Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Straniere che lavorano per noi. Il bisogno è reciproco

 

Giovanna Pezzuoli
 
Sono “donne che vivono nel futuro”, mi ha detto l’altro giorno un’amica raccontandomi la storia di una badante straniera. Per loro il passato è un groviglio di affetti e dolori, il presente è il luogo dell’assenza e della lontananza, resta il futuro che peraltro non sempre (anzi, quasi mai) corrisponde alle aspettative.
 
Mariel, filippina laureata, è venuta in Italia perché il suo impiego nel settore amministrativo non bastava a mantenere il marito semi-disoccupato e i 4 figli. Così ha iniziato a lavorare qui, mentre i bambini sono rimasti con il marito a Cebu City, accuditi dalla nonna. E lei puntuale ogni primo del mese a contare i suoi 600-700 euro da inviare a casa, sempre sognando il fatidico ricongiungimento… Dopo 6 anni, finalmente l’atteso viaggio di ritorno nelle Filippine e qui c’è la sorpresa: i suoi soldi servivano a mantenere 4 figli più due, ovvero quelli nati nel frattempo dalla relazione del marito con la nuova compagna!
 
Seguono il divorzio e, dopo qualche anno, l’arrivo a Milano dei figli, ma l’esperienza l’ha inasprita e ora Mariel dice sempre all’amica Vilma che da quasi 10 anni vede le sue due bambine solo su Skype: i mariti filippini sono inaffidabili!
 
 
Nemmeno i romeni però sembrano il massimo della lealtà, almeno stando al commovente film Mar nero (2009, regia di Federico Biondi). Qui la bella Angela (Dorotheea Petre) conquista con la dolcezza la sua datrice di lavoro, l’arcigna e diffidente Gemma (una splendida Ilaria Occhini), ma poi si strugge non riuscendo più a comunicare con il marito rimasto in Romania. Parte quindi temendo il peggio, ed ecco la rivelazione: lui non è morto ma vive lungo il fiume con una giovane compagna. Lei vede i panni stesi, capisce tutto ma non si scoraggia e se lo ripiglia…
 
Forse è meglio lasciare perdere la fedeltà dei mariti e accontentarsi di sognare una vasca da bagno con rubinetteria dorata come fa la sempre brava Carmen Maura che nel simpatico film Le donne del 6° piano (2011, regia di Philippe Le Guay). Lei è una domestica spagnola nella Parigi degli anni Sessanta e insegue il sogno della casetta in Galizia. Trattandosi di un film (pure un po’ buonista) il desiderio si avvera, anche se resta il sospetto che il marito nel frattempo l’abbia assai tradita e che ora lei se lo tenga solo per farlo lavorare…
 
Insomma, cambiano i tempi, si capovolgono le situazioni, una volta erano gli uomini ad emigrare mentre le donne restavano a casa ad aspettarli, ma la sostanza è (ahinoi) invariata. Vi ricordate il Monicelli d’annata di Speriamo che sia femmina? (1986) dove l’energica domestica Fosca (Athina Cenci) progetta di raggiungere il marito da anni emigrato in Australia? Ebbene, il sogno si infrange contro la realtà dell’altra famiglia che lui si è nel frattempo creato laggiù.
 
Donne che vivono nel futuro, dicevamo, forse per consentire a noi di vivere con maggiore agio il nostro presente. E sono tantissime. Quasi un esercito che conta oltre 1 milione e mezzo di «arruolate», vero e proprio punto di riferimento per circa 2 milioni e mezzo di famiglie.
 
Donna, sposata, sotto i 45 anni, con un buon livello di scolarità, proveniente dall’Est Europa (Romania, Ucraina e Polonia) o dall’Estremo Oriente: è l’identikit anagrafico di colf e badanti che lavorano in Italia, tracciato dall’ultima indagine conoscitiva di Adiconsum, sulla base dei dati del Censis.
 
La metà, circa, è “in regola”, ma le altre? Vivono accanto a noi ma spesso sappiano poco o nulla di quello che hanno passato…
 
Certo le relazioni fra noi e loro non sempre sono idilliache, a volte ci sfuggono le motivazioni di certi comportamenti, come ha raccontato nel suo post Grazia Maria Mottola, “abbandonata” all’improvviso dalla tata filippina (con figlio di due anni rimasto nel suo paese), ma forse conoscere la realtà è il primo passo per smussare i conflitti.
 
Senza eccedere nel “politicamente corretto”, possiamo dire che, in fondo, affidiamo loro i nostri figli, babbi, mamme. E ci dimentichiamo del fatto che per fare questo le colf straniere hanno lasciato i loro…
 
Peraltro questo è un argomento che suscita molta aggressività, come si è visto nei commenti al post di Grazia Maria, da una parte c’è la sensazione che avere la tata-colf sia un privilegio da donne in carriera, anziché un rapporto di scambio regolamentato da precisi contratti, dall’altra la solidarietà pare fondarsi sul riconoscimento di quanto siano assurdi certi comportamenti degli stranieri. Per esempio, la loro convinzione di essere perfettamente intercambiabili (“Vado via per due mesi, ma non si preoccupi, le mando mia cugina, mia zia, mia nipote…”).
 
Torniamo alle nostre storie. Natasha è moldava, con 2 figli sposati e tre nipotini piccoli: per 10 anni ha mantenuto il marito disoccupato e aiutato il resto della famiglia, tornando a casa durante il mese di ferie estivo carica come un Babbo Natale con ogni genere di mercanzia comprata per pochi euro nelle bancarelle, ma un brutto giorno lui si mette a trafficare e finisce in galera. E lei esasperata decide tagliare i ponti e restare in Italia, addio sogno di tornare a casa. Poi c’è Nancy, ecuadoregna 55enne, con un figlio negli Stati Uniti che non vede da 17 anni (non conosce nemmeno il nipotino), altre due figlie in Italia e uno rimasto in Ecuador per gestire i minuscoli appartamenti che lei continua a comprare. Fra forse 10 anni, finalmente si trasferirà e avrà una vecchiaia di relativo benessere.
 
Viveva nel futuro anche Salado, la giovane somala che è rimasta una decina di anni con noi finché mia figlia era piccola. A quei tempi la Somalia non era ancora straziata come oggi dal fondamentalismo ma veniva già spartita fra i Signori della guerra e i mariti per queste ragazze erano solo ricordi sfumati. Come quasi tutte le somale, si era portata i suoi due bambini con sé, li accudiva sua madre in una casetta alla periferia di Milano. Ma lei ogni giorno progettava di partire per Londra dove avrebbe potuto far studiare i figli in una scuola islamica, e poi sognava il Canada dove viveva il fratello e che le sembrava una specie di Paradiso Terrestre. Chissà se ce l’ha fatta, dopo Londra ne ho perse le tracce.
 
Così, mi piacerebbe sentire altre storie, ma non solo quelle un po’ più scontate (e saranno pure vere!) con la bella badante che irretisce l’anziano padre vedovo e tutta la famiglia che si dispera per l’eredità (vedi Io, loro e Lara di Verdone dove i figli definiscono la neo-sposa moldava un vero “aspirapolvere”, succhiasoldi…).
 
Corriere della Sera 9 settembre 2011
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