Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

24 novembre 2014

Quei clandestini a pesca di aringhe nel Mare del Nord
la Stampa, 24-11-14
VITTORIO SABADIN
Henry Mahinay faceva l`autista nelle Filippine. Un giorno ha letto un annuncio che gli prometteva un ottimo salario se avesse accettato di fare parte dell`equipaggio dì un peschereccio britannico: molti soldi da mandare a casa, vitto e alloggio garantiti a bordo, lavoro duro ma pieno di avventure. Qualche settimana fa Mahinay è andato dalla polizia, con un dito mezzo amputato ancora sanguinante, e ha riempito tredici pagine di verbale per raccontare come i gamberetti, le aringhe e merluzzi del Mare del Nord siano pescati da un esercito di schiavi, privati di ogni diritto e costretti a lavorare quasi gratis in condizioni disumane. La polizia ha indagato, intercettando pescherecci al largo e interrogando capitani e marinai, e ha scoperto che migliaia di immigrati clandestini sono impiegati nella flotta da pesca della Gran Bretagna senza rispettare le leggi, i salari minimi previsti dai contratti, l`orario di lavoro.
L`esperienza descritta da Mahinay agli agenti che lo interrogavano sembra un incubo: è salito a bordo in Irlanda dei Nord, ma chi lo aveva portato fin lì gli ha detto che si trovava in Inghilterra. Una volta lasciato il porto, la sua condizione di essere umano è finita: turni di lavoro di 19 ore al giorno, nessun periodo di riposo, un unico pagamento di 100 sterline (125 euro) dopo due mesi e mezzo di pesca. Dormiva in una cuccetta sulla quale filtrava la pioggia e l`acqua di mare e poteva cibarsi solo del pesce che pescava.
Quando in un incidente si tagliò parte di un dito, il comandante gli disse che non spettava a lui portarlo in un ospedale. Lo medicò alla meglio, gli disse che era una ferita da niente e di tornare al lavoro. Visto che il dito continuava a sanguinare, dopo qualche giorno lo sbarcò vicino a un porto scozzese. Mahinay cercò prima un ospedale e subito dopo la stazione di polizia. Ci sono circa 12 mila marinai a bordo dei pescherecci britannici, e oggi è molto difficile convincere i pescatori locali a farsi imbarcare. In mare c`è meno pesce, i profitti diminuiscono con i salari. Migliaia di persone vengono dunque ingaggiate in Africa, in Indonesia, in Lituania e Romania con la promessa di un buon lavoro. Il fatto che la pesca si svolga al largo consente però agli armatori di ignorare le leggi e di applicare quelle che ritengono più opportune. Gli immigrati
imbarcati sono clandestini, non hanno diritti, vengono scambiati da peschereccio a peschereccio quando un`imbarcazione deve tornare in porto, o sbarcati quando non servono più. Mark Hollis, il detective che si occupa dei nuovi schiavi del mare per la costa scozzese, ha detto che sempre più persone si fanno avanti per chiedere aiuto e denunciare i maltrattamenti subiti. «Ma più gente ascolto ha ammesso - e più mi accorgo che è come con gli iceberg: vediamo solo il poco che sta sopra, e quello che sta sotto ci fa paura».



Cameron: stop ai sussidi agli immigrati europei
Il Messaggero, 24-11-2014
LONDRA Passa subito al contrattacco il primo ministro britannico David Cameron e, a pochi giorni da un nuovo duro colpo inflittogli dall`Ukip con la conquista del secondo seggio a Westminster nelle elezioni suppletive lo scorso giovedì, rafforza il suo messaggio per una stretta sull`immigrazione, in particolare quella proveniente da altri paesi Ue.
Secondo il Sunday Times, già alla fine della prossima settimana il premier conservatore potrebbe pronunciare l`atteso discorso sul tema annunciando nuove misure per limitare l`accesso a sussidi, benefit e detrazioni fiscali per i nuovi arrivati dall`Europa, almeno per i primi due anni di soggiorno nel Regno Unito. Su questo si gioca la gran parte della campagna elettorale già entrata nel vivo in vista delle elezioni politiche fissate per i17 maggio 2015, con la minaccia del partito euroscettico guidato da Nigel Farage che pesa come un macigno sul leader Tory.
Settimana dopo settimana Cameron va mostrandosi sempre più risoluto nell`obiettivo di contenere l`immigrazione, pungolato com`è anche dalla frangia più euroscettica del suo partito. E la sua strategia passa obbligatoriamente per la promessa di rinegoziare il rapporto di Londra con Bruxelles, con il nodo della libera circolazione balzato in cima all`agenda. Ccon tutta probabilità non verrà raggiunto l`obiettivo prefissato
dal governo a guida Tory di ridurre l`immigrazione netta entro la fine di questa legislature portandola ad un limite massimo di 100mila unità.



