Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

12 novembre 2014

Aya, una storia a lieto fine
Valentina Brinis Luigi Manconi
il Manifesto 11-11-2014
Se non fosse vera fin nei più tragici dettagli, la vicenda di Aya sembrerebbe scritta per il “prossimamente” di un film hollywoodiano, ma di quelli sceneggiati da gente come Steinbeck e Chandler: “una tenerissima storia d’amore, al confine tra due continenti, in bilico tra la vita e la morte”. E, in effetti, in questo racconto sembra esserci davvero tutto: la guerra civile che sconvolge la Siria, i grandi movimenti di esseri umani in fuga, la macchina delle procedure europee di ingresso e di respingimento, la vischiosità delle leggi e dei regolamenti, e - come in una lettura edificante o, appunto, in un film popolare – la “forza dell’amore”. E dal momento che vogliamo ostinatamente credere, con Virgilio, che l’amore vince tutto, salutiamo il fatto che finalmente ieri sera alle 19.05, Aya è arrivata a Roma. Potrà così ricongiungersi al marito Fadi. Aya è giunta accompagnata dall’hostess con l’aiuto della sedia a rotelle: ha appena diciotto anni e soffre da tempo di condrosarcoma di secondo grado del calcagno sinistro. Il suo progetto è quello di raggiungere insieme al marito la Svezia, dove questi risiede regolarmente in qualità di rifugiato e dove lei potrebbe ricevere le cure necessarie. Ecco perché il 6 ottobre scorso avevano tentato di raggiungere l’Italia, per potere – da qui – arrivare in Svezia. Ma all’aeroporto di Fiumicino lei è stata respinta perché, pur se in possesso di un regolare passaporto siriano, ha esibito un documento turco falso, ritenendo che ciò l'avrebbe aiutata a entrare in Italia dal momento che non disponeva del visto necessario. Di conseguenza è stata respinta in Turchia e, da lì, ha raggiunto una conoscente in Libano. Suo marito è stato arrestato con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione irregolare, e trasferito per qualche giorno nel carcere di Civitavecchia. Ora, ospite di amici italiani, attende l’esito del processo. Inizia così la lunga odissea di Aya, la cui destinazione obbligata è l’Italia perché solo da qui, insieme al marito, può riprendere il suo faticoso percorso verso la Svezia e verso una qualche prospettiva di futuro. Ma tra Aya che bussa all’Ambasciata italiana a Beirut per chiedere un visto, e il ricongiungimento con il marito a Roma, si erge quel muro di ostacoli e resistenze, di veti e divieti, di cui si è detto.
Il respingimento a Fiumicino del 6 ottobre scorso sembra impedire qualunque soluzione. Nonostante la disponibilità di tanti funzionari, la vischiosità di norme e regolamenti ha protratto la ricerca di una via d’uscita per oltre un mese. Cinque lunghe settimane per realizzare un'operazione che avrebbe richiesto pochi giorni. È stato necessario esercitare dunque la massima pressione sul ministero degli Esteri e quello dell'Interno e sull'ambasciata italiana in Libano. Molta sensibilità e paziente ricerca di soluzioni, ma il peso dei vincoli imposti dal sistema delle frontiere europee, è sembrato a lungo prevalere.
Infine l'ambasciata ha ritenuto che la soluzione più opportuna fosse il rilascio di un visto per cure mediche. E così è stato. Ma tale documento prevede che vi siano una struttura ospedaliera italiana disposta a ricoverare la paziente straniera, e un soggetto che garantisca la copertura delle spese mediche. A soddisfare il primo requisito si è reso disponibile l’ospedale San Camillo di Roma, grazie all'intervento del chirurgo oncologo, professor Eugenio Santoro. E per il secondo, l'associazione A Buon Diritto.
Il nodo critico della vicenda, sciolto dopo le meticolose verifiche del ministero dell’Interno, era quello dell’arrivo a Fiumicino evitando il rischio che Aya potesse essere rimandata indietro, qualora il suo nome fosse risultato nel data base del sistema di sicurezza europeo.
Un ruolo decisivo è stato svolto dagli amici italiani di Aya e del marito, che sin dal primo momento si sono adoperati muovendosi con ostinazione e pazienza in un mondo che era loro totalmente sconosciuto.
