Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

30 gennaio 2014

Immigrati: nave madre al largo Sicilia, 15 arresti e 175 salvi
(AGI) - Palermo, 30 gen. - Una "nave madre" che trasportava immigrati per scaricarli su una barca piu' piccola al largo della Sicilia e' stata intercettata la scorsa notte dalla corvetta della Marina militare. Arrestati i 15 membri dell'equipaggio, e soccorso un natante con a bordo 175 profughi, tra i quali 6 bambini, a Sud di Capo Passero (Siracusa). Lo scafo era stato avvistato dall'elicottero della corvetta "Fenice" che ha poi imbarcato i migranti, provenienti da Siria, Egitto e Iraq. Sono stati assistiti dal personale medico di bordo e, ad eccezione di un caso di ipotermia, sono stati dichiarati in buone condizioni di salute. Frattanto, la fregata "Aliseo", in stretto coordinamento con la Direzione distrettuale antimafia di Catania, ha effettuato il sequestro della "nave madre" e fermato i 15 membri dell'equipaggio. I trafficanti saranno trasferiti a Catania, dove si e' diretta anche la corvetta "Fenice", attesa in porto tra oggi e domani.
 


Via Corelli, il Cie resta chiuso Lavori ancora da terminare
la Repubblica Milano, 30-01-2014  
ZITA DAZZI
DOVEVA riaprire sabato prossimo, ma il Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli restera sbarrato. La prefettura, che un mese fa aveva comunicato la chiusura per la necessità di rimettere a nuovo un'ala della struttura, ieri ha annunciato che «i lavori non sono stati completati» e che dunque «la riapertura è rimandata a data da destinarsi». Nessuno in corso Monforte si sbilancia a dire se e quando verrà effettivamente rimesso in funzione il Cie di Milano, che ha 130 posti e un curriculum infinito di rivolte e incendi fin dalla sua inaugurazione, nel 2001, ancora ai tempi della prima legge sull'immigrazione. Fu la Turco-Napolitano infatti ad istituire i Cie, che oggi un vasto fronte di forze politiche anche di governo, a partire dal Pd, propone di chiudere. Al momento non è stata presa alcuna decisione a livello nazionale, anche se un primo passaggio è stato fatto con l'abolizione del reato di clandestinità. Ma dalla prefettura l'unica cosa che si riesce a sapere è che «non sono nemmeno state completate le procedure della gara d'appalto per aggiudicare la nuova gestione».
La Croce Rossa che ha gestito il Cie fino alla fine del 2013 si è chiamata fuori. «Abbiamo terminato il contratto al fine dicembre, con un mese di anticipo  -spiega Antonio Arosio, responsabile provinciale della Cri-. Avevamo manifestato comunque la nostra intenzione di non proseguire l'attività, fondamentalmente per aspetto economico. Il ministero degli lnterni offre condizioni non in linea con le nostre spese». Arosio non nega che comunque la Cri si vuole tirare fuori da questa partita, a Milano come nel resto del Paese: «Dal punto di vista gestionale, la nostra attività è destinata a ridursi in tutta ltalia perché siamo più favorevoli a prestare servizio in strutture di accoglienza che di detenzione, come sono i centri simili a via Corelli, luoghi ormai anacronistici».
Delle decisioni che stanno maturando sul futuro dei grande centro di identificazione —blindato come un carcere e sovrastato dalla tangenziale est— nulla si sa in Comune. L'assessore alla Sicurezza Marco Granelli, pur avendo passato la mattinata in prefettura, non è stato nemmeno avvisato della posticipazione dell'apertura. L'assessore al Welfare Piefrancesco Majorino, da parte sua, reitera l'appello: «Abbiamo chiesto al governo di non provvedere mai più alla riapertura del Cie di via Corelli. Non si possono piangere i morti di Lampedusa e ignorare la necessità di rivoluzionare il sistema di accoglienza dei vivi. Chiediamo che la struttura diventi un centro d'accoglienza, il Comune è pronto a fare la sua parte».



