Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

10 dicembre 2014

Agenzia Onu per i rifugiati: "3.419 morti in Mediterraneo nel 2014". Bilancio record
Dall'inizio dell'anno oltre 207.000 i migranti che hanno tentato la traversata: "La strada più mortale del mondo"
la Repubblica.it, 10-12-2014
GINEVRA - Almeno 3.419 migranti hanno perso la vita nel Mar Mediterraneo da gennaio: una traversata che diventa così la "strada più mortale del mondo". Si tratta di un bilancio record. Lo annuncia l'agenzia Onu per i rifugiati. Dall'inizio dell'anno, afferma l'UNHCR, sono stati oltre 207.000 i migranti che hanno tentato di attraversare il Mar Mediterraneo: una cifra quasi tre volte superiore al precedente record del 2011 quando 70.000 migranti erano fuggiti dai loro paesi durante la primavera araba.
Con i conflitti in Libia, in Ucraina e in Siria-Iraq, l'Europa è la principale metà dei migranti via mare. Quasi l'80% delle partenze avvengono dalla costa libica verso l'Italia e Malta. La natura clandestina di queste traversate rende paragoni attendibili con gli anni precedenti difficili, premette l'Unhcr, ma in base ai dati disponibili, il 2014 avrebbe registrato un livello record di persone che hanno effettuato questi pericolosi viaggi. E nel 2014 il numero di richiedenti asilo è cresciuto. E per la prima volta, quest'anno, le persone provenienti da paesi fonte di rifugiati (soprattutto Siria ed Eritrea) sono inoltre diventati una "componente essenziale di questo tragico flusso", pari a quasi il 50%.
Oltre al Mediterraneo, vi sono almeno altre tre principali rotte di navigazione usate dai migranti e le persone in fuga da conflitti o persecuzioni: nella regione del Corno d'Africa, 82.680 persone hanno attraversato il Golfo di Aden e il Mar Rosso nel 2014. Nel sud-est asiatico, la stima è di circa 54.000 partiti da Bangladesh o Birmania verso Thailandia e Malesia. Nei Caraibi infine, il dato è di almeno 4.775, afferma Unhcr. I dati sono stati diffusi nel giorno dell'apertura a Ginevra di un forum di discussione organizzato dall'Alto commissario dell'Onu per i rifugiati, António Guterres, e incentrato quest'anno sulla protezione dei migranti nel mare.



L’ecatombe del mare Mediterraneo
L’Onu: mai così tanti migranti morti
Partiti in 207.000 almeno 3.419 migranti hanno perso la vita nel 2014
Si tratta di un numero di quasi tre volte superiore al precedente record del 2011
il Fatto, 10-12-2014
Almeno 3.419 migranti hanno perso la vita nel Mar Mediterraneo da gennaio: questa traversata diventa così la «strada più mortale del mondo», è un bilancio record. Lo annuncia l’agenzia Onu per i rifugiati.
Dall’inizio dell’anno, afferma l’UNHCR, sono stati oltre 207.000 i migranti che hanno tentato di attraversare il Mar Mediterraneo: una cifra quasi tre volte superiore al precedente record del 2011 quando 70.000 migranti erano fuggiti dai loro paesi durante la primavera araba. Con i conflitti in Libia, in Ucraina e in Siria-Iraq, l’Europa è la principale metà dei migranti via mare. Quasi l’80% delle partenze avvengono dalla costa libica verso l’Italia e Malta.



«Campi rom, stop alle speculazioni»
Il sindaco intende superare definitivamente il sistema  La risposta del Campidoglio alle dichiarazioni di Buzzi sui delle baraccopoli con politiche abitative e autocostruzioni guadagni con i nomadi: «Nessuno potrà lucrare sui disagi»
Il Messaggero, 10-12-2014
Alessia Marani
IL PIANO
Avevano ragione gli uomini del boss Carminati intercettati dai Ros a dire che con «immigrati e rom si guadagna meglio che con la cocaina». Parole di Salvatore Buzzi, a capo della cooperativa 29 giugno. Dopo che la Procura ha scoperchiato la cupola di malaffare nell`inchiesta "Mondo di mezzo", se ne è accorto pure il Comune di Roma. E il sindaco Ignazio Marino (che a dire il vero aveva già parlato di un`inversione di rotta dopo la sollevazione di Tor Sapienza) assicura: «Chiuderemo i campi rom, è finita la stagione dell`emergenza. Non permetteremo più a nessuno di lucrare sul disagio, sulla paura e la povertà. Anche l`Europa che ha prefigurato una violazione sistematica dei diritti, ce lo chiede». Il Campidoglio sta studiando un piano ad hoc.
