Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

3 marzo 2010

Affitti sotto i 500€ per giovani coppie
City,  03-03-2010
PIANO CASA Dopo l'approvazione in consiglio comunale, la macchina del nuovo piano casa del Campidoglio di mette in movimento.
Nuove case popolari (ERP) e nuovi appartamenti a basso costo ("housing sociale") per giovani coppie, famiglie disagiate, studenti, lavoratori fuori sede. Dopo il via libera della Giunta capitolina a novembre 2009, il Consiglio Comunale ha approvato lunedì sera il piano casa: anche se sono 26.750 le case previste, in realtà solo 6000 saranno alloggi popolari, e di questi il 5% sarà riservato alle Forze armate, risto che molte delle nuove abitazioni saranno costruite sfruttando caserme in dismissione. Critici i movimenti di lotta per la casa, che continuano la loro protesta sul Colosseo e sulla chiesa della Madonna di Loreto: "Provvedimento fumoso e inadeguato".
Una casa a chi ha 1O punti
Attualmente sono circa 10 mila le famiglie in graduatoria che avrebbero diritto ad una casa popolare, e secondo il sindaco Gianni Alemanno già dalle prossime settimane si partirà con l'assegnazione degli alloggi alle famiglie che da anni stavano in graduatoria con 10 punti, cioè quelle con sfratto esecutivo. In realtà i tempi rischiano di essere più lunghi: molte delle nuove case potranno essere acquisite solo dopo la modifica di destinazione d'uso (come a Pietralata), o l'acquisizione di aree (come al Quadrare), oppure ancora dopo la costruzione di alloggi di bio-edilizia, come a Lunghezzina II. E infatti i movimenti di lotta per la casa hanno chiesto che giovedì sia approvato in consiglio un ordine del giorno collegato al piano per far partire un censimento delle emergenze.
Affitti calmierati per coppie e immigrati
Più snelle dovrebbero essere le procedure per l'housing sociale, cioè per dare ad un prezzo accettabile un tetto a giovani coppie, anziani immigrati con redditi bassi. Le case in questo caso dovrebbero essere vendute a prezzo "convenzionato" oppure affittate per almeno 25 anni, con un canone medio di 450€ al mese per 2 camere, 2 bagni, soggiorno con angolo cottura e accessori. (V.S.)







Cartellino «giallo»

