Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

3 giugno 2011

Trovati 150 cadaveri al largo delle coste tunisine
Repubblica 3 giugno 2011
TUNISI - Centocinquanta cadaveri sono stati trovati al largo della costa tunisina. Si tratta di migranti che erano a bordo del barcone andato in avaria 1 durante la traversata verso Lampedusa. La notizia è stata data da un funzionario dell'Onu. Ieri l'agenzia di stampa tunisina Tap aveva riferito che 570 persone erano state tratte in salvo e altre 200-270 risultavano disperse. Arrivato a una ventina di chilometri dall'isola di Kerkennah, il barcone si era trovato in difficoltà a causa di un guasto e del mare mosso. I profughi avevano cercato di raggiungere alcuni piccoli pescherecci e si erano accalcati. La ressa ha fatto rovesciare le imbarcazioni e la guardia costiera tunisina era riuscita a salvare soltanto una parte dei naufraghi. "Finora 150 corpi di rifugiati sono stati trovati al largo delle coste di Kerkennah - ha detto Carole Laleve, funzionario dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati - Le operazioni di ricerca proseguono".




L'ultima tragedia dei migranti: 250 dispersi nel Mediterrâneo
La Stampa 3 giugno 2011
Laura Anello
Ci sono altri due- centocinquanta fantasmi qui, in -questo Mediter¬râneo che ne ha inghiottiti migliaia. Bambi¬ni, donne, uomini. Molti non avevano mai visto il mare quando ieri mattina, di fronte alia Tunisia, sono rimasti alia mercê delle on¬de, il motore in panne, il vento a sibilare, la chiglia a ondeggiare su e giü e poi a capovolgersi, i mezzi delia guardia costiera e dell'eser- cito costretti a stare lonta- ni per il fondale basso, solo i gommoni «Zodiac» a fare la spola con la costa. A bor¬do quasi ottocento dispera- ti, partiti dalla Libia in guerra, in navigazione da due giorni e due notti. Alia fine gli uomini del soccorso tunisino ne mettono in sal-vo 578. Gli altri restano li, a galleggiare, annegati «Le operazioni di soccor-so eráno lentissime - raccon- ta un testimone - si sono spostati tutti su una fianca- ta per salire sui gommoni, è stata la fine». I marinai a ur- lare: «State calmi, state cal- mi, prima le donne e poi i bambini, aspettate il vostro turno». Loro ad aggrappar- si a tutto e a tutti, braccia, legni, capelli, prima di ar-rendersi al mare. Duecento nuovi morti, senza pace, senza nome, senza storia, a ingrossare la conta dei se- polti nel Mediterrâneo: 1.300 solo da gennaio a oggi. Quasi 16 mila dal 1988, se- condo i dati raccolti di «For¬tress Europe», oltre quat- tromila dei quali rimasti qui, nel Canale di Sicilia che è confine tra due continenti «Mare maligno è questo», sbotta un pescatore sul moio diLampedusa La conta dei morti di quest'anno di esodi parte I'll febbraio, con il naufra- gio di un vecchio motope- sca partito dal porto di Zar- zis: quaranta dispersi. Tre giorni dopo nuova trage¬dia, con 5 morti e 17 disper¬si. II 4 marzo due corpi mai più trovati nella carretta ri- masta per quattro giorni in balia del mare dopo essere partitá dal porto di Biserta. Gli altri si salvano grazie all'intervento di un pesche- reccio di Mazara del Vallo, equipaggio misto di italiani e tunisini, come in tutta la marineria délia città più multietniea di Sicilia, dove l'integrazione è realtà e nel- le scuole pubbliche chi vuo- le studia anche l'arabo Dieci giorni dopo è la vol¬ta dei sessanta inghiottiti dal mare: nessuno l'avreb- be saputo se i superstiti non fossero stati raccolti da altri barconi in transito su quella direttrice Africa- Italia che è diventata più trafficata di una rotta di li- nea. E poi tre morti, e altri dodici, e ancora sette, fino alla grande tragedia dei 22 marzo, quando una carret-ta con 335 somali ed eritrei parte dalla Libia e non arri-va mai. Scomparsa, come nel triangolo delle Bermude.
Ma non è finita: tre giorni dopo, 68 spariti nel nulla. Il primo aprile il mare restitui- sce i corpi martoriati di 27 ra- gazzi sulle coste dell'isola tu- nisina di Kerkennah: hanno tutti tra 19 e 23 anni. Due giorni dopo i marinai ne pe- scano ancora settanta, di ca- daveri, dopo un naufrágio da- vanti aile coste di Tripoli. Il 6 aprile nuova grande trage¬dia, con più di 250 scomparsi durante un'operazione di soc¬corso che ne salva 51. Gli eli- cotteri délia guardia di finan- za si levano e awistano i cor¬pi. C'è pure un neonato con una tutina bianca La settimana dopo, il 13, due donne muoiono in uno sbarco a Pantelleria, l'isola- bunker. E infine, il 6 maggio, ennesima tappa della via cru- cis del mare, con il naufragio di un barcone con seicento di- sperati davanti alle coste di Tripoli, e centinaia di dispersi.
Qui a Lampedusa, questa volta, grida e sirene sono lon- tani, sulla sponda d'Africa. Ma se sono arrivati i turisti per la tre giorni organizzata da Cláudio Baglioni in segno di solidarietà a migranti e isolani (si chiama «Susiti», che in siciliano significa àlza- ti), il dramma si consuma in silenzio, dietro i cancelli chiusi del centro di aeco- glienza. Venti tunisini hanno inghiottito lamette da barba.
«Vogliono accelerare il tra- sferimento in altre strutture ed evitare il rimpatrio» - rac- conta Pietro Bartolo, respon- sabile del poliambulatorio dell' isola, uno che in questi mesi ha chiuso gli occhi ai morti e ha fatto nascere i bambini del¬le migranti arrivate sui barco- ni. Si alza in cielo l'elieottero che ne trasferisce 35 a Paler¬mo, tappa intermedia prima del rimpatrio Ci saranno altri casi di au- tolesionismo? «Temo proprio di si», risponde.




Profughi in fuga altri 270 annegati
Il Riformista 3 giugno 2011
Laura Landolfi
Volevano raggiungere l'I- talia ma non ce l'hanno fat- ta. Ora circa 270 profughi, fuggiti dalla Libia, sono di-spersi in mare. Il barcone su cui viaggiavano si è arenato al largo delle isole tunisine Kerkennah martedi scorso.
a bordo, secondo la Guardia costiera tu- nisina, Cittadini asiatici, africani e tunisi- ni. Altre 570 persone sono state tratte in salvo dalla guardia costiera e dall'Esercito ma il maltempo e le acque basse hanno complicato le operazioni di soccorso. Il barcone sembra esser- si capovolto quando moite persone, impaurite, hanno cercato di mettersi in salvo. Solo due i cor- pi finora recuperati. D'altro canto la vigilia del- l'intervento di Roberto Maroni sul tema "Chi de¬ve governare le politiche delPimmigrazione?", nell'ambito delia VI edizione dei Festival "I con¬fim delia libertà economica", non si prospetta co¬me una buona giornata. Infatti anche ad Otran¬to un barcone
proveniente dalla Libia è stato soc¬corso 1'altro ieri notte da una motovedetta delia Guardia di Finanza che ha condotto 135 clande- stini al centro Don Tonino Bello per identificar- li mentre tre scafisti sono stati già arrestati. Ma gli arrivi continueranno probabilmente per tutta 1'estate, secondo Oliviero Forti responsabile na- zionale immigrazione delia Caritas Restano i problemi di accoglienza: un mag- giore impegno da parte dell'Europaper fronteg- giare il fenomeno immigrazione è stato chiesto da Berlusconi al presidente dei Consiglio euro- peo Herman Van Rompuy, in occasione dell'in- contro avuto ieri a villa Doria Pamphili a Roma. Sul fronte interno 1'accordo dei 6 aprile scorso tra Stato ed Enti locali per la distribuzione sul ter¬ritório degli immigrati - il quale prevedeva tra 1'altro che le risorse fossero reperite attraverso il Fondo nazionale di Protezione civile, un fondo di per sé limitato, come ha dichiarato lo stesso capo delia Protezione civile Franco Gabrielli- ad oggi sembra essersi dimostrato poco fruttuoso. Tanto che lunedi scorso il vice presidente Anci con delega alla Sicurezza e ali'immigrazione e sindaco di Padova, Flávio Zanonato, parlando a margine delia Conferenza Unificata straordina- ria sull'emergenza immigrazione che si è svol-ta a Palazzo Chigi, ha sentito la necessità di chie- dere «un pieno coinvolgimento delle Regioni nella gestione deli'accoglienza degli immigrati dei Nord Africa». Non è la prima volta che Za-nonato denuncia una scarsa partecipazione di al- cune Regioni, specialmente quelle del Nord. Pochi giorni fa proprio l'Anci forniva alcune cifre sugli arrivi in Italia: dall'inizio dell'anno so¬no circa 39mila gli arrivi, nella maggior parte (50-60 %) una migrazione economica. Di que- sti solo una piccola parte si fermava nel Paese. Negli ultimi mesi - sempre secondo Gabrielli - la situazione è cambiata, si sta infatti registrando in maniera significativa l'afflusso dei richiedenti asilo (circa 12 mila), di cui 9 mila sono già stati distribuiti nelle varie Regioni italiane. Ma le pro-cédure burocratiche per la concessione delia cit- tadinanza (o per il riconoscimento dello status di soggiornante di lungo período) vanno a rilento: ci vogliono in media un paio d'anni che arrivano volentieri a tre o quattro. Cosi il Io giugno scor¬so l'Inca, insieme a Cgil e Federconsumatori ha presentato due class action a difesa dei Cittadini immigrati. Secondo la Cgil benché la legge pre- veda che lo straniero possa chiedere il soggiorno a tempo indeterminato per sé e per i propri fami- liari, «moite questure si ostinano a procrastina- re la concessione dei titolo fino a che ciascuno dei familiari non abbia maturato il requisito del¬le presenza ultra-quinquennale sul territorio ita¬liano». Sessantatré gli immigrati coinvolti fino¬ra. Ma la lista potrebbe allungarsi.