BEST HOUSE ROM
Il primo cittadino lo ha messo nero su bianco inviando una lettera a gli organizzatori del concerto "Roma suona rom" che si è tenuto l`altra sera all`Auditorium. «L`inchiesta della Procura - scrive il chirurgo dem - sta portando alla luce una realtà sconvolgente. Tuttavia le indagini confermano che questa amministrazione ha rappresentato un ostacolo (...). Conferma che oggi ci spinge ad andare avanti con forza e convinzione sulla strada del cambiamento. E il cambiamento deve riguardare anche le politiche dell`accoglienza e la gestione dei campi rom dove il malaffare si è annidato traendo i maggiori guadagni». Marino ha, quindi, esortato il presidente dell`Associazione 21 luglio (no profit che si occupa di comunità rom e sinte) Carlo Stasolla e il consigliere comunale della Lista Civica Marino, Riccardo Magi, a interrompere lo sciopero della fame iniziato il 30 novembre per chiedere un cambio radicale nelle politiche del welfare. Marino ha promesso che andrà presto in visita al Best House Rom di via Visso, centro di raccolta temporanea dei rom sgomberati dai campi abusivi, diventato l`emblema della lotta di Stasollo e Magi. «Si tratta - spiega Magi - di un ex magazzino privo di abitabilità, con stanze senza finestre, messo in piedi in fretta e furia nel 2012 per ospitare i rom in via temporanea. Ma siccome non esistono politiche per favorirne l`uscita, lì le comunità sono rimaste. E di recente, si sono aggiunte altre provenienti dagli sgomberi della Cesarina e di Quintiliani. In tutto 350 ospiti, per metà bambini». E il business, anche qui, è garantito. «Se a Roma per la gestione dei campi rom sono stati spesi nel 2013 trenta milioni di euro, la più larga fetta per le strutture di Castel Romano e La Barbuta - continua Magi - per il Best House Rom, gestito dalla cooperativa InOpera, il Comune continua a sborsare più di 600 euro a persona al mese. E di centri come questo ve ne sono altri due». Sui costi e i paradossi del BHR Magi aveva presentato un`interrogazione consiliare nei mesi scorsi «a cui non ho mai ricevuto risposta».
LE STRATEGIE
Marino ha ribadito di voler «lavorare con Magi per superare definitivamente il sistema dei campi rom». La traccia è segnata da alcune proposte avanzate al sindaco dalla 21 luglio. Innanzitutto, servirà una rapida ma approfondita indagine conoscitiva sui nuclei ospitati nei campi per capirne le necessità. «Poi - aggiunge Magi - l`utilizzo dei fondi per generare politiche di inserimento sociale non esclusive, ma fruibili da tutti i romani disagiati. Ci sono famiglie che sarebbero già pronte a uscire e che, per esempio, potrebbero essere indirizzate a politiche abitative o di autocostruzione, magari anche con un sostegno all`affitto». Il consigliere ricorda che «dalla Ue ci sono almeno sei, sette linee di credito disponibili
su questo fronte a cui il Comune, tramite la Regione Lazio, non ha mai manifestato intenzione di accedere». E verso le quali «ora comincio a capire anche perché tanta indifferenza».
 


Rosarno, primi passi delle istituzioni
Avvenire, 10-12-2014
Antonio Maria Mira
Per il ghetto di Rosarno si muovono il Viminale e la Procura di Reggio Calabria. Mentre il sindaco della cittadina, Elisabetta Tripodi, denuncia «lo scaricabarile delle istituzioni che ci lascia soli». E il vescovo di Agrigento, monsignor Franco Montenegro, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni accusa: «Passa il tempo e la storia non cambia. Questo ci deve preoccupare».
Il dramma dei lavoratori africani nella Piana di Gioia Tauro, a cinque anni dalla rivolta di Rosarno, denunciato ieri da Avvenire, provoca, dunque, le prime reazioni.