Il Manifesto 03-03-2010
Giorgio Salvetti
Per Pietro Soldini (Cgil) non è stato un vero sciopero ma è nato un soggetto nuovo.
Forse non è stato uno sciopero con la S maiuscola, ma il Primo Marzo è stato un evento di portata storica. Un movimento spontaneo è cresciuto, ha portato in piazza decine di migliaia di persone e ha saputo colorare di giallo l'Italia delle retate razziste e della cacciata degli stranieri da Rosarno. Ha preso in contropiede anche il centrosinistra, da anni paralizzato sul tema dell'immigrazione per paura di perdere consenso e ha dato una scossa anche ai sindacati, a partire dalla Cgil, che nei confronti dello sciopero dei migranti si è mossa con molta cautela. Cosa cambia il giorno dopo? Ne parliamo con Pietro Soldini, responsabile immigrazione della Cgil. Come valuta questa bella giornata? È stata una giornata importante che ha messo in luce una nuova consapevolezza di un mondo vasto di immigrati e italiani di fronte al pericolo del razzismo. È emerso un movimento diffuso e autorganizzato che testimonia la responsabilità soggettiva delle persone. Si tratta di un elemento sociale e politico nuovo, anche rispetto al centrosinistra e all'opinione pubblica progressista che restava prigioniera e obnubilata dalla stigmate del buonismo, incapace di opporsi alla destra che invece propone un razzismo militante. Ora invece si è palesata una militanza antirazzista, e ce n'era bisogno. Immaginava che andasse così bene?
Sì, è stata una giornata preparata da tante iniziative, anche la Cgil ha lavorato mettendo in campo le proprie strutture. Me l'aspettavo perché respiravo questo clima nuovo anche all'interno del sindacato, un clima che nasce dalla sofferenza e dalla crescente aggressione xenofoba. Per questo abbiamo aperto una interlocuzione positiva con il comitato organizzatore. Nel sindacato la parola «sciopero migrante» non è piaciuta, c'è chi ha parlato di «sciopero etnico». Adesso siete disposti a cambiare idea? Di fatto non è stato uno sciopero, la parola sciopero è stata usata impropriamente, e questo è un fatto negativo. Lo sciopero è un'arma formidabile, ha una sua storia, anche normativa e contrattuale. A parte qualche Rsu che legittimamente si è mossa nelle proprie realtà, nessun sindacato ha proclamato scioperi generali, e gli scioperi li proclamano i sindacati. Non si può cedere ad un visione per dire così hollywoodiana secondo cui la giustizia sociale trionfa perché un giorno gli immigrati spariscono e gli italiani si rendono conto di quanto ne hanno bisogno. La realtà e un'altra; siamo di fronte ad uno scontro duro che non è demandabile ai soli soggetti stranieri Non è che noi stiamo con gli immigrati. Gli immigrati sono carne della nostra carne. Non si tratta di fare la rivolta degli schiavi. La questione dell'immigrazione è una enorme questione nazionale e una battaglia di tutti. Non crede che il primo marzo non sia stato un vero sciopero proprio perché i sindacati, Cgil compresa, non hanno voluto che lo fosse? Insomma, non è immaginabile che uno indica uno sciopero su facebook e poi la Cgil aderisca! Se volevano fare uno sciopero prima avrebbero dovuto parlarne con il sindacato, avremmo discusso tempi e modi. Va bene, se questo è il problema, allora la prossima volta sarete voi ad Indirlo?
E infatti è un tema all'ordine del giorno. Noi stiamo costruendo un percorso che è iniziato il 17 ottobre con la grande manifestazione di Roma e che si ripete con il prossimo sciopero generale del 12 marzo, che ha l'immigrazio-ne tra i punti fondamentali nell'ambito della «primavera antirazzista». Forse un giorno faremo uno sciopero generale dedicato solo al tema dei migranti. Ma bisogna costruire gradualmente la consapevolezza in tutto il sindacato e nei lavoratori che la battaglia dei migranti è una battaglia di tutti. Non sono cose che si improvvisano: se proclamiamo uno sciopero poi dobbiamo farlo davvero, deve riuscire e avere conseguenze concrete. Bisogna convincere anche quei lavoratori, e ci sono, che dicono: la Cgil mi difenda dal padrone e la Lega dallo straniero. Si, ma a volte si deve scegliere da che parte stare, altrimenti gli stralatini stanchi dì aspettare potrebbero anche farsi un sindacato da soli. Del resto, già se ne parla. Sarebbe un errore, un sindacato corporativo, un'autosegregazione. Però ammetto che dovremmo muoverci più velocemente, ci attardiamo su contrapposizioni congressuali e perdiamo di vista la realtà. Abbiamo 300 mila iscritti stranieri, il 10% dei lavoratori attivi, eppure pochissimi quadri sono stranieri. Questa è una sfida storica che il sindacato non può perdere, anche se ci sono resistenze. D'altronde ci abbiamo messo qualche decennio a capire le questioni di genere e siamo ancora in ballo con !a necessità di ope¬rare un rinnovamento generazionale. Il primo marzo può darvi una spinta? Spero di sì. E gli riconosco questa importanza.






Con gli Immigrati torna il concetto di utilità del lavoro

Riformista 03-03-2010
RITANNA ARMENI
24 ore senza di noi". La parola d'ordine della manifestazione degli immigrati !  del primo marzo non era una minaccia. E neppure, o non solo, la richiesta della cittadinanza e didiritti  uguali a quelli dei cittadini italiani. Quello slogan sottolineava l'utilità del lavoro degli  immigrati nella società italiana e, in generale, nelle società europee ed occidentali in cui una parte consistente dell'occupazione riguarda uomini e donne provenienti da altri paesi. La sottolineatura di quella utilità è di grande rilevanza. Non solo per chi ha avuto il coraggio di affermarla ma perché era diretta oltre che al governo alla società tutta, anche a coloro che soprattutto sono deputati ad ascoltarla: i sindacati e la sinistra.
Oggi, nella società della globalizzazione, il lavoro è ritenuto un fattore insignificante. Esso ha perso significato e pregnanza - paradossalmente - anche presso coloro che lo svolgono e che, pure in caso venga messo in discussione, lo difendono con tutta la forza della disperazione. Viviamo in una società che ricorda quella che Simone Weil descriveva con parole allarmate nel suo libro Riflessioni sulle cause della libertà e dell 'oppressione sociale, parole che, benché scritte nel lontano 1934, sembrano raccontare il presente. «11 lavoro - scriveva la filosofa - non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utili, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte, un privilegio dal quale si escludono parecchi esseri umani per il fatto stesso di goderne, in breve, un posto».
Oggi la "coscienza orgogliosa di essere utili" non è più presente. Le lotte per la difesa del lavoro, le proteste simboliche, gli operai che salgono sui tetti, le manifestazioni dei lavoratori che non vogliono che si chiuda la loro fabbrica sono mosse da un sentimento forte di difesa del posto e dello stipendio - questioni rilevantissime e spesso tragiche - ma non dalla consapevolezza di essere utili. Anche nel fondo dell'anima di questi lavoratori, che pure hanno lavorato per anni e sono disperati, vige la sensazione di difendere un dono, qualcosa che a loro fortunatamente è stato elargito. Lo stesso sentimento pare essere presente in coloro che quel lavoro dovrebbero rappresentarlo: le organizzazioni sindacali e la sinistra.
Per capire come questo senso di inutilità sia nato e si sia sviluppato, occorre guardare ai som movimenti di questi anni: alla globalizzazione che ha spostato capitali, aziende, uomini, donne, sostenendo una continua intercambiabilità, eliminando ogni possibilità di scelta da parte dei soggetti del lavoro; al mercato, che si è esteso senza il rispetto per le regole minime; alla crisi economica che ha cancellato ogni idea di sviluppo e quindi di redistribuzione di risorse. In questa situazione in cui il lavoro è stato considerato "usa e getta", è quasi naturale che si sia persa ogni consapevolezza della sua utilità, e insieme che sia prevalsa una sensazione di sconforto.
Affermare, come hanno fatto gli immigrati il primo marzo, che il loro lavoro è utile significa rovesciare questa idea del privilegio e andare dritti al centro della questione che esso pone al nostro tempo. Perché questo messaggio viene da loro e non, ad esempio, dagli operai di Termini Imerese, che pure stanno conducendo una battaglia giusta e sacrosanta in difesa della loro fabbrica che dovrebbe essere chiusa proprio in seguito ai processi di internazionalizzazione della Fiat?
Perché loro sono l'espressione diretta, evidente e tangibile della nuova forza lavoro che i rivolgimenti del modo di produzione, la globalizzazione e la crisi economica hanno prodotto. Sono il nuovo soggetto di cui le aziende e il mercato mondiale hanno bisogno.
Questi necessitano per la propria sopravvivenza di lavoratori precari, disponibili a tutto, privi di diritti, in alcuni casi (Rosarno docet) ai limiti della schiavitù. Lavoratori che ripetano anche nell'occidente dei diritti e delle libertà la condizione di coloro che lavorano ai limiti della sopravvivenza




