Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

10 ottobre 2014

ll bilancio della missione italiana: all`attivo centomila vite salvate
Nel governo c`è chi pensa che le due iniziative potrebbero convivere
La stampa, 10-10-14
Guido Ruotolo

RoMA - Centomila vite salvate, in meno di un anno. Dal primo gennaio. Sono numeri che parlano da soli, di cui l`Italia va fiera. Certo, la decisione di dare vita a quella straordinaria operazione umanitaria che si chiama «Mare Nostrum» a suo tempo non è stata condivisa da tutti i Paesi europei e non sono mancate le critiche ma c`è anche il ringraziamento al nostro Paese per le vite umane salvate.
Il ministro dell`interno Angelino Alfano da Lussemburgo ha annunciato che con «Triton», stiamo parlando dell`operazione di controllo delle frontiere a poche miglia da Lampedusa, non c`è motivo di tenere in piedi «Mare Nostrum».
Naturalmente non sarà un`operazione in tempi ravvicinati. Domenico Manzione, Pd, sottosegretario all`Interno, è chiaro: «Allo stato attuale delle cose, Mare Nostrum continua fino a nuovo avviso, anche perché è un`operazione umanitaria necessaria». Insomma, «Triton» e «Mare Nostrum» sono destinate a coabitare per un po`. «Triton» entrerà in campo a partire dal primo novembre. Sei mezzi navali: due d`altura, due costieri, due gommoni di alta velocità. E poi due aerei di ricognizione. È l`Europa che si fa vedere, che si schiera a trenta miglia da Lampedusa.
Mentre Mare Nostrum con i mezzi della Marina Militare e della Guardia Costiera continuerà. A operare a poche miglia dalle acque territoriali libiche. Fino a quando, lo deciderà il governo.
Intanto, con l`arrivo dell`inverno e del maltempo il flusso migratorio potrebbe ridursi. Poi si spera che con la distruzione in mare dei natanti che sono serviti a trasportare gli immigrati, la disponibilità dei viaggi si riduca con la riduzione delle imbarcazioni.
Il ministro Alfano ieri ha voluto consegnare il testimone ai colleghi europei, quando ha ribadito che «Triton» sostituirà «Mare Nostrum». È la prima volta che con un`operazione congiunta si esprime una solidarietà europea all`Italia, il Paese rivierasco meta di flussi migratori imponenti (dal primo gennaio ad oggi siamo a quasi 150.000 arrivi).
È certamente un risultato importante per l`Italia, che arriva durante la presidenza italiana, del semestre europeo. Abbiamo lavorato in questi anni credendo nel progetto europeo del controllo delle frontiere, della gestione dei flussi, del contrasto ai trafficanti di clandestini. E oggi raccogliamo i primi frutti.
Naturalmente Frontex potrebbe cambiare mandato, finalità. Ricorda il sottosegretario all`Interno Filippo Bubbico, Pd: «Siamo d`accordo con il nuovo commissario Ue all`immigrazione, il greco Dimitris Avramopoulos, quando afferma che Frontex deve essere impegnata anche in operazioni di salvataggio in mare. Del resto è un suggerimento che il Parlamento europeo ha fatto suo».
Se, dunque, «Triton» sarà operativa dal primo novembre, questo non significa che il 2 novembre i mezzi di Mare Nostrum rientreranno in porto. Probabilmente, nel tempo, quei mezzi saranno schierati nel dispositivo di «Triton», alcuni lo potrebbero essere da subito, come da subito una parte dei costi di Mare Nostrum potrebbero essere garantiti dall`Europa.
Per dirla con il sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi, «Triton vuole diventare lo strumento di controllo operativo comune europeo dei flussi migratori, ed è una nuova politica che passa anche attraverso un lavoro in cooperazione con i Paesi terzi, cioè di provenienza e di transito degli stessi flussi migratori».
Ma è evidente che questa nuova politica ha bisogno di tempi, di rodaggi, di intese forti tra i diversi paesi europei. E dunque si può ipotizzare un percorso con diverse tappe. Ma il percorso ormai è tracciato. Ed è una buona notizia.



