Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

8 luglio 2010

Brescia, guanti igienici sul bus degli immigrati
la Repubblica 8 luglio 2010
PAOLO BERIZZI
BRESCIA - Sarà che ormai da queste parti c´è anche un problema di precedenti, e non da poco. Sarà che quando ci sono di mezzo gli stranieri la sensibilità, in un senso o nell´altro, cresce. Sarà che in generale i bus italiani non è che brillino per pulizia, eppure un rimedio come questo, in Italia, anzi non solo in Italia, non si era mai visto. Sta di fatto che a Brescia si sono inventati il "guanto da viaggio": un guanto monouso di colore blu, con tanto di sponsor, per tutelare l´igiene dei passeggeri che si servono del mezzo pubblico per eccellenza. Ma non su tutte le linee. Solo su una: la 3. Che, chissà se e quanto casualmente, è tra quelle più utilizzate dagli immigrati. Il Comune di Brescia e Brescia trasporti dicono che l´iniziativa "guanto da viaggio" è un modo per «offrire agli utenti un´opportunità in più in termini di igiene». Ma la Cgil locale insorge, chiedendo che l´operazione sia bloccata. «La linea 3 è molto frequentata da cittadini stranieri e questa è un´iniziativa unica in Europa - dice Damiano Galletti, segretario generale della Cgil - . Non vorremmo che il guanto finisse annoverato tra le iniziative di intolleranza che ultimamente scaraventano la provincia di Brescia su tutte le prime pagine dei quotidiani nazionali. È uno spreco di soldi che va interrotto immediatamente. Oltretutto, se i guanti servissero per una questione di igiene, dovremmo metterli in tutti i luoghi pubblici».
La muffola della discordia si chiama Ufo ed è in plastica biodegradabile. L´ha partorita un´agenzia pubblicitaria (Ufo agency) e ha subito trovato l´adesione dell´assessorato alla Mobilità e al Traffico e di Brescia trasporti. Da tre giorni (per un mese, in via sperimentale) chi sale sulla 3 trova un distributore automatico di guanti monouso. Che una volta indossati, stando a quanto sostengono i promotori, garantiranno innanzitutto «una protezione completa che impedisce il contatto diretto delle mani»; e poi terranno anche informati i cittadini in quanto veicolo pubblicitario (le aziende potranno "comunicare" pagando un´inserzione da stampare sul guanto).
Insomma, pubblicità a parte: una barriera anti-germi. Ma secondo molti gli unici germi che si intravedono in questa storia sono quelli dell´intolleranza. «Se esiste un problema di igiene come organizzazione sindacale vorremmo esserne informati - continua la Cgil - visto che sugli autobus, oltre agli utenti, operano ogni giorno centinaia di lavoratori e lavoratrici. Perché dunque - ci si chiede polemicamente - in presenza di un pericolo per la salute pubblica non si allarga subito l´iniziativa anche alle altre linee?». Già, perché solo sulla linea 3, che va da Badia a Rezzato ed è ad alto tasso di utenza straniera?
A Brescia le tematiche dell´immigrazione sono sentite, e vissute, con particolare attenzione. La cronaca ha offerto molti spunti. Il censimento degli immigrati di Coccaglio; la vicenda dei bonus bebè solo per cittadini italiani, ma non solo. «Questa nuova giunta - attacca Galletti - sta creando molti problemi ai cittadini stranieri. Mi riferisco ai controlli, alle difficoltà a ottenere certificati, rinnovi e cambi di residenza». Ora, riscaldare di nuovo la pentola delle polemiche tocca al guanto Ufo.


