Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

21 novembre 2011

 

Confcommercio: valorizzare il capitale umano degli immigrati per rilanciare il Paese.
Un rapporto dell’organizzazione chiede “politiche oculate per il governo dell’immigrazione secondo schemi efficienti d’incentivazione”.
ImmigrazioneOggi, 21-11-2011
Uscire dalla crisi valorizzando il capitale umano degli immigrati. È quanto chiede la Confcommercio che considera l’integrazione degli immigrati come uno dei fattori decisivi per il futuro del Paese.
Il dossier del Centro studi Confcommercio è stato presentato venerdì scorso a Venezia nell’ambito del forum dei giovani imprenditori dell’associazione.
L’Italia cresce poco, dice lo studio Confcommercio, cresce meno degli altri Paesi del Mediterraneo e della zona euro. Inoltre occorre predisporre politiche per l’immigrazione più efficaci. I Paesi che vogliono valorizzare questo capitale umano (quello degli immigrati), nota lo studio, devono predisporre oggi politiche oculate per il governo dell’immigrazione secondo schemi efficienti d’incentivazione.
Per l’Italia, caratterizzata da bassa natalità, è un punto sul quale si decide il futuro. Per il Mezzogiorno d’Italia, che patisce ancor oggi flussi migratori in uscita, è questione dirimente tra sviluppo e marginalizzazione. La ricchezza attrae popolazione, spiega ancora il dossier Confcommercio, la popolazione genera crescita. “Il nostro Paese – si legge – sembra fuori da questo circuito oppure non sembra riuscire a sfruttarlo nel senso di creare maggior benessere per migranti e autoctoni. È un difetto dal quale urge emendarsi”.
 
 
 
Bocciato il piano rom del Cdm la sentenza del Consiglio di Stato
La decisione del 16 novembre, a tre anni dall'emanazione del decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Accolti i ricorsi dell'associazione per la difesa dei diritti dei rom
la Repubblica, 21-11-2011
A distanza di tre anni dall'emanazione del decreto del presidente del Consiglio dei ministri, meglio noto come 'Piano nomadi', il Consiglio di Stato ha 'accolto' i ricorsi dell'associazione per la difesa dei diritti dei rom - European Roma rights centre foundation - e due abitanti del campo Casilino 900 di Roma. Il Consiglio di Stato, con sentenza depositata il 16 novembre "non si è limitato a rigettare il ricorso in appello della presidenza del Consiglio dei ministri, del ministero dell'Interno, del dipartimento della protezione civile e delle prefetture di Roma, Milano e Napoli contro la sentenza dell'1 luglio 2009 del Tar di Roma che aveva emesso un primo verdetto favorevole per l'Errcf. 
I giudici di Palazzo Spada hanno infatti "accolto il controricorso della stessa associazione, non pienamente soddisfatta dalla pronuncia di primo grado che non aveva condiviso il rilievo della carenza di presupposti di fatto idonei a legittimare una declaratoria di emergenza e dei lamentati intenti di discriminazione etnica e/o razziale nei confronti della comunità rom". Per il Consiglio di Stato "le motivazioni sono insufficienti per decretare lo stato di emergenza per un pericolo più paventato che realmente esistente". Decadono, quindi, anche le ordinanze presidenziali di nomina dei commissari delegati per l'emergenza e tutti gli atti successivi.
"Con la sentenza del 16 novembre, il Consiglio di Stato mette definitivamente fine all'emergenza rom. Il Partito democratico ha sempre ribadito la non necessità di 
un regime commissariale per gestire una situazione che, sicuramente complessa, deve rientrare nelle capacità di governo della giunta capitolina". E' quanto affermano Sergio Gaudio, responsabile del Forum Immigrazione del Pd di Roma, e Massimiliano Massimiliani, presidente della commissione provinciale Politiche sociali (Pd). "Inoltre la sentenza smaschera la propaganda vessatoria e strumentale perpetuata dal centrodestra, fin dalla campagna elettorale del 2008, nei confronti dei rom e che ha instaurato divisioni e contrapposizioni, spesso irragionevoli". "Da questa sentenza deriveranno pesanti conseguenze - proseguono - perché molte scelte sono state già compiute e molte risorse già spese. Il sindaco di Roma e il centrodestra dovranno trarre le dovute conclusioni e prendere atto della fine di una politica che abbiamo ripetutamente denunciato. Se si vorrà cambiare strada - concludono Gaudio e Massimiliani - e riprendere il dialogo democratico senza demagogia e vittimismo, il Pd sarà pronto a collaborare costruttivamente per affrontare, finalmente, in modo serio la questione dei rom, dei poveri e degli sfollati che popolano le nostre strade".
Profonda soddisfazione per una sentenza che rappresenta "una vittoria per i diritti umani e una svolta che inciderà profondamente nelle politiche sociali in favore delle comunità rom e sinte a Roma". Così Carlo Stasolla, presidente dell'Associazione 21 luglio commenta la sentenza 6050 del 16 novembre che boccia il Piano nomadi Berlusconi/Maroni emanato con decreto del 21 maggio 2008. L'Associazione 21 luglio "esprime profonda soddisfazione per la sentenza del Consiglio di Stato che proclama quindi l'illegittimità del Piano nomadi del Comune di Roma e delle sue azioni segnate, come l'Associazione 21 luglio denuncia da tempo, da misure discriminatorie e lesive dei diritti delle comunità rom e sinte". Nei prossimi giorni la 21 luglio "vigilerà attentamente sulle azioni dell'amministrazione locale volte al pieno rispetto delle disposizioni della sentenza, segnalando alle autorità competenti eventuali inadempienze e irregolarità da parte delle istituzioni". 
L'associazione precisa che il Consiglio di Stato, considerando illegittimo tutto l'impianto emergenziale, ha confermato nello specifico la non legittimità delle procedure di identificazione e censimento che le autorità romane stanno svolgendo all'interno dei campi formali e informali della Capitale; della norma che istituisce il presidio di vigilanza all'interno dei sette "villaggi attrezzati" presenti a Roma; dell'obbligo per i rom di sottoscrivere una dichiarazione di impegno al rispetto delle norme interne di disciplina per risiedere all'interno dei sette "villaggi attrezzati"; dell'uso del Dast, la tessera che consente di accedere e risiedere nei "villaggi attrezzati", e che finora è stata consegnata a molti nei rom in essi presenti. L'associazione ricorda poi che "una delle azioni più recenti in attuazione del Piano nomadi del Comune di Roma, come diretta conseguenza dello stato di emergenza, è la costruzione del nuovo campo in località La Barbuta che giorni fa, in una lettera consegnata alle autorita', l'Associazione 21 luglio ha duramente criticato perché collocato in un'area non adatta all'insediamento umano". In base alla sentenza del Consiglio di Stato, la costruzione del campo è "colpito da inefficacia in quanto risultato di un atto del commissario straordinario in carenza di potere. Per tale ragione- conclude la nota- la costruzione del campo La Barbuta, disposta dal prefetto-commissario per l'emergenza nomadi della Regione Lazio, Giuseppe Pecoraro, e quindi in deroga ad una serie di norme, non può essere considerata legittima e va immediatamente sospesa nell'attesa che si promuovano azioni in linea con quanto stabilito dal Consiglio di Stato".
 