Mare Nostrum in archivio L`Europa schiera le forze per l`operazione Triton
Sei Paesi in campo ma per ora senza i mezzi di Francia e Germania
Alfano: "Nessuno impedirà all`Italia i soccorsi oltre le 30 miglia"
La Stampa, 10-10-14
MARCO ZATTERIN
CORRISPONDENTE DA BRUXELLES
«L`operazione Triton pone fine a Mare Nostrum e ne prenderà il posto». Angelino Alfano lo annuncia senza esitare, per lui è un fatto scontato. Ricorda che «avevamo sempre detto che era un`iniziativa a tempo e, quando l`Europa avesse fatto il suo dovere, avremmo agito di conseguenza». Ora ci sono le condizioni, certifica l`uomo del Viminale. Però non sarà la stessa cosa. La versione rafforzata dell`intervento di Frontex, l`agenzia Ue che vigila sulle frontiere europee, sarà attiva entro le 30 miglia dalla costa. «Vuol dire che oltre li lasceremo affogare?», chiedono al ministro. «Faremo per intero la nostra parte - replica il ministro -. Nessun atto può impedire a un Paese di effettuare il "search and rescue" per salvare la gente in mare».
«Un grande risultato per la presidenza italiana», esulta Alfano. A farci un poco di tara, resta in effetti il fatto che Roma è riuscita a convincere l`Europa a rafforzare Frontex e a vararne la versione «plus», ribattezzata Triton, un nome che ispira buona sorte, come la creatura mitologica che rievoca, il mezzo uomo e mezzo pesce che calmava le tempeste col corno. L`epilogo di Mare Nostrum, nato a fine 2013, al di là delle vite salvate, somiglia però a una ritirata. Costava caro ed era contestato da tutti.
Nell`incontro dei ministri dell`Interno Ue svoltosi a Lussemburgo, pur riconoscendo il lavoro italiano, pesanti critiche a Mare Nostrum sono venute da francesi, tedeschi, britannici e nordici. «Ha facilitato il lavoro dei trafficanti di uomini», ha attaccato un ministro. «Nata nell`emergenza, ha portato più morti», accusa la danese Hwkkerup. Spiega una fonte che «prima gli scafisti attrezzavano imbarcazioni capaci di fare 100 miglia, ora lavorano con carrette da 30 o 40». I morti «sono in effetti stati più numerosi in Libia che in prossimità dell`Italia».
A più voci si è chiesta la fine di Mare Nostrum e Alfano l`ha concessa di buon grado. «Rapido e coordinato phase-out», chiede l`Ue. Così arriva Triton. L`Europa mette 3 milioni al mese, contro i 9 che pagava Roma. Con la commissaria Malmstreim, Alfano fa un appello per nuove risorse: c`è tempo sino a martedì. A questo punto ci sono navi di Spagna, Portogallo, Norvegia, Islanda, Italia, Malta, e quest`ultime mettono anche aerei, come la Finlandia. La Francia ci pensa; la Germania dovrebbe partecipare con una dote finanziaria. In una riunione tecnica svoltasi a Roma, si è deciso di partire a novembre.
Triton accorpa le missioni Hermes (fronte Tunisia, Libia Algeria) e Aeneas (Calabria e Puglia). Roma si impegna ad una vigilanza non organizzata, Alfano dice che ci sono navi che «faranno il necessario anche oltre le 30 miglia». Molti, a partire da scandinavi e tedeschi, invocano anche un sforzo per il «fingerprinting», il controllo delle impronte digitali. Siamo accusati di non farlo abbastanza e non aiuta la scusa del caos degli sbarchi di uomini, donne e bambini disperati. «Non mi piace che la gente entri in Europa senza controlli», lamenta ancora la Haekkerup, convinta che a Roma si giochi sul desiderio degli asilanti di andare a Nord. Alfano s`è impegnato a «un`approfondita revisione del sistema», promettendo 20 «hub» di smistamento per i migranti in cui effettuare i controlli. Il piano, da noi, è in fase di discussione. Una volta scritto in un documento Ue, una rinuncia o un ritardo sarebbero disdicevoli.



I ministri Ue: nel 2015 più fondi a Frontex
il sole, 10-10-14
Beda Romano
LUSSEMBURGO.