Ma chi non ha amici in Italia? Chi lancia un grido d’aiuto che non viene raccolto da alcuno? Chi nemmeno riesce a far sentire la sua richiesta di soccorso? Per una storia d’amore che trova il suo provvisorio lieto fine, pur in mezzo a tanti timori sul futuro, mille e mille altre restano senza soluzione. Per queste è più che mai indispensabile una intelligente e razionale politica europea. Di cui al presente non c’è alcuna traccia.



Scontri e bombe carta, rivolta anti-immigrati a Roma
Assediato il centro di accoglienza per rifugiati minorenni. Dodici feriti. Il quartiere: manca sicurezza
Corriere della sera, 12-11-2014
Rinaldo Frignani
ROMA «Per favore, portateci via da qui. Se usciamo ci picchiano, se restiamo dentro ci assaltano per picchiarci». Il terrore negli occhi dei ragazzi del centro d`accoglienza di Tor Sapienza. Ironia della sorte la cooperativa che assiste i minorenni rifugiati - africani e bengalesi - si chiama «Il Sorriso». Ma qui, in viale Giorgio Morandi, di voglia di ridere ce n`è davvero poca. Da due notti i ragazzi sono barricati nel loro palazzo, di fronte ai serpentoni delle case popolari dell`Ater, assediati da centinaia di abitanti rabbiosi per la mancanza di sicurezza nel quartiere. E ieri sera l`esasperazione è scoppiata di nuovo cavalcata da gruppi di incappucciati che hanno attaccato sia il centro sia la polizia che lo proteggeva con lanci di bombe carta, sassi e bottiglie. Il bilancio è pesante: 12 feriti, nessuno in gravi condizioni. Fra loro quattro agenti, un cameraman della trasmissione tv Virus e alcune donne, travolte dalla calca o manganellate in una delle cariche partite con i lacrimogeni per disperdere chi voleva entrare nella struttura d`accoglienza aggirando il cordone. Una notte di guerriglia, di scontri, preceduta dall`aggressione nel pomeriggio nel parco Barone Rampante di un sedicenne bengalese sorpreso fuori dal centro da cinque teppisti. Lo hanno preso a bastonate, lasciandolo dolorante a terra. «I negri fuori da questo quartiere», gridano i manifestanti. Ma in tanti sono anche convinti che il palazzo dei rifugiati sia solo un pretesto. I residenti della zona non ne possono più dei rom, degli sbandati che frequentano il parco e una chiesa sconsacrata poco lontana, degli scippi, delle aggressioni alle donne (l`ultima domenica scorsa a una ragazza che portava a spasso il cane). «Quelli del centro ci sputano, ci tirano addosso i pomodori», accusano i giovani del quartiere. La polizia non esclude che, oltre a qualche personaggio noto dell`estremismo di destra (sono stati urlati slogan per il Duce), dietro alla rivolta ci siano anche gli spacciatori dí zona che vogliono le strade libere dalle volanti. Ma c`è anche chi ha paura, e sono tanti,di tornare a casa la sera con strade insicure e rischio aggressioni. Lunedì scorso si sono registrate le prime violenze, con auto e cassonetti incendiati anche in via Carrà e in via Balestrini, dove un romeno ai domiciliari è stato quasi linciato. La polizia è arrivata poco dopo per salvare il ragazzo e presidiare il centro. Ieri sera il cordone non è bastato per scoraggiare il nuovo assalto. Altri incendi, altra violenza. E potrebbe non essere ancora finita.



Tor Sapienza, un'altra notte di guerriglia: bombe carta e cariche della polizia
Dopo la sassaiola di lunedì sera e il corteo nel pomeriggio, una cinquantina di persone, col volto incappucciato, è tornata in strada per protestare contro "la massiccia presenza di immigrati" e il centro di accoglienza. Scontri la polizia, feriti tra i manifestanti e gli agenti
la Repubblica.it, 12-11-2014
MAURO FAVALE e LAURA MARI
Nuova notte di guerriglia a Tor Sapienza. Dopo gli scontri di lunedì sera, con sassaiole e lancio di bottiglie contro il centro di accoglienza di via Morandi, i residenti sono tornati in piazza e hanno sfidato la polizia. Poco dopo le 22.30 circa cinquanta persone, forse gruppi organizzati, hanno fatto incursione lanciando oggetti e bombe carta contro la struttura che ospita gli immigrati. In fiamme sei o sette cassonetti, un'auto della polizia assaltata con sassi e bastoni e altre due volanti danneggiate. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, mentre la polizia ha caricato i manifestanti per placare il lancio di bombe carta contro il centro di accoglienza.
