziale a catena, sull'onda dell'umanitarismo e dell'egoismo miope, che produce razzismo.
Nel caso di migrazione da domanda prevalgono i lavoratori dipendenti, in settori manifatturieri, a bassa qualifica, in ogni caso pressoché immediatamente inseriti nelle garanzie di welfare proprie dei paesi di destinazione. Essi hanno alta propensione alla stabilità e trovano di fatto nei paesi ospitanti esplicite strategie assimilative: lingua, scuola, casa, modelli culturali, eccetera. Questi flussi di immigrati entrano così nel ciclo sociale delle economie di destinazione attraverso il lavoro. L'assimilazione è, dunque, solo funzione del tempo.
Al contrario, nel caso di migrazioni prevalentemente da offerta la ragione del movimento risiede nelle condizioni socioeconomiche dei Paesi di origine. Non esiste, quindi, nessun attrattore capace di selezionare i flussi, per cui le tipologie dei migranti sanno le più varie: alta scolarità, bassa scolarità, alta formazione, bassa formazione, eccetera. I settori di arrivo non saranno quelli centrali manifatturieri, ma quelli marginali-interstiziali-maturi. Ci sarà alta propensione al lavoro autonomo, alla clandestinità e al lavoro sommerso. Ne deriva una precarietà generalizzata, nessuna propensione alla stabilità e, soprattutto, nessuna strategia assimilativa da parte della società di destinazione. Il bilancio costi-benefici di questi modelli migratori da offerta è tutto spostato sulla visibilità dei costi. Da qui conflitto, razzismo e mancanza di risorse per casa, scuola, lingua, welfare state, eccetera. Non entrando nel ciclo sociale, questi migranti ne rimangono ai margini, portando così alla creazione, nel tempo, di pericolose tensioni etniche e razziali e di discriminazioni ghettizzanti. Se la immigrazione è subìta, infatti, rischia di formarsi un pericoloso mix socioeconomico. Anzi, i flussi migratori che si vanno sommando via via nel tempo finiscono per aumentare le segmentazioni nel mercato del lavoro, vanificando le politiche esplicite di flessibilità salariale.
È quello che è avvenuto in Italia, dove la migrazione è stata quasi tutta da offerta e dove gli immigrati che oggi sono regolari, sia dal punto di vista di permesso di soggiorno sia dal punto di vista lavorativo, sono tali non perché arrivati in periodi in cui il mercato del lavoro domandava quel tipo di immigrazione, ma perché regolarizzati nel tempo attraverso sanatorie e decreti «flusso». Da questa amara constatazione occorre, dunque, partire per sviluppare adeguate e coerenti risposte per il futuro.
La prima strategia deve riportare su un piano di visibilità economica i fenomeni migratori. Le sole risposte umanitarie non solo non bastano, ma rischiano di incancrenire gli squilibri. In altri termini, va perseguita una completa parificazione tra lavoratori immigrati e lavoratori nazionali, così da esplicitare, sia in termini macro che in termini micro settoriali e di area, la reale attrazione da domanda, relativa, cioè, a posti di lavoro non coperti dall'offerta interna.
Questo semplice assunto presuppone la lotta senza quartiere al lavoro nero, al sommerso, all'illegale, in quanto questo tipo di attività semplicemente scarica sulla collettività i costi dell'immigrazione, senza redistribuirne i vantaggi, anzi producendo concorrenza sleale verso quei settori che non utilizzano lavoro irregolare.
La seconda strategia va posta a livello geopolitico in termini di solidarietà Nord-Sud, vale a dire aumentando l'impegno di trasferimenti riequilibratori dalle aree ricche del mondo a quelle in via di sviluppo.
La terza strategia deve riguardare quantità e qualità di investimenti, in capitale umano, diretti ai giovani dei paesi in via di sviluppo: si tratta di avviare uno sforzo straordinario e di lungo periodo nella formazione di base, specialistica e universitaria.
Dal Terzo rapporto annuale Gli immigrati nel mercato del lavoro in Italia a cura della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali di luglio 2013 emerge che i dati di fonte Nazioni Unite che riguardano la distribuzione della popolazione mondiale hanno stimato per il 2011 una presenza di quasi 7 miliardi di abitanti.