I Ventotto hanno approvato ieri linee-guida sulla gestione dei flussi migratori. Il nuovo approccio, voluto dalla presidenza italiana dell`Unione, prevede anche un rafforzamento fmanziario di Frontex. Nel contempo, i governi hanno deciso di studiare la possibilità di irrigidire il controllo alle frontiere dell`Unione, conl`obiettivo di arginare l`arrivo in Europa dei combattenti islamici, destinati ad aumentare a causa degli attacchi occidentali contro lo Stato islamico del Levante (Isis).
Nel tentativo di superare la logica dell`emergenza e trovare una strategia dilungo periodo a una questione strutturale, i ministri degli Interni hanno discusso ieri in Lussemburgo un nuovo quadro di riferimento.
Tre i pilastri della nuova strategia: un miglioramento della cooperazione con i paesi terzi; un rafforzamento di Frontex, l`agenzia europea di controllo delle frontiere esterne dell`Unione; una intensificazione della raccolta di impronte digitali degli immigrati clandestini.
Nelle conclusioni del consiglio, i ministri degli Interni hanno fatto propria l`iniziativa parlamentare di rafforzare il bilancio di Frontex nel 2015. La Commissione europea ha proposto che l`anno prossimo l`agenzia comunitaria abbia un bilancio di circa 86 milioni di euro.
Con un emendamento, il Parlamento ha proposto nei fatti un aumento di 20 milioni, che sarà oggetto a iniziare da fine ottobre di negoziati a tre fra Commissione, Consiglio e Parlamento.
Durante la riunione di ieri, i ministri degli Interni hanno anche discusso della minaccia rappresentata dai combattenti islamici, le persone spesso di cittadinanza europea che di ritorno dal Medio Oriente organizzano attentati sul suolo europeo. I Ventotto hanno deciso di studiare l`estensione al massimo del consentito dei controlli non sistematici di cittadini europei alle frontiere esterne dell`Unione. Attualmente, gli europei non vengono sottoposti in automatico al controllo via banca dati.


 
L`ESODO DEI BAMBINI PERDUTI

Hanno attraversato il mare sognando un futuro migliore. E n12014 l`Italia ha già accolto 24 mila minori. La metà non ha genitori. Assisterli è la sfida più difficile. Che rischia di mandare in tilt i Comuni
L'Espresso, 10-10-14
DI FABRIZIO GATTI - FOTO DI CARLOS SPOTTORNO
Il piccolo Ahmed, dieci anni, abitava nella provincia di Sharqiyyah, una delle più popolose nel Nord dell`Egitto. Non sapeva nulla del viaggio. Una sera il padre lo ha chiamato e gli ha detto che doveva fare la valigia per andare dallo zio in Germania. E per questo che a fine estate il bimbo è finito, completamente solo, su uno dei barconi soccorsi dalle navi militari dell`operazione Mare nostrurn. Nel centro di raccolta profughi di Pozza llo, in provincia di Ragusa, il piccolo Ahmed è arrivato con un solo obiettivo: fuggire e raggiungere lo zio, anche se entrare in Germania legalmente per lui è impossibile. Stessi giorni, altra storia. I cinque giovani egiziani tra i 14 e i 17 anni di Burg Migheizil, paese di pescatori sul Delta del Nilo, non volevano affatto partire per l`Europa. Ma non hanno osato dire di no ai loro padri, che si sono indebitati per raccogliere le 30.000 lire egiziane chieste dai trafficanti, 3.300 euro. Scesi sul molo commerciale di Augusta in Sicilia dopo notti di onde e paura, i cinque teenager sono scoppiati a piangere. Volevano tornare a casa. E si sono ritrovati prigionieri delle regole. Anche se l`Egitto è l`unico Paese verso cui l`Italia ancora organizza voli di rimpatrio, i minorenni non possono essere espulsi: ci sono volute due ore per convincere i cinque in lacrime che non potevano essere rimandati indietro.