Le isole di Kerkennah dai turisti ai disperati
Il Messaggero 3 giugno 2011
DJERBA - Le isole Kerkennah, luogo del- l'ultima tragedia di disperati, sono a pochi chilometri di distanza. Due isole turistiche, unite dalla presenza di centinaia di migliaia di turisti europei che quest'anno, terrorizza- ti dai prodromi delia rivoluzione tunisina, dai profughi e dalla vicina guerra in Libia, hanno preferito altre mete. Un mondo inavvicinabile, quello dei villeggianti low cost europei, figli del pacchetto vacanza tutto compreso e presenti all'aperitivo delle sette nei bar dei tantissimi hotel dell'isola, che nulla ha a che spartire con quello degli oltre settecento disperati finiti in acqua su uno degli innumerevoli barconi, vere e proprie carrette del mare, che quasi ogni giorno lasci ano i porti libici per av venturar- si in un viaggio che forse, se tutto va bene e la barca tiene, li portera Italia, Duecentoset- tanta di loro non ce l'hanno fatta. Sono quasi certamente affogati.
«Decine di barconi partiranno dalla Libia per raggiungere l'Italia», aveva detto solo una settimana fa un giovane libico con il fratello a capo di una organizzazione coinvolta nel trafiïco di clandestini. Nelle ultime settimane, diversi suoi uomini cerca- vano barconi a buon mercato nella capitale libica perportarli poi a Zuara. Non un'ope possibili per garantirsi un futuro nell'era post Gheddafi, se e quando verrà in quest Libia sempre piü frantumata e divisa. Sfrut- tando la disperazione degli altri, ovviamen- te. Khaled Khaim, viceministro degli Este- ri, aveva preannunciato situazioni del gene- re: «A presidiare i conflni a Sud avevamo 30mila soldati. Ora li abbiamo spostati tutti a nord per presidiare le nostre posizio- ni. Nessuno piü controlla i clandestini. Ne arriveranno decine e decine di migliaia sulle coste. E la colpa è vostra». I circa 570 disperati, salvati da privati e dalla guardia costiera tunisina, sono stati portati prima a Sfax, dove diversi di loro sono stati ricoverati nell'ospedale locale. Gli altri sono finiti al campo profughi di Choucha, vicino a Ras Jdir, posto di confi¬ne tra Libia e Tunisia. Non è il solito tragitto dei barconi che partono da Zuara, questo: il cattivo tempo e forse l'imprepara- zione di chi ha guidato la nave, ha portato la barca fuori rotta. Una tragedia nella trage¬dia che continua a coinvolgere ed unire Libia e Tunisia in un destino di instabilità razione
politica, ma un mero business: un barcone con oltre settccento persone a bor¬do è l'equivalente di oltre
settecentomila euro. Una fortuna, in un momento come questo, dove nella capilale libica la sensazio- ne è quella di vi vere nella Berlino dell'aprile 1945, con il nemico berbero e delia tribü di Zintan alie porte, a 100 chilometri sulle montagne e i bombardamenti continui del¬ia Nato. Chi ha i mezzi cerca di far più soldi ma anche in un futuro diverso e meno sofferto: qui infatti, centinaia di migliaia di profughi sono stati accolti senza particolari problemi. Prima gli immigrati africani, poi i libici. Oggi sono almeno 50 mila infatti quelli presenti soprattutto nella regione di Tataouine, nel profondo Sud, ma anche sulla costa, a Zarzis e Djerba Vengono tutti dalle montagne dello Djebel Nafusah, mes¬se a ferro e a fuoco dai combattimenti tra forze governative e ribelli. Berberi, con la loro língua, le loro tradizioni e la loro lingua. Amazigh «La prova che ha dato il popolo tunisino nei confronti dei profughi provenienti dalla Libia è stata splendida» sostiene Mohamed Essaye, commissario rcgionale per il turi¬smo delia regione di Djerba. «Da noi c'è un provérbio che dice: se il tuo vicino sta bene stai bene anche tu». Ecco, noi abbiamo aperto le case a tutti coloro che avevano bisogno. Prima gli africani e poi i libici. Ma da soli non ce Ia facciamo. Abbiamo biso¬gno di aiuto dai Paesi europei e anche di fiducia. Invece siamo boicottati per quanto riguarda Tafílusso di turisti dovuto ad una cattiva informazione. Tutta la nostra gente vive di turismo e tutta l'economia è legata a questo comparto. Se non c'è lavoro, anche i nostri saranno costretti a partire».




Lamette in gola per evitare il rimpatrio
Corriere della Sera 3 giugno 2011
A. Sc.
LAMPEDUSA— «È più facile gestire migliaia di immigrati provenienti dalla Libia che non i pochi tunisini rimasti» . Nelle parole del questore di Agrigento Girolamo Di Fazio, il senso di quello che a Lampedusa rimane ancora un problema. Anche se gli accordi con la Tunisia sembrano funzionare e il flusso da quel Paese si è praticamente arrestato i pochi tunisini che comunque arrivano impegnano non poco le forze dell’ordine. Per loro è infatti previsto il rimpatrio coatto, ipotesi alla quale cercano di sottrarsi in tutti i modi. Ieri l’ennesimo episodio di autolesionismo. Dieci immigrati hanno ingoiato lamette e pezzi di vetro finendo nel piccolo ambulatorio dell’isola e per alcuni si è reso necessario il trasferimento a Palermo. Negli ultimi due giorni sono oltre venti i tunisini che si sono lasciati andare a gesti di autolesionismo. «Ormai ingoiano di tutto — spiega Di Fazio —: oltre alle lamette, che da ieri (mercoledì, ndr) abbiamo fatto scomparire, pezzi di neon, piccoli oggetti metallici e pezzi di vetro. In molti casi pero è autolesionismo camuffato, in quanto prima di ingoiare questi oggetti stanno attenti ad avvolgerli con la plastica» . Attualmente sono 170 i tunisini su un totale di 800 migranti ancora presenti nel centro di accoglienza di Lampedusa. I rimpatri oltre a essere molto difficili da gestire vanno anche a rilento. Ieri ne sono partiti 35 e molto spesso non superano i 100 a settimana. Lampedusa intanto cerca di trovare un sua normalità in vista della stagione estiva. Vengono rimossi i barconi per mesi ammassati al molo e da stasera parte «Susiti» , la manifestazione voluta da Claudio Baglioni in segno di solidarietà con la gente di Lampedusa.