Famiglie di immigrati, sono povere, indebitate e vivono in case sovraffollate
Il quadro che risulta da una ricerca della Fondazione Leone Moressa. Un terzo delle famiglie straniere vive al di sotto della soglia di povertà: la quota di famiglie straniere "povere" risulta pari al 33,9%. Per i componenti di famiglie italiane gli individui poveri sono il 12,4%
la Repubblica, 24-11-2014
VLADIMIRO POLCHI

Famiglie di immigrati, sono povere, indebitate e vivono in case sovraffollate
ROMA  -  Povere e indebitate, vivono in appartamenti sovraffollati, ai margini delle periferie della grandi città. Sono le famiglie immigrate d'Italia. Un terzo di loro vive al di sotto della soglia di povertà. È quanto emerge da uno studio della Fondazione Leone Moressa.
I debiti. Il reddito di una famiglia straniera ammonta mediamente a 16.629 euro, quasi la metà di quello di una famiglia italiana. Il consumo medio annuo è di 17.593 euro, mentre una famiglia italiana spende 25.283 euro. Questo porta i nuclei stranieri a non risparmiare, anzi a indebitarsi, mentre le famiglie italiane risparmiano mediamente 6.000 euro l'anno.
La povertà. Non solo. Un terzo delle famiglie straniere vive al di sotto della soglia di povertà: la quota di famiglie straniere "povere" risulta pari al 33,9%. Per i componenti di famiglie italiane gli individui poveri sono il 12,4%.
La casa di proprietà. La situazione di fragilità delle famiglie straniere trova conferma anche nella condizione abitativa. Il 75% vive in affitto, e appena il 13,7% è proprietario dell'abitazione di residenza. Il rimanente 11,6% è in usufrutto o in uso gratuito. Tra le famiglie italiane, la maggior parte vive in immobili di proprietà (71,2%), mentre solo il 17,8% vive in affitto.
Il sovraffollamento. E ancora: le famiglie straniere, rispetto alle italiane, si concentrano di più nelle aree periferiche delle città e vivono in abitazioni più piccole (68 mq in media contro i 103 mq degli italiani). Il 37% delle famiglie straniere vive così in una situazione di sovraffollamento, contro il 10% degli italiani.