In questa crisi umanitaria che attraversa il Mediterraneo, il numero di profughi sbarcati in cerca di protezione, la grande maggioranza, o soltanto di lavoro, da gennaio 2014 ha superato le 160 mila persone: in testa gli eritrei, con 28.500 esuli, seguiti dai siriniani con quasi 24 mila. Un record assoluto, anche se confrontato con gli oltre 60 mila sbarcati nel 2011, anno d`inizio delle rivolte in Nord Africa. I morti annegati a partire dal 3 ottobre 2013, giorno del naufragio di Lampedusa, sono ormai più di 3.600: tra i quali, secondo la testimonianza dei sopravvissuti, oltre 160 bambini sotto i dieci anni dispersi nelle stragi dell`11 ottobre 2013 (60 su un totale di 260 vittime siriane) e del 10 settembre 2014 (almeno 100 su un totale di 500 vittime siriane e palestinesi di Gaza). All`interno di queste cifre spaventose, in continua evoluzione, una realtà nuova nelle sue dimensioni sta mettendo sono pressione le strutture e i bilanci dell`assistenza. Sono proprio i minori: 24 mila bambini e adolescenti arrivati in Italia via mare negli ultimi dodici mesi, un numero quasi cinque volte superiore al record di 4.599 minorenni sbarcati ne12011. Dí questo piccolo esercito, 12.300 sono i minori arrivati senza genitori: «Hanno un`età compresa tra i 15 e i 17 anni, ma anche 12e 13 anni, che giungono da Eritrea, Egitto e Somalia», spiega Rafaela Milano, direttore dei programmi Italia-Europa di « Save the children», salvate i bambini, l`organizzazione internazionale non governativa che partecipa a «Praesidium», il progetto per l`accoglienza.
Gli oltre dodicimila minori non accompagnati sono un impegno ancor più gravoso dell`ordinaria assistenza ai profughi. Perché in assenza di genitori o parenti adulti, il Tribunale deve nominare un tutore e lo Stato deve occuparsi per legge del loro mantenimento e della loro istruzione, attraverso Comuni e associazioni private. Al costo pro capite di 75 euro al giorno, contro i 30 euro dei maggiorenni ospitati in attesa della concessione dell`asilo. I più piccoli assorbono così una cifra potenziale per l`accoglienza di 922.000 euro al giorno: anche se la spesa effettiva va ridotta del 30 per cento poiché un minore su tre rinuncia all`assistenza e fugge. Sono comunque soldi pubblici che non vanno ai giovani profughi, ma vengono rimborsati agli enti italiani per le spese di vitto, alloggio, scuola, tempo libero e per il pagamento degli stipendi ai dipendenti. Soldi che, a differenza del modello tedesco, ritornano agli italiani. In questa ottica, gli sbarchi sono una risorsa che dà lavoro a migliaia di persone.
Se si escludono i bimbi sopravvissuti ai naufragi e rimasti orfani, Ahmed è il più piccolo tra i minori non accompagnati arrivati quest`anno in Italia. A dieci anni in Egitto molti scolari già lavorano. A sedici sono giovani uomini. Quello che sta avvenendo nei sobborghi del Cairo e nelle cittadine vicine alla costa mediterranea è lo stravolgimento di un antico modello di emigrazione verso l`Europa. Nel decennio scorso partivano i padri o i fratelli maggiorenni. In questo modo però le famiglie perdevano per mesi, o in caso di naufragio per sempre, l`unica fonte di sostentamento. E in caso di rimpatrio del familiare, bisognava ricominciare daccapo. Ora si investe sui minori che per legge non possono essere rimpatriati. Ma che, a quindici anni, secondo la prassi egiziana sono già in grado di lavorare autonomamente. E quindi di contribuire al bilancio di casa. Questo significa che migliaia di ragazzi finiscono a lavorare in nero nei piccoli cantieri, tra le cooperative di facchinaggio ai mercati generali o, soprattutto nella provincia romana, nelle stazioni di servizio.