I diciassette scafi della flotta dei disperati
Corriere della Sera 3 giugno 2011
Giuseppe Sarcina
Sulle mappe degli scafisti è tracciata una nuova rotta ad angolo retto. Una linea che comincia dal porto libico d Zuwarah, piega nelle acque territoriali tunisine, doppiando il promontorio di Zarzis e Djerba, si allunga verso le isole di Kerkennah e da lì prosegue fino al capo di Teboulba. A quel punto la direzione scarta di novanta gradi e punta verso Lampedusa. È la risposta dei clan para-mafiosi all’accordo sul «contenimento dei flussi» , firmato da Italia e Tunisia il 6 aprile 2011. Certo, i rischi si sono moltiplicati rispetto solo a pochi mesi fa. E quando si parla di mare, «rischi» significa morti annegati. I quasi trecento profughi dispersi davanti al piccolo arcipelago di Kerkennah andranno messi in conto, riferiscono da Tunisi fonti attendibili, a un boss locale, proprietario di una flottiglia di 17 pescherecci. Uno peggio dell’altro, sia chiaro. Infami bagnarole, in grado di fare a malapena la spola tra le banchine e le reti per le sardine e i calamari, disposte a tre-quattro chilometri dalla costa. Ma non certo per affrontare, stracariche come vagoni della metropolitana nell’ora di punta, i 100-120 chilometri che separano l’ultimo promontorio della Tunisia da Lampedusa (il lato più insidioso dell’angolo retto). Ma di tutto ciò ai trafficanti tunisini non importa nulla. Le loro mosse, spiace dirlo, sono razionalmente criminali, perché tengono conto, per così dire, delle variabili politiche e delle conseguenze economiche. E allora i dispersi, gli annegati vengono contabilizzati alla voce «incidenti di percorso» , in qualche modo preventivati. È il business dell’immigrazione clandestina valutato almeno 30 milioni di euro, ripartito in grande stile con il rovesciamento del regime di Ben Alì (14 gennaio 2011) e che ha vissuto (e vive) continui aggiustamenti. Da un mese a questa parte la rotta principale, Zarsis-Lampedusa, è in netto ribasso. Non che nel porto e sulle spiagge vicine ai grandi alberghi tutto sia ritornato alla normalità. Ma i controlli in mare della guardia costiera e il pattugliamento di gendarmeria ed esercito lungo la battigia stanno contenendo gli imbarchi. Da qui, nel mese di maggio, sarebbero partiti circa 150-200 migranti, quando tra febbraio e marzo saltavano sulle barche in 400-500 quasi ogni notte. La pressione delle autorità italiane, rappresentate a Tunisi dall’ambasciatore Piero Benassi, comincia a dare qualche risultato, almeno a Zarzis. Poche settimane fa, a Civitavecchia, il governo italiano ha consegnato 4 motovedette alla marina tunisina, oltre a diversi motori marini e a una ventina di jeep per il fuoristrada. Non è tutto quello che è previsto negli accordi. Ma è un inizio. In cambio l’esecutivo provvisorio tunisino, una volta allentata l’attenzione di tv e giornali locali in tutt’altro affacendati (la data delle elezioni, il dibattito sulla costituzione), ha rallentato la cadenza dei rimpatri dall’Italia. Ora si procede con qualche volo alla settimana, e non tutti i giorni come piacerebbe a Roma, per un totale di 100-150 immigrati riportati indietro ogni sette giorni. Per i clan tunisini, indubbiamente, le cose si sono complicate. Come stanno rispondendo? La tragedia di ieri e gli sbarchi delle ultime settimane a Lampedusa mostrano in controluce una nuova strategia. Innanzitutto i trafficanti, riprese in mano le carte nautiche, hanno riaperto il corridoio Zuwarah Lampedusa, cancellato dall’accordo Gheddafi-Berlusconi del 2008. Poi hanno rispolverato le vecchie alleanze con i criminali libici d’oltreconfine, ormai sfuggiti al controllo di Tripoli. E così sono risbucati i barconi. Certo, la «clientela» è cambiata. Meno giovani tunisini, scoraggiati dal rientro coatto dei coetanei dall’Italia, più centroafricani, nati in Mali, Chad, Niger, Sudan, Nigeria, Ghana. La maggior parte di loro costituiva il nerbo della forza lavoro del Colonnello e sono in fuga ormai da mesi. Tanti, circa 60 mila secondo la stima di un’organizzazione seria come «Medici senza frontiere» , hanno puntato verso Sud,cercando di tornare a casa attraversando il deserto del Niger. Altre migliaia sono state spinte verso il porto di Zuwarah, dove trovano a riceverli scafisti libici e battelli tunisini (o anche il contrario). Finora ce l’hanno fatta in 11 mila, raggiungendo Lampedusa con due varianti: traversata diretta, con eventuale deviazione verso Malta, se lo scafo sembra in condizioni di reggere; oppure, se il battello è malandato, navigazione sotto costa, beffando tranquillamente l’unica fregata militare tunisina schierata sulla verticale di Zarzis. Ma non sempre sfuggendo alla morte. C’è dell’altro. O meglio, ci sarebbe un’altra pista da tenere sotto osservazione, che porta a quella specie di palude sabbiosa che è diventato il campo profughi di Choucha, al confine tra Libia e Tunisia. Da marzo, ormai, circa 4.000 rifugiati sono inchiodati nelle tende bianche delle Nazioni Unite. Anche loro sono quasi tutti africani (soprattutto somali, eritrei e sudanesi), abbandonati dai loro governi e, di fatto, dimenticati dall’opinione pubblica e dagli Stati occidentali. Nessuno riesce a riportarli a casa: l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr), nonostante i ripetuti appelli alla comunità internazionale, finora ha raccolto 48 milioni di dollari, ma per fronteggiare l’emergenza ne servirebbero 80. Risultato: i soldi non bastano per pagare il volo a tutti. Senza contare che chi riesce a salire su un aereo viene subito rimpiazzato dai nuovi in arrivo dal valico di frontiera a Ras Jedir. Tre mesi di notti passate con altre nove persone in una tenda quattro metri per cinque (due metri quadri a testa) può spingere a scelte disperate. E così negli ultimi giorni a Choucha ci sono stati gravi scontri (con almeno due morti) e sono cominciate ad arrivare voci (e anche qualche testimonianza) inquietanti. A decine, se non a centinaia, i profughi fuggirebbero dal campo e si affiderebbero ai contrabbandieri di benzina per farsi riportare in Libia. Verso la costa, verso i barconi per Lampedusa, dove li accolgono (spogliandoli anche delle ultime misere cose) gli scafisti. Intraprendenti e dinamici sciacalli.




Tripoli, la rotta maledetta uno su dieci non ce l'ha fatta
La Repubblica 3 giugno 2011
Vladimiro Polchi
Cambiano le rotte, cre¬sce il numero delle vittime. Un morto ogni undici migranti: ec- colo il trágico bilancio dei

viaggi delia Speranza sulla rotta Libia- Lampedusa. II Mediterrâneo continua a ingoiare corpi: una strage

senzaprecedenti. Dall'ini- zio dei 2011 sonoalmeno 1.615 i nomi che mancano all'appello, nel canale di Sicilia. Una

conta in continuo aggiornamento, che supera anche 1'annus horribilis dei 2008 (precedente alia politica dei

respingimenti), quando si contarono 1.274 vittime, a fronte di 36mila arrivi in Sicilia. E tutto questo senza

contare i naufragi fantasma, i cui numeri resteran- no sempre ignoti. Afotografare la tragedia è 1'osservatorio

Fortress Europe, che monitora costante- mente le notizie sulla stampa in- ternazionale, relative alie vittime

dell'emigrazione nel Mediterrâ¬neo: «Dal 1994, nel canale di Sici¬lia sono morte almeno 5.903 per¬sone, lungo le

rotte che vanno dalla Libia (Zuwarah, Tripoli e Misratah), dalla Tunisia (Sousse, Chebba e Mahdia) e dall'Egitto (in

particolare la zona di Alessan¬dria) verso le isole diLampedusa, Pantelleria, Malta e la costa sudo- rientale delia

Sicilia. Ma anche sulle rotte dall'Egitto e dalla Tur- chia, alla Calabria. Più délia meta (4.572) sono i dispersi.

Altri 189 giovanisonoannegatinavigando dalla città di Annaba, in Algeria, alla Sardegna». L'anno peggiore? Senza

dubbio il 2011: tra morti e dispersi sono già scomparse nel canale di Sicilia almeno 1.615 persone. Latragica conta

comin- cia I'll febbraio scorso, col nau- fragiodiunvecchiopeschereccio
al largo di Zarzis in Tunisia (circa 40 gli immigrati dispersi, quasi tutti presumibilmente morti) per arrivare agli

oltre 200 dispersi di ieri, sempre alargo dalle coste tu- nisine. Nel 2011 nel canale di Sici¬lia si sono incrociate

due rotte: una dalla Tunisia, l'altra dalla Li¬bia. La prima si è aperta all'inizio dell'anno, con numeri altissimi,

per poi ridursi progressivamente dopo l'accordo con le autorità tu- nisine sui rimpatri forzati. La rot¬ta dalla

Libia si è aperta invece nelle ultime settimane, con sbar- chi via via crescenti, gestiti direi-tamente dagliuomini

del moren- te regime libico. Dall'inizio del¬l'anno sono sbarcate circa 15mi- la persone dalla Libia e 25mila dalla

Tunisia. Eppure di quei 1.615 morti solo una minoranza è annegata sulla rotta tunisina. Mentre - sono i calcoli di

Fortress Europe - sulla rotta libica i morti sono 1.221. Tradotto: nei viaggi dalle coste libiche muore un mi¬grante

su undici.




Napolitano: Noi emigranti ora Paese di immigrazione
Tmnews.it 3 giugno 2011
L'Italia è un "paese di immigrazione", ma è stato un paese di "emigrazione" per molto tempo. Il capo dello Stato Giorgio Napolitano lo ha ricordato durante il brindisi offerto al Quirinale prima del pranzo di Stato per il 150mo anniversario dell'unità d'Italia: "Eravamo partiti da condizioni di grave arretratezza, 150 anni fa. Non pochi tra voi - Illustri Ospiti - sanno che cosa sia stato nel passato il fiume dell'emigrazione italiana : da questo nostro paese, che dopo l'unificazione non riuscì per lungo tempo a offrire prospettive di lavoro a troppi suoi figli, partirono nel corso di un secolo, emigrando nel resto d'Europa e nel Nuovo Mondo, al di là degli oceani, oltre venticinque milioni di italiani"."E' solo da poco più di vent'anni - ha aggiunto - che l'Italia è divenuta invece un paese di immigrazione, fino a registrare una presenza di stranieri pari al 7% della popolazione: ultimo segno della trasformazione che l'economia e la società italiana hanno conosciuto".L'ennesima tragedia dell'immigrazione, che questa volta ha ucciso forse 270 persone, morte nel tentativo di raggiungere Lampedusa e l'Italia, si è consumata solo ieri al largo della costa tunisina: tra i 200 e i 270 migranti, fuggiti dalla Libia e potenziali richiedenti asilo, risultano dispersi. Circa 600 sono invece quelli tratti in salvo secondo le autorità tunisine.La loro imbarcazione sovraffollata era rimasta in panne quando si trovava a 36 chilometri al largo delle isole tunisine Kerkennah (sud), e si è rovesciata mentre i migranti tentavano di salire a bordo delle piccole scialuppe di salvataggio messe a disposizione dai soccorritori. Le condizioni del tempo, non buone, hanno ostacolato le operazioni di soccorso. Centinaia di superstiti sono stati rimandati indietro e già trasferiti verso il campo profughi di Shusha (sud), a otto chilometri dalla frontiera fra Tunisia e Libia.