Cassazione. La Corte ha chiarito le modalità di esame delle istanze sui centri di identificazione

Immigrati con tutele più ampie
Il Sole 03 03 2010
Marco Noci
La richiesta dell'amministrazione dell'Interno di trattenere (in tutte le sue fasi) il cittadino straniero in un centro di identificazione ed espulsione deve necessariamente essere esaminata in contraddittorio
con l'interessato, assistito dal difensore di fiducia. La prima sezione civile della Corte di cassazione, con la sentenza n. 4869, depositata il 1° marzo 2010, ha chiarito che tale garanzia di partecipazione, incidendo sulla libertà personale del cittadino, deve sussistere non solo al momento dell'ingresso dello straniero nella struttura, ma anche in occasione delle proroghe.
Il trattenimento in un centro di identificazione ed espulsione (Cie) è consentito per il tempo strettamente necessario e comunque per 30 giorni prorogabili,  da parte del giudice, di altri 30 giorni, in presenza di gravi difficoltà relative all'accertamento dell'identità e della nazionalità dello straniero, o all'acquisizione di documenti per il viaggio. La legge 94/2009 ha previsto la possibilità di due ulteriori proroghe, di 60 giorni ciascuna, in presenza di due condizioni, tra loro alternative: la mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino straniero o il ritardo nell'ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi. Di conseguenza, la permanenza complessiva massima è ora di 180 giorni. Sulla disciplina del trattenimento è intervenuta anche la Ue con la direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008 relativa a norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

La legge 94/2009 non sembra, però, recepire pienamente la direttiva (il cui termine scade il 24 dicembre 2010), in quanto un generalizzato prolungamento della permanenza dello straniero contrasta con le lìnee guida europee.
In merito alla decisione del giudice di legittimità, la proroga del trattenimento riveste carattere di assoluta eccezionalità: pertanto, il provvedimento del giudice di pace (del luogo ove si trova il Cie) deve essere congruamente motivato in ordine alla sussistenza delle condizioni legittimanti il trattenimento. Questa valutazione non può prescindere dalla partecipazione dello straniero all'udienza camerale per la verifica delle condizioni legittimanti la proroga della detenzione amministrativa.
Nella fattispecie all'esame della Cassazione, il giudice di pace si era limitato a vistare la richiesta dell'amministrazione di pro¬roga della presenza dello straniero nel centro di permanenza, omettendo, però, di convocarlo all'udienza. Il pieno contraddittorio e la garanzia di un'adeguata difesa devono sussistere al momento dell'ingresso dello straniero nella struttura e, non di meno, durante la sua permanenza. Se la decisione sul prolungamento della presenza dello straniero passasse da uno scambio di corrispondenza tra amministrazione e autorità giudiziaria, sarebbero senza dubbio violate le garanzie difensive dello straniero. La Corte, seguendo un'interpretazione secundum constitutionem, ha cassato il decreto di proroga del giudice di pace.


















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