Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

6 aprile 2010

IMMIGRATI L'ACCOGLIENZA PARTE DALLE DONNE
La Stampa,06-04-2010
NAOMI WOLF
Il decennio appena trascorso ha dimostrato (ed è l'ennesima volta) che dare più potere alle donne è la chiave per risolvere molti problemi all'apparenza intrattabili. La povertà nei Paesi in via di sviluppo sembrava impossibile da sradicare finché il micro-credito non ha cominciato a vedere milioni di donne a basso reddito e abbandonate a se stesse come potenziali imprenditrici. Coinvolgere le donne africane nelle decisioni sulle produzioni agricole ha reso possibili nuove pratiche agricole eco-sostenibili. L'esplosione demografica è diventata controllabile quando le donne hanno avuto accesso alle opportunità di istruzione e di business al pari della contraccezione.
Le tensioni e i conflitti che circondano l'immigrazione in Europa potrebbero essere un altro problema per il quale dare più potere alle donne recherebbe con sé la soluzione?
In una recente visita a Copenhagen per la giornata internazionale della donna ho preso parte a molte discussioni che replicavano altre già avute in varie parti d'Europa: cittadini di ogni sezione dello spettro politico si confrontavano a fatica con la questione dell'immigrazione non-europea e le tensioni culturali che ne sono seguite. Che cosa significa essere danesi, tedeschi o francesi in presenza di milioni di nuovi arrivati, molti dei quali vengono da società non democratiche?
Alcune di queste ansietà esprimono puro razzismo; ma altre no. Che cosa significa «integrazione» e come la si raggiunge senza perdere alcuni dei più riveriti valori della società civile? Questa non è necessariamente una domanda xenofoba: una società post-illuminista, dotata di stampa libera e di un sistema legale evoluto, è una cosa preziosa, i cui valori non dovrebbero essere sacrificati al relativismo morale del politicamente corretto.
La questione si è fatta più pressante con l'arresto in Irlanda di presunti jihadisti provenienti da diversi Paesi e accusati di pianificare l'omicidio del vignettista svedese che ha caricaturato Maometto come cane. In tutta Europa la discussione sale di tono e le piattaforme politiche anti-immigrazione  guadagnano consenso in società per altro verso liberali, dalla Germania alla Francia fino alla tradizionalmente inclusiva e tollerante Danimarca.
Poi sono stata testimone del prototipo di una possibile soluzione. Ho incontrato Elizabeth Moller Jensen, direttrice del Kvinfo, «Centro danese per l'informazione su genere, eguaglianza ed etnicità». Uno dei suoi molti programmi innovativi sta già dando risultati in termini di genuina integrazione delle famiglie di immigrati nella società danese. Indirizzandosi alle donne immigrate - e rivolgendosi a loro come potenziali leader, anziché come ad acquiescenti potenziali cameriere o fornitrici di altri servizi - il Kvinfo ha reso possibile alle famiglie di queste donne fruire dei benefici della società civile aperta in cui si trovano a vivere.
Il Kvinfo ha avviato il primo «programma di avviamento» per donne immigrate nel 2002. Nel 2010 questo progetto ha avuto 5 mila partecipanti, ha vinto premi e riconoscimenti internazionali per le migliori pratiche di integrazione e ora comincia a essere replicato non solo in tutta la Danimarca ma anche in Norvegia, Spagna, Portogallo e Canada. Il programma associa donne immigrate e rifugiate in una relazione uno-a-uno con donne che sono leader affermate a tutti i livelli della società danese.
L'appaiamento non è occasionale. Un accurato processo di valutazione associa gli interessi e i fini delle donne da ambo i lati, e questo ha già fruttato dividendi straordinari. Donne che erano giornaliste, ingegneri o scienziate nei loro Paesi di origine - e che in Danimarca non potevano trovare lavoro neanche come cassiera - sono state associate a controparti danesi, e adesso sono al lavoro nelle professioni, nelle scuole, nella ricerca scientifica eccetera.
Ma anche per le donne arrivate senza istruzione o qualifiche professionali sono stati creati specifici piani di azione. Ognuna ha appreso dalla rispettiva mentore quali scelte ci sono, come procedere, e che cosa fare per raggiungere i suoi obiettivi. Con l'ingresso nel mondo del lavoro la loro competenza linguistica è cresciuta, i redditi sono aumentati, e i loro figli hanno visto coi loro occhi queste donne assumere un ruolo reputato socialmente e valutato economicamente.
Così, anziché sentirsi condannati indefinitamente allo sfruttamento e a una vita ai margini della società nordeuropea - che li avrebbe resi vulnerabili alla propaganda degli estremisti - i figli di queste donne stanno sviluppando una completa familiarità con la società civile danese, bene informati sulle opportunità di istruzione e di affermazione professionale, e pieni di speranza anziché cinici. Dando potere alle donne le famiglie intere si sono elevate ed «europeizzate» nel migliore dei termini.
Io rimango spesso sorpresa da come anche gli europei meglio intenzionati usino eufemismi per riferirsi agli immigrati: dicono di volere che si sentano «bene accolti» o «a loro agio». Allora io domando: «ma volete che si sentano francesi, o tedeschi, o norvegesi?».
Per essere pienamente integrati, i musulmani e gli altri nuovi arrivati in Europa non devono essere accolti come visitatori perpetui - per quanto graditi - ma piuttosto come membri della famiglia, secondo il modello americano (o almeno secondo quanto tale modello aspira ad essere). Come dice la Moller Jensen, «voglio che questi bambini si sentano danesi». Man mano che la «generazione Kvinfo» crescerà con genuina partecipazione alla società civile danese, sia la Danimarca sia questi giovani stessi beneficeranno del fatto di guardare al mondo come danesi, e non come ospiti.