Immigrazione: in Sicilia 400 minori in attesa trasferimento
Ansa 3 giugno 2011
A Lampedusa e nel resto della Sicilia ci sono ancora 425 minori non accompagnati, in prevalenza sedicenni e originari del Mali, del Ghana e della Costa d'Avorio, in attesa di essere collocati nelle comunita' alloggio per minori sul territorio nazionale. Lo rende noto Save the Children, presente sull'isola con un suo team. Dall'inizio dell'anno sono circa 1.500 i minori giunti a Lampedusa, di cui 544 nell'ultimo mese: il 10% sono bambini piccoli arrivati insieme a uno o entrambi i genitori, gli altri sono minori non accompagnati, ragazzi adolescenti arrivati dal Nord Africa.




Berlusconi a Van Rompuy: immigrati anche in altri Paesi Ue
Rainews24.rai.it 2 giugno 2011
Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha incontrato oggi pomeriggio a Villa Doria Pamphili il presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, a margine delle celebrazioni del 2 giugno. Al centro del colloquio i temi che sono all'ordine del giorno del Consiglio Europeo del 23 e 24 giugno.Berlusconi ha chiesto un maggiore impegno da parte dell'Europa per fronteggiare il fenomeno immigrazione dal Nord Africa, e quindi una più forte presenza dell'agenzia europea Frontex. Secondo fonti diplomatiche, ha molto insistito sulla necessita' che piu' paesi europei si facciano carico dell'accoglienza dei flussi migratori provenienti dalla sponda Sud del Mediterraneo.Poi uno sguardo ai conti pubblici dei Paesi europei alle prese con la crisi. Sia Berlusconi che Van Rompuy hanno sottolineato la volontà comune dell'Unione Europea che la Grecia "applichi e implementi" le misure annunciate dal governo di Atene e "metta a posto i propri conti".Per quel che riguarda l'Italia, Berlusconi ha assicurato che l'Italia intende rispettare l'impegno di azzerare il proprio deficit entro il 2014.Ottimismo per l'ingresso della Croazia nell'Unione europea e' stato espresso oggi dal presidente dell'Ue, Herman Van Rompuy, in occasione dell'incontro bilaterale con il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi a villa Pamphili.Il premier italiano, riferiscono fonti diplomatiche, si e' detto favorevole all'ingresso della Croazia, processo rallentato per le posizioni di Francia e Germania. Un' accelerazione del processo di ingresso in Europa e' stato auspicato anche per quanto riguarda la Serbia.




Ban Ki Moon: “quello a cui miriamo è che la diversità diventi un’opportunità”.
Immigrazioneoggi.it 3 giugno 2011
“Quello a cui miriamo è che la diversità diventi un’opportunità”. Così il segretario dell’Onu, Ban Ki Moon ha aperto i lavori, mercoledì scorso, alla Conferenza internazionale La Città interetnica che si è svolta a Roma presso il Campidoglio.
Si è trattato della terza edizione della conferenza, inaugurata nel 2009 a New York, e che ha visto la partecipazione tra gli altri, del sindaco di Roma, Gianni Alemanno e del vicepresidente del Senato, Emma Bonino.
L’evento è stato occasione per una riflessione in merito ai fenomeni migratori e al problema delle crisi urbane.
Ban Ki Moon ha ricordato che “entro il 2030 oltre 5 miliardi di persone vivranno nelle città, che sono un hub e il primo centro di azione dove si convive e collabora, creando un ambiente integrato ma anche nuove sfide. In tutte le parti del mondo – ha aggiunto il Segretario delle Nazioni Unite – c’è sempre imbarazzo a gestire la diversità e l’immigrazione è spesso oggetto di dibattiti accesi e di estremismi che a volte sconfinano nell’odio. Le minoranze sono sempre capri espiatori, tuttavia il quadro è piuttosto diverso: gli immigrati non vogliono creare problemi ma generare domanda e svolgono lavori che le popolazioni non vogliono più fare. Quello a cui miriamo è che la diversità diventi un’opportunità”.
Il sindaco Alemanno, che ha fatto gli onori di casa, ha spiegato che “le città si aspettano risposte globali alla questione dell’immigrazione perché è nelle città che si scaricano problemi e contraddizioni della globalizzazione”. Per il primo cittadino, “servono politiche coerenti che sfuggano sia ai buonismi sia all’aggressività e alla chiusura: legalità e accoglienza sono i due meccanismi per gestire il fenomeno”.
 

 



E gli immigrati cantano l’Inno
Corriere della Sera 3 giugno 2011
Gian Antonio Stella
Lajos Tüköry che morì in camicia rossa coi Mille a Palermo per una ferita andata in cancrena proprio come Goffredo

Mameli, si sarebbe commosso. E con lui tutti gli stranieri che rischiarono la vita, spesso perdendola, per il

Risorgimento: 150 anni dopo, in Veneto, trecento immigrati si sono messi insieme per cantare «Fratelli d’Italia

/l’Italia s’è desta...»L’idea è venuta a un prete, don Bruno Baratto, vicedirettore dell’ufficio per la Pastorale

delle migrazioni della Diocesi di Treviso, che da anni organizza a Giavera del Montello «Ritmi e danze dal mondo» ,

una manifestazione culturale con oltre ventimila partecipanti, quattrocentocinquanta volontari, oltre trenta

associazioni. Tutto è nato da una riflessione sugli italiani che si sono battuti per le patrie di altri (come

Santorre di Santa Rosa, ucciso a Sfacteria combattendo contro i turchi per la Grecia) o sugli stranieri che presero

parte al processo risorgimentale italiano. Tanti. Bulgari come il capitano garibaldino Petko Voivoda, il cui busto è

oggi al Gianicolo, e un’altra trentina di connazionali ricordati anche da Berlusconi che apposta andò a inaugurare

un monumento a Garibaldi a Sofia. Romeni come Ioan Dragescu che, racconta l’autore del libro «Il Risorgimento

italiano e l’indipendenza della Romania» Marco Baratto (nessuna parentela col nostro prete) «si rifugiò a Torino

dove si laureò in medicina e partecipò come volontario nell’esercito piemontese a tutte le battaglie della campagna

del 1866» . E poi ancora americani come la grande giornalista Margaret Fuller, infermiera nella Repubblica Romana

nel 1849, e inglesi come la scrittrice Jessie White Mario, che per la passione con cui si batteva per la causa

italiana al fianco del marito Alberto Mario, era chiamata «Miss Uragano» , finì in galera dopo il fallimento della

spedizione di Carlo Pisacane e partecipò a quattro campagne garibaldine. E poi ancora prussiani come Friedrich

Wilhelm Rustow che, ricorda la storia d’Italia di Ruggiero Romano, «portò a Garibaldi la sua spada, la sua

esperienza militare e diventò il suo capo di stato maggiore» . E magiari come István Türr (per noi Stefano Turr)

venuto in Italia la prima volta nel 1848 in divisa austriaca ma presto passato tra le file italiane dove divenne

capitano della «legione ungherese» . E insomma sono così tanti, gli stranieri che amarono fino in fondo la «patria»

italiana, prima fra tutti quella icona che è stata la brasiliana Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, cioè Anita

Garibaldi, che Brunella Diddi e Stella Sofri hanno deciso di fare un libro che uscirà fra qualche mese ed è dedicato

ai «foresti» (oltre che alle donne) che parteciparono alla Repubblica Romana. Come Alessandro Isenschmid, conte di

Milbitz, che con altri 200 polacchi fu al fianco delle camicie rosse in varie spedizioni. Olandesi come il pittore

Jan Philip Koelman. Svizzeri come Gustav von Hofstetter e Bartolomeo Rozat, che nella difesa di Roma eroicamente

morì. Era o non era anche la loro «patria» , la nostra Italia? Oppure conta solo la nascita e la patria è solo

quella in cui si nasce, magari per sbaglio? Va messo nella casella degli italiani o degli americani, ad esempio,

quel Filippo Mazzei che dopo essere stato costretto a fuggire da Firenze riparò in Virginia, diventò amico di Thomas

Jefferson, scrisse incandescenti articoli per l’indipendenza americana firmandosi «il Furioso» e si arruolò

volontario nella guerra all’Inghilterra per poi inserire una delle frasi fondamentali nella dichiarazione

d’indipendenza? Qual era, la sua «patria» ? Quella dove era nato e da dove era stato cacciato o quella liberamente

scelta? E i 7 soldati di cognome Baù originari di Stoccareddo, sull’altopiano di Asiago, che sbarcarono in Normandia

al comando di Eisenhower, erano veneti o yankee? È probabile che i giovani col turbante indiano, i ragazzi slavi col

vestito da festa, le donne col sari, i bambini e le bambine cinesi e africani e arabi e peruviani che hanno

registrato davanti alla villa Wassermann a Giavera del Montello il video oggi su www. corriere. it non sappiano

nulla di quanto abbiamo ricordato. Per loro, probabilmente, la patria è la stessa di cui parlava due millenni e

mezzo fa Aristofane: «La patria è sempre dove si prospera» . Quella che si sceglie per vivere serenamente e in pace.