 
Università, studentessa musulmana chiede uno spazio per la preghiera
La ragazza turca si è iscritta a Scienze. Ha inviato una comunicazione per sapere come dovrà regolarsi per le sue tre preghiere in orario "scolastico". Il prorettore: "Dobbiamo discutere se sia o meno corretto a livello istituzionale ma troveremo una soluzione".
la Repubblica, 21-11-2011
OTTAVIA GIUSTETTI
Aule, luoghi di studio accoglienti, laboratori. E poi uno spazio appartato per la preghiera del mezzogiorno, del pomeriggio e del tramonto. È quel che si aspetta di trovare Melek, una giovane studentessa turca, in partenza per Torino per la facoltà di Scienze, dove ha in mente di frequentare un corso di laurea specialistica a partire da dicembre. Ha scritto in segreteria in questi giorni per accertarsi che sia tutto in regola, che la sua routine di vita di studentessa musulmana possa proseguire come a casa: un panino tra una lezione e l’altra, un caffè con i compagni, una preghiera in solitudine. E l’ateneo si pone per la prima volta di fronte a questo tema, se sia corretto o meno riservare uno spazio dell’Università pubblica alla preghiera degli studenti musulmani. «È una questione che dovremo discutere in ateneo prima di prendere una decisione - dice il prorettore dell’Università di Torino, Sergio Roda - non abbiamo ovviamente nessun pregiudizio ma è giusto porre la questione attribuendole l’adeguata importanza, senza ridurla a un mero problema di spazi». Sono trascorsi pochi mesi dalla storica sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha dato ragione all’Italia sul caso dei crocifissi nelle scuole pubbliche. I giudici di Strasburgo hanno assolto il nostro Paese dall’accusa di violazione dei diritti umani per l’esposizione del simbolo religioso nelle aule scolastiche. Oggi l’internazionalizzazione delle università pone nuovamente il tema, però ribaltato. 
Melek è una studentessa come tante a Torino. Il Politecnico ha visto crescere le iscrizioni di stranieri del 21 per cento solo quest’anno alle facoltà di Ingegneria, e all’Università i ragazzi che provengono da altri Paesi sono ormai il 6 per cento del totale. Può capitare, passando per i corridoi poco dopo mezzogiorno, di vedere qualcuno di loro che prega negli spazi comuni, magari solo un poco appartato. E allora perché nessuno prima d’ora ha avanzato una simile pretesa? «Probabilmente la studentessa turca che ha chiesto all’Università di poter avere uno spazio per pregare, considera la questione un fatto normale - spiega Jalila Ferrero, italiana convertita all’Islam, presidente dell’Accademia Isa (Interreligious Studies Academy) - il fatto che sia una donna non le impone più riservatezza, forse però è motivo di maggiore sensibilità. Non vorrà essere additata dai compagni, o sentirsi mal giudicata». 
Una strada simile è stata intrapresa, sempre a Torino, per la prima volta in un ospedale pubblico. È stato messo a disposizione di malati, parenti e medici, un ampio spazio battezzato «la stanza del silenzio», dove non sono esposti simboli religiosi di alcun tipo, ma dove chiunque ne senta il bisogno può essere libero di pregare il proprio dio. «È importante che questo tema si ponga in un contesto così diverso come quello dell’Università - dice Yahya Pallavicini, vicepresidente della comunità religiosa islamica italiana e consulente del ministro dell’Interno nel Comitato dell’Islam italiano - non possiamo certo trasformare un’aula universitaria in un convento talebano ma non possiamo disconoscere neppure la direzione nelle quale è andata società, che chiede oggi anche nei confronti delle persone di fede musulmana incontro e dialogo in una sana dimensione di laicità».
 
 
 