Sud e immigrati, tra lavoro e diritti
1 inviatospeciale, 06 aprile 2010
Diego Ruggiano
Ad un mese dalla protesta del 1° marzo, gli stranieri si interrogano
“Quando si lotta per i diritti degli immigrati il migrante dovrebbe essere il soggetto delle manifestazioni, troppo spesso però, rischia di diventare l’oggetto”. Così Elio, attivista palermitano rimasto a Napoli dopo la laurea in Relazioni Internazionali, che vuole continuare a riflettere sul nodo-cruciale dell’immigrazione, ad un mese di distanza dalla manifestazione “24 ore senza di noi” promossa su Facebook.
Il peso che l’uomo ‘bianco’ continua a portarsi sulle spalle, quello di aver abusato del nero per secoli, sembra essere non tanto un valido motivo di aiuto e solidarietà nei confronti dell’immigrato, quanto un modo per utilizzarlo spesso come strumento per raggiungere i propri scopi.

Gianluca, immigrato africano di 32 anni, seduto davanti al suo caffè all’esterno di un bar nel cuore di Napoli, conferma questo modo di vedere le cose: “A volte si fa del razzismo facendo antirazzismo”, si riferisce al modo nel quale spesso si conducono le proteste a favore degli immigrati.

Gli italiani e tutti coloro i quali appartengono ai movimenti a favore del rispetto dei diritti per gli stranieri dirigono le manifestazioni con il consenso degli immigrati, ma organizzando per loro il modo in cui condurre le azioni di protesta.

Eppure, nello spirito della manifestazione del 1°marzo è cambiato qualcosa. Gianluca, che da anni è in prima fila per la tutela dei diritti per gli immigrati come lui, nelle assemblee per la preparazione dell’evento decise di intervenire per formare un Comitato dei Migranti da accostare alle varie realtà politiche napoletane che erano intervenute alla prima assemblea presso la “Città del sole”, nel centro del capoluogo campano.