Profughi, da Rosarno in balia dei caporali a impreditori della yogurt
Barikamà è una cooperativa sociale nata a Roma nel 2011 composta da rifugiati africaniprovenienti da Mali, Senegal, Costa D'Avorio, Guinea Conakry. Neanche un anno fa vivevano da schiavi raccogliendo arance. Oggi si sono trasformati in una start up di successo, originale e rispettosa dell'ambiente, cui guardano con interesse imprenditori di tutta Italia
la Repubblica.it, 24-11-2014
LUCA ATTANASIO
ROMA - Solo qualche anno fa, erano schiavi a Rosarno, passavano giorni e notti a riempire cassoni da 200 kg di pomodori per 3 euro e mezzo. Attendevano i "caporali" come fossero i padroni delle loro esistenze e trascorrevano infinite giornate a lavorare per la mera sussistenza. Nessun futuro, nessun sogno. Al contrario, la perdurante sensazione che quel viaggio pieno di pericoli e spese affrontato per arrivare in Europa dall'Africa nera a costruirsi una vita per sé e i propri famigliari, fosse stata la peggiore delle scelte. Neanche un anno dopo, incredibilmente, si sono trasformati in una start up di successo, originale e rispettosa dell'ambiente, cui guardano con interesse imprenditori di tutta Italia.
Rifugiati in cooperativa. Barikamà è una cooperativa sociale nata a Roma nel 2011 composta da rifugiati politici africani occidentali (Mali, Senegal, Costa D'Avorio, Guinea Conakry) uniti dalla lotta contro lo sfruttamento a Rosarno e oggi da un sogno: "Quando siamo arrivati a Roma, dopo aver preso parte alle rivolte contro il razzismo e lo sfruttamento da parte dei braccianti agricoli, ci sentivamo svuotati - dice Suleman il presidente maliano della cooperativa - avevamo ottenuto un permesso umanitario, ma eravamo perennemente dipendenti per il cibo, l'alloggio, il lavoro, il vestiario, da associazioni, enti di beneficenza. Sempre chiusi tra di noi, pensavamo di essere incapaci a creare reti con la società perché convinti di essere un peso, mai una risorsa".
Da schiavi a imprenditori. Forse proprio nel momento peggiore, i giovani (all'inizio due, ora sei) trovano le energie per resistere (Barikamà vuol dire, appunto, Resistenti) e partoriscono un'idea geniale. Prendono in prestito 30 euro dal Centro Sociale "La Torre" (restituiti dopo due mesi) e acquistano 15 litri di latte e fermenti, e si mettono a produrre un alimento semplice, che già sapevano fare nelle loro terre d'origine, lo yogurt.
Il primo reddito, ottenuto vendendolo nei mercatini biologici, lo reinvestono in maggiori litri di latte e biciclette e cominciano a trasportare in giro per la capitale i loro prodotti totalmente biologici, ad impatto zero.
Trasporto ad energia umana. "Il trasporto - riprende Suleman - lo facciamo pedalando sulle nostre bici. Inoltre pratichiamo il vetro a rendere per ridurre rifiuti e costi e riutilizziamo i barattoli dopo averli sterilizzati'. In breve, gli ex schiavi, sviluppano una capacità imprenditoriale che li porta a trasformare 200 litri di latte a settimana in yogurt e a fare del Casale presso cui lavorano, a Martignano (vicino Bracciano), un'industria casearia che comincia a creare micro-reddito. Hanno inoltre affittato un appezzamento di terreno, dove gestiscono un orto biologico che produce ortaggi, anch'essi consegnati su due ruote.
Pronti al decollo. Ora, però, comincia la vera sfida. 'Il nostro progetto punta a coinvolgere sempre più giovani come noi - spiega Aboubakar, anche lui del Mali - per dare lavoro ad altri e aumentare i profitti. Ma per resistere e penetrare definitivamente il mercato, in poco tempo dobbiamo almeno raddoppiare produzione e reddito'. L'occasione per spiccare il volo giunge lo scorso ottobre, quando arriva la notizia di un bando della Regione Lazio vinto dalla cooperativa. Possono comprare nuove biciclette, carrelli, frigoriferi e scatole termiche ma, secondo la normativa, devono anticipare i 20 mila euro vinti. "Siamo arrivati a 15 mila - sorride Suleman - entro la fine dell'anno dobbiamo trovarne altre 5000. Poi sarà la felicità". Più che donazioni, chiedono di preacquistare lo yogurt e gli ortaggi. Un modo diretto per con



“Vicine vicine”, il canto delle donne ha sfidato il buio di Torpignattara
“L’azione più politica e sovversiva”, la definisce una delle promotrici: “chi in minigonna, chi con jeans e scarponi, chi con solo gli occhi scoperti. Qualcuno ci ha preso in giro, qualcuno ha alzato il volume dello stereo. Non importa, abbiamo cantato”
Redattore sociale, 23-11-2014
ROMA – Hanno cantato fino a tarda sera, illuminando gli angoli bui del quartiere con le loro torce, riempiendo con le loro voci quelle strade silenziose che di notte fanno paura: era il “Cantar notturno” di “Vicine vicine”, il gruppo di donne italiane e straniere che da circa un mese, a Torpignattara, prova a rispondere in modo creativo alle difficoltà dell’incontro tra culture e all’intolleranza che a volte prende il sopravvento.
E così, questa mattina, in poche frasi lo racconta Cecilia Bartoli, una delle promotrici dell’associazione Asinitas: “Chi in minigonna, chi con jeans e scarponi, chi con solo gli occhi scoperti, giovani, meno giovani, giovanissime, madri, non madri, madrine, un cerchio di canto, un cerchio di sorriso, un cerchio di donne di Torpignattara – scrive sulla pagina dedicata all’evento - L'azione più politica e sovversiva che abbia mai visto, fatto in vita mia! Qualcuno ha cercato di denigrarci, qualcuno di ridicolizzarci, qualcuno ha alzato il suo stereo a palla, per coprire con i suo ‘Unze unze’ le nostre voci, qualcuno ci ha semplicemente ignorato o guardato storto: non importa noi abbiamo cantato lo stesso. Qualcuno ha sorriso, qualcuno ha applaudito, qualcuno è sceso in strada, qualcuno si è affacciato per salutarci dalla finestra...grazie. Torpignattara piccole storie di ordinaria meraviglia”.