Secondo le statistiche Istat, nel 2011 gli extracomunitari residenti in Italia erano 3.214.418, contro 1.262.473 del 2003. Mentre sono circa 500.000 gli irregolari (stime Caritas), sia in quanto a soggiorno che a lavoro. La forza lavoro degli immigrati nel 2012 è stata pari a 2,7 milioni, in aumento del +87% rispetto al 2005. Sempre nel 2012, gli immigrati occupati sono risultati pari a 2,3 milioni, e i disoccupati a 382mila. Degli oltre 3 milioni di immigrati regolari, solo una parte è occupata stabilmente e ufficialmente: sono 2,3 milioni i posti di lavoro regolari. Gli altri 382mila o sono disoccupati o sono occupati irregolarmente in attività sommerse, soprattutto nelle aree metropolitane del Centro-Sud, ma con una qualche stabilità. Poco si sa, invece, dei 500 mila irregolari.
È chiaro che per tale complesso universo di presenze extracomunitarie nel nostro paese le politiche del lavoro e dell'immigrazione non potranno che essere estremamente differenziate: per prima cosa l'universo dei regolari va trattato in maniera specifica. Essi, infatti, hanno accettato una visibilità, per così dire, di cittadinanza, ma solo in parte hanno trovato (o potuto trovare) una visibilità economica. Per questi ultimi (i disoccupati) l'unica vera politica è quella di farli emergere, intervenendo sia (soprattutto) sulla domanda (l'economia sommersa) che sulla stessa offerta, favorendo l'impiego di questi extracomunitari in attività di mercato, ancorché non coperte da italiani.
Sugli irregolari-irregolari molto probabilmente non è possibile alcuna risposta socio-economica, avendo essi già manifestato l'assoluta mancanza di volontà di stabilità, sia sociale sia lavorativa. Il loro numero dovrà essere pertanto progressivamente ridotto, soprattutto attraverso filtri all'origine (visti) e fermi controlli di polizia (espulsioni). La domanda aggiuntiva esplicita da lavoratori extracomunitari è molto bassa e a malapena è in grado di mantenere occupato quel nucleo di 2,3 milioni di regolari-regolari. Sulla base delle attuale previsioni di non crescita del reddito in Italia, di aumento della disoccupazione e degli attuali squilibri e segmentazioni del mercato del lavoro tra Nord e Sud, l'unico flusso possibile riguarda quello dell'assorbimento della manodopera regolare disoccupata già presente, attraverso progressive azioni di emersione del sommerso. Ciò che, invece, è possibile fare è migliorare e qualificare la condizione degli extracomunitari già presenti nel nostro paese, differenziando e razionalizzando le risposte a seconda delle tipologie di presenza e di possibile inserimento nella società italiana e sviluppando nel contempo, con il concorso di tutti, gli investimenti e l'assistenza verso i paesi di origine. Non è nell'interesse di nessuno, infatti, accumulare spostati, disoccupati ed emarginati: è un costo per i paesi di destinazione e non produce alcun beneficio ai paesi di origine. Altra via per coniugare efficienza ed equità sinceramente proprio non c'è.


    
Lampedusa, vincono gli eritrei No alle impronte digitali
la Repubblica, 21-07-2013
Sull'isola dopo la protesta degli immigrati per i riconoscimenti di identità. Con la mediazione del parroco si raggiunge un accordo: saranno trasferiti in altre città a piccoli gruppi
VALERIA BRIGIDA
LAMPEDUSA - Prima la protesta, poi la vittoria. Niente impronte digitali, come chiedevano i circa 200 immigrati, quasi tutti eritrei, che ieri sono usciti dal Centro di accoglienza per far sentire la loro voce. E' questo l'esito di una giornata di trattative, speranze e paure. Fino all'esultanza finale.  Saranno trasferiti tutti, in piccoli gruppi, verso altre località italiane e senza prendere le impronte digitali.
"Zeinagebriel nella mia lingua significa Arcangelo Gabriele. Ma tu puoi chiamarmi Zeina”. Zeina ha ventisei anni e aspetta paziente seduto all’ombra di piazza Garibaldi. Insieme a lui ci sono circa altri duecento ragazzi del Corno d’Africa. Si tratta degli eritrei, etiopi e somali – tra cui molti minori – arrivati nelle ultime settimane qui a Lampedusa. Per due ore va avanti la trattativa. Da una parte, Giusi Nicolini come rappresentante delle istituzioni italiane, e il parroco Don Stefano Nastasi. Dall’altra, i portavoce della protesta eritrea. In mezzo, a mediare via telefono, Don Mosé Zerai, sacerdote eritreo e direttore dell’agenzia Habeshia, punto di riferimento per la maggior parte dei migranti che attraversano il Mediterraneo.