I più sfortunati accettano di prostituirsi per venti euro e li vedi la notte sulle panchine del parco Ravizza, a Milano, controllati da loro connazionali. Ma sono casi rari. Nulla in confronto a vent`anni fa quando i viali e i bastioni milanesi erano pieni di ragazzini romeni e albanesi. Finora sta funzionando la rete di solidarietà tra egiziani. Zii, cugini, parenti alla lontana, amici di famiglia, conoscenti o semplici compaesani. Sono loro a offrire ospitalità ai teenager fuggiti dai centri di raccolta aperti da Comuni, parrocchie e enti privati un po` ovunque, soprattutto al Sud. Un terzo circa dei 12.300 minori non accompagnati lascia la struttura di accoglienza nel tentativo di raggiungere la propria meta: soprattutto la Lombardia, dove la comunità egiziana è radicata da anni e dove sperano di trovare lavoro, o la Germania, per quanti continuano il viaggio.
La mattina presto li vedi riapparire in via Dogana 2 a Milano,a pochi passi dal Duomo, davanti allo sportello del Comune. Arrivano a piccoli gruppi. Ci sono anche siriani e  albanesi. Ma sono soprattutto egiziani. Una trentina ogni giorno. Molti si mettono in coda da settimane. Parlano soltanto arabo. Una funzionaria, aiutata da un interprete, prende nota dei nomi e dell`età di tutti. Il momento più difficile è quando, a metà mattina, l`interprete traduce che non c`è più posto e bisogna ritornare un`altra volta. « Avevamo soltanto due letti disponibili e li abbiamo assegnati aí più piccoli tra di voi», dice la funzionaria: «Ora mi appello alla vostra sensibilità». La precedenza va ai casi più fragili: chi ha 14 anni oppure non ha nessuno in Italia. I ragazzi se ne vanno a piccoli gruppi. Pochi passi e spariscono nel viavai del centro.Trovare una sistemazione legale è una necessità soprattutto per le famiglie che finora li assistono: dare ospitalità a un minore entrato illegalmente in Italia comporta il rischio di essere denunciati e di perdere la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno. «Io non sapevo nulla», racconta Mahmoud, 42 anni, egiziano, dipendente di un`impresa di pulizie: «Una sera, due mesi fa, ho ricevuto una telefonata dalla Sicilia. Era il figlio di un mio cugino alla lontana. Ha 16 anni. Chiedeva ospitalità. Tra compaesani ci si aiuta, non posso buttarlo fuori di casa. Però adesso è un problema. Lui senza documenti non trova lavoro, ma nemmeno un posto dove andare a dormire. Mentre io rischio di essere denunciato. In Egitto c`è ancora l`idea che in Italia ci sia lavoro. Non è più così. Ma, nella mancanza di un futuro, l`Italia è sempre meglio. Ci sono famiglie che vendono tutto pur di mandare un figlio in Europa. Anzi, se uno di questi ragazzi si rifiutasse di partire o tornasse indietro senza niente,suo padre lo massacrerebbe di botte». L`Italia dovrebbe sostenere corsi di formazione professionale in Egitto ma anche campagne pubblicitarie per disincentivare le partenze: «Altrimenti», continua Mahmoud, «vincono le stupidaggini che si raccontano su Facebook oppure le storie di chi ha fatto successo: dí quanti dopo pochi mesi sono tornati in Egitto e si sono comprati una casa e soltanto loro sanno come hanno potuto».
Una spiegazione alla fuga dei teenager va ricercata nell`aumento della percentuale di egiziani che vivono al di sotto del livello di povertà: dal 19,6 per cento del 2005 al 25,2 per cento dell`ultimo rilevamento.
Dal 18 ottobre 2013 il Comune di Milano coordina una rete di volontari, dalle associazioni laiche o cattoliche a quelle musulmane, per dare un letto alle famiglie di profughi siriani che prima si accampavano in stazione Centrale. Molti di loro sono in attesa di un contatto per proseguire il viaggio verso Germania, Danimarca o Svezia. Contatto a pagamento da trovare tra faccendieri e trafficanti, visto che in un anno né l`Unione Europea né i singoli Stati membri sono riusciti a organizzare un qualsiasi piano comune di intervento. L`esperienza milanese è stata raccolta dall`assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino, e da Caterina Sarfatti in un manuale: «Milano come Lampedusa? Dossier sull`emergenza siriana» messo in vendita per raccogliere fondi per l`emergenza.