Senonché Napoli – e quindi anche gli immigrati che ci vivono – non presenta le stesse caratteristiche della Francia, tanto meno del nord Italia. Se inizialmente si parlava di “sciopero dei migranti”, ci si è resi conto che una cosa del genere sarebbe stata possibile nelle città del settentrione. In una città come quella partenopea, dove anche gli immigrati soffrono dell’enorme problema del lavoro nero, assentarsi dal posto lavoro, sarebbe significato perderlo.

Mentre arrotola la sua sigaretta, Elio continua a raccontare che “nel corso del 1°marzo napoletano gli immigrati sono stati i protagonisti e nonostante l’assenza di parole chiave come ‘precariato’ e ‘disoccupazione’ sul volantino e durante la manifestazione – racconta – queste categorie sono state presenti e solidali al corteo del 1° marzo”.

Gli fa eco Gianluca, che spiega : “I precari italiani hanno i loro problemi, vengono licenziati, perdono il lavoro, ma alla fine possono comunque rimanere qui, questa è la loro casa – continua, tenendo le mani intrecciate sul tavolo davanti l’ormai vuota tazzina di caffè – noi immigrati, una volta perso il lavoro, veniamo cacciati. Siamo solidali con le ragioni delle migliaia di lavoratori e disoccupati, ma non possiamo dire di lottare per gli stessi problemi”.

E pensare addirittura che la legge sull’immigrazione “Bossi-Fini” alla lettera C dell’articolo 5, prevede che il  “relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato la durata del permesso di soggiorno è di due anni”. Figuriamoci cosa accade in caso di licenziamento e in che situazione possa trovarsi chi lavora a nero nelle cucine dei ristoranti o per le strade come ambulante.

Unire le varie proteste avrebbe quindi solo fatto perdere di vista i veri protagonisti della giornata: gli immigrati. Anche la scelta dello slogan, infatti, ha subìto, nei giorni prima della manifestazione finale, diversi cambiamenti. “Mobilitazione per i diritti degli immigrati” oppure “Festa degli immigrati”, fino ad arrivare alla formula finale: “24 ore senza di noi”.

La volontà di  muovere proteste a favore degli immigrati, ponendoli al centro delle proprie manifestazioni di dissenso, si è spesso trovata a fare i conti con l’accusa, da parte degli stessi emigranti, di utilizzare la loro posizione – di sicuro svantaggiata – per secondi fini. Gli stessi movimenti politici che si rifanno a questa o quell’idea politica, approfittano dell’immagine dell’immigrato per sensibilizzare i cittadini alle proprie cause, non a quelle degli stranieri.

Il discorso, però, si muove su una linea sottile, tra l’effettivo sostegno e il doppio gioco che, seppur sentito, non sempre è reale ed esistente. Lo stesso Gianluca dice: “Spesso ci usano, ma questo non vuol dire che non hanno mai fatto nulla per noi. I movimenti politici di cui parlo hanno anche apportato diversi benefici a tanti immigrati”.

Collaborare e non dirigere, renderebbe quindi gli immigrati i protagonisti delle proteste, non più lo strumento da sbandierare e utilizzare per le proprie propagande. Se per molto tempo le correnti antirazziste hanno condotto le proteste sostenendo i diritti per gli immigrati, adesso, seguendo anche gli impulsi di Rosarno, è il momento di passare a lavorare fianco a fianco, gli italiani devono appoggiare le cause degli emigranti, non condurle e proporle.

Rimane inevitabilmente impressa una frase che Gianluca ripete. In realtà avrebbe voluto fosse lo slogan del 1° marzo: “No al razzismo, no alla tolleranza, si all’uguaglianza”.La tolleranza è infatti un ennesimo distinguo nel rapporto immigrato-italiano. Se si tollera si sopporta e questo di sicuro non ha nulla a che vedere con l’integrazione.

E adesso, a un mese di distanza dal 1°marzo, quale seguito avrà questa protesta? Rispondere è difficile per chiunque. Gianluca, che è uno dei promotori del Comitato dei Migranti, vorrebbe aprire le porte a chiunque sia solidale alla loro causa: “Non vogliamo ridurci soltanto a noi immigrati, viviamo in questo Paese e siamo cittadini come gli altri”.