Sono nuovi italiani? Sono stranieri destinati a restare stranieri a vita? Si legge nel «Huainanzi » , grande opera

collettiva composta nel II secolo a. C. sotto l’imperatore cinese Liu An: «Quando presso gli Êrmâ, i Di o i Bodi

nascono bambini, urlano tutti allo stesso modo. Ma una volta cresciuti non sono in grado di capirsi neppure con

l’interprete. Questo perché sono diverse la loro educazione e le loro usanze. Ma prendete un bimbo di tre mesi,

portatelo in un altro stato e in futuro non saprà neppure quali costumi esistono nella sua patria. Da questo punto

di vista i vestiti, le norme della condotta e i costumi non sono qualità innate degli uomini ma il risultato di un

influsso esterno» . Cantano in italiano, quei bambini di Giavera: «Noi siamo da secoli /Calpesti, derisi, /Perché

non siam popolo, /Perché siam divisi...» Qualcuno ha un po’ di accento veneto. Già 15 anni fa un bambino cinese

vinceva il primo premio del Circolo dialettale bellunese «Al Zenpedon» con la poesia «An fià par òn» . Un po’ per

uno. Cinese, ma veneto. Un exploit ripetuto, ad esempio, due anni fa, al premio per la poesia lombarda di Voghera.

Vinto con «La paciada» (la scorpacciata) da Lihao Zhang. Cinese sì, ma più lombardo di tanti lombardi.






Un secolo per riavere la cittadinanza
Il Sole 24 Ore 3 giugno 2011
Alessandro Galimberti
La mamma aveva perso la cittadinanza italiana tra le due guerre, per aver sposato un venezuelano: cosi volevano le

leggi di quel tempo. Oggi, a distanza di quasi un secolo, i figli, ormai in età, possono ambire ad avere il

passaporto dei nonni, nati in Basilicata a metà dell'8oo.
Ma per arrivare a un esito dovuto e a un diritto inalienabile - tale almeno dal 1948, quando la Costituzione ha

soppresso ogni tipo di discriminazione basata sul sesso - due fratelli "sudamericani" hanno dovuto percorrere quasi

tutta l'anticamera di leggi e tribunali, fermandosi (sempre che non siano costretti
airultimo grado di giudizio) davantialla Corte d'appello di Potenza. I giudici delia sezione civile, infatti, hanno

riformato la sentenza dei colleghi dei tribunale che, accoghendo le conclusioni dei ministero dell'Interno, aveva

rifiutato la "restituzione" delia cittadinanza alla mamma e pertanto la trasmissione dei diritto ai suoi "ex"

ragazzi. Tutto dipendeva dalla legge 555 dei 1912, che revocava la cittadinanza italiana alla donna «che simarita

auno straniero, sempreché il marito possieda una cittadinanza che pel fatto dei matrimonio a lei si comunichi».

Cittadinanza italiana che poi, in ogni caso, veniva riconosciuta solo al «figlio di padre Cittadino».
E nonostante 1'entrata in vigore delia Costituzione prima, e il nuovo diritto di famiglia poi, avessero appianato

ogni discriminazione - pure quella delia madre «maritata alio straniero» - la giurisprudenza si era arenata sul

pregresso, cioè sulle discriminazioni awenute prima dei cambio di época delia legislazione: in terminitecnici,

1'incostituzionalità delia legge di 99 anni fa non sarebbe potuta essere retroattiva, con buonapace di chi, come la

signora «maritata» in Venezuela, era stato discriminato in quei 36 anni di mezzo. Per sanare gli effetti permanenti

di quell'antico danno, i giudici di Potenza hanno attualizzato una serie di sentenze univoche delia Cassazione,

anche per superare le interpretazioni contrarie su cui insisteva il ministero e originate daim parere del Consiglio

di Stato vecchio di 28 anni (105/83): italiani si, ma solo se nati dopo il 1 ° gennaio 1948 da genitore

ingiustamente "de-italianizzato". C'eraun ultimo ostacolo giuridico per riconoscere la cittadinanza ai due anziani

fratelli: la madre non aveva mai proposto la domanda prevista dalla legge 151/1975 (Riforma dei diritto di famiglia)

per tornare in possesso dei suo passaporto originário. Poco male, argomentano i giudici del XXI secolo, perché

quella domanda servirebbe solo alia «ricognizione» ministeriale (obbligata) dello status. In assenza delia

dichiarazione, e nella evidente impossibilità di formularia oggi, c'è pur sempre un giudice naturale. E giusto.










Quanti pugliesi al di qua del Muro
La Gazzetta del Mezziogiorno 3 giugno 2011
Vito Antonio Leuzzi
esodo di massa dalle aeree più po- vere dei Mediter-râneo verso 1'Eu- ropa industrializzata subi una forte

accelerazione nell'estate del 1961, per effetto dei nuovi regolamenti delia Comunità Economica Europea, che fa-

vorirono una ulteriore libera- lizzazione dei movimento dei lavoratori, e per un evento dei tutto inatteso, la

costruzione dei Muro di Berlino da parte delia Germania dell'Est sotto 1'egemonia comunista.
Con 1'inizio di una «mo- struosa opera edilizia» a Ber¬lino, il 13 agosto dei '61, le due Germanie si divisera

bloccando il flusso migratorio verso le zone più industria- lizzate dell'Ovest. La più avanzata realtà industriale

délia parte occidentale ri- schiava di compromettere la rapida ricostruzione e l'ecce- zionale sviluppo in tutti i

campi dopo la catastrofe pro- vocata dal nazismo e dalle di- struzioni belliche. Un inédito movimento di lavoratori

dal bacino dei Me¬diterrâneo, Spagna, Grécia, Portogallo, Turchia, si spinse verso le maggiori città dell'in-

dustria tedesca, tra cui Stoc- carda, Colonia, Monaco, Ber¬lino. Il movimento interesso anche altri paesi, in

partico- lare, la Francia dove accanto alla numerosa comunità ita¬liana crebbe a dismisura quella del Marocco e di

altri paesi dell'Africa occidentale. Tra gli anni Sessanta ed i primi anni Settanta un quar-to dell'intera

manodopera greca emigro nel nord Euro-pa. Ma l'aspetto più sorpren- dente fu la crescita progres-siva delia comunità

turca, che in Germania, nel giro di po- chi anni, supero quella ita¬liana e jugoslava. L'apparizio- ne di tanti

stranieri di re- ligione islamica non rappre- sentò un fatto traumatico. Per il benessere comune e per i molti

vantaggi che IBBfiiWi BTBÃŽT3 apportava al sistema produttivo, i pregiudizi di raz- za e di religione non preval-

sero sulle ragioni dell'econo- mia. In quest'ambito balza all'at- tenzione anche il flusso mi¬gratorio dal

Mezzogiorno d'Italia che assunse le dimen-sione di un fenomeno massa. Lo spostamento verso la Ger-mania venne

facilitato pro-prio dalla «liberalizzazione comunitaria», che ampliava le possibilità di movimento al di fuori dei

programmi ufficiali di reclutamento. La messa in moto di un movimento mi¬gratorio inusuale costrinse persino le

Ferrovie dello Stato in Italia ad istituire treni spe- ciali, che si spingevano sin nel cuore dell'Europa, attra-

versando tutta la penisola dal versante tirrenico e da quello adriatico. Assunse rilievo, tra le di-verse città

tedesche, Wol-fsburg, nella Bassa Sassonia, collocata tra Berlino ed Han-nover. L'eccezionale e rápido sviluppo

urbano di quella cit- tadina era iniziato negli anni Trenta sotto il nazismo ed era strettamente correlato alia

crescita delia fabbrica auto¬mobilística Volkswagen, che già nel 1938 si era avvalsa dei lavoro degli italiani,

definiti, gasterbaiter (lavoratori ospiti) Dopo la rottura delle rela- zioni tra le due Germanie nel '61, la

direzione delia fabbrica mise in moto un complesso meccanismo di propaganda e reclutamento, avvalendosi dell'opera

dei Vaticano e delia rete delia POA (Pontificia ope¬ra assistenza), che attraverso le parrocchie riuscirono nel

