La lettera di una mediatrice errante nel paese dell'integrazione traballante
Marta Marciniak
Devo dire con sincerità che questa è la quarta versione che cerco di scrivervi in risposta all' articolo comparso ne  l' Unità del 12 settembre 2009. Le ragioni della mia indecisione sono molteplici, direi semplicemente che non trovavo la forma giusta per raccontare la mia esperienza professionale come mediatrice  interculturale e quindi suggerire delle proposte valide e sensate nel campo della integrazione. Da giorni penso e ripenso a questa lettera fino ad arrivare al punto di lasciar perdere, ma qualcosa dentro   di  me  continua a dirmi di andare avanti....... anche se mi trovo in una situazione difficile dovendo scegliere fra la versione lamentosa  oppure la versione incoraggiante, arrabbiata o rassegnata. Questi e tanti altri sentimenti sono ingabbiati dentro di me  da parecchio tempo, ma mai come negli ultimi tempi sono arrivati quasi al limite della sopportazione.
Ecco perché:
Vivo in Italia da circa venticinque anni, da quasi dieci svolgo ufficialmente come lavoro quello di mediatore interculturale.  Anche se dire: “svolgo ufficialmente” sinceramente mi sembra un po' azzardato in quanto  questa professione mi sembra poco riconosciuta e poco amata nell'ambito scolastico italiano.  Spesso veniamo chiamati  in momenti di emergenza per  traduzioni sbrigative che non hanno niente a che fare con la mediazione, neanche quella linguistica.
La mia esperienza è nata e cresciuta nei piccoli paesi della provincia di Roma, dove  gli Istituti Comprensivi  considerati    dal Ministero  dell'Istruzione, ad alto flusso  migratorio, ma di fatto completamente  privi  e disinteressati  ad una seria ed efficiente collaborazione con i mediatori interculturali. Spesso vengono realizzati   progetti  e  convegni sulla intercultura e l'integrazione , dove non  è prevista  la presenza del mediatore interculturale, visto quasi come un disturbo al  glorioso percorso di  mediazione fatta in casa. Mi chiedo spesso come possiamo costruire un  percorso di integrazione , di reciproca conoscenza e di rispettabilità delle tradizioni e delle culture se la direzione intrapresa è unidirezionale.
Nel non lontano 2007 ho fondato con un gruppo di persone sensibili  un'associazione di mediazione interculturale. Lavoriamo con tanta fatica, ma caparbiamente andiamo avanti. Qualche volta troviamo  porte chiuse con la citazione apposta “per mancanza di fondi non siamo interessati ai vostri progetti”. Qualche volta siamo più fortunati, almeno ci ricevono, si incuriosiscono, si va oltre lo stereotipo dell'immigrato muratore o lavapiatti. Poi magari non si fa niente, ma intanto abbiamo lasciato un semino di curiosità, di voglia di conoscersi. 
Lavoriamo pochissimo nelle scuole, ma quando ci riusciamo gli insegnanti sono contenti, riusciamo comunque a trasmettere dei messaggi importanti e funzionali alla programmazione dei P.O.F.  Direi che nelle scuole, che conosco , esiste diffusamente diffidenza, e  preconcetto nei confronti della figura  del  mediatore di origine straniera. Figure da cui magari ci si aspettano nozioni tipo: quali balli folcloristici si danzano nel loro paese di origine,o magari le canzoni  tradizionali dei montanari dei Carpazi....... , ma allora perché poi ci deve raccontare invece di  migrazione, di accoglienza, di diritti umani, e  parlare della propria esperienza migratoria?
Ci si rifugia dietro le frasi: “questo progetto non mi serve perché io ci parlo già con i  miei studenti  di razzismo, di emigrazione italiana............!” E' dura cambiare il punto di vista di chi si trincera dietro luoghi comuni e futili  scuse.
Oppure se riesci ad entrare e lavorare, qualcuno alla fine dell'intervento si convince , chiede   consigli per come comportarsi  in classe in situazioni di difficile integrazione, come interloquire ad esempio con i genitori stranieri. Piccoli passi, direi ma  fanno sperare e soprattutto andare avanti comunque.
A noi mediatori piacerebbe avere più dialogo con i docenti per dare soprattutto ai  ragazzi la possibilità di confronto con la diversità necessaria per una sana ed equilibrata crescita delle future generazioni. Non togliamo a loro questa opportunità!
Ci piacerebbe di non lavorare a singhiozzo, saltando da un progetto all'altro, non concludendo un granché perché sono finiti i fondi oppure è cambiata la dirigenza. Credo che per costruire un valido percorso di integrazione  serva una programmazione comune, un cammino fianco a fianco,  altrimenti continueremo  ad errare nel paese dell'integrazione traballante.
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