Dal 18 ottobre 2013 Milano ha dato ospitalità a oltre 40 mila profughi: 27.900 siriani, 11.500 eritrei, 1.400 palestinesi. I bambini arrivati con le loro famiglie sono oltre 10.000.I minori non accompagnati che hanno chiesto aiuto al Comune sono stati 570 nel 2013 e 500 nei primi nove mesi di quest`anno. Ma si prevede di raggiungere i mille entro dicembre. «Ospitiamo i minori facendo riferimento a circa 150 strutture a Milano e in provincia», spiega l`assessore Majorino: «La maggior parte è inviata al Comune dal Tribunale. Attualmente abbiamo 700 posti occupati. Ma è il nostro numero massimo, se non si attivano altre comunità per le quali però servirebbero risorse aggiuntive. Il Comune paga 75 euro al giorno per ragazzo e lo scorso anno ha impiegato 4 milioni e mezzo. Solo un milione e mezzo però è stato rimborsato dallo Stato».
Dei 40 mila profughi transitati da Milano, che fino a settembre costituivano un terzo delle persone sbarcate, le richieste d`asilo presentate sono soltanto 41. Segno che siriani, eritrei e palestinesi puntano al Nord Europa. L`Italia è considerata un Paese senza prospettive. Per questo su 160 mila, soltanto 35 mila hanno chiesto asilo. La differenza forma la massa di profughi che, per evitare di essere respinti in Italia dal Nord Europa, hanno rifiutato di essere identificati con le impronte digitali. Un atteggiamento finora tollerato, o addirittura agevolato, dalle questure italiane che ha scatenato le proteste dei governi di Austria e Germania, già critici sull`operazione di soccorso «Mare nostrum »: perché, secondo il loro punto di vista, favorirebbe le partenze.
Cinque Paesi sui 28 dell`Unione Europea, nell`ordine Svezia, Germania, Francia, Italia e Regno Unito, accolgono il 75 per cento dei profughi. «Il Consiglio europeo di fine giugno si contraddistingue per una decisione particolarmente grave», osserva Caterina Sarfattí: «Si tratta dell`esclusione del principio di mutuo riconoscimento tra Stati europei, su cui l`Italia aveva puntato per la riforma del sistema di asilo europeo». Con l`operazione Mare nostrum, che da sola ha soccorso quasi centomila persone, il governo italiano contava di aprire un varco in Europa: 160 mila profughi dovrebbero essere un numero facilmente gestibile in una Unione di 506 milioni di abitanti. Ma l`intenzione sembra sfumata. E nemmeno il nostro governo ha sfruttato il semestre di presidenza europea per riproporre la questione. «Quando abbiamo chiesto ai singoli governi un maggiore impegno, non c`è stata risposta adeguata», ammette a «l`Espresso» Cecilia Malmstròm, commissario Ue per gli affari interni. Gli adolescenti non accompagnati e il loro futuro incerto sono comunque soltanto un capitolo che l`Italia deve affrontare. Se la maggioranza di eritrei e siriani prosegue il suo viaggio verso il Nord Europa,gli altri restano. Sono ragazzi maggiorenni, arrivati da Mali, Nigeria, Gambia, Somalia, Egitto, Pakistan, Senegal, Bangladesh, Sudan, Marocco e Ghana: dall`inizio dell`anno oltre 50 mila persone, un ennesimo record per un Paese piegato dalla recessione e dagli indici di povertà crescenti. Così, se Mare nostrum verrà fermata, è facile prevedere cosa accadrà ai profughi sui barconi. Ma, senza un coordinamento europeo, è altrettanto facile immaginare cosa accadrà in Italia qualora l`operazione di soccorso dovesse continuare..



A Catania anche i profughi pagano il pizzo
Avvenire, 09-10-14
Cinzia Arena

Pagare il "pizzo" per dormire in strada come i barboni. Per non venire derubati dei propri piccoli tesori (un cellulare, qualche soldo o le fotografie dei familiari). Succede anche questo alle migliaia di profughi che ogni mese arrivano sulle coste siciliane. Taglieggiati da altri immigrati, costretti a vivere in condizioni igieniche precarie e a pagare a caro prezzo non solo un "posto letto" sotto le stelle (o in appartamenti trasformati in dormitori) ma anche un passaggio in macchina o la possibilità di vendere frutta per strada.
