Quando il carcere si trasforma in un centro di prima accoglienza
Quell’ormai noto: «abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto» pronunciato dal comandante del carcere di Teramo, segnala due contraddizioni di quell’istituto penitenziario: una situazione di tensione, a cui si pone rimedio anche col ricorso alla forza fisica, e la presenza di detenuti stranieri.
Cosa certamente non rara. Al contrario. Nelle carceri italiane si parla, ormai da tempo, di sovraffollamento e su un totale di 65 mila detenuti, circa il 37%, è composto da immigrati provenienti per lo più dal Nord Africa, dalla Romania e dall’Albania (quindi: non solo negri). Più precisamente sono 4.333 i detenuti stranieri provenienti da paesi comunitari e 19.666 quelli da paesi extracomunitari. La regione in cui è più alto il numero di immigrati reclusi è la Valle d’Aosta con il 66,37%, al contrario la Campania è quella che registra la presenza più ridotta. Negli istituti penitenziari del Nord la percentuale di detenuti stranieri oscilla tra il 60 e il 70% e in alcune carceri si arriva all’83%, come nella Casa Circondariale di Padova. La motivazione dell’arresto è spesso legata a piccoli reati processati per direttissima che prevedono una reclusione di breve durata, in alcuni casi di meno di sette giorni. L’introduzione dell’aggravante per clandestinità e, poi, del reato di clandestinità , previsto dal pacchetto sicurezza 2009, ha fatto sì che il carcere diventasse una sorta di centro di prima accoglienza, incrementando così a dismisura il numero degli stranieri arrestati. Infine il fenomeno dei suicidi negli istituti non risparmia gli stranieri che costituiscono il 45% di coloro che si sono tolti la vita nel corso del 2009. «Quando si muore,/ si muore soli».
07 novembre 2009