Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

24 marzo 2014

Quegli spari al barcone degli scafisti ecco le foto che imbarazzano la Marina
Raffiche di mitra nel Canale di Sicilia, indaga la Procura militare
la Repubblica, 24-03-2014
FABIO TONACCI
ROMA — Raffiche di mitragliatrice nel Canale di Sicilia. Una, due, tre sventagliate contre la poppa del peschereccio degli scafisti che fugge e non si ferma. Dentro ci sono 16 egiziani, ma si saprà soltanto dopo. Poi arrivano i colpi singoli, nove, sparati anch'essi dalla piattaforma della fregata Aliseo dove è sistemato il fucile Mg, azionato da tre marò.Il barcone vira, si vedono pezzettini di legno saltare, dalla porta sulla stiva appaiono due ombre, forse due teste. È il 9 novembre scorso e il primo ciak di questo video girato con un telefonino, su cui ora indaga la procura militare di Napoli, si chiude cosi. Col Far West sul mar Mediterraneo.
Il fílmato che Repubblica ha visionato, due minuti in tutto, è stato fatto dal ponte di una delle navi della Marina impegnate nell'operazione "Mare Nostrum", l'Aliseo, durante l'inseguimento di un piccolo peschereccio in fuga, senza bandiera sullo scafo, sospettato di aver trainato e sganciato a largo di Capo Passera una chiatta con 176 profughi siriani. «L'abbordaggio è stato un successo — dirà poi il comandante Massimiliano Siragusa, una volta rientrato nel porto di Catania —l'imbarcazione degli scafisti, tutti arrestatí, è affondata per le cattive condizioni del mare». Degli spari, non una parola.
Ri taglio stanpa ad uso esclusivo dei destinatário, non riproducibile.
E però i quattro spezzoni di video raccolti da un uomo dell'equipaggio (saranno fatti vedere domani in una conferenza stampa alla Camera organizzata dal Partito per la tutela dei diritti di militari) raccontano di una sorta di"caccia al cinghiale"sul mare.Il primo spezzone porta l'orario delle 16.26. Il peschereccio, cabina bianca e chiglia scura, sta navigando a una trentína di metri dalla Aliseo. Si vedono le raffiche, tre, una indirizzata fuori obiettivo, di prova, le altre due verso la poppa dello scafo, poco dietro la linea di galleggiamento. Spruzzi che salgono dall'acqua e, in alcuni frame, pezzetti dilegno che schizzano via. Dietro il mitragliatore della Aliseo almeno due marò,più un terzo uomo.
«Sta a vede' che entriamo in guerra... — si sente dire da qualcuno vicino a chi sta riprendendo —guarda, guarda come gira». Un
altro militare sta facendo foto col cellulare. Il secondo spezzone dura 39 secondi: il mitra Mg è stato posizionato in modalità single shot, e spara 9 colpi sempre in direzione della poppa del barcone, che tenta una virata di fuga. Nel terzo, di appena 7 secondi e datato 10 novembre alle 7.09, si vede il peschereccio vuoto trainato dalla fregata italiana: ha imbarcato acqua, forse dai buchi nella chiglia. Nei quarto e ultimo, 0 ciak finale: la prua che affonda lentamente. Sono le 9.23, il mare non è mosso, èunatavola, siintravedel'elipista delia fregata e la scritta "F 574" sul ponte, la sigla delia Aliseo.
Sono immagini che faranno discutere, soprattutto chi dell'operazione "umanitaria" Mare Nostrum lanciata dal governo italiano dopo la strage di Lampedusa dei 3 o tto bre ha sempre criticato il ruolo "militare" e le regole di in- gaggio. «Gli italiani giudicheranno da soli —dice Luca Comellini, del Partito dei militari, che ha interessato dell'episodio la procura di Napoli — in un paese civile qualche alto vertice si dimetterebbe».
Si può sparare addosso a un barcone di presunti scafisti che scappano? «No —spiega a Repubblica un marinaio che ha partecipato a decine di abbordaggi — a meno che prima non ci sia stata una violenta offesa a colpi di arma da fuoco». Chi ha vissuto il blitz dei 9 novembre non ricorda niente del genere. Le cronache giornalistiche non parlano di sparatorie da parte degli egiziani, né di armi
trovate a bordo. E le mitragliate non vengono riportate nemmeno nel diario di un poliziotto della scientifica che ha raccontato la sua esperienza sulla Aliseo sulle pagine di Polizia Moderna.
