Ci scrive Luigia Paoli...

Ci scrive Luigia Paoli: “Arrestatemi. Ho commesso reato per avere dato ospitalità a una clandestina.  E con me arrestate i miei complici: 1. l'impiegata dell'anagrafe del comune,   che inserì la clandestina nel nostro stato di famiglia. 2. Il medico che la visitò immediatamente dopo l’arrivo. 3. Il direttore e la maestra che l’accolsero a scuola. 4. L'equipe del pronto soccorso dove venne portato per ricucire un profondo taglio a un braccio. 5. La mia gentile vicina di casa per avermi tenuto il bimbo piccolo mentre correvamo all'ospedale. 6. Il Presidente del Tribunale per i minori di Firenze che ebbe l’intelligenza e la saggezza per risolvere tutto. Ciò accadeva quasi quarant’anni fa. Secondo il Ministro dell’Interno, il reato di “clandestinità” non sarebbe retroattivo, ma è certo che io rifarei tutto daccapo. Punto per punto. Nei primi anni ’70 mio marito ed io aspettavamo in adozione una bimba brasiliana. Per le vie misteriose del Signore,  la buona volontà di un giudice di Bahia e di un missionario italiano, amico di famiglia, ottenne il risultato sperato. A quel tempo la bambina aveva sei anni. Ora ne ha 40. Se vi scrivo è per dire che, quanto decenni fa, veniva fatto con serena disponibilità costituisce oggi fattispecie penale; e perché ciò da la misura di come sia cambiata l’Italia. Un esempio: prima, al solo sentire la parola mamma pronunciata da quella bambina nera, la gente sorrideva compiaciuta. Se io non ero una santa, ci mancava poco. Ora, se è lei a fare la spesa, o se quando siamo in montagna mi aiuta a saltare un fosso, state tranquilli che quella ragazza nera è la mia cameriera e se lei generosamente si carica dei bagagli più pesanti,  io sono una schiavista. Non posso essere la mamma”. (Il testo completo su italiarazzismo.it).


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