Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

31 gennaio 2012

I "NUOVI ITALIANI"
la Discussione, 31-01-2012
GIANMARIA ROBERTI
L'ultima a prendere parola sulla cittadinanza agli immigrati, e a tenere alta la temperatura del dibattito, è stata Annamaria Cancellieri, ministro degli Interni, che ha avvertito: «Lo ius soli semplice creerebbe le condizioni di far nascere in Italia bambini da tutto il mondo». La titolare dei Viminale ha messo quindi le mani avanti, avanzando il timore che passare dal diritto di cittadinanza trasmesso per via ereditaria (ius sanguinis) a quello acquistato per nascita sul territorio italiano (ius soli) possa causare problemi di gestione dei flussi migratori. Un dossier già esplosivo, dopo le ondate di migranti sospinti dalle rivoluzioni arabe. La Cancellieri però non chiude a svolte orientate verso il modello francese (lo ius soli, in contrapposizione a quanto avviene nel resto d'Europa): allargare le maglie della cittadinanza si può, in presenza di «un insieme di fattori. Se un bambino è nato in Italia- ha spiegato- i genitori sono stabilmente in Italia e magari ha già fatto parte degli studi qua ed è inserito, allora credo sia giusto». Per ora siamo ancora alle dichiarazioni d'intenti.
Ma un'accelerata sul tema dei "nuovi italiani" si avverte. Da quando il presidente della Repubblica ha invitato il Parlamento a porre mano alla materia, manifestando una chiara preferenza per l'opzione ius soli: «Negare questo diritto è un'autentica follia, un'assurdità. I bambini hanno questa aspirazione» ha detto senza giri di parole Napolitano. Frasi che hanno scatenato la reazione della Lega Nord, decisa a riesumare la retorica da "scontro di civiltà". «L'idea di dare la cittadinanza a chiunque nasça in Italia, sulla base del principio dello "ius soli" è uno stravolgimento dei principi contenuti nella Costituzione» ha ribadito Maroni, in difesa della Carta. Che però lo Statuto del Carroccio fa a pezzi a sua volta, prevedendo all'articolo 1 «l'indipendenza della Padania». Ma i costituzionalisti in camicia verde sono inflessibili, perché «la Costituzione norma con chiarezza tutta questa partita della cittadinanza - ha ricordato il governatore veneto Zaia - penso che ci si debba fermare li». E al Colle ha risposto anche il Senatore Paolo Franco, secondo il quale «costringere il nuovo nato alla cittadinanza italiana» sarebbe perfino «un arbítrio». Nel solco del Quirinale si colloca invece Fini, che però ha messo qual che paletto: «Uno ius soli automatico mi lascia qualche dubbio - ha precisato il presidente della Camera - E giusto invece dire che è cittadino italiano chi nasce in Italia, parla la lingua e ha concluso un ciclo di studi». La legge di cittadinanza è argomento incandescente e divisivo, oltre che trasversale. A destra, c'è chi si attesta su posizioni oltranziste come il capogruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri («Passare da ius sanguinis a ius soli è una fol¬lia giuridica. Si rischia di incoraggiare 1'esodo di clandestini») a chi apre al dialogo: «E una questione delicata che merita di essere affrontata e discussa senza animosità di carattere politico» ha dichiarato Bondi, coordinatore nazionale dei berluscones.
Intanto, alcuni provano a giocare d'anticipo: il Senatore Pd Ignazio Marino ha depositato una proposta di legge per modificare tre articoli della legge 91 del 1992; nel primo, al comma 2, si stabilisce che cittadino italiano è chi «è nato nel territorio della Repubblica». E le Acli hanno fatto partire, con altre 18 organizzazioni - dalla Caritas all'Arci, alla Cgil - la Campagna "L'Italia sono anch'io"', che punta alle 50mila firme per la presentazione di due proposte di legge: una sulla cittadinanza ai figli degli stranieri, l'altra sul voto alle elezioni amministrative per gli immigrati stabilmente residenti. «In un Paese in cui oramai vivono circa un milione di minori stranieri, metà dei quali nati in Italia - ha argomentato Andrea Olivero, presidente delle Acli - il riconoscimento del diritto di cittadinanza dalla nascita è un innanzitutto un obbligo morale». E adesso, quantomeno non è piü un tabu.



