Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

19 settembre 2013

I 46mila ragazzi milanesi stranieri mai usciti dall'Italia in un limbo fino a 18 anni
La maggior parte non parla lingua dei genitori
la Repubblica, 19-09-2013
ZITA DAZZI
LI CHIAMANO "alunni stranieri'ma sono bambini nati e cresciuti a Milano. Parlano solo l'italiano e non sono quasi mai stati all' estero, ma per la burocrazia sono "immigrati", come i loro genitori. All'anagrafe di Milano risultano iscritti quasi 46mila piccoli con cognomi non italiani.
CIFRA che sale a 70mila se si considera il territorio metropolitano e a 185mila se si guarda a tutta la regione. Ma, di fatto, un alunno "straniero" su due di quelli iscritti alle scuole lombarde, in realtà, è nato sotto i campanili padani e non ha mai messo il naso fuori dal Belpaese. «Spesso non parlano nemmeno la lingua d'origine dei genitori e dei nonni, tanto che da noi ormai abbiamo cominciato a fare i corsi di arabo a scuola, al pomeriggio, per aiutare i bambini nordafricani a comprendere la lingua materna: certo che chiamare immigrati questi bambini è ridicolo ed è anche ingiusto che debbano attendere di avere 18 anni per chiedere la cittadinanza allo Stato anche se sono già Cittadini a tutti gli effetti», spiega Giovanni Del Bene, preside dell'istituto Cadorna di via Dolci, una delle scuole più multietniche della città, con punte del 40 per cento di alunni extracomunitari, Il tema delle "seconde generazioni" e dello ius soli —cioè del diritto di cittadinanza da estendere a chi nasce sul suolo italiano se i suoi genitori provengono da altri continenti— è stato adottato dall'amministrazione comunale e dal sindaco Giuliano Pisapia, che già nel 2012 ha aderito alla rete dei Comuni che sollecitano il governo a legiferare in materia.
L'iniziativa simbolica che ha segnato l'avvio della campagna comunale per ottenere una nuova legge sulle seconde generazioni è stata il conferimento della "cittadinanza onoraria" ai bambini figli di immigrati a Milano, cerimonia avvenuta nel maggio scorso al Castello Sforzesco, alla presenza del ministro per l'Integrazione Cécile Kyenge. «Fra quei bambini c'era anche il mio piccolo Mark—racconta Aprylin Kunamaye, colf filippina di32 anni, in Italia da 10, madre di un bimbo iscritto alla prima elementare a Quarto Oggiaro — , Mark è nato qui e nelle Filippine c' è stato una sola volta in vita sua, per vedere i parenti. Ma ormai tutta la nostra famiglia si è trasferita a Milano, anche i miei genitori, oltre alle mie sorelle e cugine. Non credo che torneremo mai a
Manila. Quindi sarebbe molto meglio se almeno il mio bambino non avesse tanti ostacoli burocratici e venisse considerate italiano, come a tutti gli effetti lui si sente. Uguale ai suoi compagni di classe».
L'argomento di Aprylin è ancora più chiaro se si considera che, stando ai dati dell'ultimo censimento Ismu sugli alunni stranieri, risulta che in tutta la Lombardia l'84 per cento dei bambini "immigrati" all'asilo è nato in Italia, percentuale che arriva al 61 per cento alle elementari, al 33 per cento alle medie e al 13 per cento alle superiori. Numeri che testimoniano come sempre più ormai le famiglie straniere si siano radicate sul territorio locale. «Il tema dello ius soli è di estrema importanza per la città — spiega Seble Woldeghiorghis, funzionaria del settore Politiche sociali e collaboratrice dell'assessore Pierfrancesco Majorino proprio sui temi delle seconde generazioni—. Tutti questi bambini e ragazzi vivono in una sorta di "limbo", sono italiani di nascita e di cultura, ma vengono classificati come immigrati sui documenti, con tutte le complicazioni burocratiche che ne conseguono».
Il Comune di Milano da due anni si è preso la briga di sollecitare tramite lettera i neodiciottenni figli di immigrati della pos-sibilita consentita dalla legge di chiedere la cittadinanza con procedura accelerata. Anche quest'anno 665 ragazzi riceveranno la lettera dell'assessore Majorino e l'invito ad approfittare di questa "finestra" di 12 mesi concessa dalla legge. Dopo il 18° anno, la trafila burocratica diventa lunghissima.