Accoglienza Rifugiati. Pubblicata la graduatoria della rete Sprar
Ecco come verranno assegnate le risorse agli enti locali. Approvati 456 progetti, 20 mila posti a disposizione
stranieriinitalia.it, 30-01-2014
Roma - 30 gennaio 2014 - Il ministero dell'Interno ha pubblicato la graduatoria per l'accesso alle risorse per l'accoglienza di richiedenti e titolari di protezione internazionale nell'ambito dello SPRAR.
Questi fondi finanzieranno i 20 mila posti messi a disposzione dagli enti locali che costituiscono  il Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati.  Complessivamente sono stati approvati 456 progetti per richiedenti e titolari di protezione internazionale, di cui 367 progetti ordinari, 57 per minori non accompagnati, e 32 per persone con disabilità o disagio mentale.
GRADUATORIA EX ARTICOLO 9, COMMA 1 LETTERA a) D.M. 30 Luglio 2013  -   Minori Non Accompagnati Richiedenti e titolari di protezione internazionale o umanitaria
GRADUATORIA EX ARTICOLO 9, COMMA 1 LETTERA b) D.M. 30 Luglio 2013-Persone disabili e/o con disagio mentale o psicologico e/o con necessità di assistenza sanitaria, sociale e domiciliare, specialistica e/o prolungata
GRADUATORIA EX ARTICOLO 9, COMMA 1 LETTERA c) - Richiedenti e Titolari di protezione internazionale



Habitat tossico per i Rom
l'Unità, 30-01-2014
 Flore Murard-Yovanovitch
La comunità Rom di Napoli nord, è stata sgomberata da un campo tossico per un campo più tossico ancora. Il campo di Masseria del Pozzo, Giugliano. A ridosso della discarica, eredità dello  smaltimento camorrista di rifiuti illegali in Campania: fumarole di biogas, geyser velenosi,  pozzanghere nere invasive  dove giocano i piccoli, che si ammalano. Il Commissario governativo alla bonifica Mario De Biase definisce la zona “la più pericolosa in assoluto in termini di rischio per la salute, incompatibile con la creazione di un insediamento umano”. Eppure, in questa zona ad alto rischio per la salute pubblica, 400 Rom tra cui 250 bambini sono costretti, in una barbara politica di contenimento, a vivere in un non-luogo invivibile, disumano, anzi, fatale.
Quell’incredibile decisione scellerata – quella segregazione sociale forzata con le sue gravissime conseguenze sulla salute dei Rom – è stata denunciata dal bellissimo documentario Terrapromessa, di Mario Leombruno e Luca Romano. Ascoltare le surreali, ipocrite dichiarazioni dell’amministrazione comunale di Giugliano, che lagnando l’assenza di fondi, mal celano la politica di segregazione etnica deliberata. “Questi sono diversi da noi, questi possono ammalarsi, marcire e persino morire”, sembra il pensiero nascosto alla radice della decisione comunale.
http://youtu.be/wpaqT9n03lw
Ma Giugliano non è  un caso isolato. Nel recente convegno “La salute dei Rom: disuguaglianza vissute, equità rivendicata”, sono stati presentati i tratti salienti delle analisi del volume “Salute Rom: itinerari possibili”: minore aspettativa di vita, scarse e disastrose condizioni igieniche,  minor accesso ai servizi di cura. Le condizioni di salute dei 180mila Rom presenti in Italia, sono  talmente precarie da farli vivere 10 anni in meno rispetto alla media nazionale degli italiani.
La responsabilità? La politica dei campi, dall’“Emergenza Nomadi”  ad oggi, imbastita sul trattamento dei Rom come se fossero “una calamità naturale” (Sergio Bontempelli). Rinchiuderli in campi dove le condizioni igieniche sono pessime costituisce di fatto una grave discriminazione per la salute, su base razziale. Bontempelli aggiunge “con l’elemento di sterminio in meno, viene attuata nei confronti dei Rom una politica di pulizia etnica soft, identica”. E si sa da Daniel Jonah Goldhagen che le politiche di sterminio non prendono sempre il volto dell’eliminazione fisica diretta, ma anche forme subdole come esposizione ai virus ed epidemie che, nel lungo termine, possono portare allo stesso risultato (Peggio della guerra. Lo sterminio di massa nella storia dell’umanità).
I campi, in fatti, vanno letti in chiave e alla luce di una storia lunga. Se la fase sterminazionista come risposta alla “piaga” di Rom e Sinti, in Italia e in Europa, ai tempi delle persecuzioni nazifasciste è ovviamente superata, l’antica negazione di questa minoranza prosegue ovunque oggi in Europa, con continuità. Senza nominare gli attacchi, i pogrom dell’Est europeo e le vere e proprie deportazioni di cui si macchia il governo di Hollande, qua, basta vedere il campo di Giuliano, per convincersi. Respingere, escludere, concentrare: stesse parole d’ordine oggi.
Come ricorda Moni Ovadia, nell’ambito dell’evento “Samudaripen”, organizzato da Associazione 21 luglio e Sucar Drom nell’ambito delle celebrazioni della Giornata della Memoria , «è stato fatto un nemico dell’alterità e più manifesta è l’alterità, più aggressiva l’intolleranza. La cosiddetta “specificità” rom, terminologia usata dalle amministrazioni comunali, è vissuta in una crescente intolleranza, anche da una soi-disant sinistra. Basta pensare alla follia, di deportare veri e  propri cittadini italiani (il 65% dei Rom in Italia). Siamo di fronte ad un gravissimo deficit del principio di universalità dell’essere umano. Percepito come “catastrofe”, come “diverso da noi”, il Rom in un certo senso è l’ebreo di oggi».