La cittadinanza agli stranieri e i limiti della penisola
Europa, 31-01-2012
Federico Orlando
Cara Europa, condivido le perplessità della ministra dell’interno, prefetta Cancellieri, che pone condizioni alla concessione della cittadinanza agli immigrati e ai loro figli nati in Italia. Ad essi, disse qualche giorno fa il presidente Napolitano ricevendone una rappresentanza al Quirinale, «negare la cittadinanza è un’autentica follia». È quel che penso anch’io, specie in quei due momenti della giornata in cui accompagno i miei figli alle scuole elementari o medie e poi vado a riprenderli e vedo l’allegra mescolanza delle razze e delle mode, unificate da una sola lingua, la nostra. Ma non v’è dubbio che le considerazioni della Cancellieri mi diano, ora, qualche perplessità.
MARIAROSA DI MAGGIO, VERONA
Cara signora, mi trovo nella sue stesse condizioni. Nella mia vita ho avuto esperienze, solitamente positive, che mi hanno via via convinto che un’immigrazione ben controllata e rigorosa sin dall’inizio, cioè negli ingressi in Italia, non possa poi non conseguire le stesse tappe che consegue ciascuno di noi, cittadino, che studia, parla italiano, lavora, paga le tasse, e a volte fa anche figli. L’antica differenza fra i due modi di acquisizione della cittadinanza, e cioè nascere da genitori cittadini (ius sanguinis) o nascere nel paese di cui poi si diventa cittadini (ius soli), non mi sembrano più così assoluti e alternativi come quando, alla facoltà di giurisprudenza, nell’altro secolo, mi insegnavano questi principi elementari di diritto pubblico.
Oggi credo che i due principi possano convivere: non per altro, proprio in questi giorni, stanno fiorendo proposte, o terze vie: come quella del ministro dell’integrazione Riccardi, che al diritto di suolo o di sangue contrappone uno ius culturae, «perché questi giovani sono cresciuti immersi nella cultura italiana»; o come quella del professor Giovanni Sartori, costituzionalista politologo e demografo, che propone la cittadinanza «per chi ha la residenza permanente» nel nostro paese.
Si tratta di prove di buona volontà, ma senza basi certe. Entrambe le proposte infatti avrebbero bisogno di tempo perché se ne possano sperimentare gli effetti demografici e soggettivi. Lo stesso Sartori fissa un tetto di «saturazione invalicabile»: infatti, checché ne dicano gli irenisti religiosi e laici, l’Italia è una penisoletta che già scoppia coi suoi 60 milioni di nati e immigrati, e non potremo certo ospitare chiunque venga qui sperando di trovarvisi bene e diventare cittadino (salvo perdere la cittadinanza in caso di reati, come prevede il professore).
Quanto alla teoria di Riccardi, bisognerebbe almeno aspettare il passaggio di qualche generazione, per vedere se, al di là della lingua e delle nozioni (che sembrano sufficienti all’amico Ignazio Marino), i ragazzi e poi giovani immigrati abbiano acquisito anche la cultura del nostro paese: che non può essere quella delle mafie cinesi o dei fondamentalisti islamici (ne abbiamo già tanti di mafiosi e fondamentalisti autoctoni). Giustamente dice la ministra Cancellieri che «lo ius soli semplice (quello che vorrebbe Marino) creerebbe le condizioni per far nascere in Italia bambini da tutto il mondo». Qualsiasi genitore lungimirante, infatti, che riuscisse a entrare comunque in Italia, potrebbe generarvi figli ai quali assicurare ipso iure la cittadinanza di un paese evoluto e, per ora, ancora quasi benestante. E quanti milioni sarebbero a pensare così?