Libia, c'è l'accordo: eritrei liberi

di Redazione
il Giornale 8 luglio 2010
I circa 250 rifugiati eritrei rinchiusi nel carcere di Brak saranno liberati. L'accordo raggiunto è stato reso noto dal ministro della Pubblica sicurezza. Potranno uscire in cambio di lavoro socialmente utile

Tripoli - Fumata bianca per i 250 rifugiati eritrei che da otto giorni si trovano nel centro di detenzione di Braq, nel deserto libico a sud del Paese. Avevano denunciato di essere sottoposti a maltrattamenti e torture rivolgendo un appello all’Italia e all’Europa affinché li inserissero in un programma ad hoc per i rifugiati politici. L'accordo è stato raggiunto: "liberazione e residenza in cambio di lavoro". Lo ha dichiarato il ministro della Pubblica Sicurezza Libico, generale Younis Al Obeidi, secondo quanto riferiscono fonti locali dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Iom). Tale accordo, firmato con il ministero del Lavoro libico, consentirà agli eritrei rinchiusi a Brak, di uscire in cambio di "lavoro socialmente utili in diverse shabie (comuni) della Libia". La notizia è stata confermata dal sottosegretario Stefania Craxi, ascoltata dalla commissione Esteri del Senato.

Question time al Senato "Il governo si prenda carico della situazione dei rifugiati nell’unico modo possibile: coinvolgendo l’Unione europea per disegnare un avvio di soluzione". Lo ha chiesto, nel corso del Question time della Camera, Francesco Tempestini replicando alla risposta del governo all’interpellanza del Pd sulle iniziative nei confronti della Libia per il rispetto dei diritti dei richiedenti asilo e degli immigrati irregolari presenti nei centri di detenzione.

La risposta del ministro Vito Era stato il ministro dei rapporti per il Parlamento Elio Vito, a nome del ministero degli Esteri, a replicare all’illustrazione dell’iniziativa parlamentare. Livia Turco, tra l’altro, aveva chiesto di "coinvolgere il parlamento nella gestione dell’accordo Italia-Libia" in modo da consentire ad una "delegazione parlamentare" di visitare i centri di raccolta degli immigrati. "È in corso un negoziato con l’Unione europea per un accordo quadro che comprende un ampio capitolo migratorio, con il mandato per ottenere garanzie per le persone che necessitano di protezione internazionale", ha spiegato Vito parlando dei tapporti con la Libia.

Chiesto un maggiore impegno Vito ha poi fornito una ricostruzione dei fatti, parlando di "tumulti scoppiati nel centro di Misurata a causa della distribuzione di alcuni formulari per la ricerca di personale per lavori socialmente utili, scambiati dagli interessati in formulari per il rimpatrio". Secondo Vito, la «vicenda non può essere risolta solo dalla nostra relazione privilegiata con la Libia, il governo è attivo per sollecitare un ruolo più incisivo dell’Unione europea". Tempestini si è detto insoddisfatto della risposta del ministro: "Abbiamo votato, e per noi è stato un voto impegnativo in modo assoluto, per il trattato con la Libia perché lì ci sono dei riferimenti esplciti e netti alla tutela dei diritti umani -ha detto l’esponente del Pd-. Dobbiamo fare sì che il governo eserciti una pressione molto forte perchè l’Unione europea rompa una situazione di stallo sulla politica di immigrazione comunitaria. Il govero si impegni con una forma maggiore".


Ben fatto
Il buon lavoro del governo sui profughi eritrei e una domanda all'Unione europea

