Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

28 marzo 2012

La falsa regolarizzazione e la vera tragedia degli irregolari di Roma
l'Unità, 28-03-2012
Italia-razzismo
La scorsa settimana l’Ufficio stranieri della Questura di Roma è stato letteralmente invaso da una folla di persone immigrate, prevalentemente di nazionalità tunisina. Il motivo: la notizia di una regolarizzazione eccezionale con conseguente rilascio di un permesso di soggiorno, a chi si fosse presentato. Si è trattato, ovviamente, di un equivoco, o di una leggenda metropolitana, a cui però hanno dato credito migliaia di persone che per l’occasione sono venute addirittura dalla Francia. Dal momento che si trattava di irregolari la Questura ha risposto, e non poteva fare altrimenti, notificando un decreto di espulsione.
Viene proprio da dire oltre alla beffa il danno. Ed è proprio così poiché quello è un provvedimento di immediata validità e, nel caso di un controllo successivo, la persona destinataria dell’espulsione potrebbe essere portata al Cie. Ma come si è potuta creare tale situazione? Questo è di sicuro l’effetto della dimensione disperata in cui si trova chi non abbia un valido titolo di soggiorno, dovuta al fatto che quell’irregolarità coinvolge altri aspetti della vita quotidiana: l’impossibilità di iscriversi al Sistema Sanitario Nazionale, l’assenza di un contratto di affitto e di lavoro, la mancata contribuzione all’Inps. Insomma, una vita davvero precaria.
Sembra la sceneggiatura di una commedia buffa, che di buffo ha solo quella pretesa irrealistica fino alla fiction di poter fermare chi fugge dalla miseria, dalle persecuzioni se non dalla guerra in cerca di speranza e di un futuro diverso. Il resto è la tragedia di una società che ritarda la costruzione difficile eppure indifferibile di una convivenza possibile in una società di crescente immigrazione.



Profughi libici, il Senato si muove: servono subito permessi temporanei
Avvenire, 28-03-2012
ROMA. Un permesso di soggiorno temporaneo per i profughi provenienti dalla Libia. Lo chiede la commissione Diritti umani del Senato, a proposito delle migliaia di migranti di varie nazionalità che soggiornavano irregolarmente in Libia e sono fuggiti dalla guerra alla volta dell'ltalia. Le loro richieste di asilo continuano a essere in gran parte negate dalle Commissioni territoriali poichè l'ottenimento della protezione internazionale si basa sul criterio della «nazionalità» dei richiedenti.


 
Spot televisivo per frenare l'immigrazione
Libero, 28-03-2012
Mattias Mainiero
Caro Mainiero, passato il nevoso inverno e tornata la primavera gli sbarchi dall'Africa riprendono. Questo governo non sembra molto attrezzato nel far fronte al problema. Oltretutto dobbiamo stare attenti all'Unione europea che non ci bacchetti ancora. L'unica possibilità per evitare reprimende dai nostri confederati è quella di istituire un servizio navetta con tutti i comfort, forse ci costerà meno che non i recuperi e gli allontanamenti.
Umberto Brusco
Bardolino (Vr)
Beh, per la verità ci sarebbe anche un'altra possibilità: prendere un po' di soldi (dei non molti che ci sono rimasti) e utilizzarli per una serie di spot televisivi. Saranno anche poveri, in Africa, ma qualcuno il televisore ce l'ha. Con
gli altri, quelli che non ce l'hanno, e presumo siano parecchi, una volta in moto la campagna informativa funzionerebbe il passaparola. Gli spot dovrebbero essere semplici, immediati. Bastano poche parole. Potremmo farli in lingua inglese e anche in lingua locale. È vero, ci costerebbero un po' di soldi in piü, ma si possono trovare interpreti e traduttori a buon mercato. Torniamo allo spot. Le poche e chiare parole potrebbero essere accompagnate da un'immagine eloquente. Le immagini le capisco- no tutti, anche chi non è laureato e forse a scuola c'è andato solo per due o tre mesi. Lo spot è: l'Italia ha le pezze sul sedere. L'immagine potrebbe essere quella della nostra Penisola che affonda nel Mediterrâneo. Immagine irriverente: una Penisola-barcone piena di gente che va a picco. Poi, ma non è fondamentale, si potrebbero aggiungere altre cose. Per esempio, che da noi le pensioni non sono più quelle di una volta, quando si lavorava per una decina d'anni e si campava di rendita fino a novanta e passa anni. Oppure che acquistare una casa è un miraggio. Si potrebbe anche spiegare che, una volta comprata, non si sa come, la casa, tra Imu e tutto il resto è quasi impossibile mantenerla. Altre aggiunte allo spot: il lavoro scar- seggia, le industrie licenziano, la cassa integrazione è alle stelle, Monti è bravo e la Fornero è eccezionale, ma la situazione resta drammatica. Finale dello spot: per il vostro bene, andate in un altro Paese. Ma forse di tutto questo non c'è neppure bisogno. Credo che molti extracomunitari lo abbiano già capito. E fra qualche anno, andando a vedere i numeri dell'immigrazione, lo capiremo anche noi.



