Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Partita I.V.A. (Immigrazione Valore Aggiunto)

Emiliano Boschetto
Per anni abbiamo dovuto concentrare il nostro impegno nel difendere i diritti dagli attacchi della destra che ha governato brandendo il tema dell’immigrazione come arma di ‘distrazione’ di massa. E’ urgente ora fare un salto di qualità, assumere un atteggiamento che non rischi di passare per la copia a colori invertiti di queste strumentalizzazioni, con lo sguardo rivolto esclusivamente all’emergenza. L’immigrazione è un fenomeno stabile, consolidato e non reversibile ed è quindi necessario ri-conoscere la soggettività dell’immigrato-cittadino, portatore, oltre che di bisogni, di risorse culturali, di organizzazione sociale, di potenzialità economiche ed imprenditoriali che possono costituire un valore aggiunto, una chiave di sviluppo fondamentale per il territorio che lo accoglie. Questa premessa spiega la genesi di Partita I.V.A. (Immigrazione Valore Aggiunto), momento di approfondimento voluto dal dipartimento Politiche Sociali del Pd Roma all’interno della Festa democratica della Capitale.

In questi anni, nonostante un clima di diffidenza generale, il peso della crisi e l’irrazionalità vessatoria della legislazione italiana in materia, ha continuato a crescere nelle nostre città un’economia “immigrata” che spesso è risultata essere l’unico segno “più” nel mare indistinto delle statistiche in negativo dell’ultimo periodo. E’ noto che l’immigrazione in Italia è un “settore” in attivo: il 7,5 % della popolazione che esprime il 12,1% di PIL e costa - ci ricorda il dossier Caritas-Migrantes - circa 10,5 miliardi di euro l’anno portandone 12 nelle casse dello Stato. Ma sono i dati sull’impreditorialità immigrata ad essere davvero impressionanti: a Roma nel 2011 sono state 30.281 le imprese con titolari nati all’estero, in crescita costante (nel 2009 erano 24.754 e sono addirittura triplicate in dieci anni) con un’attitudine all’imprenditorialità tale da permettere di trainare la sostanziale stagnazione del dato sulla propensione all’impresa dei cittadini romani (dal 2009 al 2011 le imprese ‘immigrate’ sono aumentate del 22,3% contro lo 0,04% di quelle ‘italiane’), condita da un protagonismo giovanile preponderante se confrontato con quello della popolazione indigena. Pochi numeri ma un dato inequivocabile: l’imprenditorialità degli immigrati ‘romani’ è tale da esprimersi in qualsiasi caso, anche se non trova spazi ‘istituzionali’. Lo ha rilevato con serenità Marco Wong, imprenditore cinese: “Quando, da manager di una grande impresa, ho dovuto reinventarmi imprenditore, mi sono rivolto in prima istanza alle istituzioni per ricevere aiuto nella fase di start-up. Ho trovato però porte sostanzialmente chiuse a differenza di quelle della mia comunità, di quella rete di rapporti informali che mi ha permesso di raccogliere un credito sufficiente per iniziare la mia attività”. Le reti economiche informali che si formano all’interno delle comunità straniere sono naturali ma, se lasciate a loro stesse, rischiano di costringere le potenzialità di questi imprenditori nell’alveo di situazioni border-line, sorta di mercati paralleli con regole proprie, non sempre o non in tutto compatibili con quelle del mercato “ufficiale”.
Come intervenire? E’ innanzitutto un problema di linguaggio, come ha sottolineato Indra Perera, presidente di origine cingalese di CNA-world Roma: l’imprenditore immigrato affronta le stesse difficoltà congiunturali dei colleghi italiani con l’aggravante dell’incomprensione linguistica, tecnica e culturale verso il sistema istituzionale ed economico. Anche alcuni istituti di credito si sono posti il problema come, ad esempio, Banca Etica. Roberto Marino, responsabile sviluppo commerciale centro Italia, ha sottolineato come il problema in generale del credito è quello dell’affidabilità che da concetto economico deve diventare anche relazionale e questo vale tanto più per il cliente immigrato. L’approccio seguito da Banca Etica è quello di guardare alle conseguenze non solo economiche dell’operazione creditizia, entrare in relazione con l’imprenditore, conoscere i suoi numeri ma anche la sua storia in modo da creare quel rapporto di conoscenza fiduciario che facilita l’erogazione del credito.
Negli ultimi anni sono stati messi in piedi alcuni progetti istituzionali interessante che vanno in questa direzione. Né è un esempio “Start-it-up”, realizzato da Unioncamere con il contributo del ministero del Lavoro, che ha l’obiettivo di intervenire sulla formazione manageriale degli imprenditori immigrati. Anche la Provincia di Roma ha colto la rilevanza di questo fenomeno in città tentando tra l’altro di incentivare la partecipazione e l’auto-impresa attraverso la destinazione di fondi specifici ad imprese e associazioni che avessero soci immigrati all’interno delle loro strutture direttive.  
Sono passi importanti ma è necessario riuscire a cogliere il fenomeno nella sua complessità ed è questo uno dei compiti che deve darsi una forza politica che si propone di governare una città come Roma. C’è necessità innanzitutto di costituire una banca dati aggiornata, allo stesso tempo quantitativa e qualitativa, dell’impronta economica immigrata, del peso specifico e delle dinamiche proprie del produrre ricchezza di queste imprese. Le amministrazioni pubbliche dovrebbero poi costruire, di concerto con le Camere di commercio, con le altre organizzazioni d'impresa presenti sui territori e con i luoghi di rappresentanza delle comunità straniere, canali di dialogo stabili per impostare uno screening reale dei bisogni (ad es: l’apprendimento della lingua e della legislazione specifica, etc.). E’ poi importante soprattutto stabilire specifici protocolli d'intesa - sulle regole del contratto del lavoro, sulla legalità, sul decoro pubblico, sul trasferimento legale delle rimesse - con alcune delle realtà imprenditoriali immigrate più significative e simboliche, accordi che possano proporre un paradigma, stabilire quelle buone pratiche – reciprocamente vantaggiose – che abbiano la capacità di guidare tutto il mondo dell’imprenditoria immigrata in città.
Quella che si delinea, insomma, appare una sfida su più livelli: ci vuole lungimiranza per riconoscere la dinamica e la forza propulsiva degli imprenditori immigrati, sensibilità culturale per approntare gli strumenti di dialogo adatti a favorirne l’integrazione economica e sociale ma, soprattutto, ci vuole la capacità politica per costruire un’idea di città forte che, eticamente e pragmaticamente, sappia includere in un progetto collettivo questo potenziale enorme per le nostra città, un modello urbano nel quale sia esplicitamente e programmaticamente riconosciuta l’immigrazione come valore aggiunto.

 

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