Il valore economico e sociale degli immigrati
La Vera Cronaca, 20-11-2011
Irene Beltrani
Che gli stranieri rappresentino una preziosa risorsa economica per la società italiana è un dato di fatto consolidato dai numeri. A ribadirlo ancora una volta è il rapporto annuale sull'economia dell'immigrazione realizzato dalla fondazione Leone-Moressa, patrocinato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dal Ministero degli Affari Esteri, e presentato a Milano lo scorso 8 Novembre.
I risultati della ricerca hanno evidenziato come in Italia si contino oggi oltre 2 milioni di lavoratori immigrati (il 9,1% del totale degli occupati), che in sede di dichiarazione dei redditi notificano al fisco 40 miliardi di euro (pari al 5,1% del totale dichiarato) e che pagano di Irpef quasi 6 miliardi di euro (pari al 4,1% del totale dell’imposta netta).
Tuttavia proprio gli stranieri rappresentano la parte di popolazione che maggiormente ha subìto gli effetti negativi della crisi (il tasso di disoccupazione straniero è passato dall’8,5% del 2008 all’11,6% del 2010), mostrando i livelli di povertà più elevati (il 37,9% delle famiglie straniere vive al di sotto della soglia di povertà) con retribuzioni inferiori di circa 300 euro rispetto ai lavoratori italiani.
Analizzando nello specifico il mercato del lavoro è emerso infatti come, dal 2008 al 2010, si è assistito in Italia ad un aumento del tasso di disoccupazione straniera di 3,5 punti percentuali, dall’8,1% all’11,6%, con 274mila immigrati senza lavoro. Significa che nel biennio considerato un nuovo disoccupato su quattro ha origini straniere. Per quanto riguarda gli occupati (che sono oltre 2 milioni), per la maggior parte si tratta invece di lavoratori dipendenti (86,0%), giovani, inquadrati come operai (89,9%), dalla bassa qualifica professionale, nel settore del terziario (51,3%) e in aziende di piccola dimensione (il 53,4% lavora in imprese con meno di 10 persone). 
Lo studio ha poi preso in esame l'aspetto relativo alle retribuzioni. Un dipendente straniero guadagna al mese una cifra netta di 987 euro, come accennavamo quasi 300euro in meno rispetto al collega italiano. Ha inoltre maggiori possibilità di portare a casa una retribuzione più elevata l’immigrato che lavora nel settore dei trasporti (1.348 euro al mese) a scapito di chi lavora nel settore dei servizi alle persone (724 euro al mese), dove sono occupate maggiormente le donne.
Per quanto riguarda invece i redditi dichiarati, è stato riscontrato come nel nostro Paese si contino complessivamente 3,2 milioni di contribuenti nati all’estero (dati riferiti ai redditi del 2009) che dichiarano oltre 40 miliardi di euro. Tradotto in termini relativi, si tratta del 7,9% di tutti i contribuenti e del 5,1% del reddito complessivo dichiarato in Italia.
Gli stranieri dichiarano mediamente 12.507 euro (7mila in meno rispetto agli italiani) e si tratta quasi esclusivamente di redditi da lavoro dipendente. Nel 2009 i nati all’estero hanno pagato di Irpef quasi 6 miliardi di euro (pari al 4,1% dell’intero Irpef pagato a livello nazionale) che si traduce in 2.810 euro a testa. Ma gli stranieri beneficiano, più degli italiani, di detrazioni fiscali a causa principalmente del basso importo dei redditi stessi: infatti il 64,9% dei nati all’estero che dichiara redditi paga effettivamente l’Irpef, contro il 75,5% dei nati in Italia.
Analizzando infine i livelli di povertà e i dati relativo al disagio economico, è emerso che il 37,9% delle famiglie straniere vive al di sotto della soglia di povertà (dati 2008), contro il 12,1% delle famiglie italiane. Il reddito percepito non permette loro di risparmiare, dal momento che i consumi superano, anche se di poco, le entrate familiari. Entrate che provengono per il 90% da lavoro dipendente e che vengono destinate, tra le altre cose, al pagamento dell’affitto (dal momento che appena l’11,3% delle famiglie straniere è proprietaria dell’abitazione di residenza). 
Le famiglie straniere dichiarano infatti maggiori difficoltà economiche rispetto a quelle italiane: il 24,8% dice di arrivare a fine mese con molta difficoltà contro il 16,7% di quelle italiane; il 24% è in arretrato con il pagamento delle bollette (vs 11,2%), il 58,8% non è in grado di sostenere una spesa imprevista di 750 euro (vs 30,2%) e il 52,6% non può permettersi una settimana di ferie (vs 38,6%).
“La raccolta e l’analisi dei dati sull’impatto economico dell’immigrazione” affermano i ricercatori della Fondazione Leone Moressa “permette di delineare un profilo il più possibile oggettivo del fenomeno migratorio, affinché questo non faccia parte esclusivamente delle agende politiche sulla sicurezza ma che sia riconosciuto come vero e proprio strumento di sviluppo economico, prosperità e competitività: in sostanza un valore economico per la società.”
 
 
 
Il razzismo raccontato dai giovani immigrati
l'Unità, 19-11-2011
Mariagrazia Gerina 
«Appena ti avvicini sui mezzi ti guardano male, forse pensano che vuoi rubargli qualche cosa», racconta Luana, 21 anni, brasiliana di Milano. «Ad una fermata un vecchietto mi ha chiamata: “straniera di merda”», le fa eco Sonia, 21 anni anche lei, egiziana di Messina: «Però mi dà fastidio fino a un certo punto». «I bambini italiani a volte dicono che noi stranieri puzziamo», riferisce, dall’alto dei suoi 15 anni M., messinese venuto dalla Cina. Ragazzi di seconda generazione si raccontano. E le loro storie di discriminazione quotidiana, raccolte dall’indagine Arci-Unar Spunti di Vista, diventano uno specchio del paese che «non ha ancora pienamente accettato il suo ruolo di terra di immigrazione». E allora discrimina. Un razzismo all’italiana, che si manifesta a scuola come al lavoro. Sul treno, come alla fermata dell’autobus. Al Nord, come al Sud. 
Il luogo dove più di ogni altro si manifesta la banalità della discriminazione sono proprio i mezzi pubblici. Le due città prese a campione, Milano e Messina, su questo concordano. La metà circa degli intervistati (quasi 500 ragazzi di seconda generazione, nati in Italia o arrivati da piccoli, ma anche giovani immigrati) conferma che è soprattutto sui mezzi pubblici che gli italiani sfogano i peggiori istinti. 
NEL LABIRINTO ITALIA
Subito dopo, però, viene la questura. Molti, in attesa che il paese in cui vivono o sono nati riconosca loro la cittadinanza, raccontano le «attese fuori dall’edificio» sotto la calura o al gelo, i rinvii da un appuntamento all’altro, la mancanza di spiegazioni. E poi i documenti, chiesti per strada «solo perché sei straniero». A Messina, dove la maggior parte dei ragazzi è arrivata per ricongiugersi alla famiglia, si fa sentire di più la precarietà lavorativa, a Milano, dove sono di più i ragazzi arrivati per lavorare, quella “giuridica” di chi fatica ad avere il permesso di soggiorno. Anche i luoghi di svago marcano una differenza: a Messina il 49% li indica come spazi di discriminazione, a Milano solo il 16%. Ma il dato più preoccupante riguarda la scuola. Il 29% degli intervistati, a Milano come a Messina, la indica come teatro di discriminazioni personalmente subite. «Alle medie ero trattato come un pirla del terzo mondo, che non poteva imparare un ca...», racconta A., 16 anni, nigeriano di Milano. «Non ti metto la sufficienza perché sei straniera», si è sentita dire dalla prof di storia Maria, di origine albanese: «Alla fine la preside l’ha cacciata». 
Ragazzi che si sentono «guardati male». Insultati: «schiavo», «straniera di merda». Che si sono visti lanciare sassi, tirare dietro bottiglie. E che quando diventano un po’ più grandi si vedono discriminati anche sul lavoro. Mai pagato o pagato meno che ai colleghi italiani: «Tanto voi siete già poveri». Alcuni hanno interiorizzato lo schema . «Posso capire che si sentano minacciati e abbiano paura che prendiamo il loro lavoro», dice Sonia, 21 anni, messinese di origine egiziana. «Non è razzismo, forse è fare attenzione», si lancia in ipotesi Lux, che invece vive a Milano, raccontando di quelle signore che «quando ti vedono con la faccia scura, si tengono la borsa più stretta». Microstorie del paese visto dai ragazzi «G2», sentinelle dell’integrazione. Alcuni di loro hanno anche preso anche in mano la telecamera. Ne è nato un lungometraggio. Si intitola «Libera tutti». Prodotto dall’Arci che oggi organizza una nuova giornata di raccolta firme per il riconoscimento della cittadinanza ai giovani G2 e del voto amministrativo. 
 