Ci alziamo dal tavolino del bar, un caffè durato due ore. Camminiamo per i vicoli della suggestiva Napoli, tra motorini che sfrecciano con tre persone a bordo e donne che urlano ai figli dai balconi. Elio e Gianluca si dirigono verso l’ennesima assemblea: si tratta di decidere come dare ancora voce a quelle 20mila persone che il primo marzo hanno dimostrato, con un corteo eterogeneo e multietnico, la capacità e la volontà di vivere insieme. L’augurio è che ci riescano.









Regolarizzazione, appello: si applichi la legge, immigrati traditi dallo Stato
MondoRaro Magazine, 06-04-2010
Un appello nazionale sottoscritto da decine di intellettuali, come gli scrittori Claudio Magris e Boris Pahor e il Premio Nobel per la letteratura Dario Fo, e’ stato presentato ieri, a Trieste, affinche’ in Italia ci sia una corretta applicazione della legge sulla regolarizzazione dei lavoratori stranieri.
Il caso nasce con la sanatoria Maroni – e’ stato spiegato – nel momento in cui gli immigrati che hanno fatto domanda di sanatoria, ma in passato non hanno rispettato un decreto di espulsione, secondo un’interpretazione della legge Bossi-Fini vanno espulsi.
‘Si tratta di storie di legalita’ tradita – ha affermato Gianfranco Schiavone, presidente dell’Isc-Consorzio italiano solidarieta’ -; siamo alla sovversione di principi fondamentali, di chi si affida alle istituzioni e da queste viene tradito’.
‘Perche’  viene sanzionato chi emerge’. La richiesta e’ per ‘una applicazione corretta e razionale della normativa che la successiva circolare che e’ stata diffusa non sia ritenuta dalle Prefetture la corretta interpretazione’.
L’appello chiede che ‘in caso di contenzioso, i Tribunali amministrativi regionali diano una corretta interpretazione della legge’.









Immigrazione, allo Sportello unico di Brescia servizi più veloci

ConfiniOnline, 06/04/2010
Fonte: Ministero dell'Interno

Prefettura e comune di Brescia hanno siglato nella città lombarda un protocollo l'intesa che permette agli operatori dello Sportello unico per l'immigrazione (Sui) della prefettura l'accesso alla banca dati anagrafica comunale.
L'obiettivo è quello di velocizzare le procedure, e quindi migliorare il servizio, servendosi della tecnologia. Il collegamento telematico, operativo a partire dai prossimi giorni, consentirà infatti di conoscere in tempo reale le informazioni anagrafiche relative ai soggetti che richiedono i servizi del Sui, producendo lo snellimento dell'iter burocratico e la riduzione dei tempi d'attesa per gli utenti.









Italia, il business dell'immigrazione

Net1News, 06-04-2010
MASSA CARRARA - Sono scesi in piazza, davanti alla prefettura di Massa Carrara, per chiedere il permesso di soggiorno che gli è stato negato. Sono un centinaio di extracomunitari, per la maggior parte di origine marocchina, facenti parte del gruppo di immigrati truffati da un'agenzia interinale a cui avevano pagato dai 1000 ai 3000 euro per ottenere una regolarizzazione fasulla con un finto datore di lavoro. I fatti risalgono al settembre 2009 quando fu varata la sanatoria per badanti e colf.









"In via Mattei peggio che in carcere"
Cie, La denuncia del garante Bruno

la RepublicaBologna,06-04-2010

La visita al centro di identificazione ed espulsione, che ora accoglie 84 persone: "La struttura non è pensata per trattenere le persone fino a sei mesi"

"Peggio persino della detenzione", la permanenza degli immigrati clandestini nei centri di identificazione ed espulsione, gli ex Cpt. Lo spiega Desi Bruno, il garante delle persone detenute del Comune di Bologna, dopo aver visitato la struttura di via Mattei.