Il Foglio, 08-07-2010
La situazione dei profughi eritrei rinchiusi nel libico di Brak pare avviata a soluzione, grazie anche a un intervento del governo italiano, che ha utilizzato gli eccellenti rapporti con il regime libico per fare in modo che i rifugiati ottenessero un lavoro capace dì sottrarli alla condizione ingiustificata di detenzione. L'attività del ministero degli Esteri e di quello dell'Interno, che anche questo giornale aveva sollecitato, ha saputo ottenere risultati senza che questo apparisse un'interferenza, per rispettare il senso, spesso esagerato, di indipendenza del governo di Muammar Gheddafi.
Va anche detto che, per una volta, l'autorità sovranazionale che si occupa di rifugiati ha evitato di usare i consueti toni censori, chiedendo invece all'Italia di interporre i suoi buoni uffici con Tripoli. Le polemiche sul presunto respingimento da parte dell'Italia dei rifugiati eritrei del quale non esiste alcuna prova, sono state archiviate, e l'Italia si è detta disposta ad accogliere eventuali richieste di asilo, come peraltro ha già fatto in occasioni precedenti, come ricorda la sottosegretaria agli Esteri Stefania Craxi. Tutto è bene quel che finisce bene. La vicenda tuttavia dovrebbe fornire l'occasione per una riflessione più distesa sull'intervento europeo nella questione dei profughi. L'Unione in quanto tale non è stata finora in grado di dotarsi di una regolamentazione comune, che suddivida anche gli oneri dell'accoglienza tra i vari paesi membri. Così i paesi che sono più lontani dagli epicentri delle tragedie che spingono all'emigrazione i profughi, si impancano a censori di quelli mediterranei, sui quali pesa l'intero onere della situazione. Naturalmente questa situazione squilibrata non esime nessuno dal dovere di tutelare i diritti umani, e la risposta di Roberto Maroni e di Franco Frattini ha onorato questo obbligo. L'accordo di "liberazione e residenza in cambio di.lavoro" applicato dal governo libico nei confronti dei rifugiati, peraltro, può rappresentare un meccanismo che, se imple¬mentato anche da rapporti internazionali, può rappresentare un passo significativo per l'assunzione anche da parte del paese africano di un impe¬gno umanitario. Un approccio razionale a un problema complesso può produrre risultati positivi, in primo luogo per chi è costretto a chiedere asilo per sfuggire a tragedie e persecuzioni. C'è da sperare che adesso la leggenda nera dell'Italia razzista e disumana venga abbandonata.


Arrestato un islamico che picchiava la moglie: "Posso farlo, è mia"

il Giornale 8 luglio 2010
Ida Magli
La legge di Maometto in Italia: arrestato dalla polizia un marocchino di 36 anni si giustifica così: "L'ho comprata con un regolare contratto e per il diritto del mio Paese sono a posto". Ma la nostra Costituzione, che lo vieta, vale per tutti: anche per gli islamici

La sua donna: una schiava comprata al mercato. Di cui disporre a piacimento, di cui fare ciò che si vuole, con potere di vita e di morte su di lei. Sembra una storia antica come quelle dei gladiatori. Eppu­re si ripete ancora nel Terzo millennio. Protagonista una coppia marocchina, trapiantata in Italia, a Montecchio,in Emilia. L’immi­grato viveva da tempo in Italia e all’inizio del 2009, dopo il matrimo­nio a Casablanca, era stato raggiunto dalla moglie ventiduenne. Ora è in cella e deve rispondere di maltrattamenti in famiglia, vio­lenza, lesioni, violenza sessuale.

Un marocchino che picchia la moglie non fa quasi più notizia in Italia. Abbiamo purtroppo dovuto commentare casi ben più gravi, addirittura l'uccisione di una moglie o di una figlia sulla base di motivazioni assolutamente incomprensibili e inaccettabili per la legge e per il costume italiano. Questa volta, però, non sarà inutile tornarci sopra, per due aspetti particolari. Il primo è che si tratta di un caso non di una singola esplosione di violenza motivata da una ragione particolare, ma di maltrattamenti continuati e gravissimi da parte di un marocchino che vive da parecchio tempo in Italia e che la giovane moglie, sposata con regolare contratto a Casablanca, ha poi raggiunto nella sua sede italiana. Un uomo, quindi, violento e brutale di per sé, a prescindere dalla sua cultura e dal comportamento della moglie. Ci chiediamo perciò: che mestiere fa questa persona? A che titolo, per quali meriti è ammesso a vivere regolarmente in Italia? Come mai è stato concesso il ricongiungimento familiare? Siamo pieni di psicologi, di assistenti sociali nelle nostre strutture sanitarie: nessuno segue e assiste il processo di adattamento psicologico degli immigrati?

Il secondo aspetto è quello che riguarda noi, e soprattutto i nostri politici, i quali si sono sempre rifiutati di riflettere sull'abisso che esiste fra la società europea e quella musulmana. La nostra è una civiltà sostanziata dall'unico concetto laico di diritto esistente nell'antichità, quello creato da Roma, sul quale si è poi radicato il dettato evangelico che ha messo alla pari uomini e donne condannando ogni discriminazione e ogni gesto di violenza (ovviamente padri e mariti violenti ce ne sono sempre stati, ma si trattava appunto di casi singoli diventati sempre più rari). Quale punto di contatto può esistere con la cultura musulmana? Maometto ha costruito il Corano sui primi cinque Libri della Bibbia (i più antichi), riguardanti una popolazione di pastori nomadi il cui senso della giustizia si fondava sulla legge del taglione, ossia sulla pena fisica.