Invece, dice la ministra, dovremmo favorire una cittadinanza che derivi da vari fattori: se il bambino è nato in Italia, se i genitori sono stabilmente in Italia, se magari ha già fatto in Italia una parte degli studi. Non so se anche questo possa esser chiamato ius culturae, ma a me sembrerebbe un modo certo e meditato per uscire dal dualismo sangue-suolo. Sempre tenendo conto della «saturazione invalicabile» di cui parla Sartori, e che non si può fingere che non esista, tanto per guadagnar meriti con la propria coscienze e col consenso ideologico.



Attenti, l'eguaglianza non è un premio da conquistare
La cittadinanza non va riconosciuta solo a chi supera delle prove. Ricordiamoci cosa dice la Costituzione
l'Unità, 31-01-2012
Filippo Miraglia
La discussione che si sta sviluppando sulla cittadinanza dimostra che abbiamo avuto a ragione a tentare di spostare - con la campagna «l'Italia sono anch'io», promossa da 19 organizzazioni - il dibattito pubblico sull'immigrazione dal terreno dell'emergenza a quello dei diritti e della democrazia. Si parla finalmente delle milioni di persone di origine straniera che vivono nel nostro Paese, contribuendo alla sua crescita, e dei loro rapporto con lo Stato in tutte le sue articolazioni.
Abbiamo chiesto ai Cittadini di sottoscrivere due proposte di legge di iniziative popolare, un modo per avere una relazione diretta con l'opinione pubblica, non mediata da politica e stampa.
In tanti hanno firmato e stanno firmando, optando per un modello di società aperta e tra pari, per un'idea di cittadinanza che non si costruisce per esclusione. Certamente un grande aiuto è venuto da autorevoli interventi di esponenti del mondo della politica, della cultura e delle istituzioni, a cominciare dalle importanti dichiarazione dei Presidente Napolitano. Tuttavia va rilevato che anche tra coloro che si sono dichiarati favorevoli alla riforma della cittadinanza, c'è chi ha mostrato una certa propensione verso un "diritto speciale" per i migranti e le loro famiglie, a una idea di diritti "in prova". Più precisamente - e qui prendiamo in esame solo una parte degli obiettivi della campagna - l'idea che la cittadinanza per i nati in Italia, lo ius soli, e quindi l'ampliamento della sfera dei diritti per i bambini di origine straniera, debba essere ottenuta attraverso la dimostrazione di una "volontà di integrazione" da parte delle famiglie e addirittura degli stessi minori, che necessita di un percorso complesso. In generale tutta la matéria deirimmigrazione, quando si parla di diritti, è affrontata da alcuni con un approccio "premiale": se vuoi diventare Cittadino italiano devi superare delle prove.
Questa logica, che sta alla base del contratto di soggiorno, è anche quella che induce a pensare che la cittadinanza sia lo spazio dentro il quale misurare la "integrabilità" di una persona o di una famiglia nella società.
A chi ritiene che lo ius soli vada "temperato", ricordiamo che l'articolo 3 della Costituzione sancisce il principio di uguaglianza e impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno raggiungimento. Il contrario di chi sostiene la "integrabilità" come condizione per la sua piena applicazione.
Nella nostra proposta di legge di riforma della cittadinanza sosteniamo che la regolarità del soggiorno di uno dei genitori da un anno è condizione sufficiente per richie- dere la cittadinanza per i nati in Italia. La regolarità dei soggiorno di un anno, data l'attuale legislazione sull'ingresso e il soggiorno dei migranti, presuppone la presenza Stabile e un'occupazione. Introdurre altre condizioni provocherebbe solo disuguaglianze.
È giusto, per esempio, prevedere che il minore che compie un ciclo di studi possa chiedere la cittadinanza, ma non come condizione aggiuntiva alla nascita. Pensiamo a un minore che si trasferisce in Italia da piccolo: un esempio che riguarda oggi centinaia di migliaia di ragazzi. Nonostante frequenti la scuola, anche per l'intero ciclo scolastico, è assimilato a un qualsiasi altro straniero che chiede di naturalizzarsi e a 18 anni dovrà dimostrare di avere i requisiti per ottenere il titolo di soggiorno se vuole evitare l'espulsione. Sarebbe utile confrontarsi anche su due altri aspetti importanti, finora poco toccati. La competenza sulla procedura relativa alla cittadinanza secondo noi dovrebbe passare ai Comuni, cioè all'ammi- nistrazione pubblica più vicina al Cittadino.