La denuncia su un fenomeno che prolifera grazie alla complicità della mafia arriva dal Centro Astalli di Catania che da anni opera sul territorio e che denuncia un rapido peggioramento delle condizioni di vista di coloro che non rientrano nei programmi di accoglienza tradizionali. "Del pizzo abbiamo sentore da tanto - spiega la responsabile Elvira Iovino- ma il fenomeno è cresciuto in maniera esponenziale". Presso l'ambulatorio medico del centro arrivano spesso persone picchiate o ferite che raccontano di essere state "sfrattate" durante la notte dal luogo dove dormivano e accusate di non rispettare le regole (ferree) della strada. Nella notte violenza e furti sono all'ordine del giorno: i profughi sono costretti a legarsi ai piedi e alle braccia quei pochi averi che hanno.
La cosa più triste è che dietro questo fenomeno ci sono altri immigrati che gestiscono un vero e proprio racket. Quando i soldi sono finiti il pagamento può diventare ancora più doloroso: gli immigrati vengono costretti allo spaccio o alla prostituzione. Tra le etnie più crudeli i marocchini che occupano case abbandonate e poi subaffittano posti letto. Un pizzzo di cui le mafie locali non solo all'oscuro, precisa Iovino. "Il tutto avviene con il beneplacito e in cambio di qualcosa, di chi ha le mani sulla città". Un'altra fonte di guadagno è la necessità si spostarsi che hanno i profughi: per tentare di avere un lavoro al Nord o semplicemente per raggiungere dal centro di prima accoglienza di Mineo (in grado di ospitare sino a 5mila persone) la città di Catania, in cerca di un lavoro. "C'è una gran quantità di eritrei che pattugliano la città offrendo assistenza e invece si rivelano aguzzini - spiega la responsabile del centro Astalli - mentre a Mineo ci sono i tassisti, nigeriani e sudanesi che con dei furgoncini trasportano decine di persone facendosi pagare a peso d'oro".
Le denunce purtroppo sono pochissime e arrivano solo in casi limite come quello di una giovane nigeriana picchiata a sangue e rimpatriata. Gli immigrati hanno paura a denunciare i propri aguzzini perché hanno documenti scaduti e temono di dover tornare in patria. "Assistiamo a cose terribili: ragazze che vengono portate al centro per lavarsi, costrette a prostituirsi e guardate a vista da chi le sfrutta" spiega Iovino. Giovani che hanno visto il loro sogno di vivere in Italia trasformarsi in un incubo fatto di notti in strada, costrette vendersi e poi a dormire tra i cartoni.



"Se tua moglie non sta con me non vi pago" Rumene nel ragusano tra ricatti e soprusi
Dopo la nostra inchiesta sulle violenze sessuali nelle campagne ragusane, il territorio si mobilita. Padre Beniamino: “Mi accusano di rovinare il paese, ma non posso tacere”. Le aziende si difendono. Troppi sapevano e hanno taciuto. Ci sono denunce di donne che risalgono a quattro anni fa. Cadute nel vuoto
L'Espresso, 08-10-14
Antonello Mangano
«Se non mi dai baci, andate via tu e tuo marito». Risale a quattro anni fa la denuncia di una coppia rumena al commissariato di Vittoria. «Finché tua moglie non fa un giorno d’amore con me, non vi pago gli arretrati». Il ricatto finisce nel verbale. Nulla di segreto, la testimonianza si trova anche nel video “Solidal”, prodotto dalla Cgil e reperibile in rete. Ma la denuncia cade nel vuoto, la coppia rimane senza lavoro e va a vivere in un tugurio in campagna.
Non tutti denunciano. Il programma di protezione anti-tratta ha raccolto dodici fascicoli in due anni di attività. E qualche rumena è tornata in serra. Perché? «Queste donne mantengono le loro famiglie. Se non si offrono loro alternative credibili allo sfruttamento il circuito non potrà essere spezzato», spiega Alessandra Sciurba, che ha curato una ricerca sul tema per “ L’altro diritto ”, centro di documentazione dell’Università di Firenze.