Su questo «diritto» è basata la legge islamica. «La donna è di un grado inferiore all'uomo», recita la Sura della Vacca. Essendo inferiore, dipende dagli ordini dell'uomo, padre o marito che sia, lo deve servire. Questa è la fede dei musulmani: che vivano in Marocco o in Italia non fa nessuna differenza. In che modo far capire ai musulmani che esiste un codice di diritto «laico» che non ha nulla a che fare con il Corano? Credo che sia impossibile.

I nostri politici si debbono convincere che, contrariamente a quanto prescritto dalle norme europee, le religioni vanno giudicate e criticate quando affermano o prescrivono concetti e valori che confliggono, prima che con le nostre leggi, con ciò cui noi abbiamo dato il massimo valore: l'uguaglianza delle persone, in primis l'uguaglianza fra uomo e donna. In alcuni Stati d'America si è creduto di risolvere i problemi giudiziari della numerosa popolazione musulmana permettendo l'instaurazione di tribunali coranici. Si tratta di una decisione vergognosa per una democrazia che si vanta di essere la migliore del mondo. Di fatto una cittadina americana di religione musulmana è «di un grado inferiore all'uomo».
L'Europa, ma per prima l'Italia, patria dei maggiori giuristi che siano mai apparsi nella storia, deve impegnarsi a trovare il modo, insieme alle autorità islamiche, per eliminare quest'affermazione. Sono i principi della Costituzione italiana che devono essere affermati, al di là dagli eventuali reati, affinché questa Costituzione non sia «falsa» per i musulmani che vivono da noi.


Libia, l'annuncio della Iom:  firmato accordo per la liberazione degli eritrei

la Repubblica 07 luglio 2010
TRIPOLI - È stato raggiunto l'«accordo di liberazione e residenza in cambio di lavoro» per i circa 250 rifugiati eritrei rinchiusi nel carcere libico di Brak nei pressi di Seba, nel sud della Libia. Lo ha dichiarato il ministro della Pubblica sicurezza Libico, generale Younis Al Obeidi, secondo quanto riferiscono fonti locali dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom). Tale accordo, firmato con il ministero del Lavoro libico, consentirà agli eritrei rinchiusi a Brak di uscire in cambio di «lavoro socialmente utile in diverse shabie (comuni) della Libia».

IN 140 ACCETTANO - Secondo la Jana, agenzia di stampa libica, sono 140 gli eritrei di Braq che hanno già riempito i documenti con i quali accettano la proposta del governo libico di «lavoro socialmente utile in cambio della liberazione». Fonti vicine all'Iopcr (International Organization for Peace, Care and Relief), Ong libica, specificano inoltre che nel Centro per Migranti di Misurata (il primo nel quale erano stati portati i rifugiati eritrei, poi prelevati la mattina del 30 giugno per essere trasferiti a Braq), sono rimasti 32 uomini, 12 donne e 8 bambini eritrei. Insieme a loro si trovano oggi nel Centro, che in precedenza era destinato ad accogliere solo eritrei, anche immigrati nigeriani e somali.

STEFANIA CRAXI - «Il governo italiano non si è mai sottratto all'opera di sensibilizzazione nei confronti delle autorità libiche sulla questione dei diritti umani» ma occorre che la Ue, finora assente, «intervenga» in episodi del genere. Lo afferma il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi ascoltata dalla commissione Esteri del Senato, aggiungendo come tra l'altro non vi sia «nessuna prova» che i cittadini eritrei fino ad oggi detenuti nel centro detentivo libico di Braq siano stati oggetto di respingimento da parte italiana. Secondo Stefania Craxi poi l'Italia sarebbe pronta ad accogliere alcuni dei 250 cittadini eritrei attualmente in Libia a determinate condizioni: «Già nel 2009 abbiamo accettato una procedura di resettlement per 67 cittadini eritrei e se anche in questo caso si ripresentassero le medesime condizioni, il governo italiano farà la sua parte», ha assicurato la Craxi. «Ci aspettiamo che lo stesso facciano anche altri stati dell'Ue», ha aggiunto.