Inoltre, la procedura dovrebbe essere sottratta a ogni discrezionalità e definita con precisione nella legge, per garantire trasparenza e certezza. Decine di migliaia di domande di naturalizzazione giacciono invece da anni al Ministero dell'Interno, senza che venga fornita agli interessati nessuna certezza sui tempi e gli esiti.
In altre parole, sarebbe opportuno che nel dibattito sulla possibile riforma della cittadinanza si partisse dai problemi che oggi incontrano le persone che vogliono accedervi in un Paese che cambia e che rischia di essere sempre più popolato di persone che rimangono straniere per sempre.
 
 

IO, STRANIERO NEL MIO PAESE
l'Unità, 31-01-2012
La Testimonianza MOHAMED  
L'Italia è la mia terra, la mia patria, la mia nazionale quando gioca in un campionato europeo o un mondiale.
L'Italia è la terra dove sono cresciuto, dove ho studiato, dove mi sono innamorato la prima volta, dove ho pianto la prima volta, l'Italia sarà la terra dei miei figli, i quali molto probabilmente non si leveranno mai questo cliché «del figlio dell'immigrato».
Per qualcuno della mia città sono un "italiano" diverso perché mi chiamo Mohamed e non Francesco, Giuseppe, Antonio, Giovanni o Andrea. Ma cosa vuol dire essere o sentirsi italiani?
Essere italiani vuol dire riconoscersi nei valori di questa terra, essere italiani vuol dire parlare la lingua di Dante, di Manzoni, di Boccaccio, essere italiani vuol dire emozionarsi nel sentire l'inno d'Italia, essere italiani vuol dire con orgoglio tirare fuori il tricolore ed esporlo il 17 marzo, essere italiani vuol dire sentirsi da Trieste a Palermo parte integrante di un grande popolo, di una grande nazione, di una grande storia, essere italiani significa riconoscere in Paolo Borsellino e Giovanni Falcone eroi indimenticati che con il loro sacrifício hanno lasciato un segno di cosa vuol dire credere in quel principio fondamentale di ogni democrazia chiamato legalità, essere italiano vuol dire difendere la propria patria anche sacrificandosi, essere italiani significa lottare e impegnarsi nella crescita culturale, economica, sociale di questo Paese.
L'Italia si riconosca nei suoi figli indipendentemente dalla loro matrice biologica.
Sono un italiano nel cuore, nell'anima, nei pensieri, nella vita. Un italiano che viene privato della propria identità.
Non voglio essere avvantaggiato rispetto ad un mio coetaneo italiano, voglio concorrere ad armi pare nell'universita, nello sport e nel mondo lavorativo.
Sono un italiano «con il permesso di soggiorno», senza il quale non potrei avere un futuro. Non è bello, ve lo assicuro, rinunciare ad un viaggio con gli amici o con la classe al liceo perché «vanno solo quelli della comunità europea», fare la fila in Questura ogni due, tre anni per rinnovare il permesso di soggiorno con chi è arrivato l'altra settimana e dell'Italia non conosce niente.
Sono qui dall'inizio della mia vita, non ho attraversato frontiere o dogane, al cous cous preferisco una buona e gustosa pizza margherita.
Non sono diverso dai vostri figli. In fondo l'Italia sono anch'io!
* Forum Agora



Il diritto di cittadinanza
Il Journal, 31-01-2012
Andrea Sarubbi
Andrea Sarubbi, parlamentare del PD , giornalista ed ex conduttore di "A Sua Immagine" su Rai Uno si è particolarmente impegnato, con il collega di FLI Fabio Granata, a portare avanti una legge per la cittadinanza degli immigrati e dei loro figli. Per Il Journal, ha commentato la recente intervista su questi temi del Ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri.
