Cittadinanza. L'attesa "strategica" del Parlamento

Nel suo discorso di fine anno il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affermato che «Solidarietà significa anche comprensione e accoglienza verso gli stranieri che vengono in Italia,
nei modi e nei limiti stabiliti, per svolgere un onesto lavoro o per trovare rifugio da guerre e da persecuzioni». E ha aggiunto che «le politiche volte ad affermare la legalità, e a garantire la sicurezza, pur nella loro severità», non devono «far abbassare la guardia contro razzismo e xenofobia» e non possono «essere fraintese e prese a pretesto da chi nega ogni spirito di accoglienza con odiose preclusioni. Anche su questo versante va tutelata la coesione, e la qualità civile, della società italiana». 

Tematiche trattate, con accenti assai simili, da Papa Benedetto XVI durante la recita dell’Angelus del  primo gennaio, in cui si sottolinea l’importanza dell’educazione «al rispetto dell’altro, anche quando è differente da noi. Ormai è sempre più comune l’esperienza di classi scolastiche composte da bambini di varie nazionalità, ma anche quando ciò non avviene, i loro volti sono una profezia dell’umanità che siamo chiamati a formare: una famiglia di famiglie e di popoli».

C’è da augurarsi che le parole di Giorgio Napolitano e di Benedetto XVI, pressoché unanimemente condivise, non rimangano solo parole. Preziose, ma non sufficienti, se atti adeguati non seguiranno.  Ora tocca al Parlamento assumersi le proprie responsabilità, accelerando i tempi di discussione della normativa sulla cittadinanza. Ma è probabile che quelle norme vengano esaminate dopo le elezioni regionali per non turbare gli equilibri all’interno della maggioranza. E intanto gli immigrati, come sempre, possono aspettare.
L'Unità del 5 gennaio 2009

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