MAROCCHINO IN EMILIA
La legge dell'islam: la moglie si compra e si può picchiare

il Giornale, 08-07-2010
di Ida Magli   
Un marocchino che picchia la moglie non fa quasi più notizia in Italia. Abbiamo purtroppo dovuto commentare casi ben più gravi, addirittura l'uccisione di una moglie o di una figlia sulla base di motivazioni assolutamente incomprensibili e inaccettabili per la legge e per il costume italiano. Questa volta, però, non sarà inutile tornarci sopra, per due aspetti particolari. Il primo è che si tratta di un caso non di una singola esplosione  di violenza motivata da una ragione particolare, ma di maltrattamenti continuati e gravissimi da parte di un marocchino che vive da parecchio tempo in Italia e che la giovane moglie, sposata con regolare contratto a Casablanca, ha poi raggiunto nella sua sede italiana. Un uomo, quindi, violento e brutale di per sé, aprescindere dalla sua cultura e dal comportamento della moglie. Ci chiediamo perciò: che mestiere fa questa persona? A che titolo, per quali meriti è ammesso a vivere regolarmente in Italia? Come mai è stato concesso il ricongiungimento familiare? Siamo pieni di psicologi, di assistenti sociali nelle nostre strutture sanitarie: nessuno segue e assiste il processo di adattamento psicologico degli immigrati
Il secondo aspetto è quello che riguarda noi, e soprattutto i nostri politici, i quali si sono sempre rifiutati di riflettere sull'abisso che esiste fra la società europea e quella musulmana. La nostra è una civiltà sostanziata dall'unico concetto laico di diritto esistente nell'antichità, quello creato da Roma, sul quale si è poi radicato il dettato evangelico che ha messo alla pari uomini e donne condannando ogni discriminazione e ogni gesto di violenza (ovviamente padri e mariti violenti ce ne sono sempre stati, ma si trattava appunto di casi singoli diventati sempre più rari). Quale punto di contatto può esistere con la cultura musulmana? Maometto ha costruito il Corano sui primi cinque Libri della Bibbia (i più antichi), riguardanti una popolazione di pastori nomadi il cui senso della giustizia si fondava sulla legge del taglione, ossia sulla pena fisica. Su questo «diritto» è basata la legge islamica. «La donna è di un grado inferiore all'uomo», recita la Sura della Vacca. Essendo inferiore, dipende dagli ordini dell'uomo, padre o marito che sia, lo deve servire. Questa è la fede dei musulmani: che vivano in Marocco o in Italia non fa nessuna differenza. In che modo far capire ai musulmani che esiste un codice di diritto «laico» che non ha nulla a che fare con il Corano? Credo che sia impossibile. I nostri politici si debbono convincere che, contrariamente a quanto prescritto dalle norme europee, le religioni vanno giudicate e criticate quando affermano o prescrivono concetti e valori che confliggono, prima che con le nostre leggi, con ciò cui noi abbiamo dato il massimo valore: l'uguaglianza delle persone, in primis l'uguaglianza fra uomo e donna. In alcuni Stati d'America si è cre¬duto di risolvere i problemi giudiziari della numerosa popolazione musulmana permettendo l'instaurazione di tribunali coranici. Si tratta di una decisione vergognosa per una democrazia che si vanta di essere la migliore del mondo. Di fatto una cittadina americana di religione musulmana è «di un grado inferiore all'uomo».
L'Europa, ma per prima l'Italia, patria dei maggiori giuristi che siano mai apparsi nella storia, deve impegnarsi a trovare il modo, insieme alle autorità islamiche, per eliminare quest'affermazione. Sono i principi della Costituzione italiana che devono essere affermati, al di là dagli eventuali reati, affinché questa Costituzione non sia «falsa» per i musulmani che vivono da noi.