Il problema non è essere d’accordo o meno con l’immigrazione, perché la società cambia senza chiedere il permesso alla politica: quel milione di minori nati o cresciuti in Italia ormai è un dato di fatto, è una presenza con cui è impossibile non fare i conti. C’è chi si illude di poter considerare gli immigrati come una protesi, rimovibile a piacere; il Pd crede invece che si tratti di un trapianto, e che il suo assorbimento senza rigetto sia interesse di tutto il corpo. Ragioniamo sull’immigrazione e sulla cittadinanza con pragmatismo, nell’interesse nazionale: sappiamo che i ragazzi della seconda generazione sono i migliori mediatori culturali con le proprie famiglie d’origine, sappiamo che sono italiani in tutto fuorché nel passaporto, sappiamo che – anche volendo – non potremmo rimandarli mai a casa, perché la loro casa è l’Italia. La cittadinanza, per loro, è allo stesso tempo un atto dovuto e un investimento: perché c’è una profonda differenza tra essere membri a tutti gli effetti di una comunità nazionale ed essere suoi ospiti. La legge attuale, ferma allo ius sanguinis, è stata scritta in un’altra era geologica: racconta di un’Italia in cui nascevano 3 mila bambini stranieri all’anno, mentre oggi lo stesso numero nasce in due settimane. Basta chiedere a un’ostetrica, o a una maestra d’asilo, o a un insegnante della scuola primaria, per rendersi conto di quello che la politica finora non ha voluto vedere. Dobbiamo discutere su come cambiare la legge, questo sì, perché le caricature non fanno bene a nessuno: lo ius soli secco all’americana (quello criticato dal ministro Cancellieri) non è mai stato, di fatto, al centro del nostro dibattito politico: non si è italiani per il solo fatto di nascere da genitori stranieri su un aereo dell’Alitalia (o in un agriturismo delle colline toscane); lo si è, invece, se la nascita si lega a un progetto di vita della famiglia d’origine, che denoti voglia di stabilità in Italia, o se il minore – magari anche quello non nato qui, ma arrivato da piccolo – completa un ciclo nelle nostre scuole. Si possono mettere asticelle più o meno alte, ma una soluzione condivisibile dalla maggioranza delle forze politiche è scritta qui dentro: credo che lo stesso ministro Cancellieri non la pensi diversamente.



UndeRadio, voci d'integrazione dai ragazzi delle scuole romane
Da due mesi, in dodici tra medi e superiori della capitale, funziona una web radio che ha come scopo quello di promuovere l'integrazione e la multiculturalità. Due ore al giorno di trasmissione prodotte da dodici piccole redazioni coordinarte da quella centrale, settecento studenti coinvolti. Temi e domande di estrema attualità... E risposte sorprendenti
la Repubblica, 31-01-2012
MASSIMO RAZZI
ROMA - "Mi sento italiano quando mangio la pasta o la pizza", "Mi sento straniero quando a scuola mi prendono in giro". "Io mi sento italiano perché sono nato qui". "Quando mi sento straniera? Quando mi guardo allo specchio e mi vedo gli occhi a mandorla". Voci alla radio, voci di ragazzi e ragazze di dodici scuole di Roma. Voci che viaggiano per l'etere grazie a UndeRadio, l'emittente web nata due mesi fa per iniziativa di Save The Children e di Media Aid onlus. Il progetto si chiama "Diversi ma uguali. La parola ai ragazzi", i temi sono quelli (attualissimi) dell'integrazione e della multiculturalità; il mezzo scelto è probabilmente il più semplice, diretto ed efficace per comunicare: la radio, appunto, che, in poche settimane, i ragazzi (settecento studenti di scuole medie superiori e inferiori) sembrano già padroneggiare con notevole disinvoltura.