Rosarno (RC): iniziativa della Fai Cisl su immigrazione e lavoro agricolo     
Strill.it, 30-01-2014
Di seguito nota della Fai Cisl: L’iniziativa promossa dalla Fai-Cisl di Reggio Calabria,di comune accordo con la Federazione regionale e nazionale, ha come scopo prncipale quello di mettere in evidenza le condizioni degli immigrati al cospetto del lavoro stagionale in agricoltura.
In questo difficile momento di crisi e di difficoltà di tenuta economica complessiva,avvertiamo la necessità di impegnarci , nel limite del possibile, nel dare sostegno a tutte quelle comunità che annoverano ,per situazioni contingenti, fragilità legate all’accoglienza di centinaia di immigrati .
Rosarno, paese già stretto dall’atavica crisi occupazionale ed economica viene chiamata ancora una volta a fronteggiare  una ulteriore difficoltà , con gravi ricadute sul piano sociale, sanitario e dell’accoglienza,malgrado gli sforzi  delle istituzioni locali.
La riflessione immaginata ,per venerdi 31, deve porsi l’ambizione di parlare di lavoro attraverso una nuova formulazione di tutele per sollevare dallo sgomento gli immigrati e per lo stesso verso l’intera comunità.
”Parlare di lavoro fa bene ma averlo è ancora meglio”
Serve che qualcuno dia voce agli ultimi,  soprattutto quando si è alla prese con i viaggi di più popoli esasperati dalla miseria.
In talune situazioni si smarrisce il senso della vita e spesso si è costretti a vivere nelle condizioni più disparate.
Capita in agricoltura ,quando si è attratti dalla possibilità di un lavoro durante le grandi campagne di raccolta dei prodotti della terra .
Dovremmo tutti sentire la responsabilità di assicurare un appropriato governo al fenomeno crescente dell’immigrazione, convinti che non basta fare ma è necessario e strategico fare cose giuste al momento giusto.
In situazioni difficili, anche noi come sindacato, dobbiamo dimostrare capacità; che portino fuori dall’ordinario fino ad auspicare anche un momento di confronto improntato sulla bilateralità che rispecchi ed evidenzi le criticità, ponendovi su basi pattizie soluzioni adeguate.
Non dobbiamo immaginare in alcun modo un regresso di tutele e occorre lavorare affincchè agli immigrati, venga loro riservato un trattamento di accoglienza in strutture decorose e organizzate anche con la partecipazione da parte datoriale .
Dal dibattito che si concluderà con l’intervento di Rando Devole,  in rappresentanza della Fai Nazionale, non mancheranno suggerimenti e proposte tali da sollevare interessi e soluzioni.
Il Segretario Generale Fai-Cisl
Romolo Piscionieri