"Hanno sparato anche i lacrimogeni" raccontano alcuni abitanti che hanno assistito alla guerriglia dalle finestre dei palazzi di Tor Sapienza. "I manifestanti hanno lanciato petardi e bombe carta, avevano il volto coperto, erano incappucciati" spiegano altri residenti della zona.
Oltre alla polizia in tenuta antisommossa che già dal pomeriggio presidiava il centro di accoglienza del quartiere, sul posto sono intervenute anche alcune volanti del 113. Negli scontri un agente è rimasto ferito a un braccio dal lancio di una bomba carta ed è stato trasportato in ospededale da un'ambulanza del 118.
Nel pomeriggio un centinaio di residenti era sceso in strada per manifestare e chiedere "maggiore sicurezza in un quartiere invaso dagli immigrati". Una riunione che però è durata poco. "La  rabbia delle oltre mille famiglie che volevano una soluzione  hanno portato nuovamente i residenti a protestare sotto al centro d'accoglienza di via Morandi" spiegano i portavoce del comitato di quartiere. Un corteo pacifico  dove le donne hanno esibito cartelli e striscioni con scritto "Le donne di Tor Sapienza vogliono sicurezza".
Tor Sapienza, il corteo contro gli immigrati: "Vogliamo sicurezza"
I residenti  da tempo segnalano alle istituzioni episodi di violenza per le vie del quartiere tra scippi e aggressioni. E nella notte tra lunedì e martedì in via Morandi la rabbia è degenerata in una prima notte di guerriglia davanti al centro di prima accoglienza in via Morandi, testimoniata anche sui social network: le urla hanno scosso la strada tra sassaiole, vetri rotti e cassonetti bruciati, sul posto sono arrivate diverse volanti della polizia. "E' stata
un'iniziativa spontanea di alcuni abitati esasperati. Non è una questione di razzismo nè di ronde, siamo solo stanchi, non ne possiamo più. Negli ultimi giorni ci sono stati scippi, un tentativo di stupro e furti negli appartamenti", dice Tommaso Ippoliti, presidente del comitato di quartiere Tor Sapienza. "Non siamo estremisti", continuano a ripetere i cittadini.



Caccia all`immigrato a Roma: «Andate via o vi bruciamo tutti»
Cittadini in rivolta nella zona di Tor Sapienza: «Basta crimini»
Assalto con pietre e bombe carta al centro che ospita gli stranieri
Il Messaggero, 12-11-14
Maria Lombardi
LA GUERRIGLIA
ROMA «Andatevene, ve ne dovete andare. Se no vi diamo fuoco», le urla arrivano dal piazzale davanti al bar a cinquanta metri dal centro di accoglienza. «Entrate dentro, di corsa. Chiudete le finestre e non vi muovete», la responsabile del centro spinge gli immigrati oltre la porta, fatica a contenere paura e rabbia. A terra c`è un ragazzo di 16 anni, bengalese, gli occhi chiusi, non risponde. Si è trascinato fin lì barcollando con lo zainetto sulle spalle, poi è svenuto. Appena si riprende stringe la prima mano che incontra, «mi hanno picchiato al parco, cinque italiani», e si tocca la testa.
SEDICENNE FERITO
Un`ambulanza lo porta via, alle 16 di ieri. In via Giorgio Morandi, a Tor Sapienza, già tremano in un angolo la luci delle stelle di Natale.