UndeRadio è, nello stesso tempo, il mezzo e lo scopo dell'iniziativa. Coordinati da Emiliano Sbaraglia (responsabile per Media Aid dell'emittente e della sua produzione) e da Paolo Lattanzio (capo progetto per Save the Children)  gli alunni delle scuole Amaldi, Manin, Croce, Balabanoff, Montale, Vespucci, Pagano, Volta, Ceccherelli, Pertini, Ex-Ilaria Alpi e Confalonieri (quartieri Esquilino, Tiburtino, Magliana, Tor Bella Monaca) si sono organizzati in tante piccole redazioni che, a loro volta, hanno dato vita a una redazione centrale con sede presso la scuola Manin vicino a piazza Vittorio luogo simbolo
della multiculturalità a Roma.  La redazione centrale coordina e mette in onda due ore di trasmissione giornaliera. Il risultato lo si può ascoltare collegandosi al sito di UndeRadio 1: i programmi vengono lanciati in streaming e sono rintracciabili via podcast in un calendario che, ormai risale a dicembre. Alla fine dell'anno scolastico si svolgerà un convegno per trarre le somme dell'iniziativa. A quel punto, teoricamente, UndeRadio dovrebbe spegnersi, ma le scuole sembrano intenzionate a cercare di tener viva l'esperienza anche negli anni futuri.
"All'inizio  -  spiega Sbaraglia  -  ci sono state inevitabili difficoltà dovute a timori e diffidenze, ma i ragazzi ci hanno messo poco a impadronirsi del mezzo. Basta ascoltarli per capire come si sentono naturali davanti a un microfono: quando parlano loro il discorso scorre fluido, quando interveniamo noi adulti è più facile sentire errori di dizione o ripetizioni". I temi sono quelli sono quelli della partecipazione, della non-discriminazione, dell'integrazione e dell'interazione. E anche del tema più caldo di queste settimane: il diritto di cittadinanza per chi è nato in Italia da genitori stranieri. Ci sono dialoghi, interviste e i ragazzi hanno cominciato a realizzare anche piccole inchieste sul territorio e sui fatti interni alle scuole. Le difficoltà? "Soprattutto far partecipare al progetto studenti di seconda generazione  -  racconta Sbaraglia -  che non si sentono abbastanza inseriti e rischiano l'autoghettizzazione. Come i ragazzi cinesi dell'Esquilino che, dopo due mesi di trasmissioni, non hanno ancora voluto parlare alla radio. Ma sono certo che arriveremo a coinvolgerli".
Tra voci e musica, le domande e le risposte citate all'inizio ritornano spesso. Il gioco radiofonico dell'intervista reciproca si basa su alcuni interrogativi rivolti ai ragazzi di seconda generazione: "Quando ti senti italiano? Quando ti senti straniero?". Le risposte sono quelle citate all'inizio e rivelano sicurezze e insicurezze, legami forti all'Italia e solitudini, integrazione e distanze.  Le stesse domande, un po' modificate, vengono rivolte a studenti italiani. "Quando ti senti meno italiano?". "Quando leggo di Calciopoli", "Quando il comandante abbandona la nave"... Come dar loro torto?



L'lrpef degli imimigrati porta 6 miliardi al Fisco
la Discussione, 31-01-2012  
«No taxation without representation», nessuna tassa senza rappresentanza, era lo slogan delle 13 colonie inglesi in America, embrione degli Stati Uniti, che si opponevano ai balzelli senza diritti in contropartita pretesi dalla madre patria. Uno storico principio assorbito dalla cultura liberale, ma capovolto oggi dalla condizione degli immigrati italiani: le tasse le pagano, ma di elettorato attivo (e figurarci passivo) nemmeno a parlarne. Per tacere degli altri diritti di cittadinanza. Gli stranieri sborsano di Irpef quasi 6 miliardi di euro, versando al fisco 2.810 euro a testa, fa sapere una ricerca della fondazione Leone Moressa che ha elaborato i dati del Ministero delle Finanze sulle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2010.