A lezione di orgoglio nero dal professor Lilian Thuram
Paolo Tomaselli
Corriere.it, 30-01-2014
Era un difensore statuario, Lilian Thuram. Oggi è un uomo costantemente in missione, immarcabile e spiazzante:
     ”Dimmi sinceramente, secondo te io assomiglio a una scimmia? Chi fa gli ululati negli stadi mi fa pena, perché ha bisogno di aiuto. All’inizio è stato difficile capire che il problema non era mio, ma solamente loro. Tanti bambini come te soffrono per questo, perché pensano di avere qualcosa di sbagliato, questo non dimentichiamolo mai. Ma aiutiamoli anche non cadere nelle trappole dei razzisti e a vivere lo sport come uno strumento di crescita e di integrazione, con felicità”.
Il 3 giugno 2001 in questo angolo di Nordest un’intera squadra, in serie B, si era dipinta il volto di nero per solidarietà con un proprio compagno, il nigeriano Omolade, contestato dai propri “tifosi” per il colore della sua pelle. Nelle scorse settimane, nel cuore di Treviso, dove il calcio di alto livello adesso è sparito, c’era un campione del mondo che giocava a pallone sull’antico acciottolato della piazza dei Signori con i ragazzi di una delle polisportive più multietniche d’Italia, la Condor San Angelo, che è composta da giovani di dieci nazionalità differenti e si è inventata anche la figura, sempre più necessaria, dei “genitori steward”, per tenere calmi gli spiriti sulle tribune durante le partite del fine settimana.
    “Le cose nella società e nella storia cambiano e si evolvono- dice Thuram, che ha ricevuto la legion d’onore e con la sua fondazione è diventato ormai qualcosa di più di un ambasciatore – ma il razzismo attorno a noi c’è sempre ed è inutile essere ipocriti. Quei giocatori dipinti di nero sono entrati nella storia dello sport, come del resto il capitano della Benetton basket, Riccardo Pittis, che nel 1997 minacciò di uscire dal campo se la curva dei suoi tifosi, avesse continuato a insultare un avversario nero. Ma il problema negli stadi qui da voi c’è ancora. Ed evidentemente anche fuori, come dimostrano le contestazioni al ministro Kyenge. In tanti sono contro il cambiamento, ma il problema in fondo non sono nemmeno loro: sono quelli che vogliono cambiare le cose che in realtà fanno troppo poco per migliorare la situazione. Come gli allenatori o i compagni di squadra che minimizzano gli ululati contro i giocatori neri dicendo che non c’entrano col razzismo e tirando in ballo magari l’antipatia che può attirare un giocatore come Balotelli: sono loro che devono uscire dal campo se un compagno viene insultato”.
Thuram ha scritto un primo libro (“Le mie stelle nere”, Add editore, con le storie di quarantacinque grandi personalità) che sta presentando in questi mesi in una lunga tournée italiana e in Francia ne ha appena pubblicato un altro dal titolo impegnativo, che uscirà da noi in autunno per lo stesso editore: “Manifesto per l’uguaglianza”. I modelli dell’ex difensore di Parma, Juventus, Barcellona e nazionale francese e sono altissimi, Muhammad Ali e Nelson Mandela:
    “Perché hanno capito che lo sport è uno strumento che ha un potere incredibile di crescita sociale e culturale. Basta vedere questi bambini per capire che il fatto di lavorare insieme per un obiettivo comune, senza guardare il colore della pelle, la religione o la sessualità, fa crescere generazioni migliori di quelle passate. Dobbiamo tornare a vedere l’altro come un aiuto per evolversi insieme, come si fa in una squadra di calcio, anche ad altissimo livello”.
I bambini, nati in Italia da genitori dello Sri Lanka, del Camerun, del Kosovo o dell’Albania, sono emozionati, alcuni anche commossi, anche se quasi tutti sono troppo piccoli per aver visto giocare Thuram. Per loro il campione francese è soprattutto uno che dice le cose che vogliono sentirsi dire, per vivere meglio la loro carriera di nuovi italiani.
    “Allora dimmi ti sembro una scimmia io?”. “No, ma mio fratello quando gli dicono negro di m. in campo combina sempre dei casini. Non riesce ad essere tranquillo come dici tu!”. “Spiegagli quello che ti ho detto io, il problema è dei razzisti da stadio e non suo. E, se non capisce, allora tiragli un pugno…”.
Scherza, il professor Thuram, ma fino a un certo punto. La partita è ancora lunga ma le sue azioni cominciano a fare la differenza.