A pochi passi, sullo stesso palazzone ocra, i segni delle due notti di guerriglia: il vetro dell`ingresso del centro per immigrati minori e rifugiati è sfondato, una pietra ha lasciato un buco. Un vero e proprio assalto allo stabile che dal 2011 ospita gli stranieri, lo gestisce la cooperativa Il Sorriso. Dopo lunedì sono tornati anche ieri sera, un fuoco e ancora scoppi, altre bombe carta lanciate contro il palazzo presidiato da uno schieramento di agenti. La protesta pacifica del pomeriggio di ieri, con slogan e striscioni, e poi verso le 22 di ieri una nuova rappresaglia degli abitanti del quartiere.
Continua la rivolta di Tor Sapienza contro gli immigrati. «Erano una cinquantina, lanciavano pietre e bombe carta, qualcuno gridava: duce, duce. Ci siamo barricati dentro», la responsabile del centro è ancora scossa. «Se usciamo fuori ci menano, se restiamo dentro cí menano. Ce ne vogliamo andare via, abbiamo paura», un etiope, 22 anni, dice di essere fuggito dal suo paese per cercare pace, «ho trovato il casino».
LE RONDE
«Mica eravamo solo noi, anche loro ci lanciavano addosso di tutto: sedie, computer, televisori. Qui non li vogliamo, meglio se vanno via da soli altrimenti li cacciamo con la forza. Non siamo razzisti e nemmeno fascisti, solo che ne possiamo più». Chi vive in quell`anello di cemento senza respiro, le case Ater di via Morandi, e nelle strade intorno si accanisce contro l`unico bersaglio fisso, il centro di accoglienza. E scaglia addosso agli immigrati un disagio cresciuto di giorno in giorno e la troppa violenza subita con furti, scippi, aggressioni. Bruciavano una decina di cassonetti, lunedì notte, mentre volavano pietre e sedie, e la polizia tentava di fermare la rappresaglia. E prima di dirigersi al centro di accoglienza, la piccola folla aveva fatto il giro del quartiere fino alla chiesetta di san Cirillo sconsacrata dove si sono accampati i romeni, non hanno trovato nessuno. Fanno le ronde da domenica, ogni notte in cinquanta, dopo l`aggressione di una giovane mamma al parco. E ieri pomeriggio erano di nuovo lì davanti al centro per rifugiati, un centinaio, con gli striscioni: «Basta violenze», «Basta furti», «Basta immigrati incivili». Pensionati, mamme, nonne, ragazzi con le felpe, urlano finché non perdono la voce. Davanti all`ingresso gli agenti con gli scudi e un blindato. «Bruciamo tutti i negri, duce! duce!», arrivano anche queste voci dalla strada. «Siamo accerchiati da immigrati, campo rom di via Salviati, i romeni che occupano la chiesa e i maghrebini che hanno preso le case». E racconta la gente stanca di via Morandi della donna aggredita al parco, dell`anziano picchiato per pochi euro, delle bande che entrano nei portoni e rubano, delle donne scippate dalle borse della spesa. «La cosa non finisce qui, li manderemo via come hanno fatto a Corcolle. Ci saranno altre guerriglie, se serve».



"Turisti del welfare" Arriva lo stop della Corte europea
Bocciato il ricorso di due romeni che vivono a Lipsia: giusto negare i benefit ai cittadini comunitari inattivi
La Stampa, 12-11-2014
MARCO ZATTERIN
CORRISPONDENTE DA BRUXELLES
La sentenza è dura, quasi scontata, ma cruciale a questo punto della storia. La Corte di Giustizia Ue ha ribadito ieri il principio secondo cui «un cittadino comunitario economicamente inattivo che si rechi in un altro Stato solo per ottenere l`assistenza sociale può essere escluso da ogni beneficio». In altre parole, l`alta magistratura afferma che nulla è garantito a nessuno e smonta le teorie euroscettiche di chi paventa orde di «turisti del welfare» pronte a succhiare linfa dalle casse dei governi. Ci sono delle regole precise e basta farle applicare. Il resto è bassa politica populista.
Sono tempi duri per gli immigrati, soprattutto in alcuni Paesi dove la tensione sociale è accentuata dalla crisi economica. In Germania si è deciso di proporre un tetto agli stranieri accettabili dal sistema di assistenza sociale. Il britannico Cameron minaccia da tempo di introdurre un numero chiuso per gli arrivi non turistici nelle sue isole.
