Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri
A chi interessa la vita di uno zingaro analfabeta condannato a morte?
Di Sergio D’Elia
Segretario di Nessuno tocchi Caino

Il nostro ministro degli esteri non era neanche sceso dall’aereo che la Corte Suprema aveva già deciso di condannare a morte in via definitiva Vasil Yuzepchuk, uno zingaro di trent’anni detenuto nel braccio della morte del carcere di Minsk. Franco Frattini era andato a Minsk alla fine di settembre per rafforzare i rapporti bilaterali tra Italia e Bielorussia e a fare da “apripista” della nuova politica europea di apertura al Paese sospeso dodici anni fa dal Consiglio d’Europa per via di persecuzioni politiche, esecuzioni capitali e altri trattamenti disumani e degradanti praticati sotto il regime di Aleksandr Lukashenko, l’ultimo dittatore del Vecchio Continente che da quando ha preso il potere nel 1994 ha applicato la pena di morte centinaia di volte e mostrato clemenza una volta sola.
Vasil Yuzepchuk era nato in Ucraina, ma all’età di sette anni era già in Bielorussia, nel villaggio di Tataryia, distretto di Drahichyn, regione di Brest. Da quando è nato, non è mai andato a scuola e non ha mai avuto un lavoro fisso. Si guadagnava da vivere aiutando gli abitanti del villaggio a sbrigare alcune faccende domestiche come pelare patate, tagliare e portar via l’erba. Aveva piccoli precedenti per furto di galline e, quindi, non poteva che essere lui l’autore dell’uccisione di sei anziane signore, una serie di furti nel distretto di Drahichyn, una rapina a mano armata nella regione di Hrodna e il primo sospettato di altri delitti orribili che hanno sconvolto il Paese negli ultimi due anni. La stampa lo ha subito dipinto come un pericoloso serial killer che di giorno andava ad aiutare le vecchiette e di notte tornava a strangolarle e derubarle. Questo zingaro, illetterato del tutto e mezzo incapace - secondo una perizia - di intendere e volere, era anche diventato il protagonista del programma televisivo Delitti del Secolo. Quando un tribunale di Brest, il 29 giugno scorso, lo ha ritenuto responsabile di tutto, Vasil era già “un uomo morto” e, condannandolo alla pena capitale, i suoi giudici non hanno fatto altro che certificarlo.
Ma chi lo ha visto dietro le sbarre della gabbia degli imputati il giorno dell’udienza alla corte suprema ha avuto un’impressione totalmente diversa dal suo ritratto “ufficiale”. Iryna Toustsik, un’attivista della campagna Difensori dei diritti umani contro la pena di morte in Bielorussia, ha descritto un uomo piccolo e gracile e dall’aspetto a dir poco pietoso, che dalle poche e a volte incomprensibili parole espresse non dimostrava di afferrare bene che cosa gli stesse accadendo intorno. “A giudicare dalle sue dichiarazioni, ha una scarsa conoscenza dei fatti e ha perso la dimensione del tempo. Non distingue i mesi, non sa dire in che mese un certo fatto è accaduto, sa dire solo se era inverno o estate,” ha commentato Irina. E’ davvero difficile considerare appropriata la confessione di un uomo che non sa né leggere né scrivere. Eppure le copertine dei giornali erano piene delle sue “terribili confessioni”: “avrò ucciso una quarantina di donne e non ho ancora detto tutto,” ha scritto il Viacherni Brest in un articolo sui “particolari inediti di questa terribile storia”.
Ovviamente, nessun organo di stampa del regime ha pubblicato un rigo sul fatto che, una volta catturato, Yuzepchuk era stato picchiato e minacciato di arresto dell’intera famiglia. Lo zingaro ha denunciato anche di essere stato tenuto a lungo in una cella di rigore, senza luce e senza cibo, costretto a prendere pillole strane e a bere alcool. Nulla di tutto ciò è stato preso in considerazione dal tribunale, nonostante un perito avesse certificato che le ferite sul suo corpo erano compatibili con il tempo e le circostanze della sua detenzione nel carcere giudiziario di Brest. I magistrati hanno creduto alla polizia? Durante il processo Vasil aveva tentato di spiegare perché sotto interrogatorio si era autoaccusato confessando sei omicidi: “Volevano che ne confessassi altri, ma a un certo punto gli ho detto di smetterla di guadagnare punti a mie spese.”
Gli oppositori della pena di morte continuano a citare l’ex giudice Yuri Sushkov, scappato dalla Bielorussia nel 1999 e ora in esilio in Germania, che ricorda come i giudici del suo Paese erano sollecitati a condannare a morte anche in assenza di prove e i sospettati venivano torturati per farli confessare. Gli avvocati difensori sostengono che il processo a Vasil tutto può essere definito fuorché un “giusto processo”. “Esami medici hanno documentato le percosse”, ha detto uno di loro, Igor Rabtsevich, che ora si chiede: “Come si può giustiziare un uomo quando sul caso ci sono così tanti dubbi?”
Una settimana fa, il presidente Lukashenko ha rigettato la domanda di grazia e, forse, scritto la parola fine sulla vita di questo gipsy incapace di leggere e scrivere e, forse, anche di intendere e volere. Varvara, la madre di Yusepchuk e di altri quattro figli, ha 52 anni e vive con venti euro al mese nel villaggio di Tataryia, in una casa decrepita dove i topi la fanno da padroni. Non crede che suo figlio abbia ucciso qualcuno ed è convinta che l’origine etnica sia stata decisiva nel suo caso: “hanno trovato uno zingaro indifeso e analfabeta cui addossare la responsabilità degli omicidi.” Varvara ha già attaccato un nastro nero intorno alla fotografia del figlio: pensa che le speranze di salvezza per il figlio siano totalmente svanite, visto e considerato che la sentenza è passata in giudicato e il Presidente non gli ha concesso la grazia. “E’ rimasto qualcuno cui interessi la sorte di uno zingaro analfabeta?”, si chiede ora la donna che non può sapere il luogo e la data dell’esecuzione che in Bielorussia sono coperti dal segreto di Stato, così come non saprà il luogo dove verrà sepolto il corpo del figlio quando sarà giustiziato.
Tornato a Roma dal suo viaggio in Bielorussia, il ministro degli esteri ha riferito di un primo “importante” contatto con la FIAT, ha confermato “il fortissimo interesse di Finmeccanica a essere presente ancora di più nel Paese”, ha annunciato una visita a breve di Silvio Berlusconi per stringere rapporti di cooperazione e, magari, già “firmare alcuni accordi economici”… ma ha anche detto di essere “rimasto colpito” dal fatto che il presidente Lukashenko ha istituito un comitato consultivo permanente sui diritti umani e che il parlamento ha creato una commissione per discutere dell’abolizione della pena di morte.
Al di là della sua innocenza o della sua colpevolezza, il caso di uno zingaro che rischia di essere giustiziato con un colpo di pistola alla testa, pratica rimasta invariata dai tempi dell'Unione sovietica, può essere per la Farnesina e Palazzo Chigi un primo, piccolo ma urgente, banco di prova delle buone relazioni tra Roma e Minsk, del credito che abbiamo dato all’ultima dittatura d’Europa che promette di voltare pagina e della buona fede di un presidente che dopo quattrocento esecuzioni e una sola grazia dice di essere pronto a cambiare registro.
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