Per parlare di immigrazione non si deve cadere nella retorica

Liberal 8 luglio 2010
Mario Arpino
Ieri nel primo pomeriggio, all'ospedale militare del Celio dove era ricoverato in cardiologia, ho avuto modo di conversare brevemente sul problema dei rifugiati dell'ex Africa Orientale Italiana con il prof. Aleme Eshete, studioso di problemi africani, etiope in Italia dal 1986, quando il Derg (una sorta di consiglio dei ministri etiopico), lo ha obbligato a lasciare il Paese per motivi politici. Conosce bene la dura situazione degli etiopi e degli eritrei (che egli considera un solo popolo) nei campi libici, ma si sente altrettanto frustrato per la situazione - certo non paragonabile con quella della Libia - dei rifugiati politici in Italia. Che, secondo lui, è sempre stata umiliante a prescindere dal fatto che i governi in carica fossero di destra o di sinistra. L'accoglienza, secondo la sua esperienza, è fatta di misure di polizia e di firme di libri-presenza presso le Questure, come i delinquenti in libertà provvisoria o i sospettati di al-Qaeda. L'assistenza, invece, sarebbe scaricata dallo Stato sulle spalle delle varie
3ng, le confraternite caritatevoli e la Caritas. Interessante, la conversazione con il  professore.   Mi sono   però   reso conto che la materia dei rifugiati politici   si   presta nolto    ad    essere trattata come  questione di parte e, in particolare,     come questione  di parte "sinistra".    È    una questione importante, delicata, che richiede  soprattutto calma ed oggettività,  oltre  ad  un esame     completo della situazione e del contesto. Altrimenti si rischia di cadere nella trappola di chi della questione si è temporaneamente appropriato sopra tutto per finalità politiche, piuttosto che umanitarie. Lasciamo questo atteggiamento a chi lo utilizza per mestiere da sempre, evitando per quanto possibile di unirci a cori il cui livello di approfondimento e di oggettività spesso non si discosta di molto da quello che emerge dagli slogan dei così detti centri sociali. Ciò detto, va anche rico-nosciuto che se il problema dell'immigrazione clandesti¬na, che era per unanime pare¬re di destra e sinistra una delle nostre priorità, appare ora drasticamente ridimensionato, è possibile che per ottenere questo risultato sia stato ne-cessario assorbire tempora-neamente qualche "danno collaterale". Va ancora detto che solo una minima parte dei 250 eritrei deportati da Misurata verso i campi di Sheba dopo una sommossa, proveniva da "respingimenti" in mare effettuati dalle nostre autorità. An-cora, bisogna dire che anche per i libici, come già accadeva alla nostra polizia di frontiera a Lampedusa, è assai difficile concedere il "diritto dello stato di rifugiato" a chi non vuole la-sciarsi identificare. Ciò che sta accadendo è comunque increscioso, e il nostro Governo pare stia esercitando con la dovuta discrezione - altre volte ha avuto successo - i suoi buoni uffici. Che la Libia non sia una perla di democrazia lo si sapeva. Anche quando l'Onu l'ha inserita nella commissione per la tutela dei diritti umani, della quale, se non erro, ha avuto per un certo tempo anche la presidenza. E non ricordo di aver udito, in quella circostanza, l'accorato appello dei nostri sinistri coristi.


Italia pronta ad accogliere i liberati eritrei

il Sole 24Ore 8 luglio 2010
L'odissea dei 250 cittadini eritrei detenuti in Libia sta per terminare. Ieri è stato rag-giunto l'accordo per la loro «liberazione e residenza in cambio di lavoro». Un'intesa sottoscritta, a sentire i ministri dell'Interno e degli Esteri (Roberto Maroni e Franco Frattini), «grazie alla mediazione italiana» ma con «l'as¬senza totale e assoluta dell'Europa». Frattini e Maroni hanno anche respinto l'accusa proveniente da alcuni rifugiati di essere stati rispediti in Libia proprio dall'Italia, «senza che venissero neppure controllati i documenti». Definendola «indimostrabile». Come annunciato dal sot-tosegretario agli Esteri Stefania Craxi, il nostro paese è comunque pronto «ad accogliere alcuni dei rifugiati», purché «lo stesso facciano anche altri stati dell'Ue».
In base all'accordo gli eritrei liberati saranno affidati a diverse «shabie» (una sorta di prefetture) per essere avviati a lavori socialmente utili. Su 250 hanno già accettato in 140.