Turisti a caccia di sussidi? Un mito, assicurano a Bruxelles: «La spesa per la salute offerta ai cittadini comunitari inattivi è in media lo 0,2% del totale, il che diventa - in termini di Pil - lo 0,01%». Non un problema, insomma. A meno di non volerlo creare.11 richiamo della Corte è importante proprio in quanto invita a ragionare sul quadro che gli Stati si sono dati quando hanno creato il mercato unico nella convinzione che la libera circolazione avrebbe migliorato la dinamica dell`economia continentale. Nel rispondere a un ricorso di due romeni, una donna e suo figlio che vivono dalla sorella di lei in Germania e che si sono visti negare l`assicurazione sanitaria di base perché senza reddito e non alla ricerca di un lavoro, i magistrati di Lussemburgo hanno quindi riaffermato il principio secondo cui uno Stato membro «non è obbligato» a garantire l`assistenza sociale durante i primi 3 mesi di residenza. Se il periodo è più lungo, e dura sino a cinque anni, una delle condizioni che viene stabilita per assegnare il diritto di residenza è che le persone abbiano comunque delle risorse proprie, anche se inattive. Quindi ogni capitale è priva dì obblighi iniziali, oltre ad avere il diritto di espellere chi alla fine dei 90 giorni di prova non abbia una occupazione.
Giusto far la guerra e aizzare gli animi contro PIJe? La Corte fa capire di no, mentre la Commissione sostiene che non serve. L`analisi effettuata in sei Paesi (Austria, Bulgaria, Estonia, Grecia, Malta e Portogallo) ha rivelato che i migranti europei inattivi sono meno dell`l% degli iscritti a tutte le Inps del caso. Il dato sale sino al 5% in un secondo gruppo (Germania, Finlandia, Francia, Olanda e Svezia). Troppi? Uno studio indipendente britannico ha dimostrato che nel Regno Unito, fra 2001 e 2011, i cittadini comunitari hanno versato nelle casse dell`Erario 25 miliardi in più di quelli incassati sotto forma di welfare. La questione è politica più che tecnica. L`immigrato è sempre un capro espiatorio facile da attaccare. La psicosi arriva spesso a un passo dalla caccia all`uomo come quando, nel giorno dell`apertura senza limiti a romeni e bulgari (il 1° gennaio scorso), i cronisti inglesi andarono a Heathrow a vedere quanti ne arrivavano e trovarono un solo passeggero proveniente da Bucarest con tanto di contratto già firmato. A Londra sono soddisfatti e Cameron insiste nello sventolare l`ipotesi di una stretta. «La sentenza della Corte ha confermato che i controlli messi in campo dal sistema sociale tedesco stanno funzionando», aggiungono a Berlino. «Buona sentenza perché rimette al centro le regole - spiega un portavoce della Commissione -. L`impianto è solido, basta farlo rispettare e si risolvono tutti i problemi». Anche perché, si rammenta, il turismo sociale non è giustificato da alcuna euronormativa.



Sbarchi, Medu: "Niente Ebola, migranti malati per condizioni di vita disumane"
La denuncia è contenuta nel dossier “I sommersi e i salvati” dell’associazione Medici per i diritti umani, che ha assistito 258 migranti a Roma da giugno. “Il passaggio in Italia avviene in condizioni assai critiche. I rifugiati trovano accoglienza solo nelle case occupate da connazionali”
Redattore sociale, 11-11-2014
ROMA – “Portano le malattie e addirittura l’Ebola”. “Stop all’invasione”. “Aiutiamoli a casa loro”. Nell’ultimo anno, l’arrivo di 150mila migranti e rifugiati nelle coste del Sud Italia è stato spesso oggetto di un discorso pubblico infarcito di informazioni fuorvianti e di strumentalizzazioni da parte di non poche forze politiche. Nel suo ultimo dossier “I sommersi e i salvati” Medici per i Diritti Umani (Medu) smentisce queste posizioni, descrivendo una realtà molto diversa e ben più complessa. E fatta di storie drammatiche di persone sopravvissute a una violenza indicibile e i cui diritti più elementari spesso non vengono ancora riconosciuti, una volta attraversato il Mediterraneo, sul suolo italiano ed europeo.