«Non avevo avuto nessuna segnalazione – ci spiega Mario Morcone, direttore del Dipartimento per l’immigrazione del ministero dell’Interno –. Ricordo bene la tendopoli, ma non sapevo della fabbrica occupata. La situazione è sicuramente grave e chiederò urgentemente notizie al prefetto di Reggio Calabria». E si mette in movimento anche la magistratura reggina.
«Chiederò di raccogliere informazioni, non possiamo restare fermi di fronte al dramma di queste persone – riflette il procuratore Federico Carfiero de Raho –. Soprattutto per capire le responsabilità e i ritardi nell’accoglienza». Intanto le Forze dell’ordine della zona, Polizia e Carabinieri, stanno monitorando quotidianamente la situazione degli insediamenti dei migranti.
«Siamo sempre in allerta – ci spiegano – ma non possiamo fare molto di fronte al fiume di migranti che arrivano». Si cerca soprattutto di evitare tensioni coi locali, ricordando quanto accadde 5 anni fa. «Ma si può solo rintuzzare», aggiungono amaramente.
Tamponare le falle, così monsignor Montenegro, commenta amaramente: «Noi riflettiamo quando ci sono i  morti ma perché i vivi non ci fanno riflettere? I vivi che abbiamo salvato dal mare dove finiscono? Il tempo passa e tutto resta com’è perché non è l’uomo al centro delle nostre attenzioni ma il denaro, il profitto». E riflette sull’attualità. «Dopo quello che abbiamo letto sarebbe ora di smetterla di dire che la Chiesa fa i soldi con gli immigrati. Sono altri ad averlo fatto».
Accuse molto nette quelle di Montenegro. «Li salviamo dal mare, diamo un piatto e un tetto, quando c’è, ma questo non basta se non è accompagnato da un lavoro di fantasia. Non siamo capaci di dare il di più che poi è il giusto. La nostra accoglienza è stitica».
Davvero si fa molto poco, come conferma il sindaco di Rosarno, Elisabetta Tripodi. «La lezione non è servita alle istituzioni. Siamo sempre allo scaricabarile. Nessun fondo se non quelli del comune.
Avevamo attivato degli sportelli ma servono poco quando c’è un problema di sopravvivenza e quindi abbiamo dirottato qui tutto quello che abbiamo che, purtroppo, è poco». Progetti ce ne sono ma vanno a rilento. Il lavoro per il centro di accoglienza da realizzare con fondi del Viminale su un bene confiscato (avrebbe dovuto ospitare 150 persone) è stato bloccato un anno fa da un’interdittiva antimafia, ma poi l’impresa ha vinto il ricorso al Tar. Ora riprenderanno le attività, ma ci vorranno ancora molti mesi. «E poi – chiede il sindaco – chi pagherà i costi di gestione?».
E ci vorrà tempo anche per i 34 alloggi per altre 150 persone: «Abbiamo chiesto i finanziamenti nel 2011 ma solo quest’anno li abbiamo potuti appaltare. Per realizzarli ci vorranno 2-3 anni. Tutti tempi lunghi mentre manca la stagionalità. La Regione ci aveva promesso nel 2011 di realizzare dei campi con container in altri comuni della Piana per evitare di concentrarli in uno solo. Ma non ho visto alcun passo in avanti. E anche quest’anno siamo all’emergenza».



Meno immigrati in arrivo, sempre più italiani all'estero: Regno Unito in testa
Nota dell'Istat su "Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente". I cittadini stranieri giunti nel nostro paese sono scesi da 321 mila nel 2012 a 279 mila nel 2013. Le principali mete di destinazione per gli italiani sono poi la Germania, la Svizzera e la Francia
Redatore sociale, 09-12-2014
ROMA - Meno immigrati in arrivo in Italia, aumentano gli italiani che lasciano il nostro Paese. È quanto emerge da una nota dell'Istat su 'migrazioni internazionali e interne della popolazione residente'. Nel 2013, dice l'istituto di statistica, "le immigrazioni dall'estero sono state 307 mila, 43 mila in meno rispetto all'anno precedente (-12,3%)". Il calo delle iscrizioni dall'estero, spiega l'Istat, "e' imputabile ai flussi che riguardano i cittadini stranieri, il cui numero scende da 321 mila nel 2012 a 279 mila nel 2013. Si osserva anche una contrazione delle iscrizioni dall'estero di cittadini italiani (da 29 mila a 28 mila unita')". Nello specifico, "con 58 mila ingressi la comunita' piu' rappresentata tra gli immigrati e' quella rumena, seguono: marocchina (20 mila), cinese (17 mila) e ucraina (13 mila). Rispetto al 2012, risultano in calo di 23 mila unita' le iscrizioni di cittadini rumeni (-29%). In termini relativi, calano significativamente anche le iscrizioni di cittadini ecuadoriani (-37%), ivoriani (-34%), macedoni (-26%) e polacchi (-24%)".