C'è la descrizione dei vani tentativi di stabilire un contatto radio con i conducenti del peschereccio, «ma questi — scrive il poliziotto —iniziano una precipitosa fuga verso le acque libiche, facendo salire in coperta altre persone che prima erano nella stiva». Nonostante l'intervento dell'elicottero e di un gommone del Marò «lo scafo non rallenta, cambiando sempre direzione». Poi, «dopo diverse ore, l'imbarcazione si ferma. Si sono arresi!». Del come si avvenuta veramente questa resa, non una parola.



Lega Nord: "Da Renzi più soldi ai clandestini e meno alla polizia"
Il commissario leghista in Alto Adige Südtirol Fugatti: "È vergognoso".
stranieriinitalia.it, 24-03-2014
Roma, 24 marzo - “La Lega Nord sarà presente con un presidio davanti alla struttura dove sono alloggiati gli immigrati clandestini arrivati a Bolzano per protestare contro questa nuova ondata di sbarchi incontrollati".
Lo ha annunciato in una nota il commissario della Lega Nord in Alto Adige Südtirol, Maurizio Fugatti.
"È vergognoso - ha spiegato Fugatti -  che il governo tagli le risorse alle forze dell’ordine, togliendo molti presidi di polizia in Alto Adige, e poi sprechi i soldi pubblici per accogliere e mantenere i clandestini che lascia entrare indisturbati nel Paese. Evidentemente la politica rivoluzionaria di Matteo Renzi e della SVP è di dare più soldi ai clandestini e meno alla polizia”.



Xenofobia, se le vittime sono italiane
Corriere delle migrazione, 23-03-2014
Stefano Galieni
Non è una boutade leghista ma un dato – molto interessante – emerso in occasione della presentazione torinese dell’ultimo rapporto Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali).
Nel 2013 l’Unar  ha raccolto 959 segnalazioni per discriminazione etnica (l’80% sono state ritenute  effettivamente atti discriminatori, in molti casi reati ai sensi della Legge Mancino, il 4% è ancora in fase di discussione, mentre le altre sono state archiviate).  Nel 26,5 per cento dei casi – ed è questo il dato interessante – a denunciare sono stati… cittadini italiani. In particolare: giovani figli di stranieri ma nati o cresciuti in Italia, “dotati” di cittadinanza italiana, che si sono trovati  a subire la stupidità di comportamenti spesso aggressivi tanto da sfociare nella violenza aggravata.
Questa percentuale rivela come una parte consistente della società fatichi ad accettare il fatto che l’Italia sia ormai già un Paese multiculturale e che la cittadinanza non corrisponda in automatico  a tradizionali tratti somatici o alla pelle bianca. E attesta anche la consapevolezza e la determinazione delle cosidette seconde generazioni, pronte a fare valere i propri diritti nelle sedi opportune. Si tratta quindi di una componente più preparata ad affrontare il razzismo latente e meno disposta a subire. Persone che hanno gli strumenti non solo linguistici ma anche l’accesso ai supporti informatici per inoltrare le segnalazioni, che si rivolgono al numero verde messo a disposizione dall’Unar e che non temono forme di ricatto connesse ad una presenza precaria legata al permesso di soggiorno.
Non a caso il 34,2 % delle segnalazioni giunge via web, il 33,6% grazie ai media e il 19,9 mediante chiamata telefonica. A denunciare è, in genere, chi subisce la discriminazione (84,7% di cui il 24,7 attuati con l’aggravante delle molestie) ma, a volte, anche chi le vede e non ci sta.Ecco infatti che ben il 9 % delle segnalazioni dell’anno passato ha riguardato una sola persona: il ministro (ora ex) più insultato al mondo, Cécile Kashetu Kyenge. Ma il rapporto non spiega –ed è comprensibile – se la disponibilità ad esporsi provenga soprattutto da persone che possono essere scambiate per stranieri o se sta aumentando una coscienza civica diffusa. Altro dato utile: dopo gli italiani a denunciare sono soprattutto cittadini marocchini e rumeni. Si tratta delle comunità più numerose.