Roma, insieme a Milano, rappresenta la principale tappa nella penisola per le migliaia di profughi diretti verso i paesi dell’Europa del Nord. Sono 258, tra cui 34 donne e 45 minori,  i migranti forzati provenienti dal Corno d’Africa che hanno ricevuto assistenza medica dalla clinica mobile di Medu nel periodo giugno-ottobre 2014 in baraccopoli ed insediamenti precari di Roma. Tutti hanno attraversato il Sahara, si sono imbarcati in Libia e  hanno subito qualche forma di grave deprivazione o violenza nei paesi di transito.  Per questo nel dossier Medu chiede alle istituzioni che nella capitale d’Italia vengano garantite adeguate misure di accoglienza ai migranti che raggiungono l’Europa via mare, con particolare riguardo ai gruppi più vulnerabili. Con la chiusura dell’operazione Mare Nostrum rischia di aggravarsi ulteriormente la situazione umanitaria nel Canale di Sicilia con un ulteriore aumento delle vittime del mare. L’Italia, l’Unione europea e la comunità internazionale sono chiamate sia ad assicurare efficaci  operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo sia ad adottare misure che consentano a chi fugge da guerre e persecuzioni la possibilità di accedere alla protezione internazionale senza rischiare costantemente la propria vita.
Le testimonianze. Lunedì 3 novembre, la clinica mobile di Medu, con a bordo medici e operatori volontari, è tornata, come di consueto negli ultimi mesi, presso il grande stabile di via Collatina, occupato dal 2004 da circa cinquecento rifugiati provenienti dal Corno d’Africa, in particolar modo dall’Eritrea e dall’Etiopia. “E’un’isola, lo stabile di Collatina, all’estrema periferia orientale della città di Roma, popolata dai salvati, e dalle storie dei sommersi, quelli che in Europa non sono mai arrivati – spiega il dossier –Dall’inizio dell’anno, oltre agli abitanti abituali, è possibile incontrare molti migranti in transito: donne, uomini e bambini originari del Corno d’Africa, sbarcati da pochi giorni sulle coste meridionali del nostro paese. Si tratta di persone per cui l’Italia è nella maggior parte dei casi un luogo di passaggio obbligato per poter raggiungere altre destinazioni nell’Europa del Nord”. Roma è dunque la tappa di un viaggio che parte da paesi come l’Eritrea, governata da una dittatura militare (la leva militare dura per gli uomini dai 16 ai 60 anni e per le donne fino a 50 anni). “Ho assistito all’uccisione di due miei connazionali presso un centro di raccolta in Libia: uno è stato cosparso di benzina e incendiato vivo perché affetto da scabbia, un altro è stato colpito a morte con un attrezzo agricolo” racconta G. eritreo di 23 anni visitato a settembre dai medici di Medu a Roma. Sequestrati dai miliziani delle diverse fazioni in lotta, utilizzati come “ausiliari” negli scontri armati, costretti a trasportare armi, detenuti in carceri o in strutture informali di detenzione, privati di cibo e sottoposti a violenze e torture, i migranti affrontano il tratto di mare che li separa dall’Europa con la speranza di chiedere asilo politico e ottenere protezione. La traversata, gestita da organizzazioni criminali, avviene a bordo di imbarcazioni precarie e stipate all’inverosimile. Ma non tutti ce la fanno.  “Di tutto il viaggio, il tratto più rischioso è stato quello al confine tra Sudan e Libia, quando abbiamo attraversato  il deserto. Avevamo solo una bottiglia di acqua a testa e quasi niente da mangiare. Eravamo tutti  ammassati sullo stesso pick up che viaggiava a gran velocità. Alcune persone sono cadute, ma le hanno lasciate lì… Abbiamo impiegato quattro giorni per attraversare il confine tra Sudan e Libia.”, racconta Y. (Eritrea), 20 anni, in Italia da una settimana, quando gli operatori di Medu lo incontrano a settembre.