Per chi non ha il passaporto italiano la vita è in salita, come racconta Nura Tafeche, 25 anni, di origini palestinesi, che appartie- ne alla Rete G2:«I bambini che sono sul permesso di soggiorno dei genitori, vivono le conseguenze dei ritardi nel rinnovo del documento. Ogni volta che c'è una gita di classe, o una visita all'estero, anche solo per andare a trovare i nonni, bisogna fare tutta la trafila di ingresso e uscita alla frontiera come uno straniero tout court. Poi c' è il rischio che ogni soggiorno all'estero venga visto come un "buco di residenza" rendendo più complicata la concessione della cittadinanza ai 18 anni».



Vassily l'apolide e Rajiv F indiano al GLab dieci casi ogni giorno
LAURA FUGNOLI
la Repubblica, 19-09-2013
VASSILY è un nome di fantasia, ma la sua vicenda, che sembra quanto di più fantasioso si possa immaginare, è tutta vera: è nato in un comune del milanese 18 anni fa, da genitori dell'est Europa che si sono sbarazzati di lui al primo vagito; chi l'abbia raccolto, nutrito e istruito non si sa, ma quello che si presenta al GLab, desk di via Dogana, lo sportello dei Comune che da marzo offre informazioni sulla cittadinanza ai ragazzi tra i 18 e i 19 anni di origine straniera ma nati e vissuti in Italia, è un giovanotto educato, pacato e maturo, parla perfettamente la nostra lingua, anche se non ha ricevuto alcuna educazione scolastica ed è rimasto sconosciuto al mondo della burocrazia fino a ieri. Fino a quando, cioè, ha deciso che gli servirebbe la patente di guida. Ma il suo sogno si scontra con il suo status anomalo: Vassily è apolide e per diventare italiano «l'iter è complesso ma non impossibi- le» decreta Medhin Paolos, una delle tre giovani dei GLab che per tre pomeriggi alla settimana accolgono i ragazzi "italiani non italiani".
«Ne riceviamo una decina al giorno — spiega Medhin, nata a Milano da genitori eritrei arrivati in ltalia nel 1970, attivista di Rete G2- Seconde generazioni — ognuno hauna storia a sé e spesso, anche se sono nati qui e per logica pensano di essere davvero a un passo dalla cittadinanza, rimangono delusi daleggi che di logico hanno poco».
Come accade a Rajiv, il diciottenne nato a Milano da genitori arrivati dall'India decenni fa, custodi per più di vent'anni in uno Stabile e dunque residenti in città. È bastato che il padre avesse interrotto la sua a ttività di portinaio per qualche mese e lui,
che non parla neppure l'indi e non ha visto altro che le guglie dei Duomo, non può ottenere la cittadinanza. «Ora con l'anagrafe stiamo verificando — spiega Medhin — e forse riusciremo a mettere a posto la situazione di questo ragazzo. Le cose non si sistemano automaticamente, semmai si complicano automaticamente!».
Da marzo a oggi sono più di trecento i ragazzi approdati negli uffici del GLab, in un'ala dell'Informa giovani. "Diventi mag- giorenne, ma puoi anche diventare italiano" recita la lettera che il Comune, da settembre 2011, invia ai ragazzi nati in Italia da genitori immigrati, «C'è chi chiede la cittadinanza per motivi di studio, chi per lavoro —racconta Medhin— ma anche solo per avere maggior libertà per viaggiare da turista. Io per esempio, con il passaporto eritreo avrei avuto il divieto di ingresso in molti paesi del mondo».