 
 
Immigrazione: Bari; in serata rimpatrio per 106 clandestini
Sono tra i 171 arrivati nella notte tra venerdi' e sabato
(ANSA) - BARI, 20 NOV - Saranno rimpatriati in serata con un volo diretto al Cairo 106 dei 171 immigrati clandestini, quasi tutti egiziani, sbarcati nella notte tra il 18 e il 19 novembre scorsi a Bari a bordo di un peschereccio. Nei loro confronti la polizia ha ultimato l'identificazione e sta perfezionando le pratiche amministrative per il rimpatrio. Gli otto presunti scafisti, tutti egiziani, sono stati arrestati subito dopo lo sbarco. Invece, i 57 minorenni che erano a bordo sono stati accolti in comunita' di Bari e provincia. 
 
 
 
RIFUGIATI, VERGOGNA ITALIANA  Home Inchiesta
Arrivano fuggendo dalla violenza delle dittature o dal terrore delle guerre. In Italia, però, una volta fatta la domanda d'asilo, diventano spesso "fantasmi" senza identità, senza casa e senza  lavoro. Un dossier di due legali tedeschi ha squadernato la nostra inadeguatezza e adesso in Germania i tribunali si comportano di conseguenza e non rimandano nella penisola gli aventi diritto all'asilo
 
L'esercito degli "invisibili" intrappolati nell'inferno Italia
la Repubblica, 20-11-2011
MAURIZIO BONGIOANNI
Li chiamano i "dubliners", da "Dublino II", il regolamento europeo sull'asilo politico. Sono i rifugiati sbarcati in Italia e poi passati nel Nord Europa, ma che devono istruire la loro pratica nel nostro Paese. E ora quarantuno tribunali tedeschi hanno bloccato le espulsioni dei richiedenti asilo verso l'Italia sulla base di un rapporto che racconta come per queste persone da noi non ci sia alcuna "garanzia di dignità umana"Nei primi decenni del Novecento c'erano persone che spontaneamente arrivavano a rompersi un arto, chi un braccio e chi una gamba, per evitare di essere chiamati in guerra. È passato quasi un secolo ma nella cosiddetta società dei diritti esistono ancora persone costrette a bruciarsi le dita per cancellare le impronte digitali. Queste persone sono i rifugiati politici, e alcuni di loro lo fanno per non tornare in Italia, dopo essere arrivati in Germania o nel Nord Europa.
Com'è possibile? È possibile principalmente per due ragioni: la prima è che il principale regolamento legislativo in Europa in materia di asilo politico, il Dublino II, perno fondamentale dell'intero sistema di accoglienza europeo, prevede obbligatoriamente che la richiesta d'asilo di un rifugiato politico debba essere gestita dal paese membro nel quale quel rifugiato ha registrato le impronte digitali. L'ingresso principale per gli extracomunitari in Europa è rappresentato dalle coste italiane e greche ed è qui che vengono identificati la prima volta, segnando involontariamente il loro destino. Succede che gli immigrati, quando escono dal periodo di soggiorno forzato, decidono di prendere la strada del Nord in cerca di lavoro e molti attraversano i confini per approdare in Germania e oltre. Ma una volta usciti da Italia o Grecia, eccoli scontrarsi con la Dublino II che li costringe a tornare nelle penisole di partenza.
E qui si arriva alla ragione per la quale i richiedenti asilo non vogliono fare ritorno: perché in Italia e in Grecia non ci sono “garanzie di dignità umana” per loro. Questa conclusione è contenuta in un dossier, per ora tradotto solamente in inglese, scritto da due avvocati tedeschi che difendendo la causa di alcuni rifugiati sono venuti in Italia per vedere di persona quali sono le condizioni che gli riserviamo. Un'accusa, non ancora presentata in modo formale, ma che da un lato ha già scandalizzato l'opinione pubblica tedesca e dall'altro ha spinto quarantuno tribunali (Weimar, Francoforte, Dresda, Friburgo, Colonia, Darmstadt, Hannover, Gelsenkirchen e altri) a emettere altrettante ordinanze temporanee per bloccare le espulsioni dei richiedenti asilo verso l'Italia.
È giusto a questo punto fare una distinzione importante, quella fra richiedente asilo e rifugiato politico. Il richiedente asilo è colui che richiede lo status di rifugiato: è una distinzione banale ma ancora molte persone confondono le due situazioni. In Italia, quando un immigrato ottiene lo status di rifugiato politico la sua domanda d'asilo viene gestita dallo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Lo Sprar è l'istituzione nazionale che si occupa di trovare soluzioni logistiche e abitative per facilitare l'integrazione sociale dei rifugiati: vitto, alloggio e un programma di inserimento socio-lavorativo più l'assistenza linguistica, il tutto appoggiandosi agli enti locali. Lo Sprar ha tremila posti a disposizione, quindi riesce a gestire in media seimila rifugiati l'anno (sei mesi a rifugiato).
Il problema nasce proprio qui, dalla carenza di posti. Infatti le domande di asilo sono molte di più e lo Sprar mostra il limite di un sistema sovraccarico che non riesce a fronteggiare le richieste. Nel 2008 si è raggiunto l'apice di trentunomila domande d'asilo, mentre nel 2009 si è scesi a diciassettemila dopo che gli accordi tra Libia e Italia hanno dirottato gli sbarchi verso la Grecia o li hanno rispediti al mittente, in questo caso alle coste nordafricane.
Oltre la metà dei rifugiati non rientra quindi in un programma di inserimento. La maggior parte di loro viene ospitata all'interno dei cosiddetti Cara (Centri di accoglienza richiedenti asilo), dove ricevono un posto letto da lasciare libero alle otto del mattino. Quindi hanno a disposizione un posto dove passare la notte ma di giorno sono abbandonati a se stessi, e vanno in strada con l'obiettivo di sbarcare il lunario. Ma anche i Cara sono spesso saturi. Così a chi non trova posto nemmeno qui dovrebbe essere garantito un compenso per mantenersi nell'ordine di 45 euro al giorno (“dovrebbe” perché alcuni rifugiati dichiarano di non riceverlo). Il risultato è che centinaia di persone trovano riparo dove possono: alcuni dormono per strada, altri occupano edifici abbandonati senza nessun tipo di comfort (riscaldamento, acqua, eccetera).
La conseguenza è che i nuovi “inquilini” si ritrovano del tutto tagliati fuori dalla società e dalla possibilità di ottenere un riconoscimento legale. Infatti, se mai si liberassero dei posti nei programmi di inserimento, essi non risultano rintracciabili. E senza fissa dimora non possono ottenere assistenza sanitaria, inserimento nelle liste d'impiego, la patente e tutti gli altri servizi. Questi rifugiati politici diventano pressoché “invisibili”.
I richiedenti asilo possono rimanere in attesa per mesi, addirittura anche un anno, prima di ricevere una risposta - che può essere negativa – alla loro richiesta da parte della Commissione territoriale. Una volta messi alla porta dal Cie, il Centro di identificazione ed espulsione, i richiedenti sono soli, non hanno tessuto nessuna rete sociale con l'esterno dal momento che sono stati costretti a mesi di soggiorno forzato. Così alcuni fuggono cercando di  espatriare o di farsi dimenticare nelle pieghe della città, altri vengono “parcheggiati” in edifici inutilizzati in attesa di una risposta. E mentre le loro giornate trascorrono inutili, il loro soggiorno diventa una spesa pubblica. 
Non si può dare tutta la colpa all'Italia. É vero, il nostro Paese, in tema di diritti d'asilo, è stato già richiamato almeno quattro volte in due anni dalla Corte europea per i diritti umani. Ma a essere sotto accusa è l'intero sistema di gestione dei profughi e dei richiedenti asilo a livello europeo. È logico che in Europa esistano paesi con più problemi di accoglienza di altri, dal momento che sono le prime terre d'approdo per gli sbarchi. A questi paesi deve essere riconosciuta la possibilità di gestire differentemente la questione flusso migratorio. La legge Dublino II non fa altro che ripartire in modo ineguale la domanda di richieste d'asilo. Per il Cir, Consiglio italiano per rifugiati, questa convenzione dev'essere addirittura abolita “perché non risponde ai principi contenuti nella Convenzione di Ginevra ma anzi va a soddisfare interessi politici-economici nazionali”. In pratica Dublino II limita la libertà personale di queste persone. Disabili, donne partorienti, persone traumatizzate e vulnerabili: spesso capita al Cir di verificare espulsioni del genere. Gente spedita come pacchi postali dalla Gran Bretagna e da altri paesi europei.
Eppure alcuni di questi paesi sembrano voler invertire la tendenza. Oltre alla Germania, anche Olanda e Svezia stanno prendendo in considerazione l'eventualità di bloccare i rimpatri dei dubliners, i rifugiati di ritorno. Da non dimenticare che queste misure erano già state adottate nel 2008 da Norvegia e Finlandia nei confronti della Grecia, reputata un paese “a rischio” per i profughi.
 