Mezzogiorno ed in Puglia a svolgere un importante fun- zione per l'invio dei lavora-tori nell'industria automobi-

lística tedesca. Oggi la Ger-mania accoglie, su un totale di oltre mezzo milioni di im- migrati italiani, circa

cento- mila pugliesi registrati dali'Aire (Anagrafe italiani residenti all'estero), prove- nienti da tutte le

provincie pugliesi. In quegli anni si produs- sero diverse inchieste sullo svuotamento delle aree piú povere delia

regione, tra cui l'Appenino Dauno ed il Gar-gano, e sulla trasformazione dei cafoni in operai avvenuta nel cuore

dell'Europa piú pro- gredita. Giovanni Russo, il noto saggista e meridionali- sta, raccolse e pubblicò nel volume

laterziano, Chi ha piú santi in paradiso ( 1964), i re¬portage realizzati nella nostra regione: «Nel Gargano ero

stato al lago di Lesina e avevo saputo che su cinquemila abi- tanti di quel piccolo paese di pescatori, tutti i

giovani, circa 1000, erano in Germania. Le loro barche, canoë nere simili a gondole africane, erano am- mucchiate,

un centinaio, sulla spiaggia dei bellissimo lago. Un vecchio mi disse: "Sei me- si fanno gli operai in Ger¬mania, e

sei mesi tornano qui, saccheggiano il lago che ormai è impoverito e ripar- tono". A Minervino un sin- dacalista mi

aveva informato che 1'emigrazione aveva as-sunto il carattere di una fuga irresistibile. In tre anni 5000 persone

erano partite, ed era¬no i migliori, i più validi. Le stesse notizie mi giungevano dai paesi del Salento e altre ne

avevo raccolte nel Taran¬tino, a Ceglie, a Ostuni, a Ci- sternino ( olo qui 4.000 emi-grati in un anno)».
Russo raccolse diverse te- stimonianza anche a Castel¬luccio Valmaggiore, dove una parte consistente degli emi¬grati

(circa duemila che co- stituivano la metà dei paese) si era trasferita a Wolfsburg. Uno degli intervistati in li-

cenza per malattia testimoniò a Russo il radicale cambia- mento di vita: da coltivatore diretto ad operaio, addetto

al¬ia catena di montaggio delia Volskswagen. «Tutti noi di Castelluccio emigrati faccia- mo arrivare al paese

3.000.000 di lire alla settimana. Mi sono fatto maie perché ho cercato di riparare un manómetro, che alcune operaie

spagnole avevano guastato: vi sono an¬che molti emigrati Spagnoli, e persino egiziani e turchi».
La famosa automobile tede- sca, questo vanto delia téc¬nica, concluse Russo, «è fab- bricata anche dai cafoni pu-

gliesi».





Ecologisti svizzeri shock: via l'immigrato, inquina
Libero 3 giugno 2011
Alessandro Bonelli
Gli immigrati? Inquinano. E non è una provocazione. A lanciare un "sos" è il gruppo ambientalista svizzero Eco- pop,

che auspica drastici limiti ai nuovi ingressi nel Paese per contrastare la crescita deli'inquinamento. Razzismo? No,

pragmatismo elvetico. L'accusa agli stranieri non è certo quella di «non la- varsi» né di spargere immondizia (reati

peraltro particolarmente spregevole da quelle parti). Semplicemente sono troppi. La verde Svizzera, avvertono a

Ecopop, fa i conti con livelli di sovrap- popolazione che fanno aumentare i consumi e la cementificazione. Ma un

freno all'immigrazione lo vuole mettere anche l'assemblea dell'Unione demo-crática di centro, che ha approvato una

mozione nel suo ultimo incontro e lan- ciato un'iniziativa popolare.
Cosi l'appello lanciato degli ecologi-sti ha innescato un rovente dibattito: come fermare la sovrappopolazione senza

partire proprio dagli immigrati? Un dilemma di non facile soluzione se ci si vuole attenere ai principi dei po-

liticamente corretto. Per preservare l'equilibro ecologico, sostiene Ecopop, «in Svizzera la popolazione residente
permanente non può crescere in seguito all'immigrazione di oltre lo 0,2% annuo nell'arco di tre anni». Negli ultimi

quattro anni la crescita è stata compresa tra l'1 el'1,4%.
Il botto seguito a tali affermazioni e la mossa strategica del grande partito conservatore hanno spinto il gruppo

ambientalista a una parziale marcia indietro. All'origine delia proposta non vi sono gli stranieri, ha spiegato

Ecopop, bensi il problema delia sovrappopola¬zione mondiale in generale. «Per noi ciò che conta è la densità

demografica, indipendentemente dalla provenienza delle persone» si legge sul sito Internet. Anche due parlamentari

del partito dei Verdi, a fine 2009, avevano elaborato un documento in cui si sosteneva che la sovrappopolazione

avrebbe avuto ri- percussioni negative sull'ambiente in Svizzera. Nei testo non si faceva alcun riferimento agli

immigrati. L'Unione democratica di centro propone invece di introduire contingenti per tutti gli stranieri

(residenti e frontalieri). I limiti dovranno essere fissati annualmente a seconda delle necessità dell'economia.

Inoltre lo straniero che vorrà stabilirsi nella Confederazione dovrà dimostrare di avere un lavoro, di sapersi

integrare e di avere i mezzi per potersi mantene- re.
L'Udc pensa a un sistema a punti co¬me in Canada, Nuova Zelanda o Au- stralia. L'iniziativa popolare, decisa in

seguito a un sondaggio condotto pres- so la popolazione nel 2010, prefigura la reintroduzione dei contingenti per

tut- te le catégorie di stranieri. I lavoratori elvetici dovranno avere la priorité al momento dell'assunzione. Per

giustifi- care la sua proposta, l'Udc spiega che l'immigrazione incontrollata ha diverse conseguenze negative, in

particolare su affitti, prezzi dei terreni, uso del terri- torio. «La Svizzera», ha detto il presi¬dente Udc Toni

Brunner inaugurando il Congresso, «è invasa dagli immigra¬ti». Colpa di Schengen: «Tra il 1950 e il 2009 la

proporzione di stranieri in Sviz¬zera è passata dal 5,9% al 21,7%». Il ri- sultato, secondo Brunner, è sotto gli oc-

chi di tutti: infrastrutture sovraccariche, traffico aumentato massicciamente, e richieste di alloggi esplose, cosi

come sono esplosi in città i costi degli appar- tamenti. Brunner se l'è presa anche con gli accordi di Schengen:

«Anche l'Italia, la Francia e la Danimarca mettono in dubbio la loro efficacia». Il documento è stato approvato

all'unanimità.




Se Gheddafi usa i migranti come arma da guerra
Il Manifesto 3 giugno 2011
Stefano Liberti
Almeno 1500 morti dalla fine di marzo, quando sono cominciate le partenze dalla Libia. Le cifre della fuga dalla

guerra hanno la dimensione dell'ecatombe. I barconi in partenza dalla Tripolitania si rompono, vanno in ava¬ria, si

perdono: ormai, a leggere freddamente le statistiche, un immigrante su die- ci non arriva. La percentuale è

raccapricciante e ci pone di fronte a una serie di interrogativi: perché tutti questi naufragi? perché tutti questi

morti? 11 numero di vittime nel Canale di Sicilia è molto maggiore che in passato. Prima, i naufragi era- no una

fatalità. Ora sono la norma. Prima le tragedie awenivano, ma erano deter- minate da circostanze eccezionali. Oggi,

non fanno più notizia. Diversi fattori possono spiegare questo incremento. Il principale è che l'attra- versamento

del mare non è più un business regolato dal mercato. Non risponde più alle leggi della domanda e dell'offerta. Prima

gli organizzatori delle traversate avevano interesse a che i viaggi andassero a buon fine. La giostra doveva

continua- re a girare, gli affari dovevano andare avanti. A differenza delia retórica in voga sul- la riva nord, che

condanna scafisti e traffîcanti, questi ultimi sono considerati dai viaggiatori semplici fornitori di servizi, non

sempre onesti, ma abbastanza affida- bili da potersi mettere nelle loro mani: cosî, le carrette non erano poi cosî

malmes¬se, il numero di passeggeri non era mai spropositato; il comandante ave- va sempre un Gps. Il viaggio, per

quan¬to duro e pericoloso, era regolato da una serie di accortezze che rispondevano alla ricerca di un equilíbrio

preciso: massimizzazione dei profitti, limitazio- ne dei rischi.
Oggi, non è più cosi. Dai barconi che si vedono in queste ultime settima- ne arrivare a Lampedusa, dai racconti di

quanti sbarcano sull'isola da quelle barche che sembrano cattedrali galleg- gianti, si capisce che la situazione è

cambiata. I viaggi non sono più orga- nizzati da persone che lavoravano da anni nel settore. Sono gestiti

diretta¬mente dagli uomini di Gheddafi. Il prezzo è calato. Molti raccontano addi- rittura di essere stati imbarcati

gratis. Altri sostengono che sono stati costret- ti a salire contro la propria volontà. Lo scopo principale non è

più il profitto, ma la necessita di trasmettere l'impressione dell'invasione. Cosi, i barconi sono stipati anche con

800-900 persone sopra. Cosi, spesso non sono cosi stabili. Cosi, i nau¬fragi aumentano. Messo sotto assedio dalle

bombe delia Nato, il rais libico si difen- de usando gli immigrati letteralmente come arma di guerra. Li lancia come

missili contro le coste italiche. E i missili non sempre arrivano.
L'Italia, per bocca dei ministro degli esteri Frattini, ha condannato questo uso perverso degli immigrati da parte

del regime libico. Ma non ha agito di conseguen- za: nel campo.di Choucha, al confine libico-tunisino, ci sono circa

5000 rifugiati in attesa di essere portati da qualche altra parte. Alcuni sono lî da tre mesi, da quan¬do sono

cominciati i disordini in Libia. Nel campo ci sono gigantesche tensioni: solo la scorsa settimana la sezione abitata

dagli eritrei è stata incendiata, con quat- tro vittime. Molti immigranti, di fronte alla situazione di impasse,

stanno tornan¬do in Libia per salire sui barconi gentilmente offeiti dal regime di Tripoli. I paesi delia Nato - che

formalmente fanno la guerra a Gheddafi per «proteggere i civili» - non accettano di accogliere questi immigrati sul

proprio territorio, se non in per- centuali insignificanti. Cosi, le partenze continuano. E i morti aumentano.