Parlano perfettamente italiano, se non milanese, a volte nemmeno conoscono l'idioma d'origine. In mezzo ai ragazzi un signore filippino si avvicina al desk, lui l'italiano lo mastica poco ma ha un figlio di 17 anni, nato e vissuto qui. È venuto a rac- cogliere informazioni, in anticipo, perché, spiega a fatica ma con logica inoppugnabile, "mio figlio non può essere che italiano"



Carrozza e la quota stranieri a scuola «In certe aree non si può rispettare»
Il ministro: «Il tetto del 30 per cento? Per ora non lo elimino»
Corriere.it, 19-09-2013
Mariolina Iossa
Il Ministro dell' Istruzione Maria Chiara Carrozza (Ansa)Il Ministro dell' Istruzione Maria Chiara Carrozza (Ansa)
ROMA - Ministro Maria Chiara Carrozza, il tema dell'integrazione dei bambini stranieri a scuola si ripresenta ogni volta che si verificano casi come quello di Costa Volpino, nel Bergamasco, o di Landiona, in provincia di Novara. I genitori si rifiutano di iscrivere i propri figli in classi dove c'è una presenza massiccia di compagni stranieri. La scuola è razzista?
«No, non è razzista, non lo sono i ragazzi, non lo sono le famiglie, non lo sono gli insegnanti. Penso al contrario che la scuola italiana stia facendo tantissimo per l'immigrazione, per l'accoglienza, per l'integrazione. Tutto sommato fatti come questi sono un po' estremi, avvengono in alcune realtà particolari e si possono affrontare senza paure caso per caso».
Facciamolo allora un esempio concreto, del tutto ipotetico, ma non dissimile da quelli citati. C'è una classe con 20 bambini stranieri e 5 italiani. Che si fa?
«Si parte dalla premessa che il diritto allo studio è universale, che spetta a tutti i bambini, che provenienze diverse, lingue diverse, culture diverse sono un'opportunità, non un disvalore, rappresentano una ricchezza. Detto questo è ovvio che quando ci sono eccessivi squilibri bisogna intervenire. Ma non sarà il ministero a farlo con provvedimenti generali, si interverrà caso per caso, come è stato ben fatto altrove. In Emilia-Romagna, in Toscana, a Prato per esempio».
Un provvedimento c'è, è la circolare della Gelmini del gennaio 2010 che prevede, come indicazione, un tetto del 30 per cento di bambini stranieri in classe. Lei ha intenzione di cancellarla?
«Per il momento non ho intenzione di cancellarla, è un'indicazione generale che nei casi particolari, e già succede, può non essere rispettata date le oggettive condizioni socio-territoriali. Inoltre occorre fare una distinzione tra i ragazzi che arrivano in Italia già grandi e magari non conoscono ancora bene la lingua, e possono aver bisogno di un supporto maggiore per l'integrazione culturale oltreché linguistica. Non possiamo considerare allo stesso modo degli altri i figli di immigrati che nascono in Italia o che sono arrivati piccolissimi da noi e conoscono la lingua quando cominciano le primarie. E possiamo considerare totalmente stranieri i bambini che vengono dalla patria comune, l'Europa? Questi bambini per me sono uguali a tutti gli altri bambini, non ci sono differenze. I nostri istituti di valutazione hanno verificato che spesso le performance degli allievi con cittadinanza non italiana sono simili a quelle degli italiani. Nella scuola italiana ci sono 736 mila alunni con cittadinanza straniera ma la metà sono nati in Italia. Sono stranieri?».
Che cosa dire ai genitori che comunque temono un rallentamento del percorso didattico dei loro figli in classi con troppi stranieri? Perché la «fuga» dalle scuole continua.
«Posso capire le preoccupazioni dei genitori, è chiaro che le classi vanno formate con equilibrio, non ci possono essere classi con troppi stranieri o con zero stranieri ma ripeto che i casi singoli vanno trattati singolarmente, resta alla scuola e al ministero il compito di investire nella formazione degli insegnanti perché possano dare un supporto ai ragazzi e alle famiglie e continuare il cammino verso l'integrazione. Una parte dei fondi che il decreto scuola votato dal governo destinerà alla formazione degli insegnanti andrà speso in questa direzione. L'Italia deve avere il coraggio di imparare dalla nostra scuola, i Paesi che vincono sono quelli che stanno vincendo la sfida dell'integrazione e della multiculturalità a partire dalla formazione scolastica».



Alunni stranieri. Carrozza: "Metà sono nati qui, sono davvero stranieri?"