Servizio Civile Nazionale. Pronti a partire i giovani volontari "stranieri"
Finora selezionate una quarantina di seconde generazioni. Naoual Bouhazza, che aveva vinto il ricorso, non è stata selezionata: "Felice per gli altri". Asgi: “Il muro è caduto, speriamo per sempre”
stranieriinitalia.it, 30-01-2014
Elvio Pasca
Roma – 30 gennaio 2014 – Partono in questi giorni i primi progetti del Servizio Civile Nazionale e preparano le valige anche i nuovi italiani. Ragazze e ragazzi stranieri per legge, ma cresciuti in Italia, che potranno dedicare un anno della loro vita agli altri dopo che il tribunale di Milano ha bocciato come discriminatorio il bando aperto solo ai cittadini italiani.
L’Ufficio Nazionale del Servizio Civile li sta contando, man mano che gli enti trasmettono le loro pratiche. L’ultimo report, provvisorio, è di venerdì scorso: 378 aspiranti volontari stranieri, 37 dei quali hanno superato le selezioni. Aiuteranno anziani e malati, tuteleranno l’ambiente, consentiranno di tenere aperti i musei... chissà se troveranno il tempo di ringraziare Naoual Bouhazza, Maryana Todyrenchuk, Nadeesha Dilshani Uyangoda Vithanage e Suranga Deshapriya Katungampala.
Naoual non ce l’ha fatta
Naoual, Maryana, Nadeesha e Suranga, unico uomo, sono i magnifici quattro che hanno detto “no” al bando “solo per italiani”, hanno presentato ricorso insieme all’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione e ad Avvocati per Niente Onlus, e alla fine hanno vinto. Pionieri di una conquista che apre nuove strade alle seconde generazioni, hanno combattuto una battaglia della quale non si spartiranno necessariamente il bottino.  
“Ho presentato la domanda, ma non sono stata selezionata” racconta infatti a Stranieriinitalia.it Naoual Bouhazza, 25 anni. ”C’era solo un posto disponibile per venti aspiranti volontari, sapevo che sarebbe stato difficile” Lei è cresciuta a Concorezzo, paese da quindicimila anime a una ventina di chilometri da Milano. C’è arrivata dal Marocco, insieme alla sua famiglia, quando aveva undici anni.
In tempi di disoccupazione giovanile da record, Naoual si arrangia facendo la baby sitter, ma continua a dedicarsi gratuitamente agli altri con due associazioni di volontariato: doposcuola per i bambini il sabato, corsi di italiano per donne straniere altri due giorni della settimana. Aveva scelto un progetto di servizio civile in comune vicino, Corugate, per accompagnare bambini a scuola e fare compagnia agli anziani.
“Non fa niente se non ce l’ho fatta, se ci sarà di nuovo un progetto interessante ci riproverò l’anno prossimo. Comunque sono contenta di aver vinto il ricorso, perché permetterà ad altri di partire. Abbiamo combattuto un’ingiustizia: se uno vuole fare volontariato, dedicare il proprio tempo agli altri non puoi escluderlo solo perché secondo la legge è straniero. Ma poi, straniero? Io ho passato più tempo in Italia che in Marocco”.
Asgi: "Caduto un muro"
Quasi quattrocento domande. Tante o poche? “Sono numeri molti significativi se pensiamo che il bando è rimasto aperto per sole due settimane e che non c’è stata nessuna attività di informazione da parte dell’Ufficio nazionale: significa che c’era una grande attesa presso i giovani stranieri e un gran desiderio di partecipare" dice l’avvocato Alberto Guariso dell’Associazione Studi Giuridici per l’Immigrazione. È lui l’autore, insieme al collega Livio Neri, del ricorso vittorioso.
“Il muro che divideva cittadini e non cittadini in questa esperienza di socialità e solidarietà è dunque caduto, speriamo definitivamente" continua l’avvocato. "Ora occorre che il Ministero sospenda il contenzioso abbandonando il ricorso contro la decisione di Milano che comunque verrebbe deciso a servizio civile finito".
L'ASGI auspica che si mantenga l’apertura agli stranieri, ampliandola anche ai non lungo soggiornanti, anche per i prossimi bandi . "Sarebbe sconcertante che un problema cosi importante venisse risolto in modo altalenante da un anno all’altro" conclude Guariso.