Tornano le carrette dei mari 150 clandestini su un barcone
La Repubblica Bari 3 giugno 2011
Chiara Spagnolo
Li hanno avvistati intorno a mezzanotte. Su un barcone talmente carico da rischiare di affondare. Centocinquanta immigrati almeno, stipati su un peschereccio arrivato a poche miglia da Otranto, che cercava un approdo sicuro per buttare giù il suo carico di disperati. Guardia di finanza e guardia costiera, però, questa volta sono arrivate prima. La notte è terminata con uno sbarco "controllato" e poi tensioni e tentativi di fuga dal centro di primissima accoglienza Don Tonino Bello.L'imbarcazione di circa 30 metri è stata intercettata mentre navigava  in mare aperto a luci spente, nell'ambito dei servizi di pattugliamento che ogni notte vengono effettuati lungo le coste salentine. I mezzi delle fiamme gialle l'hanno raggiunta e, dopo i tentativi di proseguire la navigazione sono riusciti a fermarla: una cinquantina di persone sono state fatte salire a bordo delle motovedette, per evitare che il peschereccio troppo carico affondasse. In piena notte gli extracomunitari hanno toccato la terra promessa:
si tratta di circa 150 clandestini di nazionalità nordafricana, tutti uomini e di età molto giovane. Proprio la nazionalità degli immigrati, insieme alla tipologia del viaggio, rende questo sbarco diverso da quelli registrati negli ultimi mesi in Puglia.Da tempo, infatti, in Salento arrivavano gruppi di venti-trenta persone, caricate su yacht o motor sailer, partiti da porti della Grecia e della Turchia. A guidare le barche, sono quasi sempre scafisti turchi, mentre a viaggiare stipati in cabine di lusso "viaggiatori" di origine afghana, pachistana, siriana o kurda. I pescherecci colmi di africani sembravano destinati ad essere visti solo in tv, nelle cronache degli sbarchi a Lampedusa. Stanotte invece un barcone è apparso anche all'orizzonte del Salento. Anzi "riapparso", riportando alla mente gli arrivi di flotte di albanesi degli anni Novanta e facendo già ipotizzare agli investigatori che la rotta pugliese sia stata nuovamente scelta dai mercanti di uomini, nel tentativo di aggirare i serrati controlli nelle acque siciliane.Sul caso, comunque, è interamente puntata l'attenzione delle della Direzione distrettuale antimafia e delle forze dell'ordine, chiamate ad intensificare i controlli nei mesi estivi in cui le condizioni metereologiche favorevoli rendono più facili i viaggi della speranza. Indagini sono in corso per capire da dove sia partito il barcone arrivato stanotte a Otranto. Intanto i suoi occupanti sono stati trasferiti nel centro di primissima accoglienza Don Tonino Bello, alle porte della città dei martiri, dove si sono vissuti momenti di forte tensione. Alcuni immigrati hanno infatti sfondato un muro in cartongesso per cercare di scappare, mentre altri hanno provato a fuggire dal tetto.Inoltre ci sono state liti tra gli stessi extracomunitari, che hanno reso necessario l'intervento di uomini delle forze dell'ordine in aggiunta a quelli già mandati nella struttura. Alle prime luci dell'alba è tornata la calma, gli ospiti sono stati rifocillati e sono state avviate le procedure di identificazione.Sono stati identificati e arrestati dalla guardia di finanza i tre presunti scafisti: si tratta di egiziani. Mentre Otranto e le spiagge circostanti si riempiono di turisti giunti in Salento per il ponte della Repubblica, qualcuno, dall'alto dei Bastioni, scruta il mare con preoccupazione




Genova, presidio sotto consolato tunisino:”Anche qui fare piazza pulita”
Genova24.it 3 giugnop 2011
Genova. Presidio di tunisini nei pressi dell’ambasciata del paese africano. Dopo quella che molti media internazionali hanno definito come la grande rivoluzione del Mediterraneo, i giovani tunisini stanno effettuando un presidio proprio per far sì che gli effetti di questo cambiamento si possano ottenere anche a Genova. Il partito che per anni ha dominato in Tunisia e che è stato spodestato in questa primavera africana, ha ancora ben salde le sue radici nei consolati sparsi per il mondo. I manifestanti non esitano a definire il potere già disarcionato in Tunisia come un potere nazista, che ha sempre governato qualsiasi tipo di opposizione in maniera dittatoriale, portando in carcere intellettuali e calpestando la libertà di espressione e informazione. Eccole le parole di Benjedu Ben Cachel, uno dei rappresentanti della comunità tunisina genovese:”Questo è un presidio, aperto, chiediamo al nostro governo di pulire il consolato, tutto, perchè hanno esercitato per vent’anni il terrore tra la nostra gente. E’ un consolato corrotto, io sono stato in esilio per 21 anni per colpa loro. Il mio passaporto l’ho avuto il primo febbraio, il passaporto di mia moglie ce lo hanno ancora loro”. Benjedu ha poi aggiunto”Il 14 gennaio a Tunisi le cose sono cambiate, e invece loro continuano a comportarsi sempre con le stesse modalità e vogliamo che la situazione cambi anche a Genova, dove al consolato hanno sempre abusato del loro potere”.




Bimbi italiani a lezione di cinese nasce la scuola senza frontiere
La Repubblica Milano 3 giugno 2011
Tiziana De Giorgio
Cominceranno con i segni di base, imparando come si scrive in mandarino tutto ciò che riguarda l'acqua, il fuoco, la terra e l'aria. Ogni 50 minuti, come in ogni elementare di Pechino o Shanghai che si rispetti, pausa ginnastica agli occhi, per non sforzare troppo la vista scrutando gli ideogrammi. E a pranzo, bacchette. Magari chiedendo aiuto ai propri compagni di classe, almeno all'inizio: perché alla scuola cinese estiva del comprensivo Bodio Guicciardi ci saranno, per la prima volta, anche bambini italiani fra i banchi.
Partito su richiesta di decine di mamme e papà, il corso era stato aperto quattro anni fa per evitare che i tantissimi studenti cinesi iscritti all'istituto, in zona viale Jenner, venissero spediti a "sciacquare i panni" nel Fiume Giallo per non perdere l'uso della propria lingua d'origine, interrompendo anche per due anni le elementari italiane. "Un'usanza molto comune - spiega la preside, Laura Barbirato - le famiglie cinesi vogliono che i propri figli conoscano alla perfezione lingua, scrittura e cultura del proprio Paese. Il problema si presenta però al ritorno: i bambini fanno una fatica enorme a reinserirsi, hanno lacune enormi".
Da qui, l'idea: una scuola nella scuola, mandata avanti da insegnanti di un'associazione internazionale di lingua e cultura cinese. Ma con bidelli, personale di segreteria e di sorveglianza dell'elementare milanese. Inizia a metà giugno, esattamente quando suona l'ultima campanella dell'anno scolastico istituzionale. E viene mandata avanti come se i bambini studiassero in Cina, dalle otto del mattino fino alle quattro del pomeriggio, comprese le lezioni di ginnastica, musica (cinese) e canto.
Ma se fino all'estate scorsa a contendersi l'iscrizione erano stati bambini già madrelingua (con 280 richieste per 250 posti) ora spuntano negli elenchi i nomi di quattro alunni milanesi di sette anni, pronti a cominciare un secondo minianno scolastico di due mesi che verrà riconosciuto anche nella Repubblica Popolare. "Numeri destinati ad aumentare - dice la preside  -  le famiglie si stanno rendendo conto che il futuro è lì, e stanno facendo un investimento enorme sui propri figli".