Nel 2013, invece, "si contano 126 mila cancellazioni dalle anagrafi per l'estero, 20 mila in piu' dell'anno precedente. Il saldo migratorio netto con l'estero e' pari a 182 mila unita' nel 2013. In forte diminuzione rispetto all'anno precedente (-25,7%), e' anche il valore piu' basso registrato dal 2007". L'aumento delle emigrazioni e' dovuto principalmente ai cittadini italiani, "le cui cancellazioni passano da 68 mila nel 2012 a 82 mila unita' nel 2013 (+21%).
In aumento anche le cancellazioni di cittadini stranieri residenti, da 38 mila a 44 mila unita' (+14%). Le principali mete di destinazione per gli italiani sono il Regno Unito, la Germania, la Svizzera e la Francia. Nel loro insieme questi paesi accolgono oltre la meta' dei flussi in uscita".
Le migrazioni da e per l'estero di cittadini italiani con piu' di 24 anni di eta' (pari a 20 mila iscrizioni e 62 mila cancellazioni) "riguardano per oltre il 30% del totale individui in possesso di laurea. La meta preferita dei laureati e' il Regno Unito. Nel 2013 i trasferimenti di residenza interni al territorio nazionale coinvolgono 1 milione 362 mila individui, interessando il 2,3% della popolazione".
La composizione dei flussi in base al raggio di migrazione rimane sostanzialmente invariata rispetto a quella osservata negli ultimi anni: "sono circa un quarto del totale i trasferimenti di residenza interni di lungo raggio (335 mila tra Comuni di regioni diverse) e 1 milione 28 mila quelli di breve raggio (tra Comuni della stessa regione)".
I tassi migratori netti, conclude l'Istat, "sono positivi in tutte le regioni del Nord e in quasi tutte quelle del Centro. Sono negativi in tutte le regioni del Sud e delle Isole. Si conferma, pertanto, l'attrattivita' delle regioni centro-settentrionali nei confronti di quelle meridionali. I trasferimenti di residenza interni coinvolgono 1 milione 113 mila cittadini italiani e 249 mila stranieri. La quota relativa di questi ultimi risulta in aumento e pari al 18,3% del totale dei trasferimenti". (DIRE)



 

Osservatorio sulla giurisprudenza del Giudice di Pace: per gli stranieri tutela insufficiente
Prassi lesive della tutela dei diritti fondamentali. L’Unione dei "Gdp risponde: veniamo incontro alle esigenze delle Questure"
Melting Pot Europa, 08-12-2014
L ’Osservatorio sulla Giurisprudenza del Giudice di pace in Materia di Immigrazione ha raccolto e analizzato sistematicamente i provvedimenti emessi dal Giudice di Pace di Roma, Bologna, Bari, Firenze e Napoli, in un periodo compreso tra il 2013 e il primo semestre 2014, relativi ai procedimenti di convalida e proroga del trattenimento degli stranieri in attesa di espulsione e all’opposizione all’espulsione. Si tratta della prima ricerca sistematica sulla giurisprudenza del Giudice di Pace da quando, nel 2004, la sua competenza è stata estesa alla materia dell’immigrazione.
L’Osservatorio ha analizzato 639 casi e la fotografia che emerge dalla ricerca è quella di una giustizia amministrata in maniera sommaria, che non garantisce adeguata tutela dei diritti fondamentali, soprattutto in relazione a procedimenti, come quelli di convalida e proroga del trattenimento, dove è in gioco la restrizione della libertà personale.
Le criticità osservate riguardano aspetti diversi, che vanno dal quadro legislativo sostanziale, alla celebrazione delle udienze secondo un rito speciale camerale e un rito sommario che non consentono una cognizione piena della causa, a difficoltà organizzative degli uffici dovute altresì all’elevato grado di complessità della materia trattata, a prassi censurabili, fino alla doverosa denuncia di difese tecniche inadeguate.
