Silenzio sul dramma degli Eritrei prigionieri nel deserto del Sinai

l'Unità, 07-12-2010  
Italia-razzismo    Osservatorio
Sono in 250. Tra loro donne in stato di gravidanza, bambini. 9 uomini hanno riportato gravi ferite per le violenze subite. Ad altri è stata imposta, pare, l’asportazione di un rene, unica loro proprietà per pagare il riscatto. Alcuni sono stati uccisi.
Quelli sopravvissuti sono ostaggi: tenuti in catene nel deserto del Sinai, ricattati da trafficanti che pretendono 8.000 dollari in cambio della loro vita, picchiati, marchiati a fuoco, minacciati, senza acqua potabile e con un pezzo di pane e una scatola di sardine ogni tre giorni. La maggior parte è di nazionalità eritrea, ma ci sono anche etiopi, somali, sudanesi. Hanno pagato 2.000 dollari per riuscire ad arrivare in Israele affidandosi a schiavisti che ora chiedono il quadruplo per liberarli. In 80 hanno iniziato il viaggio da Tripoli e tra loro ci sono quegli uomini e donne che, fino al luglio scorso, erano prigionieri nel carcere libico di Al Braq. Alcuni erano stati respinti prima dell’arrivo sulle nostre coste per via dell’accordo d’amicizia siglato con la Libia e il nostro governo si era impegnato a fornire risposte e a trovare soluzioni per garantire la protezione che il loro status di rifugiati esige. Ora ci risiamo: il governo italiano non ha fatto niente allora e non sembra intenzionato a fare qualcosa adesso, quando sarebbe, invece, il momento di assumere una posizione netta. Con il governo libico, innanzitutto, per porre fine alla pratica dei respingimenti e con il governo egiziano sul cui territorio si trovano i prigionieri. Oggi alle ore 11, presso la sala stampa del Senato, A Buon Diritto organizza un incontro a cui parteciperà Don Mussie Zerai, sacerdote eritreo che è in contatto telefonico con alcuni ostaggi e con i loro familiari.
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