Nel palazzo-carcere dei rifugiati
la Repubblica, 20-11-2011
VALERIA TEODONIO, FABIO TONACCI
Vivono in un ex palazzo del ministero del Tesoro. In tutto 800 persone. Che hanno lo status di rifugiati politici e nessun aiuto da parte dello Stato. Vorrebbero andarsene, ma non possono. Così hanno occupato un palazzo, a Roma. Hanno trasformato gli uffici in case, alcune di 12 metri quadrati. Con loro, tanti bambini. E per cucinare si va in corridoio
 
LA STORIA - HUSEIN / MOGADISCIO
"Vivevo a Termini e mangiavo rifiuti A 14 anni la vita di strada fa paura"
la Repubblica, 20-11-2011
"A Roma avevo 14 anni quando per mesi dovetti vivere in strada attorno a Termini. Sopravvivevo cibandomi di rifuiti che trovavo fuori dai supermarket e dai ristoranti. E vendendo un po' di vuoti di bottiglia mi guadagnavo pochi soldi. Praticamente tutto il tempo a Roma l'ho vissuto in strada, fui anche aggredito e derubato, perfino, del permesso di soggiorno. Provai a vivere nell'ex ambasciata somala ma per me minorenne era troppo pericoloso, gli alcolizzati volevano continuamente stuprarci. Se chiedevo aiuto alla polizia, la risposta era sempre la stessa: stai molto attento, non ti far più vedere, vattene altrove in Europa. Alla fine decisi di tentare l'impossibile. Mi affidai a un passatore, che in giugno mi portò in auto in Germania".
 
WADI / KISIMAYO (A. T.)
"A Roma in balia dei gruppi mafiosi Ora studio tedesco e gioco a calcio"
la Repubblica, 20-11-2011
Una famiglia di stranieri dopo lo sgombero del residence in via Bravetta a Roma
"Trascorsi due mesi e dieci giorni in un carcere a Reggio Calabria, poi quattro mesi e undici giorni in un'altra prigione. In tutto quel periodo di detenzione non ho mai potuto vedere un avvocato, mi prendevano solo le impronte digitali. Non sono stato maltrattato, ma mi trattavano sempre in modo razzista... a Roma poi ho vissuto tre mesi e venti giorni in strada. Quasi sempre nei pressi della stazione Termini. Noi giovani somali là a Termini eravamo in balìa dei gruppi mafiosi. Ci picchiavano selvaggiamente o ci usavano violenza sessuale per costringerci a compiere atti criminali... partii per Milano, ma anche là non trovai alcuna assistenza, né lavoro. Allora mi decisi, con l'aiuto dei clan somali cui appartengo, a tentare di lasciare l'Italia. Lungo viaggio, attraverso la Danimarca, poi la Svezia dove la polizia voleva rispedirmi in Italia. Mai, mi dissi, e riuscii ad arrivare in Germania. Da settimane ho alloggio in un ostello, studio il tedesco, gioco a calcio in una società sportiva".
 