La risposta dei Giudici di Pace
Alle osservazioni mosse dalla ricerca ha risposto prontamente, ma in maniera non altrettanto convincente, l’Unione nazionale giudici di Pace. Seconco l’Unagipa il problema sarebbe da imputare alla carenza di uomini e mezzi da parte delle Questure ed anzi, i giudici di pace si presterebbero a lavorare in condizioni di rischio proprio per sopperire tali carenze. Uno sforzo che nessuna legge richiede e che anzi, risulta lesivo della tutela dei migranti. La ricerca evidenzia infatti, a partire da una ricerca documentale sui provvedimenti e le prassi applicate, una carenza strutturale di tutele, sia per quanto concerne il merito delle decisioni, sia per le condizioni in cui queste maturano.
Il controllo giurisdizionale sul trattenimento degli stranieri
Già dal 2001 la Corte Costituzionale ha riconosciuto che il trattenimento degli stranieri presenta quel carattere di immediata coercizione che qualifica le restrizioni della libertà personale, pertanto il controllo giurisdizionale sul trattenimento deve essere pieno e assicurare l’effettività del contradditorio e del diritto di difesa.
In riferimento a tali aspetti, la ricerca ha evidenziato numerose criticità che vanno da prassi censurabili, come quelle di celebrare le udienze di convalida presso i Centri di Identificazione e Espulsione, invece che nei locali di udienza del Giudice di pace, a vere e proprie illegittimità, come nel caso di udienze di convalida dell’espulsione immediata celebrate nei locali della casa circondariale di Bologna. Va poi segnalato il gran numero di provvedimenti scarsamente motivati, o addirittura privi di motivazione, che sono stati individuati durante la ricerca. Tale circostanza, che viola un principio costituzionalmente stabilito ed è lesiva del diritto di difesa, è altresì sintomatica di irregolarità diffuse, che vanno dalla incompleta compilazione dei verbali alla celebrazione di udienze che non garantiscono un contradditorio effettivo.
In alcuni casi poi, carenze riconducibili al quadro legislativo deficitario di norme chiare sulla possibilità di riesaminare il trattenimento secondo scadenze più brevi di quelle prestabilite dalla legge, danno origine a prassi discutibili, come quella di decreti che utilizzano formule di convalida "sotto condizione".
La difesa
Nonostante i termini brevi, perentoriamente previsti per la convalida del trattenimento, la ricerca ha messo in evidenza come nella maggior parte dei casi la difesa risulti affidata ad avvocati nominati, almeno formalmente, come difensori di fiducia. Peraltro, in alcune sedi come Roma e Bari, pochi nomi di difensori ricorrono per la quasi totalità dei procedimenti, seppure non sia chiaro quando questi siano venuti in contatto con i trattenuti. Nel caso di Bari, uno stesso avvocato è risultato nominato in 128 procedimenti, ovvero oltre i due terzi del totale.
Nonostante gli avvocati risultino nominati di fiducia, e il loro compenso sia garantito dalla previsione del patrocinio a spese dello Stato, l’attività difensiva svolta è risultata in una gran numero casi insufficiente a garantire una difesa tecnica adeguata.
Le misure alternative alla detenzione e il rimpatrio volontario
La direttiva europea 2008/115/CE ha stabilito che è legittimo ricorrere al trattenimento solo quando non possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive. Inoltre, il rimpatrio volontario dovrebbe essere preferito all’espulsione forzata degli stranieri dal territorio. La ricerca ha messo in evidenza come il ricorso a misure alternative alla detenzione e la concessione di un termine per la partenza volontaria, in luogo dell’esecuzione coattiva dell’espulsione, siano largamente disattesi. Solo nelle sedi di Firenze e Bologna (in questa seconda sede si segnalano 4 casi tra gennaio e marzo 2014) è stato riscontrato un numero significativo di procedimenti di convalida di misure alternative di fronte al Gdp. Deve essere peraltro segnalato che, nel caso di Firenze, il Gdp ha accolto le richieste della Questura in 50 casi su 51, anche in ragione del fatto che il contradditorio non viene di regola integrato da alcuna memoria difensiva.