I videogame antirazzista insulta l'ltalia
Violenti, truffatori, sfruttatori: così ci dipinge il gioco dell'Unar, l'ente che dovrebbe promuovere l'integrazione
Libero, 30-01-2014
ANTONIO AMOROSI

??? «Vivi un mese nei panni di uno straniero» dice la didascalia sul gioco on line «Nei miei panni» proposto dall'Unar, Ufficio nazionali antidiscriminazioni razziali a marzo 2013. Un mese prima della creazione del Ministero dell'Integrazione di Cecile Kyenge che presiede parte delle attività dell'ufficio, l'Unar propone il gioco per combattere il razzismo e lo porta nelle scuole. Ma qualcuno ci ha mai giocato? Entro sul sito di Unar e provo. La prima didascalia mi dice: «C'è la farai?» Ah iniziamo bene! Continuo. Posso diventare uno dei tre personaggi: Ahmed, perito meccanico di 23 anni, Modou, senegalese di 31 anni con una laurea in ingegneria, Katerina, donna ucraina sfrattata.
Non ho ancora scelto e già partono messaggi su quanta discriminazione razziale ci sia in Italia. Poi schermate claustrofobiche in bianco e nero. Sembra di essere in un carcere. Scelgo Ahmed. Parte il gioco. Primo giorno. La polizia fa chiudere il bed & brea-kfast dove dormo con altri cinque stranieri nella stessa stanza. Sono costretto a trovare un'altra sistemazione. Pagare l'affitto di un appartamento (500 euro), una camera (300 euro) o dormire da un amico? Ho un budget di 700 euro. Scelgo di dormire da un amico. Ecco la didascalia che arriva: «Cercare una casa è quasi impossibile per uno straniero... Le persone a cui chiedi informazioni ti trattano con indifferenza... Decidi di dormire in stazione ma al risveglio ti accorgi di aver subito il furto di gran parte del suo denaro, ben 480». Porca miseria. Ma non è possibile. Il gioco salta al giorno 4, poi al 7, tra capi che mi danno lavori umilianti e gente che mi deruba. Finisco sotto di 200 euro. Non ce l'ho fatta. La didascalia mi dice che «Nei miei panni» è solo un gioco ma accade veramente... in Italia. Ma come? Mi dico. Ma che posto è? Allora cambio personaggio.
Divento Modou il senegalese. Ma il primo giorno lo stabile dove vivo viene sgomberato. Trovato un letto, un padrone di casa mi dice «non aífitto ai negri». E sono già a metà del budget. Trovo un lavoro ma i «colleghi» mi fregano e mi fanno svolgere solo «lavori pesanti». Mi preparo da mangiare ma perdo tutto «e nel condomínio protestano per i cibi africani». Eliminate. Allora cambio strategia. Gioco perun'ora. Prendo anche i bonus, come quello di fare il lavavetri ma mi multano i vigili. Non supero mai metà mese. L'Italia è un incubo contro gli immigrati. Se lo sei ovunque ti giri c'è una fregatura, un carcere, una truffa, un azione razzista come se vi fosse la segregazione razziale. Non capisco. Anche gli italiani hanno problemi. Non c'è lavoro. Se lavori per lo Stato ques ti può anche non pagarti e fallisci. Equitalia ti insegue per le pendenze. Paghi le tasse in anticipo senza aver incassato nulla. Ogni tipo di truffa è dietro l'angolo. Non è che facciamo un gioco per difendere gli italiani!? No!? Cosi chiamo l'Unar.
Parlo col direttore, Antonio Giuliani, molto gentile e disponibile. E quando gli faccio osservare che il gioco ha una struttura assurda, lui mi conferma che è politica del centro quello di creare «qualcosa di assolutamente ostile per far capire che vita vi - vono gli immigrati>| Ma perché gli italiani che vita fanno!? Gli faccio notare che cosi si alimenta solo un clima di contrapposizione e con gli italiani sembrano degli aguzzini. Mi dice che «no, no, aguzzini no, ma effettivamente il gioco è frustrante». «In Italia è dura per molti e chiunque abbia reddito basso. E non per le discriminazioni gratuite», replico. Mi risponde che «effettivamente le mie osservazioni possono avere un senso». Forse qualcosa di più. Intanto però il gioco resta con il suo discutibile modo di sensibilizzare sul razzismo. Un gioco che ha diverse migliaia di contatti, è costato ai contribuent i 12mila euro e sembra rappresentare bene la politica della ministra Kyenge.

 

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