LA STORIA - MOGDAN / MOGADISCIO
"Un incubo tra la Sicilia e Torino Il martirio è finito in Germania"
la Repubblica, 20-11-2011
"In Sicilia vivevo in strada, fui spesso picchiato e derubato. Poi un contadino mi dette lavoro, ma in che condizioni! Lavoro dalle sei del mattino alle sei di sera, lavoro pesante nei campi. Niente colazione, a mezzogiorno solo pane secco. Non avevo un alloggio, dormivo in una capanna di legno infestata di ratti, cimici e pidocchi. Se crollavo di stanchezza il contadino mi picchiava selvaggiamente, o aizzava contro di me il suo cane da guardia. Non avevo neanche mai il diritto di lavarmi. Dopo alcuni mesi decisi di andarmene, chiesi di essere pagato, e lui mi rispose "non ho il dovere di darti proprio un soldo, perché non hai né documenti né permesso di lavoro"... Passai poi mesi a Roma, nelle terribili condizioni di vita nell'ambasciata somala, e a Torino in condizioni altrettanto pesanti. Il martirio è finito arrivando in Germania, lasciando l'Italia".
 
HABIB / MOGADISCIO 
"La polizia picchiava con i manganelli A Francoforte ho trovato un rifugio"
la Repubblica, 20-11-2011
"A Lampedusa fu una prigione, tutti insieme, minorenni come me e adulti... se chiedevamo qualcosa tiravano fuori i manganelli... poi mi misero alla porta... arrivai a Roma, e là quando chiedevo aiuti alla polizia loro indossavano i guanti, picchiavano coi manganelli, mi sputavano in faccia. La vita a Termini era terribile, eravamo in mano a organizzazioni mafiose che minacciandoci ci chiedevano di compiere reati per loro, eravamo bottino, selvaggina. E' stato a Francoforte che per la prima volta nella mia vita ho trovato un luogo di pace e protezione. Ho un tetto sotto cui dormire, assistenti sociali che si occupano di me, posso andare a scuola, imparo il tedesco, i medici qui mi hanno curato. Lentamente mi sto riprendendo dalle pesanti conseguenze del soggiorno in Italia, anche sulla mia salute".
 
ABDUL / KISIMAYO 
la Repubblica, 20-11-2011
"Solo la Chiesa mi dava da mangiare poi finalmente il treno per Monaco"
"I momenti peggiori vennero dopo che mi mandarono via da Lampedusa. Era impossibile a Roma trovare lavoro, studiare, nessuno si occupava di me che ero allora minorenne. Le difficili condizioni di vita ma prima di tutto il freddo, nell'edificio dell'ex ambasciata somala, fecero sì che io mi ammalassi. Avevo dolori tremendi agli arti, non ce la facevo più nemmeno a stare in piedi in fila davanti alle istituzioni di carità della Chiesa per aver da mangiare. Alcune donne somale s'impietosirono e si presero cura di me. Mi salvarono la vita. Dopo l'inverno venne la primavera, fu più caldo ma la vita nell'ex ambasciata era insopportabile: alcolizzati, pederasti. A Termini alcuni somali mi dissero 'ragazzo, vai in un altro paese europeo, starai meglio'. Furono loro a portarmi in treno a Monaco e poi mi inviarono a Francoforte. Vivo a Francoforte da allora in un'istituzione giovanile. Chiunque ascolti di queste mie esperienze in Italia, quando avevo 14 o 15 anni, può capire che io non voglia tornarci".
 
"Tempi brevi solo per legge e i rifugiati restano in attesa"
la Repubblica, 20-11-2011
La normativa dice che l'attestato della presentazione della domanda deve avvenire entro tre giorni, ma i richiedenti asilo aspettano anche quattro mesi. Il direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati, Christopher Hein: "Una volta ottenuto il documento, non sempre si trova subito accoglienza"
 
Quando c’era l’ambasciata somala tra depressione, droga e alcol
la Repubblica, 20-11-2011
LORENZO MELONI
Erano 150 i rifugiati che abitavano all'ambasciata della Somalia a Roma. Questa struttura oggi giace abbandonata, ma fino all’anno scorso accoglieva, tra topi e immondizia, gente in cerca d’aiuto, senza alcun tipo di sostegno. C’era un gran via vai, ogni giorno tornava qualcuno: chi era fuggito in Germania o in Belgio veniva rispedito in Italia, perché era il nostro Paese ad aver preso per la prima volta le loro impronte digitali. Cercavano un rifugio dalla guerra, ma hanno trovato decadenza. Molti di loro sono caduti in depressione, passivi davanti a una situazione senza via d'uscita. C'era chi non si alzava più dal letto e cercava di dormire il più possibile per "non vivere", chi consumava droga e alcool per sedare le emozioni di una vita impossibile. Dopo anni di proteste e manifestazioni per tentare di avere una vita più dignitosa, questo luogo ha chiuso. La causa è stata lo stupro di una ragazza. Dopo aver trascorso alcuni giorni per strada, alcuni di loro sono riusciti a trovare accoglienza in dei centri, altri cercano ancora illegalmente fortuna in altri paesi europei e vengono periodicamente rinviati in Italia
 