Il trattenimento dei richiedenti asilo
Le norme sull’autorità competente per il controllo giurisdizionale sul trattenimento dei richiedenti asilo non sono interpretate uniformemente. Nonostante la Corte di Cassazione abbia ribadito più volte la competenza del Tribunale nel caso che il trattenuto abbia presentato domanda di protezione internazionale, la ricerca ha evidenziato molti procedimenti in cui la proroga del trattenimento è stata stabilita dal Gdp. Nella sede di Bari la difesa ha sollevato tra le eccezioni la pendenza della domanda d’asilo in ben 51 procedimenti (senza tuttavia eccepire l’incompetenza del Gdp). Anche nella sede di Roma, sono stati rilevati decreti di proroga del trattenimento di richiedenti asilo emessi dal Gdp invece che dal Tribunale, in particolare il Gdp di Roma si ritiene competente nelle more della decisione del Tribunale sul ricorso contro il diniego della protezione internazionale qualora non sia stata concessa la sospensione del provvedimento impugnato.
I procedimenti di opposizione all’espulsione
Per quanto riguarda i procedimenti di opposizione all’espulsione, la normativa europea prevede che al destinatario del provvedimento debba essere garantito un mezzo di ricorso effettivo. Perché il procedimento possa dirsi tale è necessario che il giudice possa sospendere l’efficacia esecutiva del decreto di espulsione. La normativa non è certo chiara al riguardo; va tuttavia segnalato come nella maggior parte dei casi i Gdp non rispondono sulla richiesta di sospensione dell’espulsione avanzata dalle difese. Questo dato va letto congiuntamente a quello della durata dei processi che in alcune sedi come Roma si protrae mediamente tra 4 e i 6 mesi (contro i 20 giorni previsti dalla legge). Ciò comporta che il ricorrente si trova per un lungo tempo in una situazione di incertezza rispetto ai propri diritti, dal momento che potrebbe essere rimpatriato anche prima di ottenere una decisione sul proprio ricorso. Più celeri sono risultati i processi a Firenze e Napoli.
Le osservazioni di sintesi qui formulate sono solo esemplificative delle molteplici criticità rilevate durante la ricerca che non consentono il controllo sulla uniforme applicazione delle leggi e la conseguente prevedibilità del rispetto delle procedure.
[Leggi i rapporti di ricerca
La ricerca è stata coordinata dalla Clinica del Diritto dell’Immigrazione e della Cittadinanza del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tre (coordinamento prof. Enrica Rigo). Hanno collaborato: Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Firenze (referente della ricerca prof. Emilio Santoro), Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari Aldo Moro (referente della ricerca prof. Giuseppe Campesi), International University College of Turin e Associazione Studi Giuridici Immigrazione (referenti della ricerca prof. Ulrich Stege e avv. Maurizio Veglio ), Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna (referente della ricerca dott.ssa Giulia Fabini).

 


#IostoconEmra - Emra Gasi è stato liberato. Grazie a tutti!
Le sue condizioni psico-fisiche e l’istanza di apolidia presentata dall’Avv. Uljana Gazidede hanno messo fine alla detenzione del ragazzo
Melting Pot Europa, 06-12-2014
Nicola Grigion
L’appello di Melting Pot Europa per la liberazione di Emra ha fatto il giro d’Italia in pochissime ore. Intanto l’Avv. Uljana Gazidede non ha smesso di battagliare perché ogni giornata trascorsa dal ragazzo all’interno del CIE di Bari fosse l’ultima. L’udienza per il ricorso contro il provvedimento di espulsione è stata fissata per il 22 dicembre a Venezia. Ma intanto a Bari qualcosa è successo.
Il legale del di Emra ha inoltrato l’istanza per il riconoscimento dello status di apolide mentre, dopo numerosi pressioni, alla luce della copiosa documentazione presentata alla Questura di Bari, è stata disposta una perizia medica sul ragazzo. Si tratta degli stessi documenti che il Gdp, in sede di convalida, aveva ritenuto irrilevanti. Ma secondo il giudice il trattenimento di Emra e la sua espulsione erano legittimi. Il ragazzo sarebbe dovuto essere "rimpatriato" in un paese mai conosciuto.
Nella mattinata di oggi (sabato) la notizia della "liberazione". Emra non si trova in condizione di sopportare la detenzione in un CIE e quindi va messo fine al suo trattenimento. Questo il risultato della perizia medica.
Ma non solo. Emra ha diritto di rimanere in Italia in attesa del riconscimento dello status di apolide e gli verrà quindi rilasciato un permesso di soggiorno.