Le discriminazioni in Italia
Utilizzando sempre come parametro i dati Unar emerge un’altra curiosa informazione. Nella casistica delle segnalazioni per comportamenti discriminatori ai primi posti compaiono ovviamente Roma con 156 casi denunciati e Milano con 65. Era scontato, si tratta delle grandi metropoli in cui la presenza di cittadini di origine straniera è quantitativamente rilevante e con elementi di tensione sociale spesso forti. Ma al terzo posto, con 54 segnalazioni, compare una città piccola come Rovigo. Secondo Marco De Giorgi, direttore dell’agenzia (che in altro articolo ci parla del costo delle discriminazioni) questo accade per due ragioni: «Da una parte il nord est integra molto con il lavoro e questo fa sì che la presenza di cittadini di origine straniera abbia una percentuale molto alta. Il risultato, che vale anche per il resto del Nord Est (4 capoluoghi fra i primi 10 segnalati) è che a fronte di episodi di discriminazione a sfondo etnico o religioso c’è anche lì una reazione più pronta e consapevole. Quindi nelle piccole città si creano più facilmente tanto le condizioni per essere esposti a certi comportamenti quanto quelli per reagire». C’è da aggiungere che le prime 3 città segnalate costituiscano oltre il 43% delle aree da cui sono giunte segnalazioni che invece sono molto meno frequenti nel Sud. Il Nord raccoglie infatti complessivamente oltre il 55% delle segnalazioni giunte, il Centro, oltre il 34%, il restante 11% è da ascrivere a Sud e isole. Anche questo dato ha due volti. Da una parte nel Meridione non hanno ancora mai attecchito forme di organizzazione anche politica che avessero come predominante la matrice del rifiuto dei migranti. Contemporaneamente una parte consistente della presenza di persone di origine straniera è impiegata nell’economia sommersa, spesso in condizioni di precarietà tali da non potersi permettere il lusso di denunciare comportamenti razzisti. Fatti di cronaca recenti, contro rom e lavoratori in agricoltura, sono emersi solo in quanto hanno raggiunto livelli di gravità da richiedere immediatamente l’intervento delle forze dell’ordine. Va considerato poi il fatto che la presenza stabile di cittadini provenienti da paesi terzi è molto più stabile e concentrata nel centro –nord. La regione italiana da cui parte la maggior parte delle segnalazioni è il Lazio ma oltre il 95% giungono dalla capitale. Al secondo posto il Veneto e al terzo la Lombardia ma in entrambi i casi le denunce sono molto più diffuse nel territorio e attengono alle diverse province. Significativo come poi la percentuale più consistente delle segnalazioni rivelatesi fondate, riguarda forme di discriminazione enunciate nei media, il 34,2 % e negli spazi di vita pubblica, il 20,4%. In contesti come quello lavorativo, dove alcuni comportamenti potrebbero essere ascritti a ragioni di competizione, le denunce giunte e confermatesi veritiere sono circa il 7,5 del totale, nella scuola si scende al 4,1%. Un dato che può essere interpretato, facendo alcune ipotesi. Da una in parte spazi definiti come quello scolastico e quello lavorativo, taluni comportamenti trovano modo spesso di essere affrontati direttamente prima ancora di trasformarsi in denuncia e a volte producendo risultati positivi. Media e spazi pubblici invece denotano come la persistenza di pregiudizi e di azioni discriminatorie dovute non solo ad ignoranza ma a specifici intenti politicamente orientati, abbiano ancora un forte peso.



Il pane, come il riscatto, si cucina in famiglia
Corriere.it, 24-03-2014
Paolo Riva
Mariela il pane l’ha sempre fatto in casa, con le sue mani. In patria, quando abitava in un villaggio della campagna romena e durante il giorno lavorava anche la terra. Al campo, quando è arrivata a Milano e ha trovato posto con la sua famiglia in un insediamento irregolare con altri rom suoi connazionali. E al CeAS, dove abita con marito e figli all’interno del Villaggio Solidale. «L’idea di un laboratorio di panificazione» spiega la coordinatrice Benedetta Castelli «è nata dall’esigenza e dall’esperienza. Tutte le donne rom fanno il pane in casa: abbiamo pensato di valorizzare le loro competenze, di partire da lì nella ricerca di un lavoro che, oggi come oggi, è molto difficile da trovare». Soprattutto per le donne.
Un rapporto della Casa della carità rivela che, in Italia, solamente il 20 per cento di loro è occupata (contro il 46 delle donne italiane e il 58 di quelle europee – dati Eurostat 2011). Non solo: le donne rom sono più analfabete e meno istruite degli uomini, più discriminate e con meno amici al di fuori della loro comunità d’appartenenza, gravate di forti carichi di lavoro famigliare e spesso costrette a far ricorso all’elemosina. Per il sociologo delle migrazioni Maurizio Ambrosini, potrebbero essere «la minoranza più discriminata d’Europa». Eppure, sono capaci di lottare e riscattarsi, quando vengono date loro delle vere opportunità. Quella del pane è una di queste e Mariela l’ha colta al volo. Il progetto è cominciato un anno e mezzo fa grazie alla collaborazione con un panettiere. Mariela vi ha preso parte fin da subito, conciliando questo impegno con la cura della famiglia, completamente sulle sue spalle.