La Craxi: "accordo raggiunto, gli eritrei saranno liberati"

Secolo d'Italia 8 luglio 2010
Antonio Pannulh
Si sta risolvendo la questione dei circa 250 profughi Eritrei detenuti nel deserto libico in precarie con-dizioni, per i quali vi sono stati negli ultimi due giorni appelli bipartisan al governo italiano. La drammatica vicenda è giunta in parlamento, dove ieri il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi, ascoltata dalla commissione Esteri del Senato, ha confermato il raggiungimento di un accordo per la liberazione e residen¬za degli eritrei «A governo italiano non si è mai sottratto all'opera di sensibilizzazione nei confronti delle autorità libiche sulla questione dei diritti umani» ma occorre che la Ue, finora assente, intervenga in episodi del genere, ha detto. In mattinata lo stesso ministro degli Esteri Franco Frattini aveva inusitatamente polemizzato con Bruxelles, augurandosi che «l'Unione Europea batta un colpo. È incredibile che da Bruxelles non sia venuto neanche un comunicato stampa su questa vicenda», e ha aggiunto: «È bene che quei cittadini non siano rimpatriati in Eritrea ma siano avviati a lavori socialmente utili», ha spiegato il titolare della Farnesina, evidenziando che «la cosa importante è che le autorità libiche abbiano dimostrato grande disponibilità a reintegrare in Libia presso un'organizzazione internazionale» i rifugiati». «La Libia - ha concluso Frattini - ha compreso che se queste persone rischiano persecuzioni nel Paese d'origine è bene che non siano rinviate». Da parte sua il sottosegretario Craxi ha reso noto di aver chiesto a Tripoli che un diplomatico italiano possa in¬contrare gli eritrei dichiarando la disponibilità del-l'Italia ad accoglierne almeno una parte, e ha tenuto a precisare come non vi sia «nessuna prova» che i citta¬dini eritrei  detenuti nel centro detentivo Ubico di Braq siano stati oggetto di respingimento da parte italiana. Indirizzo confermato dal ministro dell'Interno Roberto Maroni, secondo cui «il governo italiano non ha nessuna responsabilità sulla vicenda», ha infatti ribadito Maroni. Anche per il titolare del Viminale, «è assolutamente indimostrato che queste persone siano state respinte all'interno degli 850 respingimenti e quindi io rifiuto ogni responsabilità del governo italiano. Noto però che dall'Onu e soprattutto dall'Europa non è venuto nessun interessamento».
Ma nell'annunciata conferenza stampa a Montecitorio dell'associazione "A buon diritto", presieduta da Luigi Manconi, si è appreso che alcuni tra i rifugiati eritrei «sono stati respinti dall'Italia nel 2009 e altri rimpatriati in Libia su richiesta italiana nel corso di quest'anno». Anche per questo «la proposta più puntuale» per gli eritrei  fino a oggi rinchiusi nel carcere libico di Braq «è il loro reinsediamento in Italia». A sostenerlo è il presidente del Comitato italiano per i rifugiati (Cir) Savino Pezzotta nella conferenza stampa alla quale hanno partecipato anche i parlamentari Giovanni Maria Bellu, Fabio Granata, Flavia Perina, Jean Léonard Touadi, Livia Turco, oltre ovviamente agli stessi Pezzotta e Manconi. Pezzotta, ricordando che il Cir già «lo scorso 30 giugno aveva segnalato al premier Berlusconi e al ministro degli Esteri Frattini» la situazione dei circa 250 detenuti eritrei ha quindi illustrato la sua proposta: «trasferire i rifugiati in Italia per un loro reinsediamento». Nel frattempo, ha aggiunto Pezzotta, occorre «evitare che l'identificazione degli eritrei non coinvolga le autorità di Asmara. Sono persone in fuga. Se identificati potrebbero esserci rappresaglie anche sulle loro famiglie o sui loro villaggi natali» da parte delle autorità eritree. Invece si apprende che «le autorità libiche stanno completando la raccolta dei dati personali degli eritrei per poi affidarli a diverse Prefetture per avviarli a lavori socialmente utili». Lo ha reso noto il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito.

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