Ora possono rimanere lì fino a sei mesi, mentre prima della legge 94 dello scorso anno il tempo massimo era due mesi. In questo momento il Cie di via Mattei ospita 84 persone, di cui 49 uomini e 35 donne.

Le persone trattenute ''considerano un tempo così lungo di permanenza ingiusto perché priva della libertà personale per un periodo oggi davvero considerevole a causa della mera condizione di irregolarità'', ha spiegato il Garante.

E' poi alta la percentuale di chi arriva dal carcere, per cui è fallita la procedura di espulsione in corso di detenzione ''e per queste persone è inaccettabile una ulteriore privazione della liberta' per un periodo sino a 6 mesi''.

Bruno sottolinea ''che il Cie non e' strutturato per permanenze di cosi' lunga durata, che trasformano in modo definitivo il trattenimento in pena detentiva, senza  che sia stata prevista l'organizzazione propria del regime detentivo e le garanzie anche di tipo giurisdizionale che ad essa si accompagnano''.








IMMIGRATI: GARANTE DETENUTI DENUNCIA DISAGI AL CENTRO CIE

AGI, 06 -04-2010
Bologna - Il Garante delle persone private della liberta' personale del Comune di Bologna, Desi Bruno, ha visitato nei giorni scorsi il Centro di Identificazione ed Espulsione 'CIE' di Via Mattei che attualmente ospita 84 persone, di cui 49 uomini e 35 donne. Il numero massimo di presenze e' di 95, di cui 50 uomini e 45 donne. "La situazione nella struttura - sottolinea in una nota il Garante Desi Bruno - e' ormai di costante tensione , a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 94/2009, che prevede la possibilita' di trattenimento al CIE sino a 6 mesi, mentre prima il termine massimo era di 2 mesi, e cio' avviene quando la procedura di espulsione non si realizza per la mancata cooperazione del paese di rimpatrio o per il ritardo nell'ottenimento dei documenti richiesti al paese di provenienza.
Le persone trattenute - sottolinea ancora l'avv. Bruno - considerano un tempo cosi' lungo di permanenza ingiusto perche' priva della liberta' personale per un periodo oggi davvero considerevole a causa della mera condizione di irregolarita'.