"Senza tetto, picchiati, violentati e le cose stanno peggiorando"
la Repubblica, 20-11-2011
ANDREA TARQUINI
Parla Dominik Bender, uno dei due avvocati tedeschi che ha realizzato il dossier di Pro Asyl sulle scandalose condizioni di vita dei richiedenti asilo nel nostro Paese. "Da più parti d'Europa arrivano giudizi simili e i tribunali s'interrogano se si possa rimandare in Italia un richiedente asilo. E non ci sono notizie di miglioramenti" BERLINO -  "Con la nostra iniziativa siamo riusciti a bloccare, in media, già un terzo delle espulsioni verso l'Italia, e la tendenza è in aumento". L'avvocato Dominik Bender, uno dei due estensori del dossier di Pro Asyl sulle scandalose condizioni di vita dei rifugiati in Italia, è fiero e combattivo.
Avvocato, da quando avete pubblicato il rapporto in Germania, ci sono stati sviluppi positivi in Italia da parte delle autorità o per i profughi?
"Non sono a conoscenza di miglioramenti in Italia. Non voglio generalizzare, parlando da fuori dell'Italia, ma non ho sentito di nuovi tentativi per migliorare la situazione dei profughi. E sempre più profughi extracomunitari lasciano l'Italia per venire in Germania o altrove in Europa. I loro racconti sono gli stessi di un anno fa: direi che ci sono piuttosto segnali di un peggioramento della situazione. Penso a Lampedusa ma anche a Roma, dove in primavera l'ambasciata somala è stata chiusa senza offrire a chi vi viveva situazioni alternative".
Ma parliamo di gravi situazioni in centri d'accoglienza non ufficiali, non in quelli pubblici, no?
"Sì, lo so benissimo. Ma è un sintomo dell'assoluta insufficienza dell'assistenza pubblica per questa gente dai destini tragici".
Preparate altre iniziative?
"Un avvocato che vuole impedire l'espulsione di profughi verso l'Italia deve sempre superare due ostacoli. Primo, occorre documentare la situazione in un paese. Per questo siamo andati a ricercare in Italia, e altri gruppi lo hanno fatto dopo di noi. Secondo, c'è la valutazione giuridica della situazione reale. In questo senso non c'è solo il nostro rapporto: anche La Schweizerische Fluechtlingshilfe (l'associazione svizzera per l'assistenza ai profughi, ndr) ha presentato un rapporto a maggio. C'è un rapporto di una ong norvegese. E infine un rapporto di Thomas Hammerberg, responsabile dei diritti umani del Consiglio d'Europa. Anche lui ha scritto che i profughi stanno molto male in Italia. Ora comincia il confronto giuridico".
Con chi?
"Prima di tutto con i tribunali tedeschi. Solo loro possono impedire ad esempio l'espulsione di un somalo in Italia. Molti avvocati in Germania ora usano questi rapporti nelle cause per convincere i giudici che non si possono inviare i profughi in Italia. Conosco già una cinquantina di sentenze tedesche che dicono che al momento non si può rispedire un esule in Italia. E' già un successo molto grande. Circa un terzo delle espulsioni verso l'Italia sono state bloccate da tribunali tedeschi. Tendenza in aumento. Due settimane fa poi la Corte europea per i diritti umani a Strasburgo ha provvisoriamente bloccato l'estradizione di un curdo siriano in Italia. E' un precedente. Conosco l'avvocato che ha strappato questa sentenza: gli era andata male al tribunale di Muenster, poi si è rivolto invano alla Corte costituzionale tedesca, a Strasburgo ha trovato ascolto. La Corte di Strasburgo ha chiesto al governo tedesco di spiegare entro il 30 novembre perché un'espulsione verso l'Italia dovrebbe non violare i diritti umani, e in Germania ogni tribunale riceve informazione della sentenza di Strasburgo. Vedremo quale sarà il verdetto finale di Strasburgo, tra qualche mese. La discussione sulla vita dei rifugiati in Italia però è aperta a livello europeo, dubbi e critiche all'Italia sono stati presi in seria considerazione".
Quali sono secondo voi i problemi più gravi per i profughi in Italia?
"Prima di tutto l'alto numero di senzatetto tra loro. Non hanno famiglia né amici, sono del tutto soli, tranne amici conosciuti sulle navi dalla Libia o a Lampedusa. Non hanno network sociali, nessuno li aiuta. Se non si dà loro un tetto vivono in strada, così si producono situazioni come a Roma: minorenni somali o eritrei per settimane o mesi hanno dormito sotto i ponti o a Termini, o hanno trascorso la notte come clandestini sui treni per avere un po' di caldo. E un tetto è importante anche per la difesa da attacchi. Poi chi non ha una residenza registrata ha gravi difficoltà a ricevere assistenza sanitaria. Spesso molti profughi arrivano in Germania gravemente malati, per esempio di tbc, dopo un anno o un anno e mezzo vissuti in strada in Italia. E qui vengono per prima cosa curati per settimane in ospedale. Poi ci sono altri due problemi".
Quali?
"La mancanza di assistenza per cibo e abiti. Ci sono le mense della Caritas, la Fraternità dei gesuiti, fanno il possibile ma è troppo poco. Ultimo problema: non hanno tempo né di imparare l'italiano né di cercare lavoro, quindi non possono integrarsi. In Germania è diverso: hanno pasti caldi, sono offerti loro corsi di lingua e corsi professionali, hanno un qualche alloggio. Senza parlare delle aggressioni razziste a Termini o a Torino o a Milano di cui ci raccontano i profughi che arrivano qui. Il razzismo è un problema purtroppo generale in Europa, anche in Germania, ma se dormi a Termini sei un bersaglio ben più vulnerabile che non in un alloggio o in un container. Somali ed eritrei che vengono in Europa hanno ogni motivo di chiedere difesa, e in Italia sono del tutto indifesi. E' comprensibile che fuggano in altri paesi per cercare difesa e sicurezza, i nostri tribunali appunto cominciano a capire che in Italia la loro sicurezza non è garantita, sono abbandonati a sé stessi in strada, per questo cominciano a emanare verdetti contro le espulsioni in Italia".
Casi concreti? Racconti...
"Penso a otto giovani, in maggioranza somali, che mi hanno narrato le loro esperienze. Ecco la testimonianza di uno di loro: 'Arrivai a Lampedusa, mi portarono in un campo profughi dove trascorsi diversi mesi. In quel periodo mi presero due volte le impronte digitali. Due volte fui interrogato, poi ricevetti un documento che m'imponeva di lasciare il campo profughi. Da quel momento sono cominciati i miei problemi peggiori. Non era assolutamente chiaro dove avrei dovuto o potuto andare, e di cosa avrei potuto o dovuto vivere.  Lampedusa era divenuta una casa per me, c'era un minimo esistenziale garantito. Mi sentii gettato in strada in un paese straniero di cui non capivo la lingua. Desideravo una cosa sola, tornare nel campo. Ma fu impossibile, e come unica risposta alle mie domande le autorità mi dettero un biglietto per Roma. Altri miei compatrioti mi dissero: sì, vacci, puoi dormire all'ex ambasciata somala. Nell'agosto 2009 arrivai in treno a Termini. Altri somali mi portarono all'ambasciata, non lontano. La situazione nell'edificio era catastrofica: tutti abbandonati a se stessi, ognuno doveva provvedere da solo a come sopravvivere. Grazie all'aiuto di organizzazioni della Chiesa ebbi cibo e abiti. Ma in inverno non avevo nemmeno una coperta. E molti somali nell'ex ambasciata erano alcolizzati, aggressivi, c'erano violenze quotidiane. Per questo decisi di lasciare l'Italia".
 