Il ministro dell’Istruzione: “Il tetto del 30% è un’indicazione generale che in casi particolari può non essere rispettata. Investiamo nella formazione degli insegnanti”
Stranieri in italia, 19-09-2013
Roma – 19 settembre 2013 – “Il diritto allo studio è universale, che spetta a tutti i bambini, che provenienze diverse, lingue diverse, culture diverse sono un'opportunità, non un disvalore, rappresentano una ricchezza”.
Ne è convinta il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza. Che aggiunge: “è ovvio che quando ci sono eccessivi squilibri bisogna intervenire. Ma non sarà il ministero a farlo con provvedimenti generali, si interverrà caso per caso”.
Il tetto del 30% di alunni stranieri fissato dalla circolare Gelmini, spiega oggi al Corriere della Sera, per il momento non verrà eliminato. “È un'indicazione generale – sottolinea però il ministro - che nei casi particolari, e già succede, può non essere rispettata date le oggettive condizioni socio-territoriali”. Bisogna però fare una distinzione: “Non possiamo considerare allo stesso modo degli altri i figli di immigrati che nascono in Italia o che sono arrivati piccolissimi da noi e conoscono la lingua quando cominciano le primarie”.
“I nostri istituti di valutazione – ricorda Carrozza -  hanno verificato che spesso le performance degli allievi con cittadinanza non italiana sono simili a quelle degli italiani. Nella scuola italiana ci sono 736 mila alunni con cittadinanza straniera ma la metà sono nati in Italia. Sono stranieri?”.
 “Posso capire le preoccupazioni dei genitori, è chiaro – ribadisce il ministro -  che le classi vanno formate con equilibrio, non ci possono essere classi con troppi stranieri o con zero stranieri ma ripeto che i casi singoli vanno trattati singolarmente, resta alla scuola e al ministero il compito di investire nella formazione degli insegnanti perché possano dare un supporto ai ragazzi e alle famiglie e continuare il cammino verso l'integrazione”.
“Una parte dei fondi che il decreto scuola votato dal governo destinerà alla formazione degli insegnanti andrà speso in questa direzione. L'Italia – conclude - deve avere il coraggio di imparare dalla nostra scuola, i Paesi che vincono sono quelli che stanno vincendo la sfida dell'integrazione e della multiculturalità a partire dalla formazione scolastica”.



Asili, si apre il caso delle classi non omogenee
In alcuni quartieri può capitare che un bimbo italiano abbia solo compagni «stranieri». Il caso del nido di via Zuretti
Corriere.it, 19-09-2013
Unico italiano al nido. Apriti cielo, quando la direttrice dell'asilo comunale ha informato i genitori di Tommaso, venti mesi, che nella sua sezione non c'erano altri bimbi italiani. «Il razzismo non c'entra ma ci siamo preoccupati per la sua salute, per le vaccinazioni, l'igiene, per le abitudini diverse», la reazione del papà, che si è subito rivolto agli uffici comunali e ha anche scritto al Corriere.
LE CLASSI - Rassicurato sul versante salute («Le vaccinazioni sono richieste a tutti»), restava il problema di una classe poco omogenea. Cinque arabi, quattro romeni, tre sudamericani, due pachistani un albanese e tre indiani: così era stata formata la sezione di Tommaso al nido di via Zuretti. Già accolta la richiesta della famiglia: cognomi italiani e stranieri adesso sono in parità. «Ma il problema è comune a tanti asili di zona. Basta scorrere le graduatorie sul sito del comune: i nomi italiani in alcune classi si contano sulle dita di una mano - racconta il papà di Tommaso -. Anche al nido di Greco all'open day la direttrice ci aveva avvisato: "Qui gli stranieri sono nove su dieci". E noi genitori eravamo tutti perplessi. Questa non è integrazione».
«Va precisato che nove su dieci sono bambini nati qui», dicono negli uffici dell'assessorato. «Certo le presenze sono diverse nelle zona. Non abbiamo i dati aggiornati ma fino allo scorso anno nell'asilo di via Zuretti la percentuale di stranieri era del 33%. La media nei nidi era il 26%, ma in zona 2 arrivavano al 35%». Stessa situazione alle materne. «Le percentuali sono simili, in quelle comunali e statali. Mentre nelle paritarie gli stranieri sono il 7%».
