Via Padova, Milano, Italia

Alessia Gizzi
Prima quartiere dormitorio. Poi i primi negozi che dagli anni Ottanta ad oggi aumentano giorno dopo giorno a perdita d’occhio. Sempre di più, sempre più ammassati, uno accanto all’altro. I nordafricani con pizza e kebab. I magrebini con le macellerie. I sudamericani: call center, ristoranti etnici e locali notturni. Ma anche i cinesi con i loro minimarket e negozi “tutto a un euro”. Pochi chilometri in cui si addensa una popolazione di diseredati venuti da lontano in cerca di riscatto.


Il loro primo problema è stato arrivare in Europa, in Italia, senza morire di stenti. Fame, sete, malattie, trafficanti di disperazione assetati di denaro che non esitano a uccidere, buttare in mare, abbandonare nel deserto quelli troppo deboli. Veloci nell’incassare i soldi per la traversata dall’Africa alla Sicilia e ancor più veloci a scomparire nel nulla quando vengono sorpresi dalla polizia che bolla indistintamente come clandestini tutti quelli che si avvicinano al sacro suolo italiano e li respinge indietro, magari a morire in un campo profughi libico.

Ma questa, dirà qualcuno, è un’altra storia. Oggi è di Ahmed Abdel Aziz el Sayed, pizzaiolo egiziano, neanche vent’anni, morto dissanguato davanti al civico 80 di Via Padova, a Milano, che si parla. Oggi è di una rissa per futili motivi tra immigrati finita nel sangue che si discute per le strade delle nostre città che solo nella tragedia si scoprono multietniche. Oggi si discute delle responsabilità politiche di quella morte e dell’esasperazione di cittadini e immigrati. E come sempre la politica accusa, rimpalla, fa lo scarica barile.

Il sangue di Ahmed è ancora fresco quando Matteo Salvini, europarlamentare e capogruppo della Lega Nord al comune di Milano, vomita la prima sentenza: “Controlli ed espulsioni porta a porta, piano per piano”. Così ordina, poi rincara la dose: “Bisogna vietare agli immigrati di acquistare case per un anno”. Tocca la corda giusta nel modo sbagliato Salvini perché il problema casa esiste. Esiste un problema di concentrazione e densità: troppi immigrati ammassati nelle zone periferiche o in aree centrali ma degradate. Ghetti, in cui si vive in dieci, addirittura in venti, nello stesso monolocale di 30 metri. Letti a castello, un fornelletto da campo, una latrina mal funzionante. Li abbiamo visti a Roma. Dopo la morte della trans Brenda le telecamere sono entrate nelle palazzine alveare di Largo Sperlonga, periferia nord della capitale. Lì come a Palermo, Napoli, Bologna e in molte altre città, gli immigrati sopravvivono in condizione disumane. I vecchi residenti si sentono assediati e scappano. A rimanere sono spesso solo gli anziani o le famiglie italiane troppo povere per spostarsi in altri quartieri. E così, miseria si somma a miseria e l’odio sociale cresce.

Ahmed non è solo la vittima di un gruppuscolo di coetani violenti di un’etnia nemica, i sudamericani che lo avrebbero accoltellato. Ahmed, come Abba, ammazzato a Milano per aver rubato un pacco di biscotti, è una delle tante vittime dell’incapacità di gestire le problematiche legate al flusso mondiale delle migrazioni che nella storia ha coinvolto tutti i paesi. Come protagonisti della migrazione prima e subito dopo come nazioni accoglienti.

E dopo la Lega, è arrivato il sindaco di Milano. “Non abbiamo mai lasciato soli i milanesi di Via Padova”, dice Letizia Moratti. E per dimostrare la sua vicinanza ai residenti, si affretta ad annunciare l’arrivo di cento nuovi agenti di polizia a presidio della zona. Poi l’affondo del sindaco: “Oggi noi scontiamo la politica del centrosinistra che ha aperto a un’immigrazione senza regole”. Ma forse Letizia Moratti, sindaco dal 2006, non ricorda. Prima di lei, ad amministrare Milano, fu Gabriele Albertini, Forza Italia, sindaco dal 1997 al 2006. E poi ancora indietro, tra il ’93 e il ‘97, ci fu Marco Formentini, sindaco della Lega Nord, forse il primo, a doversela vedere con i crescenti problemi legati all’arrivo degli immigrati a Milano.

Proprio su questa linea la risposta del segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani: “Fa impressione sentire le alte grida della destra e della Lega. Governano loro il Paese, la Regione, la città. Si facciano carico del fatto che è fallita una politica di integrazione e di sicurezza e non scarichino le responsabilità. Coltivare questi problemi per fare consenso e non risolverli mai non è più accettabile”.

Contro la politica buonista del centro sinistra si schiera anche il leader della Lega, Umberto Bossi, che però frena l’irruenza dei suoi: “Lasciamo stare i rastrellamenti”. Il problema, secondo Bossi, è quanto a lungo ancora le nostre città potranno sostenere una tale pressione sociale. Sulla stessa linea il ministro dell’Interno, Roberto Maroni: “La parola rastrellamenti non la voglio sentire: qui c’è da gestire un problema sociale”. Per ora però, sono quei cento agenti in missione a Via Padova, voluti dal governo, a gestire una missione impossibile. Dare risposte strutturali con mezzi limitati e in tempi brevi.

L’ordine pubblico per camuffare la miseria e rassicurare gli italiani. Via Padova come Rosarno e Castel Volturno. Qualche giorno di proclami politici e pattuglie schierate.

Emergenza rientrata fino alla prossima rivolta.
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