L’ultimo passaggio, che ormai suona come una formalità, è quello che avverrà proprio il 22 dicembre davanti al Giudice di Venezia, per la revoca dell’ espulsione. L’art 13, co 2bis, parla chiaro: nell’adottare il provvedimento devono essere presi in considerazione la natura dei vincoli familiari dell’interessato (Emra ha qui tutta la sua famiglia), la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale (Emra è qui da tutta la vita) nonché, l’ esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine (che è l’Italia perché Emra non ha mai visto la Serbia). Emra insomma è inespellibile.
La storia di Emra
Erano i primi anni ’90 quando i genitori di Emra, cittadini "jugoslavi" lasciavano il loro paese a causa della guerra nei Balcani, per rifugiarsi in Italia. Ed è poco dopo il loro arrivo, nel 1992, a Secondigliano (NA), dove avevano stabilito la residenza, che nasceva Emra. Poi la famiglia intera, si trasferì in uno dei campi profughi di Mestre, dove, grazie al lavoro della Cooperativa Caracol e del Comune di Venezia, impegnati in un progetto di superamento della "forma campo", vennero guidati nell’acquisizione di una abitazione, così come altre quattrocento persone.
Stabilitainsieme alla sua famiglia la residenza a San Donà di Piave nel 2000, Emra venne così iscritto nella "carta di soggiorno" del padre.
Ma è quattro anni fa, con il compimento della maggiore età, che la vita di Emra, come accade ad altre migliaia di giovani nati qui, ha dovuto fare i conti con la spietata normativa italiana.
Suo padre muore, lui non è cittadino jugoslavo (serbo), ma per l’Italia non esiste. Perché nonostante i certificati di nascita e gli attestati di iscrizione anagrafica che testimoniano una vita intera passata in Italia, per le autorità italiane è straniero, "entrato irregolarmente" e per questo dovrebbe essere espulso in un paese che non ha neppure mai visto. Nel 2011, divenuto maggiorenne, Emra chiede infatti il rilascio di un permesso di soggiorno. La Questura tace e dopo ben due anni rigetta l’istanza. Così il Prefetto emette nel 2013 un primo provvedimento di espulsione. Emra non se ne va ed anzi, chiede alla rappresentanza consolare serba di verificare se risulta cittadino. La risposta del consolato è negativa. Ma nonostante questo la Prefettura di Venezia emette un nuovo provvedimento di espulsione seguito da un ordine di trattenimento del Questore.
Ed è così che Emra, il 25 novembre, finisce al CIE di Bari Palese.
Ma oggi è libero.
Per noi si tratta di una enorme soddisfazione, una battaglia vinta dall’Avv. Uljana Gazidede (che collabora con Melting Pot Europa) e da tutti quelli che in dieci giorni di detenzione hanno sostenuto Emra, il nostro appello, il grido di dolore della famiglia, e non hanno smesso di denunciare quanto stava accadendo.
Ora, mentre Emra Gasi si appresta ad abbracciare la sua famiglia ed i suoi amici, non rimane che aprire una doverosa riflessione su quanto accaduto.
Perché esistono centinaia di Emra Gasi in questo paese.
Migliaia di storie di vita costrette a sopportare leggi ingiuste e feroci. Migliaia di persone che, troppo spesso, proprio grazie all’arbitrarietà di queste leggi, sono costrette a subire prassi illegittime che si spingono oltre quelle stesse norme già abbondantemente restrittive.
E’ il caso dei tanti provvedimenti di espulsione e trattenimenti illegittimi, di respingimenti alla frontiera arbitrari e collettivi, che ancora, nonostante la chiusura di otto CIE su tredici, centinaia di persone sono costretti a subire.
E’ ciò che accade ogni volta che uno "straniero" si trova a confronto con l’amministrazione, quando deve rinnovare un permesso di soggiorno o accedere ad una prestazione sociale, quando deve ricongiungersi ad un familiare, o vedersi riconosciuuto un diritto fondamentale.
E’ ciò che accade a migliaia di ragazzi nella condizione di Emra, costretti ancora a sentirsi stranieri nel paese in cui sono nati e cresciuti perché il dibattito intorno al riconoscimento della cittadinanza ai nati in Italia si è arenato in una palude di larghe intese ed opportunismi politici.
Mettere fine alla brutalità dei CIE, ai ricatti della legge Bossi-Fini ed alle ingiustizie della normativa sulla cittadinanza, non sono più questioni rinviabili.
Per il futuro dei tanti Emra Gasi di questo paese e per quello di tutti noi.

 

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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