Moschea, Piazza: “Voglio un milione dal Comune”
La Repubblica Parma 3 giugno 2011
Danni patrimoniali e danni morali. Totale: un milione di euro. Cesare Piazza (foto) non molla e fa causa al Comune. Con un ricorso depositato al Tar il 26 maggio, l’imprenditore contrario alla moschea di via Campanini chiede un risarcimento stellare all’Amministrazione cittadina: “Ho subìto un deprezzamento degli immobili di mia proprietà – scrive in un comunicato - e sono stato accusato pubblicamente di essere uno xenofobo, un invasato, mosso soltanto da pregiudizio nei confronti della comunità islamica (…) il totale del risarcimento dovrebbe aggirarsi attorno al milione di euro”.Dopo le sentenze di Tar e Consiglio di Stato a lui favorevoli (LEGGI), Piazza passa così all’incasso e si sfila qualche sassolino: “La magistratura – prosegue nella nota – ha confermato le critiche mosse da me e dagli altri artigiani del quartiere Pip di Via Mantova nei confronti di una decisione sbagliata, presa dal Comune e da quest’ultimo ostinatamente difesa, in ben due gradi di giudizio, a spese di tutta la collettività”. Dunque secondo Piazza le toghe avrebbero riconosciuto come “la mia non fosse un’azione ‘persecutoria e discriminatoria nei confronti della comunità islamica’, come qualcuno ha scritto sui giornali, ma soltanto il legittimo esercizio dei miei diritti di cittadino”.Con la moschea non si trovano acquirenti per gli immobili, è stata in questi mesi la tesi di Piazza. Ci tiene a precisarlo l’imprenditore, che in via Campanini possiede un’officina: “Non ho nulla contro i musulmani”. Distinguo ribadito anche quando, un anno e mezzo fa, issò all’ingresso del suo stabilimento un crocifisso alto sei metri a cui poi aggiunse una targa con la scritta : “Il crocifisso della vergogna” . Motivo: “La Curia di Parma si è rifiutata di benedirlo” disse lui (LEGGI). La guerra di Piazza inizia quando, nella primavera 2008, la comunità islamica - dopo una serie di polemiche – trasferisce la moschea da borgo San Giuseppe al quartiere artigianale in zona via Mantova. Nell’ottobre 2009 il Comune dispone un cambio d’uso da “produttivo” a “sede della comunità islamica” per il capannone acquistato dai musulmani. Piazza fa ricorso al Tar e vince, perché i luoghi di culto non sono ammessi nella zona industriale. Il Comune fa ricorso, ma il Consiglio di Stato lo rigetta, dando ancora una volta ragione all’artigiano. Che nonostante le sentenze favorevoli non si placa. In questi mesi “ho subito danni patromoniali e danni morali” dice. Anche sul milione di risarcimento deciderà il Tar. Sarà tre a zero per Piazza? (m.s.)





Usa: faranno causa contro legge anti-immigrati in Georgia
Pl-it.prensa-latina.cu 3 giugno 2011
Washington, 2 giu (Prensa Latina) L'Unione Statunitense delle Libertà Civili (ACLU, per le sue sigle in inglese) si opporrà tramite una causa giudiziaria all'applicazione in Georgia di una legge anti-immigrati, promossa dal governatore Nathan Deal nel mese di marzo. Diversi gruppi contrari al provvedimento ritengono che verrà imposto uno stato poliziesco “che esige documenti, incoraggia il profilo razziale, minaccia la sicurezza pubblica e tradisce i valori americani”. Conosciuta come HB87, l'ordinanza autorizza la polizia locale ad interrogare qualsiasi persona sul suo status migratorio, quando esista una “causa probabile”, come una violazione del traffico, che consenta di indagare il sospetto, come stabilisce anche la legge SB1070 dell'Arizona.
Rappresentanti delle organizzazioni in difesa degli immigrati, sotto gli auspici dell'ACLU, hanno convocato una conferenza stampa per spiegare i dettagli del procedimento giudiziario.
Deal ha promulgato una legislazione rigida, ispirata da quella SB1070 dell'Arizona, a dispetto delle proteste che quest'ultima ha generato.
La Legge di Applicazione e di Riforma all'Immigrazione Illegale 2011 in Georgia, entrerà in vigore il 1° luglio.
Ma quest'anno, almeno altri tre provvedimenti anti-immigrati sono stati introdotti in questo territorio meridionale.
Queste sono la Legge HB59, che consentirebbe il divieto all'ingresso nelle università pubbliche dello Stato di giovani indocumentati; la legge HB296, che vuole contare i residenti illegali negli ospedali pubblici e nelle scuole; la legge SB104, che punirebbe i lavoratori clandestini e coloro che li assumano.
Più di 20 stati degli Stati Uniti prevedono discussioni sull'applicazione di questo tipo di norma che contrasta e criminalizza il flusso di persone senza status regolare in questo paese, che ospita circa 11 milioni di immigrati privi di documenti.




Francia: dal prossimo anno dimezzati gli ingressi per lavoro.
Immigrazioneoggi.it 3 giugno 2011
Dimezzare gli ingressi di immigrati per lavoro: è l’obiettivo del ministro degli Interni francese, Claude Gueant, che ha comunicato ai Prefetti le nuove e stringenti regole per la concessione dei permessi. Obiettivo, ha dichiarato, è “tendere verso una riduzione della metà di tali permessi”.
In una riunione con tutti i Prefetti, Gueant ha spiegato che “obiettivo del governo è quello di ridurre, nell’anno che viene, il flusso di immigrazione legale a 20mila permessi”.
Questo perché, ha spigato il Ministro, con “l’impatto sul lavoro di una delle crisi più gravi della storia, è necessario privilegiare un approccio qualitativo e selettivo”.
In una circolare anticipata dal quotidiano Le Figaro, Gueant scrive che “la priorità deve essere data all’inserimento professionale dei richiedenti di lavoro già presenti, siano essi francesi o stranieri, che risiedono regolarmente in Francia”. I datori di lavoro, inoltre, dovranno presentare “le garanzie necessarie per reclutare e accogliere” i lavoratori stranieri. Il Prefetto dovrà verificare la “reale esistenza” dell’azienda che offre il lavoro che dovrà dimostrare di avere effettuato “una ricerca effettiva” e “obbligatoria” di lavoratori nel suo “bacino di impiego” prima di essere autorizzata a fare leva su manodopera proveniente dall’estero.




La Commissione Ue propone le modifiche alle direttive su “accoglienza” e “procedure” per l’asilo.
Immigrazioneoggi.it 3 giugno 2011
Tempi certi per istruire la pratica di richiesta asilo, modalità uniformi per i colloqui, procedure per i dinieghi e le domande reiterate, possibilità di trattenere gli immigrati. Sono alcune delle modiche che la Commissione europea propone alle direttive su “accoglienza” (IP/08/1875) e “procedure” (IP/09/1552) per i richiedenti asilo. Le misure, presentate il 1 giugno dall’esecutivo di Bruxelles, rientrano nel “pacchetto legislativo sull’asilo” per il completamento del sistema europeo comune previsto per il 2012.
Nel presentare le proposte di modifica, la commissaria agli Affari interni, Cecilia Malmström, ha dichiarato che “il trattamento e le garanzie di cui godono i richiedenti asilo variano notevolmente da uno Stato membro all’altro, proprio come sono radicalmente diverse le possibilità di ottenere protezione a seconda dello Stato membro che esamina la domanda di asilo. Così non si può continuare”. Per questo, la Malmström giudica “una priorità” predisporre “procedure d’asilo efficaci ed eque e condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo adeguate e comparabili in tutta l’Unione. Allo stesso tempo è necessario che le norme che conveniamo a livello europeo siano semplici, chiare e efficaci in termini di costi”.
Le proposte, frutto dei negoziati tra il Parlamento europeo e il Consiglio e le consultazioni con altri attori (UNHCR e ONG), verranno presentate alla sessione del 9 giugno del Consiglio Giustizia e Affari interni e successivamente discusse sotto la presidenza polacca. Perché diventino legge dovranno poi essere adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio con voto a maggioranza qualificata.
Nel dettaglio, le modifiche apportate alla direttiva “procedure” sono intese a semplificare e chiarire le norme in modo da:
- semplificarne l’attuazione per gli Stati membri, specie quando si trovano a dover trattare in contemporanea un numero ingente di domande di asilo. Sono state riviste le norme che disciplinano l’accesso alla procedura di asilo, lo svolgimento dei colloqui personali e la durata massima delle procedure (obiettivo centrale della proposta resta il termine generale di sei mesi per concludere le procedure di primo grado);
- contrastare meglio i potenziali abusi. Nuove disposizioni permettono agli Stati membri di accelerare le procedure e esaminare alla frontiera le domande chiaramente poco convincenti o presentate da richiedenti che costituiscono un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico;
- migliorare la qualità del processo decisionale in primo grado aggiungendo accorgimenti pratici che aiutino il richiedente a capire la procedura o predisponendo un’adeguata formazione del personale che esamina le domande e prende le dovute decisioni;
- garantire l’accesso alla protezione. Sono chiarite le fasi iniziali della procedura, a beneficio delle guardie di frontiera, dei poliziotti e altre autorità che per primi entrano in contatto con chi chiede protezione;
- gestire le domande reiterate. La proposta modificata chiarisce le norme che regolano la possibilità per il richiedente asilo di reiterare la domanda nell’ipotesi che sia cambiata la sua situazione, nell’intento anche di prevenire eventuali abusi.
Le modifiche apportate alla direttiva “accoglienza” puntano invece a:
- semplificarne l’attuazione per gli Stati membri che, disponendo di un margine di manovra più ampio per realizzare le misure previste, vedranno ridursi gli oneri finanziari e amministrativi;
- disporre norme chiare che limitino rigorosamente la possibilità di trattenere i richiedenti asilo. La nuova proposta mantiene elevate le norme sul trattamento, specie con riguardo al trattenimento; il diritto di libera circolazione può essere soggetto a restrizioni solo se necessarie e proporzionate e giustificate da motivazioni chiari, comuni e esaurienti;
- garantire un livello di vita dignitoso, specie con misure nazionali dirette a individuare le particolari esigenze delle persone vulnerabili, come i minori e le vittime di tortura, o con un sostegno materiale di livello adeguato per i richiedenti asilo;
favorire l’indipendenza economica dei richiedenti asilo. L’obiettivo è agevolarne l’accesso al mercato del lavoro riconoscendo agli Stati membri una certa flessibilità durante l’esame della domanda in primo grado o se devono far fronte a un numero elevato di domande simultaneamente.









 

Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links