Zeina è stanco. Fa caldo. Ma aspetta. Ieri è scappato insieme ai suoi connazionali dal centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa che, in modo pacifico e compatto, hanno sfilato per l’isola, spiazzando forze dell’ordine e turisti. Hanno passato la notte dormendo nella piazza. E stamattina presto, hanno iniziato a pregare con il volto rivolto verso la facciata della chiesa, mentre i primi fedeli lampedusani iniziavano ad affluire per la messa domenicale. “Noi protestiamo per un motivo molto semplice – spiega Zeina – ci rifiutiamo di rilasciare le nostre impronte digitali. Non vogliamo essere identificati in Italia perché, se lo facciamo, poi siamo costretti a chiedere asilo qui”. Questo, infatti, è quanto stabilisce il regolamento di Dublino, secondo il quale l’asilo politico può esser richiesto nel primo paese dell’Unione Europea in cui si viene identificati.
Ma perché queste persone non vogliono rimanere in Italia? “Abbiamo amici e parenti sparsi nelle città italiane: ci dicono di guardare a questo paese solo come a una terra di transito, perché qui c’è troppa povertà e i diritti non vengono garantiti, né per gli italiani né per noi stranieri. Per questo motivo noi non vogliamo rimanere qui. Vogliamo essere liberi di continuare il nostro viaggio verso i paesi del nord Europa. Vogliamo chiedere asilo nei paesi che sono veramente in grado di accoglierci. Se rimarremo qui, che futuro avremo? Finiremo a vivere per strada!”
Zeina è arrivato a Lampedusa lo scorso 8 luglio. Proprio il giorno successivo alla visita di Papa Francesco. Con lui, sul gommone partito dalla Libia, c’erano anche altre novantaquattro persone, tra cui quattro bambini di circa tre anni e trentaquattro donne, di cui quattro incinte. “Eravamo ancora in alto mare quando la Guardia Costiera è arrivata e ci ha fatti salire a bordo. Hanno preso solo le nostre vite mentre il gommone lo hanno rotto e lasciato lì”. Appena arrivati sulla banchina di Lampedusa hanno ricevuto un po’ di acqua. “Subito dopo, ci hanno portati tutti al centro di accoglienza” spiega Zeina, continuando “senza fare distinzione tra malati e minori. Con noi c’era anche una donna diabetica e un mio caro amico di sedici anni con la tubercolosi”. Nel centro sono rimasti più di dieci giorni. Intanto gli arrivi via mare non si sono mai fermati, mentre i trasferimenti da Lampedusa al resto d’Italia diventano sempre più lenti e sporadici. Attualmente nel centro di Lampedusa ci sarebbero più di settecento persone. Tra questi, un numero significativo di minori.
“Siamo rimasti nel centro più di dieci giorni. Qui abbiamo dormito sul terriccio, sotto gli alberi, su lenzuola improvvisate a letti. I malati e i bambini stavano sempre peggio. Ma niente, non li trasferivano. Dicevano: se ci date le impronte digitali vi trasferiamo in un posto migliore di questo”. Alcuni parenti di Zeina vivono come rifugiati in Svezia e gli raccontano che lì l’accoglienza è fatta di percorsi scolastici e abitativi dignitosi e che, dopo qualche anno, i rifugiati riescono a sentirsi membri della società a tutti gli effetti. “Io non voglio stare in Italia perché, se anche gli italiani non hanno lavoro, come posso sperare di averlo io? Provate a capirci! Abbiamo bisogno di umanità!”
Intorno alle cinque del pomeriggio il sole è ancora alto. All’improvviso, dal retro della chiesa escono i portavoce eritrei, il sindaco Giusi Nicolini e i funzionari della polizia a cui da ventiquattro ore è stata affidata la mediazione con la piazza. Tutti i manifestanti si siedono sul sagrato. Zeina si unisce a loro. In silenzio, ascoltano i loro portavoce che, in tigrino (la lingua parlata in Etiopia), fanno il resoconto della mediazione. Passano pochi minuti ed esplodono in un lungo applauso. Sono felici. Chiedono di fare una foto con il sindaco Nicolini. I manifestanti si alzano e iniziano a pulire la piazza che hanno occupato fino a quel momento.