In Europa 258mila domande di asilo In Italia bocciate il 60% delle richieste
la Repubblica, 20-11-2011
I dati sui rifugiati nell'Unione. La Francia è al primo posto per numero di istanze presentate, ma il dato complessivo su tutto il continente è in calo. L'Afghanistan, invece, è in testa tra i paesi di provenienza
L'accoglienza
36.951
Il numero di arrivi in Italia nel 2008
31.097
Le domande gestite dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati 
8.412
Le richieste accolte
9.573
Il numero di arrivi nel 2009
17.603
Il numero delle domande, 
7.845
Le richieste accolte
3.000
I posti a disposizione nelle 130 strutture Spar
6.800
I posti nelle dieci strutture dei Centri di accoglienza e dei richiedenti asilo
I dati europei
264.000
Il numero di richieste di asilo nel 2009
257.800
Il numero di richieste di asilo nel 2010
51.600
Il numero di richieste in Francia, primo paese per numero di domande ricevute
48.500
In Germania
31.900
In Svezia
26.100
In Belgio
23.700
In Regno Unito
10.050
In Italia
17.000
Le richieste in Italia nel 2009
20.600
Il numero di richiedenti asilo in arrivo dall'Afghanistan (pari all'8% del totale)
18.500
Dalla Russia (7%)
17.700
Dalla Serbia (7%)
15.800
Dall'Iraq (6%)
14.400
Dalla Somalia (6%)
I dati italiani
1.385
Le richieste di asilo in arrivo dalla Somalia, al primo posto come numero di domande
930
Dal Pakistan
875
Dall'Afghanistan
11.325
Le decisioni prese in Italia nel 2010 sulle richieste di asilo
4.305
Il numero di persone che hanno ottenuto una forma di protezione
1.615
Che hanno ottenuto lo status di rifugiato
1.465
Che hanno ottenuto una protezione sussidiaria
1.225
Che hanno ottenuto un permesso per motivi umanitari
7.015
Che hanno ottenuto il diniego (pari al 62% del totale)
Fonte: Eurostat
 
 
 
Immigrazione: Ue, al via portale per entrare nei 27
Malmstrom; mancano 2 mln di medici e infermieri
(ANSA) - BRUXELLES, 18 NOV - Dove si chiede il permesso di lavoro in Germania? Un cittadino indiano ha bisogno di un permesso di soggiorno per studiare in Spagna? Su una lavoratore si sente sfruttato a chi si puo' rivolgere?: Sono queste alcune delle domande alle quali l'Unione europea si propone di rispondere con una nuova iniziativa lanciata oggi: un portale Internet dedicato ai cittadini di Stati terzi che desiderano vivere e lavorare nell'Ue-27.
Si chiama 'Portale Ue dell'immigrazione' ('ec.europa.eu/immigration) ed e' stato presentato dalla Commissaria europea per gli Affari Interni, Cecilia Malmstrom.
''Il portale e' pratico, di facile utilizzo fornisce informazioni comprensibili sulla Ue e sulle politiche di immigrazione nazionali - ha detto la commissaria -: i lavoratori, gli studenti, i ricercatori e gli immigrati che vogliono unirsi alle loro famiglie possono trovare qui informazioni adatte alle loro esigenze''.
Molte persone che ''vogliono immigrare nell'Unione europea non sanno cosa questo comporta, non sanno come chiedere il permesso di residenza, non sanno se c'e' bisogno o meno di un visto, non conoscono i possibili rischi - ha spiegato la Malmstrom -. Da parte loro, gli immigrati che si trovano gia' nell'Unione europea non conoscono sempre i propri diritti''.
Per questo, ha concluso, ''e' nell'interesse di tutti noi migliorare la comunicazione in quest'area, in modo da minimizzare le incomprensioni e la burocrazia di questo processo: questo e' l'obiettivo del nuovo portale sull'immigrazione che lanciamo oggi''.
E gia' nell'immediato futuro serviranno nuove forze nell'Unione europea. ''Nei prossimi 2-3 anni l'Unione europea nel suo complesso avra' bisogno di circa due milioni di persone nel settore della sanita', cioe' dottori e infermieri'', ha sottolineato la Malmstrom, che ha presentato oggi un nuova proposta sulla migrazione e la mobilita' per rafforzare la cooperazione operativa con gli Stati extra Ue.
Ci sono ''vari problemi'' che contribuiscono a questa situazione, ha spiegato: ''Alcuni paesi semplicemente non hanno investito abbastanza nella sanita', non hanno un numero sufficiente di studenti di medicina, quindi ci sono vari problemi''. Secondo l'Esecutivo comunitario, l'Ue deve potenziare i rapporti con gli Stati extra Unione per sfruttare al meglio i benefici reciproci derivanti dai flussi migratori. Anche se il tema dell'immigrazione ha un posto di rilievo nell'agenda politica dell'Unione, ha sottolineato la Commissione, la 'primavera araba' e gli eventi nell'area del Mediterraneo del Sud hanno "ulteriormente sottolineato il bisogno di una politica migratoria coerente e onnicomprensiva per l'Ue".
Il nuovo corso è contenuto nel documento 'Un approccio globale alla migrazione e alla mobilita'' (Gamm), che ruota attorno la mobilita' dei cittadini di paesi terzi e punta a partnership piu' sostenibili e lungimiranti.(ANSA).
 
 
 
Lampedusa naviga a vista
Il libro di Bastianetto e Della Longa sull'isola e gli immigrati.
Lettera43, 21-11-2011
Maria Rosaria Iovinella
Degli sbarchi di immigrati nella primavera lampedusana, la stampa italiana e mondiale ha descritto tempi e modi, vittime e superstiti. La complessa situazione sull’isola ha per due mesi dato adito a polemiche politiche, crisi istituzionali tra l’Italia e l’Ue e laceranti interrogativi sul futuro di migliaia di anime in fuga dalla guerra, dalla disperazione e dalla mancanza di un domani.
Nell’emergenza, la Croce Rossa italiana era lì, ad assistere i migranti e a garantire il suo apporto, sanitario in primis. Tommaso Della Longa, portavoce, e Laura Bastianetto, volontaria dell’organizzazione, hanno vissuto l’escalation degli eventi in prima persona, sul posto, sul molo della stazione marittima. Lampedusa. Cronache dall’isola che non c’è è il loro romanzo che dà voce a migranti, isolani, forze dell’ordine e volontari. Fuori dalle logiche giornalistiche, dentro le emozioni contrastanti di un’isola.
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Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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