Roma: un nuovo ambulatorio della Caritas per immigrati e rifugiati vittime di violenza e tortura.
Una sede nel centro storico per il progetto “Ferite invisibili” che dal 2005 ha in cura 183 pazienti.
Immigrazioneoggi, 28-03-2012
È stata inaugurata ieri a Roma la nuova sede del progetto “Ferite invisibili”, l’ambulatorio medico della Caritas diocesana per la cura di immigrati e rifugiati vittime di violenza intenzionale e di tortura.
Nella struttura, in via di Grotta Pinta 19, continuerà l’opera di medici psichiatri, psicologi, mediatori culturali e volontari che, dal 2005, hanno avviato una progettazione di interventi mirati alla riabilitazione psicologica e fisica di chi ha subito violenza, tortura ed in genere traumi legati alla mancanza di accoglienza ed all’ingiustizia sociale. Un’attività clinica affiancata da iniziative di formazione, ricerca e screening della popolazione a rischio.
L’aiuto, attraverso un attento lavoro di equipe, consiste innanzitutto nel far riconoscere l’orrore vissuto e le “ferite” psichiche indotte, affinché queste persone possano riappropriarsi della dignità di essere umani, dare un significato alla loro esperienza e riprogettare un futuro per la loro esistenza. Nel contempo cerca anche di costituire una fitta rete socio-assistenziale per sostenere percorsi legali, informativi e formativi (accoglienza protetta, insegnamento della lingua italiana, formazione professionale, inserimento lavorativo...). Il setting terapeutico, aperto e flessibile, si avvale di molte risorse e favorisce modi diversi di concepire le relazioni e gli affetti, la salute e la malattia, di interpretare gli eventi e la realtà circostante; e soprattutto è un luogo di appartenenza in cui sentirsi protetti e sostenuti.
Nei sette anni di attività, il progetto ha preso in carico 183 pazienti effettuando 2.259 colloqui psicoterapeutici con una media di 12,3 visite/paziente, a sottolineare la complessità e la delicatezza dell’approccio terapeutico.
Nei primi 3 mesi del 2012, sono stati seguiti 49 pazienti, di cui 18 nuovi, e sono state effettuate 203 sedute terapeutiche. Fino al 2010 i pazienti provenivano soprattutto dall’Afghanistan, seguiti dalla Guinea, Nigeria e Eritrea. Nel 2011 sono stati prevalenti gli arrivi da Costa D’Avorio, Afghanistan e Camerun. Dal febbraio 2012, l’Ufficio delle Nazioni unite dell’Alto commissario per i diritti umani ha riconosciuto il servizio all’interno della rete sovranazionale di sostegno e cura alle vittime di tortura.