Zeina si avvicina: “Abbiamo vinto! Ci trasferiranno tutti, in piccoli gruppi, verso altre località italiane e senza prendere le impronte digitali”. L’accordo raggiunto prevede il rientro immediato e volontario dei migranti nel centro di accoglienza dell’isola. In cambio, le autorità italiane si sono impegnate a non identificarli attraverso la rilevazione delle impronte digitali. “Lo so, potrebbero non mantenere la promessa” dice Zeina. Poi sorride e aggiunge: “Ma io voglio fidarmi”.



Lampedusa, un fine settimana drammatico per il Centro di accoglienza.
Save the children: “Hanno superato quota 800 i migranti nel Cpsa che ha una capienza di soli 250 posti”. Struttura al collasso.
Immigrazioneoggi, 22-07-2013
Sabato 20 luglio la situazione nel Centro di accoglienza di Lampedusa è tornata a toccare i picchi più drammatici. Secondo una denuncia di Save the children gli ospiti “hanno superato quota 800” per una struttura che ha una capienza di soli 250 posti. “Precisamente – scrive la Onlus – sono 838 persone, tra cui 142 donne e 127 minori. Tra questi ultimi, 33 sono con uno o entrambi i genitori, mentre tutti gli altri sono approdati in Italia da soli. Si tratta prevalentemente di adolescenti, ma vi sono anche 42 ragazzi più piccoli, di 14-15 anni. Il più piccolo in assoluto, non accompagnato, viene dalla Somalia e ha solo 11 anni. Sono di provenienza diversa (Eritrea, Somalia, Gambia, Etiopia, Ghana, Siria, Nigeria, Guinea Bissau, Bangladesh, Algeria). Tra loro, anche cinque ragazze sole, la più piccola di 15 anni”.
Nella denuncia, l’associazione precisa che “la condizione di precarietà e di sovraffollamento si fa sempre più difficile, non sono garantiti per i minori spazi di accoglienza dedicati e, in molti casi, i minori rischiano di essere coinvolti nelle conflittualità che sempre più frequentemente si verificano all’interno del Centro. Molti ragazzi sono costretti a dormire all’aperto per terra, senza brandine. Le condizioni igienico-sanitarie sono molto precarie con un numero di bagni e di docce del tutto insufficiente rispetto alle presenze”.
L’organizzazione chiede di procedere al trasferimento immediato di tutti i minori soli presenti sull’isola di Lampedusa in comunità di accoglienza sul territorio nazionale. Il paradosso è che queste strutture esistono e sono disponibili, ma i ragazzi non possono accedervi e restano bloccati sull’isola in una specie di limbo burocratico.



Lampedusa da Nobel «Il mio impegno c'è»
Avvenire, 22-07-2013
Vincenzo R. Spagnolo

«I cittadini di Lampedusa se lo meritano...». Non ha dubbi, il presidente del Senato Pietro Grasso: candidare al premio Nobel per la pace l’isola siciliana, vera "porta" europea di civiltà e d’accoglienza per le migliaia di uomini, donne e bambini che arrivano dal mare, è giusto e doveroso.
Dunque, lei sarebbe disponibile a impegnarsi per una candidatura di Lampedusa e dei suoi abitanti?
Certo, i cittadini di Lampedusa se lo meritano. Da anni, silenziosamente, ci stanno indicando la strada dell’accoglienza, dell’integrazione e della solidarietà. Nei terribili mesi della crisi con la Libia del 2011, una piccola isola come Lampedusa è arrivata a ospitare più di 100mila migranti. I lampedusani mi hanno raccontato molte piccole vicende quotidiane, commoventi, di famiglie che hanno aperto le porte, le dispense, che hanno diviso coperte e vestiti. Uno di loro mi disse: «Sa, quando finalmente l’emergenza è passata un po’ ci sono mancati. Per alcuni giorni abbiamo vissuto davvero in una dimensione diversa, in una grande comunità. Spero abbiano trovato fortuna da qualche parte». La candidatura al Nobel per la pace sarebbe un segnale di riconoscenza del nostro Paese nei confronti di questi cittadini che hanno visto sconvolta la loro vita, un sistema che viveva soprattutto di turismo - Lampedusa è meravigliosa, non solo per il mare - e che ora è costretto a confrontarsi tutti i giorni con il dolore, le speranze tradite, le vite spezzate di chi si imbarca su una "carretta del mare": un viaggio della speranza che diventa spesso un viaggio di morte a opera di trafficanti di esseri umani senza scrupoli, legati alla criminalità organizzata di cui, nella precedente funzione di magistrato, mi sono occupato spesso.
Pensa che in Parlamento questa candidatura possa avere il consenso di tutti?