Dopo l’inchiesta de l’Espresso sulle lavoratrici rumene sfruttate sessualmente, il territorio si è mobilitato. Molti in difesa del comparto produttivo e della serietà della maggior parte delle aziende. Ma c’è chi chiede interventi risolutori. «Per i cittadini comunitari è necessario sganciare residenza e reddito, permettendo quindi a tutti di iscriversi all’anagrafe e da lì cominciare a rivendicare diritti», propone Sciurba.
«Occorre distribuire meglio la ricchezza che nel territorio c’è. Ci sono aziende che rispettano i contratti e altre che fanno concorrenza sleale con i sottosalari. E bisogna potenziare i programmi anti-tratta», spiega il sindacalista Peppe Scifo della Flai. «Abbiamo pochissime risorse per fronteggiare un problema di dimensioni sempre più vaste».
Il progetto “Solidal transfert” promosso da Cgil e “Medici senza frontiere” ha permesso l’emersione di molte donne. Grazie a quel programma conosciamo le loro storie. Eppure va avanti a forza di proroghe. Se non ci saranno novità rischia di fermarsi a fine anno. Un pulmino a nove posti copre l’area tra Vittoria, Scoglitti, Acate e Santa Croce Camerina. «Accompagniamo le donne a fare la spesa o a una visita medica. A volte persino a cercare acqua potabile», dice a l’Espresso Emanuele Bellassai della cooperativa Proxima. Così si rompe l’isolamento, si evitano i ricatti del padrone. E si ascoltano storie terribili.
Le donne che denunciano vengono inserite in un programma di protezione che prevede l’allontanamento dal luogo della violenza e l’ospitalità. In maniera più discreta possibile, per evitare che le vittime possano essere rintracciate e subire altre intimidazioni. Il rapporto di Proxima fa venire i brividi: «Le donne si lamentano delle aberranti condizioni igieniche in cui versano gli alloggi, spesso messi a disposizione dei datori di lavoro. Veri e propri tuguri, angusti e, in alcuni casi, senza neanche l’energia elettrica».
Anche la Chiesa non fa mancare il suo impegno. «Abbiamo accolto alcune donne rumene in stato di gravidanza in parrocchia», racconta Padre Beniamino Sacco, il primo a denunciare i “festini agricoli”. «Dicono che c’è il consenso della donna? In stato di disagio economico non hai diritto a dire no. Si tratta di violenza. La dignità di queste donne è offesa dall’atteggiamento di “padronanza”. C’è chi pensa di poter usufruire della vita degli altri come vuole e quando vuole». «La direttiva europea sulla tratta, che certamente ricomprende casi come quello del ragusano, dice che la “posizione di vulnerabilità” di queste donne deriva dal fatto di non avere altre alternative che cedere all’abuso. La questione del consenso è irrilevante», conclude Sciurba.
«Nessuno vuole generalizzare, la maggioranza dei produttori è onesta. Ma questi fenomeni non sono isolati», spiega padre Beniamino. «Qualcuno mi accusa di aver rovinato il paese per aver difeso gli immigrati. Sono orgoglioso di essere stato dalla loro parte. Non potevo tacere».
Le violenze sessuali sono solo la punta dell’iceberg. Ad agosto un lavoratore del Bangladesh è stato ucciso in piena campagna con una coltellata all’altezza del cuore. Misterioso il movente, forse legato al racket delle giornate agricole. Sicuramente la spia di una violenza ormai diffusa.
«Nei nostri viaggi col pulmino incontriamo troppi lavoratori in nero, non contrattualizzati», racconta Bellassai. «Ho visto migranti con crediti da riscuotere per 4mila euro. Per mesi hanno ricevuto solo acconti. I soldi si accumulavano. “Quando vendiamo i prodotti al mercato ti pagheremo”, rispondevano i padroni». Anche gli uomini subiscono prevaricazioni. Un rumeno è caduto dalla scala su cui lavorava, per lui una frattura al braccio. «Da 22 mesi aspettiamo un’ispezione in quell’azienda» conclude Bellassai. «Registriamo troppa lentezza nella burocrazia».

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SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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