Gli immigrati sono 2,1 milioni e contribuiscono per il 4,1% del gettito complessivo nazionale. Ma tra tutti quelli che presentano la dichiarazione dei redditi, quelli che poi in realtà pagano l'Irpef sono il 64,9%. Nella classifica regionale, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia sono le aree in cui è maggiore il peso della contribuzione straniera sul totale dell'Irpef pagata. In Italia i contribuenti nati all'estero che nel 2010 hanno pagato l'Irpef (ossia hanno avuto un imposta netta positiva) sono stati oltre 2,1 milioni di soggetti. La maggior parte di essi sono concentrati in Lombardia (20,9%), in Veneto (12,0%) e in Emilia Romagna (11,2%). Se si analizza il peso degli stranieri che hanno pagato l'imposta netta rispetto al totale dei contribuenti che hanno pagato l'Irpef, si nota come Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia siano le due regioni che mostrano la maggiore incidenza: in entrambe le aree su 10 soggetti che pagano le imposte sui redditi, uno è straniero. Subito dopo si trovano regioni quali il Veneto (9,0%), l'Emilia Romagna (8,7%) e la Liguria (8,2%). Più si scende verso Sud, minore è l'incidenza dei contribuenti stranieri.
«Stranieri di nascita ma italiani di contribuzione. Gli stranieri che in Italia lavorano sono tenuti a pagare le tasse - af- fermano i ricercatori della fondazione Leone Moressa - ma il loro importo differisce da quanto pagato dagli italiani: i bassi livelli di reddito, quasi esclusivamente da lavoro dipendente, comportano un esborso per gli stranieri di poco meno di 3mila euro all'anno. Valori che aumentano nelle aree del Nord dove la presenza e la penetrazione degli stranieri nel mercato del lavoro è più radicata».
Peraltro, le tre manovre fiscali susseguitesi da quest'estate prevedono un aggravio per i bilanci delle famiglie straniere che, a regime, sarà pari a quasi una mezza mensilità all'anno: se nel 2012 la maggiore tassazione sarà attorno ai 300 euro, nel 2014 (quando entreranno a regime tutte le disposizioni di legge) si stima un esborso di 438 euro per una famiglia mononucleare e di 578 euro per una famiglia di quattro componenti.
Un nucleo straniero monoreddito composto da padre, madre e due figli a carico, subirá una maggiorazione delle imposte che parte dai 119 euro del 2011, per arrivare ai 317 euro del 2012, ai 519 del 2013, fino ai 578 del 2014. Anche in questo caso, se nel 2011 è l'addizionale regionale Irpef che determina l'aumento di tassazione maggiore (+53,5 euro), dal 2012 sarà invece l'addizionale comunale a far registrare il maggiore esborso (+60,6 euro).
Gettando uno sguardo al mercato del lavoro, c'è un settore ormai quasi monopolio degli stranieri: quello dell'assistenza agli anziani. La richiesta di badanti non si ferma neppure di fronte alla crisi. Dal 2001 il numero di lavoratori domestici stranieri è quintuplicato raggiungendo quota 711mila. Secondo le stime della fondazione Leone Moressa, nelle casse dell'Inps sono stati versati nel 2010 700 milioni di euro, pari a 985 euro a persona, a fronte di un guadagno medio annuo di 5.828 euro. Identilcit della badante? Donna, straniera, di 41 anni, proveniente dall'Est Europa, che lavora per 28 ore la settimana dichiarandone 33. «Il progressivo invecchiamento délia popo- lazione, la maggiore presenza delle donne nel mercato del lavoro - spiegano i ricercatori - e la scarsità di servizi assistenziali pubblici spinge molte famiglie ad affidare a terzi la gestione dei propri anziani, e in alcuni casi anche délia casa». La maggior parte dei contribuenti nati all'estero, è costituita da rumeni, che sono il 17,4% del totale, seguiti da albanesi e marocchini.
Prevalentemente, il loro è un reddito da lavoro dipendente. Anche la gran parte dei redditi provenienti dagli italiani, è costituita da redditi da lavoro dipendente. La differenza è relativa ai redditi da terreni e fabbricati. Mentre l'82% degli
italiani dichiara anche reddito proveniente da terreni fabbricati, per gli stranieri si parla di appena il 19,2%.
Un'altra indicazione per capire come è composto il reddito proviene dai dati dellTstat. Si nota che il reddito da lavoro è la principale fonte per gli immigrati. Per gli italiani la fonte principale è relativa alla pensione: il 40,6% degli intervistati dall'Istat per questa rilevazione, dice di ricevere redditi da pensione.