LE SCUOLE - Negli asili i nuovi milanesi sono uno su quattro ma è una media. La situazione cambia da zona a zona. E da scuola a scuola. E questo è il punto. Le classi con prevalenza di stranieri sono concentrate da San Siro ad Affori a Zara a via Padova, Lambrate, Mecenate, Corvetto. E in alcuni istituti. È così dai nidi alle superiori. «Le zone in cui il processo migratorio è stato più forte sono la 2 (che comprende via Zuretti), la 4, la 9. Il fattore abitativo è determinante», spiega Arcangela Mastromarco, referente di uno dei quattro Poli Start, che seguono gli inserimenti scolastici degli stranieri. La sua riflessione: «Bisogna evitare le classi ghetto. Per le materne si potrebbero ridisegnare i bacini d'utenza. Non devono più esserci a poca distanza scuole di serie A, per i milanesi e di serie B per gli stranieri. Come la Tiepolo e la Santa Caterina, per esempio». Come? «Occorre potenziare l'offerta negli istituti multiculturali, renderli più attrattivi per evitare la fuga degli italiani. Altri Paesi e altre città hanno seguito questa strada, un modello sono le scuole internazionali di Zurigo».
LA LINGUA - Classi multiculturali bilanciate, è l'obiettivo. E nelle scuole con più stranieri l'offerta migliore. Prima ancora. «La valutazione degli studenti si basi non sul cognome ma sulle competenze linguistiche». «La sola differenza fra gli alunni è la conoscenza della lingua italiana - sottolinea Mastromarco -. Il solo criterio che dobbiamo tenere in considerazione è l'italofonia. Milano è una città multiculturale e se passa lo ius soli questi alunni non sono più stranieri giuridicamente ma se non parlano la lingua italiana vanno inseriti e aiutati». Allora si apre il capitolo risorse. E bisogna fare i conti con i tagli. Per esempio, servono insegnanti di italiano seconda lingua: «Nel duemila erano 700 per le scuole di città e provincia, l'anno scorso erano soltanto 66. Oggi sono in tutto 54».



Posillipo, ghetto di immigrati sotto il belvedere
Immagini shock: senzatetto accampati al di sotto del piazzale della chiesta di Sant'Antonio
la Repubblica, 19-09-2013
CONCHITA SANNINO
Affacciati sul golfo, sospesi sul degrado delle loro esistenze. Benvenuti nell’Hotel Disperazione, il ghetto con vista, l’alveare in cemento armato aperto sullo strapiombo e dimenticato sotto il belvedere di Sant’Antonio a Posillipo. Spiata frontalmente, quella terrazza traccia una linea retta che separa due mondi. Sopra, benessere e caos. Sotto, inferno e oblìo. Basta focalizzare, con un po’ di attenzione, lo sguardo da viale Gramsci.
Oppure, risalire lungo via Orazio fino a su, e avvicinarsi con una ripresa aerea, per scoprire che da quei mega loculi in bilico sulla collina spunta qualche brandina arrugginita, il bucato episodico di un abito o una coperta ottenuta dalla chiesa e sottratta a piogge ed escrementi, il ferro fradicio di due tavolini o il legno zoppicante di sedie rubate ai rifiuti. Un frammento di baraccopoli è stabilmente piantata nel cuore del quartiere “alto”.
Incastonata dentro l’elegante Posillipo. Eppure lontana:
perché striscia sotto i piedi dei condomìni con il verde e la vigilanza per 24 ore, sotto il piazzale dove si accende la movida notturna, sotto le auto di chi va ad amoreggiare in terrazza, e sotto i piedi delle migliaia di comitive eleganti che, ogni giorno, gettano pugni di riso all’uscita degli sposi consacrati sull’altare della sovrastante chiesa di Sant’Antonio.
Da anni, quel relitto di speculazione edilizia — con i cubi anneriti di cemento che dovevano trasformarsi in camere d’albergo, poi fermate e rimaste sul lato anteriore completamente scoperte — è inalterato. Fino a farsi rifugio di clandestini, lavavetri o clochard. Uomini senza nome, volti deturpati dalle intemperie vivono su questo crinale: la testa coperta da una specie di tetto, braccia e piedi esposti a ogni pericolo, intorno solo rifiuti, topi, erbacce. Come entrano? Il percorso è occultato dai rampicanti: i senzanome devono scavalcare l’inferriata verde, con un salto sono già su un percorso di venti metri che conduce ad una porta in ferro, da cui comincia il corridoio che attraversa le camere dell’Hotel Disperazione.