Pochi giorni fa, in Senato, per tutto il pomeriggio si è dibattuto sui temi del razzismo e dell’integrazione. E molti interventi hanno voluto sottolineare come il nostro Paese sia già molto più avanti di quanto a volte non si creda. Soprattutto dopo le recenti polemiche su questi argomenti e viste le reazioni davvero indignate di migliaia di cittadini, credo che la candidatura di Lampedusa non possa che trovare tutti d’accordo. Da parte mia posso dire che uno dei primi regali che ho ricevuto da Presidente del Senato, e che si trova da quel giorno nel mio ufficio di Palazzo Madama come monito quotidiano, è un crocifisso realizzato con il legno delle imbarcazioni affondate nel tragitto verso Lampedusa. Quindi assicuro l’impegno, nell’ambito delle mie facoltà, a fare di tutto perché questo avvenga.
Papa Francesco, nel suo recente viaggio nell’isola, ha indicato a tutti l’accoglienza come un dovere dell’uomo. Ritiene che il nostro Paese abbia fatto o stia facendo abbastanza per gli immigrati?
Le parole di Papa Francesco mi hanno molto colpito. Sono state un richiamo etico e morale per tutti i cittadini e per la classe politica del nostro Paese e dell’Europa. Ci indicano la responsabilità e il dovere di cambiare atteggiamenti e certe decisioni per evitare quella «globalizzazione dell’indifferenza», giustificata ipocritamente da una responsabilità diffusa e quindi di nessuno. Mi trovo perfettamente in linea con l’invito del Papa a superare l’indifferenza e la rassegnazione nei confronti di tutte le ingiustizie, del dolore delle vittime, di chi prende decisioni economiche che hanno un costo sociale altissimo. L’Italia si è sempre distinta per l’opera di accoglienza dei rifugiati: dobbiamo continuare su questa linea e, contemporaneamente, cercare di aiutare a risolvere i problemi di quelle parti del mondo da cui così tante persone fuggono. Allo stesso tempo, credo che questo governo prenderà sul tema dell’integrazione provvedimenti importanti, anche grazie all’eccellente lavoro della ministra Cecile Kyenge.
Si è sempre detto che l’immigrazione è un fenomeno europeo. Ritiene che l’Europa abbia svolto o stia svolgendo un ruolo importante?
Questo è un punto delicato: più volte l’Italia, che per la posizione geografica al centro del Mediterraneo è così facilmente raggiungibile, ha chiesto invano aiuto all’Unione Europea su questo fronte. Una seria politica d’integrazione deve essere immaginata su scala europea, per questo spero che si possano presto fare importanti passi avanti. Se quella che chiamiamo la comunità europea, vuole ancora davvero essere una comunità, deve iniziare a condividere con noi la responsabilità dell’accoglienza.
Può condividere con noi una sua esperienza, un ricordo personale che abbia a che fare con l’immigrazione?
Ogni volta che mi sono occupato di questo tema, una cosa mi ha sempre colpito, soprattutto sul piano personale. Su ognuna di queste barche ci sono alcuni bambini, spesso anche molto piccoli, senza genitori. Famiglie che probabilmente fanno enormi sacrifici, si indebitano con i mercanti di uomini nella speranza di assicurare un futuro ai loro figli, che arrivano in Italia solo con i vestiti che hanno addosso e quasi sempre con un numero di telefono in tasca: quando va bene quello di un parente, più spesso però di qualcuno delle organizzazioni criminali che organizzano questo traffico. Se ci fermiamo a riflettere vediamo una realtà disarmante, tragica. Non possiamo non occuparcene.
Il ministro per la Pubblica amministrazione, Gianpiero D’Alia, ha detto ad Avvenire che solleciterà un interessamento del governo. Lei ritiene che ciò potrebbe aiutare l’iter della candidatura?
Come ho detto prima, penso che l’impegno del governo sull’immigrazione, sull’accoglienza e sull’integrazione sarà forte e determinato e per questo ritengo che l’esecutivo abbia tutti i titoli per sostenere con successo la candidatura di Lampedusa al Nobel. Allargando il discorso, come ho già spiegato in altre sedi, sono d’accordo, ad esempio, per uno ius soli temperato, o anche uno ius culturae che garantisca pieni diritti a certe semplici condizioni, in linea con i numerosi disegni di legge già depositati sia alla Camera che al Senato. Credo che anche su questo il governo si muoverà rapidamente, tenendo conto di tutte le diverse posizioni, ma con l’obiettivo di superare una legislazione che, possiamo tranquillamente ammetterlo, nel nostro Paese è ad oggi inadeguata alla realtà.