Espulsi dal questore: così gli immigrati fanno la fila al Tar

il Giornale,06-04-2010
di Luca Fazzo
C’è chi vuole il permesso di soggiorno anche se è stato condannato per sequestro di persona. Chi sostiene che a venire espulso con i suo nome e cognome è stata in realtà un’altra persona. Chi ritiene che gli sia stato negato ingiustamente l’asilo politico. Chi si è pagato regolarmente i contributi con i soldi guadagnati battendo il marciapiede in abiti femminili, e per questo chiede di poter avere il permesso di soggiorno. Tutti, indistintamente, hanno un obiettivo: poter restare in Italia. E per questo si rivolgono al Tar della Lombardia, chiedendo ai giudici amministrativi di annullare le decisioni con cui la questura ha rifiutato loro l’agognato permesso.
È un’ondata di ricorsi sempre più consistente quella che si abbatte sul Tar lombardo da parte degli stranieri irregolari. Le statistiche di questi primi tre mesi dell’anno dicono che il tribunale ha già emesso ottantanove sentenze in materia di permessi di soggiorno, praticamente una media di una al giorno, festivi compresi. Per chi si vede respingere la richiesta da parte del Questore, il ricorso al Tar è l’ultima chance prima di tornare in patria o rifugiarsi nella clandestinità. Per questo aumenta sempre di più il numero degli stranieri che, di fronte al diniego del permesso, scelgono - affrontando spese legali non indifferenti - di impugnare per via amministrativa.
Le speranze di avere successo, d’altronde, ci sono. Delle ottantanove sentenze pronunciate tra gennaio e marzo, ventisei hanno dato ragione agli immigrati. Tra queste, hanno fatto notizia - ne ha riferito il Giornale il 21 febbraio scorso - quelle che hanno annullato i fogli di via emessi a Como contro un grappolo di prostitute: «la prostituzione non è reato», avevano scritto i giudici. Ma ora si scopre, scorrendo le sentenze, che anche davanti a reati conclamati accade che i ricorrenti si vedano dare ragione: come Chedly Ben Maglouf Ben Saad, condannato per spaccio di droga; o come la signora Guarda Norina Tamara, «condannata per furto in abitazione e per furto con strappo» e la sua connazionale Marta Rubert, «indagata per furto, per possesso ingiustificato di chiavi alterate e grimaldelli e per uso fraudolento di carte di credito», che si vedono annullare il foglio di via perché «il rinvio a talune condanne per furto e a indagini per reati contro il patrimonio, senza alcuna specificazione in ordine alle concrete modalità delle condotte asseritamente riferibili all’interessata, si traduce in un dato dal quale non è possibile desumere, in termini di ragionevolezza, l’attuale pericolosità».
Le sentenze, insomma, sembrano improntate a un certo garantismo, che aiuta a capire come il Tar sia diventato l’ultima spiaggia per gli stranieri in cerca di regolarizzazione. A volte il Tar sembra venire incontro a difficoltà oggettive, come quando dà ragione a due stranieri che avevano chiesto il permesso dichiarando di lavorare per ditte inesistenti, perché «non è infrequente che i lavoratori extracomunitari che si trovano in una situazione di estrema vulnerabilità sul piano lavorativo, prestino la loro opera per soggetti che svolgono la loro attività in modo illegale e che, non volendo apparire in sede di controllo, forniscano al dipendente straniero documentazione relativa a imprese operanti solo sulla carta».
Ma a volte il Tar lombardo si spinge anche più in là: come - ed è il caso più sorprendente - quando Gazmir Kacbufi, condannato in primo e secondo grado per sequestro di persona e sfruttamento della prostituzione si vede concedere il permesso di soggiorno perché non è dimostrato che sia socialmente pericoloso, «né d’altro canto tale pericolosità sociale può desumersi dagli atti del giudizio, dai quali, invece, possono desumersi elementi di segno opposto».








Sbarchi e approdi se il ministro preferisce guardare altrove

l'Unita, 6 aprile 2010
È di qualche giorno fa la notizia di un nuovo naufragio di un barcone vicino alle coste di Lampedusa. Verso le tre di notte l'imbarcazione si è rovesciata e una motovedetta della Guardia Costiera è riuscita a mettere in salvo 23 migranti. Altri due membri dell'equipaggio, invece, risultano dispersi. I dati del Viminale sembrano parlar chiaro: rispetto al 2008 gli sbarchi sono diminuiti significativamente, passando da 36.951 a 9.537, segnalando un decremento del 90% dall'entrata in vigore dell'accordo Italia Libia, firmato lo scorso maggio. Ma c'è un altro dato, fornito dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che vale la pena considerare. Nel rapporto annuale che misura i livelli e le tendenze dell'asilo nei paesi industrializzati l'UNHCR rileva che, contrariamente a quanto viene percepito, le richieste d'asilo nel 2009 sono risultate stabili rispetto al 2008. Ma, ecco il dato interessante, si registra per l'Italia una diminuzione delle richieste del 42%. L'associazione, a questo punto, risulta immediata: tra tutti i migranti così fermamente respinti l'anno scorso, a quanti si sarebbe dovuto riconoscere l'asilo, trovandosi in situazioni che avrebbero dato diritto alla protezione umanitaria? Il ministro dell'Interno Roberto Maroni rilasciava dieci giorni fa questa dichiarazione: “Nel 2010 apriremo altri dieci centri di identificazione e gli sbarchi si ridurranno del 100%”. Il ministro, evidentemente, si preoccupa solo di eliminare l'aspetto più visibile – quello che finisce in televisione - del fenomeno: ovvero gli arrivi sulle nostre coste, che costituiscono appena il 10% degli ingressi irregolari. Non solo: dei 419 morti accertati nel 2009 nei nostri mari chi se ne cura?
Italia-razzismo


Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links