Delirio su Twitter contro Muamba e il Razzismo Batte la Libertà di Parola
Corriere della sera, 28-03-2012
Paolo Di Stefano
Uno studente gallese, Liam Stacey, 21 anni, alla notizia dell'arresto cardiaco che ha colpito il calciatore del Bolton Fabrice Muamba, ha pensato di inviare su Twitter il suo commento: «Ah ah, fanc... Muamba. È morto». Quando poi si è visto piovere addosso l'indignazione generale, ha rincarato la dose con una serie di offese razziste. Lo studente è stato identificato: il giudice di Swansea l'ha condannato a 56 giorni di carcere e l'Università in cui era iscritto l'ha sospeso. A sua discolpa, Stacey avrebbe addotto il suo stato di ubriachezza.
Al netto della dilagante euforia cameratesca di chi li frequenta, i social network hanno indubbiamente un vizio d'origine cui non è facile rimediare, poiché ogni rimedio rischierebbe di azzerare la loro stessa ragion d'essere. Il vizio è che i social network esistono perché ognuno possa scrivere quel che vuole, in piena libertà. Mentre nell'epoca pre-blog c'era un netto confine (spesso dettato dal pudore) tra il parlare e lo scrivere, oggi questo confine si è polverizzato. Si scrive come se si parlasse tra amici, senza necessariamente pensarci su. L'espressione latina «scripta manent» segnalava questa frontiera. L'altra frontiera venuta meno è quella tra pubblico e privato: ciò che fino a qualche anno fa poteva essere tollerato tra quattro mura domestiche come l'intemperanza verbale di un ubriaco trovando al massimo due o tre orecchie disposte ad accoglierla, adesso ha un'udienza colossale e uno share potenzialmente illimitato. Il che non fa che solleticare le velleità narcisistiche del primo imbecille o mitomane.
La sentenza di Swansea è certamente esemplare, ma per uno Stacey punito, quanti milioni ne restano a piede libero, anzi a tastiera libera? Un'infinità. Basta farsi un giretto in rete. Si ha l'impressione, insomma, che si tratti di quello che i greci antichi chiamavano «adynaton», come svuotare il mare con un bicchiere. Più che aver realizzato l'età aurea della vera libertà di parola, resta il dubbio che i social network abbiano sancito l'opportunità di delirio a reti globalizzate. Ecco, l'ultima frontiera potrebbe essere quella che separa il ragionamento dal delirio.



Aumentano le domande d'asilo Nel 2011 in Italia oltre 36 mila
Sono 441.300 le domande d'asilo registrate lo scorso anno. Un aumento di circa il 20 per cento dovuto alle crisi umanitarie di vecchia data alle quali si sono aggiunti nuovi conflitti, ulteriori stati di emergenza, fra siccità, epidemie, carestie e guerre civili
VLADIMIRO POLCHI
la Repubblica, 27-03-2012
ROMA- Il 2011 potrebbe essere ricordato come "l'anno dei rifugiati": i Paesi ricchi hanno infatti registrato un aumento del 20% delle domande di asilo. Con un vero e proprio boom in Italia, che ha avuto una crescita del 240%, con oltre 36mila domande presentate: un record per il Paese (contro le 10mila del 2010). È quanto emerge dal rapporto pubblicato dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati 1 (Unhcr).
L'aumento delle domande. Il numero di persone che chiedono asilo in Occidente è dunque salito del 20% lo scorso anno, con cifre record dovute ai conflitti in Libia, Siria e Costa d'Avorio. L'incremento maggiore è stato riscontrato in Europa Meridionale, dove sono state presentate 66.800 domande d'asilo: un salto dell'87%. La maggior parte di tali richieste è stata inoltrata da persone giunte via mare in Italia e Malta, ma un notevole incremento si è verificato anche in Turchia. Nel complesso, nel 2011 sono state registrate in 44 Paesi industrializzati ben 441.300 richieste di asilo, rispetto alle 368.000 dell'anno prima. Il Paese d'origine del più alto numero di richiedenti è l'Afghanistan  -  con 35.700  -  per un aumento del 34% rispetto al 2010. La Cina si conferma al secondo posto (24.400 richiedenti), seguita dall'Iraq (23.500).
Il "caso Italia". In Italia sono state registrate  -   nel 2011  -  oltre 36.000 domande di asilo. Si tratta
per la maggior parte di persone provenienti dal Corno d'Africa e dall'Africa sub sahariana, giunte via mare dalla Libia. Si tratta di "un considerevole aumento rispetto all'anno precedente (circa 10.000)  -  si legge nel rapporto Unhcr  - durante il quale il ridotto numero di domande è attribuibile anche alle politiche restrittive attuate nel Canale di Sicilia da Italia e Libia. Un consistente numero di domande era stato registrato già in passato, come nel 2008 (oltre 30.000), prima che venissero effettuati i respingimenti in mare, e nel 1999 (oltre 33.000) a seguito della crisi del Kosovo".
Il campo in Kenya. "E' importante guardare queste cifre in prospettiva  -  dichiara l'Alto Commissario ONU per i Rifugiati, António Guterres  -  il numero delle domande d'asilo presentate in tutti i Paesi industrializzati del mondo è ancora inferiore alla popolazione di Dadaab, un campo di rifugiati che si trova nel nord-est del Kenya".

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