«Le donne coinvolte – continua Benedetta – hanno acquisito competenze e maggiore fiducia; hanno imparato le norme igieniche necessarie e migliorato l’italiano; hanno perfezionato diverse ricette e trovato nuovi stimoli. Hanno sperimentato, per poi mettersi in gioco sul mercato del lavoro.» E i risultati sono arrivati, anche se non proprio nel campo in cui il tutto è cominciato. Mariela, infatti, ha lasciato che ad occuparsi di lievito e farina siano le altre sue “colleghe”: lei oggi è cameriera di piano in un albergo a quattro stelle del centro di Milano. Ci è arrivata dopo un breve tirocinio durante il quale si è conquistata la conferma e un contratto vero e proprio. Ora, con il marito che la aiuta nelle faccende domestiche, riesce a l



Rom, la “svolta” di Marino
Corriere delle migrazione, 23-03-2014
Sergio Bontempelli
L’Associazione 21 Luglio è stata, in questi mesi, una vera e propria spina nel fianco per il primo cittadino della Capitale, Ignazio Marino: il medico prestato alla politica, infatti, è stato più volte accusato di violare le garanzie più elementari delle persone rom e sinte. Cosa che non deve aver fatto piacere a un uomo conosciuto proprio per la sua sensibilità al tema dei diritti civili delle minoranze.
Per il gruppo animato da Carlo Stasolla, però, i ripetuti sgomberi dei campi (diciassette da Settembre ad oggi, con una media di uno ogni quindici giorni) sono stati effettuati violando le normative internazionali in materia di diritto all’abitare. E la struttura di accoglienza per rom e sinti di Via Visso, progettata dalla passata amministrazione ma mantenuta in vita dalla giunta Marino, rappresenta – sempre secondo la “21 Luglio” – una forma di segregazione abitativa: un luogo riservato ad un solo gruppo etnico, per di più sprovvisto degli standard minimi di abitabilità e di sicurezza. Le accuse mosse dall’associazione alla Giunta Marino, insomma, sono tutt’altro che tenere.
E’ per questi  motivi che l’incontro tenutosi Sabato pomeriggio al Campidoglio rappresenta, o può rappresentare, una svolta nelle politiche capitoline in materia di rom. Già, perché il Sindaco ha deciso di parlare faccia a faccia con i suoi “contestatori”, di ascoltarne le ragioni e di capire il loro punto di vista.
Alla Sala delle Bandiere, Sabato, c’erano proprio tutti. Ignazio Marino era accompagnato dal vicesindaco Luigi Neri, dal Comandante della Polizia Municipale e da diversi consiglieri comunali. Dal canto suo, la delegazione della 21 Luglio era composta dai dirigenti dell’associazione, ma anche da un nutrito drappello di rom provenienti dai principali campi della città, nonché da esperti del settore: architetti, urbanisti, sociologi, studiosi di “buone pratiche” locali per l’integrazione dei rom e dei sinti.
L’incontro, rigorosamente a porte chiuse, si è protratto per diverse ore, ed ha assunto la forma di un vero e proprio “seminario di studi”: i tecnici della 21 Luglio, muniti di presentazioni powerpoint, hanno illustrato la condizione dei rom e dei sinti nella Capitale, e hanno formulato proposte e ipotesi per il superamento dei “campi nomadi”. E gli amministratori – Sindaco, assessori e consiglieri – hanno preso appunti, hanno ascoltato, hanno fatto domande, chiesto chiarimenti, sollevato obiezioni. Il Campidoglio, insomma, è stato il teatro di una sorta di “lezione universitaria”, con degli “studenti” sicuramente un po’ insoliti…
Circa i contenuti concreti emersi nella discussione le bocche, all’indomani dell’incontro, sono cucite. Ma la soddisfazione trapela da entrambe le parti. «E’ stata una riunione molto utile e concreta» – ha dichiarato Marino alle agenzie – «basata su un dialogo aperto e, soprattutto, propositivo. Abbiamo analizzato la situazione dei Rom, Sinti e Camminanti a Roma e ci siamo confrontati sulle buone prassi da mettere in campo, prendendo come esempio gli altri Paesi Europei, per allineare Roma sulla strada dell’integrazione e dell’inclusione sociale nel rispetto dei diritti di tutti e della legalità. Sono convinto che sia l’inizio di un ottimo cammino che faremo insieme per migliorare il volto della città».