Il ministro Kyenge visita a sorpresa la “tendopoli della vergogna” a Nardò.
Fuori programma dopo la partecipazione a un convegno. “Mi impegnerò in prima persona perchè si possa ripartire da qui”.
immigrazioneoggi, 22-07-20131
“Ripartiamo da Nardò. Che questo luogo possa essere da esempio a tutta Italia delle buone pratiche di accoglienza e integrazione. La mia è stata una visita lampo, ma da subito metterò a disposizione il mio ufficio, spendendo la mia persona, la mia visibilità perchè si possa ripartire davvero da qui”.
Lo ha detto il ministro per l’Integrazione, Cecile Kyenge, a margine della sua visita a Nardò dove, dopo aver partecipato a un convegno organizzato dalla Cgil, ha visitato la ex masseria Boncuri e la “tendopoli della vergogna”.
Qui da alcune settimane, in un uliveto, un centinaio di immigrati impegnati nella raccolta nei campi alloggia abusivamente, in una situazione di degrado assoluto. I braccianti preferiscono dormire in aperta campagna anziché spostarsi nella nuova zona di accoglienza attrezzata dal Comune in località Scianne, dotata di acqua, servizi igienici, guardiania, perché ritenuta troppo isolata, in quanto dista otto chilometri da Nardò ed è quindi lontana dai luoghi d’ingaggio. Ciò, nonostante il sindaco Marcello Risi abbia garantito loro un servizio di trasporto urbano di dieci corse al giorno. Il rapido blitz del ministro alla tendopoli ha scontentato gli immigrati presenti, che avrebbero voluto mostrare la drammatica realtà in cui si trovano. In realtà la visita non era stata inserita nel programma istituzionale. Benché sollecitata dagli stessi lavoratori e dalla Cgil, era stata cancellata dopo una riunione in Prefettura, ufficialmente per motivi di sicurezza. Nonostante ciò, sollecitata da Ivan Sagnet, il capo della rivolta contro i caporali organizzata dai braccianti due anni fa, Kyenge ha voluto ugualmente affacciarsi su quei luoghi, una volta terminata la visita a Boncuri. Appena pochi minuti, accompagnata dal prefetto di Lecce, Giuliana Perrotta, con i lavoratori delusi e amareggiati per la mancanza di attenzione. “La mia è stata una visita lampo – ha detto Kyenge – ma ritornerò a Nardò e per allora spero che diventi davvero il simbolo dell’Italia migliore”.


Insulti razzisti al passeggero in corriera: esposto contro l’autista
CIRDI, 19-07-2013
“Colpevole” di essere sceso alla fermata sbagliata e quindi di essere subito risalito sul pullman dalla porta posteriore ancora aperta, un passeggero di colore sarebbe finito ferocemente insultato dallo stesso conducente della corriera che avrebbe usato nei suoi confronti parole del tipo “Spero che tu e tutti gli animali neri della tua razza moriate” di fronte a tutti gli altri utenti.
A denunciare il grave episodio di razzismo – come riporta il Mattino di Padova – una 25enne di Legnaro, Martina M., che ha inviato un esposto all’azienda di trasporto pubblico Bus Italia (ex Sita), proprietaria del mezzo su cui lei stessa viaggiava martedì della scorsa settimana, divenendo suo malgrado testimone della scenata.
Erano le 8 e la corriera era già arrivata a Padova quando il passeggero straniero scende e subito risale dopo essersi accorto di aver sbagliato fermata. “Il conducente, osservandolo dallo specchietto retrovisore, ha iniziato ad imprecare – scrive la testimone come riporta il Mattino – Il giovane si è alzato per andare a mostrargli il biglietto già timbrato e spiegare l’accaduto. Ed è a questo punto che il conducente ha iniziato ad insultarlo senza ritegno, mortificandolo davanti a tutti gli altri passeggeri per la sua origine e il colore della sua pelle. L’autista, che attraverso lo specchietto retrovisore cercava lo sguardo di appoggio degli altri passeggeri, è stato più volte dai passeggeri stessi incitato a smettere, senza però prendere in considerazione l’invito. Anzi, ha addirittura invitato il ragazzo a scendere dal “suo” autobus”. Sulla base dell’esposto presentato, l’azienda di trasporti ha avviato un’indagine interna per far luce su quando accaduto.
Fonte: Padova Oggi.it

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