Ciascuno di questi migranti avrebbe diritto a presentare domanda di asilo politico e a ricevere protezione – spiega ancora il dossier -. Ma l’Italia per molti dei migranti forzati sbarcati nell’ultimo anno, in particolare siriani ed eritrei, non rappresenta la destinazione finale del viaggio. I profughi tentano infatti di raggiungere altri paesi, in particolare la Germania e la Svezia, dove trovano spesso ad attenderli familiari e conoscenti, un sistema di accoglienza dignitoso e migliori opportunità di lavoro e di inserimento sociale”. Il passaggio nella penisola italiana, avviene però in condizioni assai critiche, spesso senza poter accedere, neanche nel caso dei più vulnerabili, ad alcun servizio di assistenza e/o accoglienza. Se a Milano il Comune, con il sostegno della Prefettura, ha predisposto delle strutture di accoglienza che da ottobre 2013 a settembre 2014 hanno ospitato temporaneamente  43mila  migranti in transito – per lo più siriani ed eritrei -, lo stesso non è accaduto a Roma, dove migliaia di profughi eritrei nel corso del 2014 hanno trovato come unica accoglienza quella prestata dai connazionali all’interno di già sovraffollati edifici occupati e insediamenti precari. Così l’edificio di Selam Palace, occupato da anni da oltre seicento rifugiati etiopi, eritrei, somali e sudanesi, è arrivato nel corso dell’anno ad ospitare in media oltre mille persone al giorno, aprendo le porte a uomini, donne e bambini sbarcati da pochi giorni, se non addirittura da poche ore. La “Comunità la Pace” di Ponte Mammolo, storico insediamento di baracche abitato da circa ottanta rifugiati eritrei, è arrivata ad accogliere nei momenti di maggior afflusso nei mesi di luglio e agosto oltre duecento connazionali al giorno in arrivo dalle coste siciliane e diretti verso il Nord Europa. In entrambi gli insediamenti, come anche nell’edificio di Collatina, i nuovi arrivati – compresi nuclei familiari con bambini piccoli – hanno trascorso e trascorrono giorni o settimane in condizioni estremamente critiche, condividendo i pochi materassi e i già insufficienti servizi igienico sanitari, senza poter disporre dei beni di prima necessità e a volte anche di pasti regolari, stipati nei garage degli edifici occupati, in baracche sovraffollate, o addirittura nelle aree parcheggio, come nel caso di Ponte Mammolo.
Nessun allarme Ebola. Secondo il rapporto i migranti presentano il quadro sanitario di una popolazione giovane con problemi di salute legati, nella gran parte dei casi, alle pessime condizioni alloggiative ed igienico-sanitarie in cui sono costretti a vivere in Italia, alle condizioni estreme del viaggio oppure alle torture e ai trattamenti inumani e degradanti subiti nel proprio paese o durante il tragitto per raggiungere l’Europa.  “In Libia ho vissuto per più di due mesi in una piccola casa, con altre trecento persone circa, tra uomini e donne, divisi da una parete sottile. Ogni giorno venivamo picchiati con un tubo dell’acqua con all’interno un filo di ferro, finché non siamo riusciti a pagare il costo della traversata”, spiega H., (Eritrea), arrivato a Roma da poche ore e in Sicilia da qualche giorno, mentre un medico del team di Medu gli chiede la ragione della profonda ferita che gli attraversa la schiena. In tutto sono stati 283 i pazienti stranieri visitati da Medu presso gli insediamenti di Ponte Mammolo e Collatina dal mese da giugno a ottobre 2014. Tra di essi vi erano 258 migranti eritrei dei quali il 96 per cento era giunto in Italia da meno di un mese (in media da 10 giorni) e  il 93 per cento ha dichiarato di essere diretto verso altri paesi europei. Tra i pazienti eritrei il 70 per cento era rappresentato da uomini, il 13 per cento da donne e il 17 per cento da minori d’età tra cui cinque bambini con meno di 5 anni. L’età media complessiva è risultata essere di 24 anni. La totalità dei migranti eritrei è giunta in Italia imbarcandosi in Libia e ha subito qualche forma di grave deprivazione o violenza nei paesi di transito. Per questi pazienti la maggior parte dei sospetti diagnostici rilevati sono da riferirsi alle critiche condizioni di vita affrontate in Italia e durante il viaggio e la permanenza in Libia: infezioni della pelle, infezioni respiratorie acute, lesioni e ferite cutanee, traumatismi.

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