Di analogo tenore il commento di Carlo Stasolla: «Siamo soddisfatti che il sindaco Marino voglia iniziare a prendere in mano la cosiddetta “questione rom”. Il nodo centrale resta il superamento dei “campi nomadi” e per questo obiettivo prioritario e urgente occorre l’impegno di tutti, delle autorità locali, dell’associazionismo e delle comunità rom. Adesso alle parole dovranno seguire i fatti e l’Associazione 21 luglio è pronta a fare la sua parte».
E’ ancora presto per sapere se questo incontro produrrà effetti concreti nelle scelte del Campidoglio. E del resto, i nodi da sciogliere sono tanti: la “21 Luglio” chiede di superare i campi, di avviare una vera e propria politica abitativa, di sospendere gli sgomberi indiscriminati e senza tutele. In una parola, chiede di voltare pagina rispetto a venti anni di politiche capitoline in materia: non proprio una robetta da niente.
Intanto, però, sembra essersi rotto un tabù. Quasi sempre, le politiche locali in materia di rom e sinti sono promosse senza alcuna consultazione con gli interessati: sono politiche fatte “per” i rom, “sulla pelle” dei rom, in assenza dei rom. Almeno in questo caso, i rom, i sinti, le associazioni hanno trovato ascolto. Vedremo cosa accadrà.



Servizio civile, diventerà aperto a tutti e potrà riguardare 100 mila persone ogni anno
E' la proposta di riforma del Pd. Entreranno anche gli stranieri. Nel solo periodo 2007-2011 - si legge nel documento Pd - a fronte di quasi 156.000 posti messi a bando, sono state 432.000 le domande presentate. Tutti i giovani che lo richiederanno potranno svolgerlo. I tempi dovranno permettere di fare una esperienza significativa. Quattro mesi eventualmente prorogabili a 8
la Repubblica.it, 21-04-2014
VLADIMIRO POLCHI
ROMA  -  Arriva il servizio civile extralarge. Aperto a tutti, "vecchi" e "nuovi" italiani. Fonte di crediti formativi universitari. E senza più lotterie: ci potranno entrare 100mila ragazzi ogni anno per il primo triennio. È quanto promette l'ultima riforma targata Pd.
La "ricchezza" del servizio civile. "Nel solo periodo 2007-2011 - si legge nel documento Pd - a fronte di quasi 156.000 posti messi a bando, sono state 432.000 le domande presentate, distribuite su tutte le regioni italiane. Nel 2011 sono stati 85.000 i ragazzi che hanno chiesto di fare il servizio civile. In altri termini nel 2012 ci sono state 87,6 domande per ogni posto disponibile. Il secondo elemento positivo di sostegno all'ampliamento del Servizio civile nazionale è la convenienza economica nei confronti dello Stato. Recenti ricerche effettuate dagli enti, hanno dimostrato che per ogni euro investito dal soggetto pubblico in attività di SCN se ne generano 3,4 (per la maggior parte misurati in rapporto al controvalore economico delle attività dei volontari, cui si aggiungono l'accumulazione di capitale umano e di capitale sociale). I volontari in servizio civile vengono impiegati in assistenza (60%); educazione e promozione culturale (23%); patrimonio artistico e culturale (12%); protezione civile (3%); ambiente (2%)".
Centomila posti. Ecco i punti principali della nuova proposta: "Tutti i giovani che lo richiedono devono poter svolgere il Servizio Civile Universale, fino a un massimo di 100.000 l'anno per il primo triennio; tempi di servizio che permettano ai giovani di fare una esperienza significativa che non li tenga bloccati per troppo tempo (8 mesi eventualmente prorogabili di 4 mesi); partecipazione degli stranieri al SCN".
Apertura agli immigrati. "Possono partecipare i giovani di età compresa tra i 18 ed i 28 anni che rientrino nelle seguenti categorie: cittadini dell'Unione europea; familiari dei cittadini dell'Unione europea; titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;  titolari di permesso di soggiorno per asilo; titolari di permesso per protezione sussidiaria; conoscenza della lingua italiana".
Crediti universitari e tirocini. Periodo di servizio: 8 mesi, di cui gli ultimi 2 mesi con attività di tutoraggio del volontario da parte dell'ente ospitante, oppure a scelta un periodo di 2 mesi di servizio in uno dei Paesi dell'Unione europea avente il Servizio Civile Volontario (Francia e Germania) in regime di reciprocità (scambio dei volontari) per il 5% circa del contingente italiano (circa 4.500 ragazzi). Nel periodo di tutoraggio il volontario ha diritto a ricevere servizi mirati a facilitare il suo ingresso nel mercato del lavoro (aiuto nella ricerca attiva di un lavoro, di tirocini o di corsi di formazione qualificanti). Tra i benefit, anche crediti formativi universitari.

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