L’unica fonte di riscaldamento per gli “ospiti”? Birre. Chi vive lì dentro, passa rigorosamente in rassegna tutte le bottiglie lasciate dal “mondo di sopra” del belvedere, e si scola l’alcool rimasto sul fondo. Come quello che mandò in tilt il cervello di Kasper il polacco, l’inquilino numero uno del ghetto, l’uomo che la scorsa primavera prima si ferì ai polsi, poi si gettò dal suo loculo con vista, per fortuna senza danni irreparabili.
«Da allora — dicono alcuni abitanti della zona — è sparito, non l’abbiamo più visto. In compenso, sono arrivati altri uomini, campano lì sotto come animali, si ritirano sotto queste nicchie di cemento di notte, di giorno fanno i lavavetri o qualche lavoretto illegale per dei padroni che li comandano».
Proprio il parroco di Sant’Antonio a Posillipo, il domenicano Vincenzo Maria Avvinti, ha sempre fatto sentire la sua voce per la baraccopoli sospesa sul vuoto. La barbetta a incorniciare un volto di determinato ragazzo siciliano, la pazienza di chi non ha mai smesso di lottare, fra’ Vincenzo ha chiesto condizioni «di vita dignitose, umane per queste persone: un alimento e un indumento voglio darglielo io, ma le istituzioni non possono consentire che si viva in queste condizioni».
Per ottobre, Avvinti ha anche organizzato un importante convegno su temi scabrosi: non solo il sesso libero e la purezza di Maria, l’omicidio e il Cristo della vita, ma anche “la collina di Posillipo tra paura e coraggio, tra la vita e la morte”. Come alleato, ha trovato per ora, «la municipalità e il presidente Fabio Chiosi»: negli ultimi mesi sono stati installati dei riflettori per illuminare il piazzale di notte, eliminati i cassonetti, arginato lo spaccio. «Anche una chiesa a Posillipo può essere di frontiera — mormora fra’ Vincenzo — perché il perbenismo nasconde menefreghismo. C’è l’indifferenza, dietro la facciata». E sotto, il ghetto.



Il sindaco leghista: «Compratevi una pistola»
Proposta shock per contrastare i furti
Andrea De Bernardin, primo cittadino di Rocca Pietore, invita la popolazione ad armarsi contro i malviventi
Corriere della sera, 19-09-2013
BELLUNO - Mettete un allarme alle vostre case, chiedete il porto d'armi e compratevi una pistola: è il messaggio che il sindaco leghista di Rocca Pietore (Belluno), Andrea De Bernardin, ha lanciato ai suoi cittadini dopo l'aumento di furti nella abitazioni dell'agordino. Il sindaco punta il dito contro l'immigrazione e si dice egli stesso vittima dei malviventi. «Alla gente onesta che vive nelle nostre valli - ha detto De Bernardin a Il Gazzettino - non posso che dire di iniziare a difendersi da soli, appunto con un impianto domestico antifurto e facendosi il porto d'armi. Non resta che questo se ci sta a cuore la nostra incolumità e quella delle nostre famiglie». Una proposta che non è passata inosservato e che è stata respinta dal deputato socialista Oreste Pastorelli. «Se non fossero affermazioni gravissime ci sarebbe da ridere - rileva Pastorelli -. Purtroppo, però, non si può girare lo sguardo di fronte ai rischi di un populismo demagogico che, in altre epoche, ha aperto la strada a pericolose avventure». «Dietro le dichiarazioni di certi personaggi, che dovrebbero rappresentare le istituzioni - aggiunge Pastorelli - si cela una profonda irresponsabilità e la totale assenza di competenze per quanto riguarda l'amministrazione della cosa pubblica. Di senso dello Stato neanche a parlarne perchè dubito che conoscano persino il significato letterale dell'espressione». (Ansa)

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