Cristian, ora cittadino italiano, sogna l’accademia di arte, teatro e musica
Cristian Ramos, il ragazzo nato in Italia da madre colombiana, che aveva visto negarsi la cittadinanza italiana perché affetto da sindrome di Down, è ora italiano a tutti gli effetti. Ad un anno da quella conquista affatto scontata, la madre racconta la storia e le battaglie affrontate
Redattore sociale, 22-11-2014
ROMA – “Quando nel novembre 2012 Cristian ha compiuto 18 anni mi sembrava la cosa più naturale che potesse avere finalmente la cittadinanza – racconta la madre, Gloria Ramos -. Avevamo tanto aspettato questo momento! Invece, non mi hanno nemmeno permesso di presentare la domanda, perché ritenevano che Cristian non fosse in grado di prestare giuramento”. Elemento su cui la madre ha sempre dissentito: “Cristian può fare questo ed altro!”, tanto più che la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ratificata anche dall’Italia, afferma chiaramente che la disabilità non può essere in alcun modo ritenuta un ostacolo per l’ottenimento della cittadinanza. Di fatto però il nostro Paese non ha ancora adeguato la normativa nazionale, lasciando le persone disabili in una situazione difficile, in cui l’esercizio dei propri diritti non è affatto scontato.
E proprio per combattere questa situazione Gloria ha fondato nel 2006, insieme ad altre famiglie, l’associazione “Ci siamo anche noi”, un modo per affermare la presenza e combattere contro le discriminazioni delle persone disabili. Ha scritto al sindaco di Roma ed è stata sostenuta dai parlamentari Khalid Chaouki ed Emanuele Fiano, che hanno presentato anche una interrogazione parlamentare.
Finalmente “il 18 giugno scorso Cristian ha prestato giuramento – continua la madre –. Era felice ed emozionato. Sapeva benissimo cosa significava quel momento. Avrei voluto che lo vedessero tutti coloro che ritenevano che non era in grado di capire. E vorrei che nessun altro debba passare attraverso l’iter assurdo che abbiamo vissuto noi, che ci siano regole chiare e che non si debbano subire così tante umiliazioni”. Ora Cristian è all’ultimo anno di liceo, e anche se è preoccupato per via degli esami di fine anno, non vede l’ora di finire la scuola per poter poi fare un’audizione in un’accademia di arte, teatro e musica.



Non è razzismo, ma esasperazione
left, 2-11-2014
Valentina Brinis
Non si è trattato di razzismo ma di esasperazione. È così che il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha sintetizzato quanto accaduto durante la settimana scorsa nel quartiere di Tor Sapienza. È stata definita una periferia che nell’immaginario collettivo faceva pensare a un luogo sperduto fuori dal Grande raccordo anulare, ma non è così.
Tor Sapienza è ancora dentro quella linea di confine, solo che fa parte dell’area cittadina trascurata e dimenticata dagli amministratori locali. Ecco perché i suoi residenti, estenuati da uno stile di vita ai margini, per mettere in luce le loro difficoltà, hanno trovato un capro espiatorio: i richiedenti asilo accolti nel centro di viale Giorgio Morandi. La decisione di colpire quel bersaglio al motto di “rubano e stuprano le donne”, è stata presa da poche persone e supportata, ben presto, da molte altre, dando inizio a una manifestazione, durata cinque giorni, al termine della quale l’obiettivo è stato raggiunto: l’arrivo del sindaco e l’avvio di una discussione sulle questioni cruciali per il miglioramento di Tor Sapienza.
Ma la trattativa tra il primo cittadino e tutti gli altri, avvenuta all’interno di un bar del quartiere, non poteva tenersi già nelle ore seguenti l’inizio delle manifestazioni (la notte tra domenica 9 e lunedì 10 novembre)? Perché, il fatto di aver atteso sino al venerdì ha provocato molti danni, e non solo alla struttura colpita dalle bombe carta e dalle pietre. Ha fatto sì che la rabbia iniziale montasse al punto da intimidire i 72 ospiti a uscire dal centro di accoglienza. I più audaci, che in quei giorni hanno tentato di recarsi a prendere un caffè fuori dalla struttura, sono stati aggrediti e insultati con parole davvero offensive. Gli altri guardavano dalle finestre con aria sbalordita e impaurita e alcuni filmavano le scene di guerriglia urbana di cui, in quel momento, erano la causa.
Le immagini di quei giorni sono state rappresentative del degrado che in questo caso non si limita certo alle cartacce per terra, alle aiuole sporche o ai cassonetti sempre colmi. È un degrado culturale e morale che progressivamente, negli ultimi anni, ha investito l’intera città. E lo dimostrano anche la collocazione e la capienza stesse di quella struttura di accoglienza, così lontane da quanto previsto dalle linee guida europee per cui il sistema da adottare è quello dei piccoli gruppi di migranti in piccoli centri urbani. È solo a queste condizioni che si può pensare a un piano davvero efficace che esprima il senso dell’accoglienza. Il resto genera isolamento, paure, emarginazione e desolazione. Conseguenze dannose per tutti, non solo per gli immigrati.

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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