Di tutti i pensionati residenti in Italia, appena l'l,7% è straniero. Gli immigrati invece possono beneficiare di più dei sussidi di integrazione al reddito rispetto agli italiani, soprattutto sussidi alla disoccupazione o assegni famigliari.
In questo caso, il 14,1% di tutti coloro che in Italia ricevono sussidio di integrazione al reddito relativo al sussidio di disoccupazione, è composto da stranieri.
Le 3 manovre varate quest'anno dai governi tolgono mezza mensilità ai nuclei familiari.



“L’impresa in regola” una guida della Prefettura di Firenze rivolta agli imprenditori immigrati.
Presentata la seconda edizione della pubblicazione realizzata in collaborazione con la Camera di commercio. Un focus sulle attività di parrucchiere ed estetiste.
Immigrazione Oggi, 31-01-2012
Perché conviene lavorare con regolare contratto? Quali solo le prestazioni di cui si ha diritto? Cosa si rischia a impiegare lavoratori in nero? A queste domande risponde la guida L’impresa in regola, vantaggi e opportunità, realizzata dalla Prefettura di Firenze e Camera di commercio per aiutare gli stranieri a fare impresa nel rispetto delle regole.
Il libro è stato presentato ieri presso la Prefettura di Firenze, nell’ambito del consiglio territoriale per l’immigrazione, dal prefetto Paolo Padoin e dal presidente della Camera di commercio Vasco Galgani. All’elaborazione della guida hanno partecipato anche Agenzia delle entrate, Direzione provinciale del lavoro, Inps, Azienda sanitaria di Firenze, insieme a professionisti e consulenti, a conferma della efficace collaborazione istituzionale avviata su questo progetto fin dal 2006.
“La nuova guida punta a dimostrare – ha sottolineato il prefetto Paolo Padoin – quanto sia più conveniente svolgere un’attività imprenditoriale secondo le regole. Solo così, infatti, si può avere accesso a forme di tutela previdenziale e pensionistica o avvalersi di agevolazioni, come quelle messe in campo dalla regione a favore delle imprese femminili e giovanili”.
Questa seconda edizione del volume ha voluto approfondire due tipologie lavorative, quelle di parrucchiere e di estetista, perché richiedono particolari requisiti igienico-sanitari e l’utilizzo di strumenti e prodotti cosmetici, alla sicurezza dei quali, infatti, è dedicato un intero capitolo. L’attenzione si sofferma poi sulla regolarità di strumenti di precisione e bilance, usati in tanti esercizi commerciali, che per legge devono essere sottoposti a verifiche periodiche. Infine un focus sulla vendita in internet di merce contraffatta, che aggira le norme del commercio elettronico proponendo prodotti potenzialmente dannosi per la salute del consumatore.



Immigrazione: Unhcr, 1.500 morti e dispersi nel Mediterraneo
Nel 2011, cifra piu' alta dal 2006
(ANSAmed) - GINEVRA - Sono più di 1.500 i migranti e rifugiati morti affogati o dispersi nelle acque del Mediterraneo nel 2011 mentre tentavano di raggiungere l'Europa: è il numero più alto mai registrato dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) da quando ha iniziato a registrare queste statistiche, nel 2006. "Il vero numero potrebbe essere tuttavia più alto", ha affermato l'Unhcr oggi a Ginevra. Il precedente record era stato registrato nel 2007 con 630 morti o dispersi. L'anno scorso - anno della Primavera araba - ha anche registrato un record di 58mila arrivi in Europa. La maggioranza è giunta in Italia (56mila di cui 28mila tunisini), ha precisato la portavoce dell'Unhcr Sybella Wilkes.(ANSAmed).



La Cgil annuncia un ricorso contro il contributo sul permesso di soggiorno.
“È ingiusto che le risorse necessarie alle espulsioni debbano ricadere su chi è regolarmente presente sul territorio”.
Immigrazione Oggi, 31-01-2012
Una normativa ingiusta che influisce sui lavoratori stranieri attribuendo loro i costi delle espulsioni degli irregolari. Sono questi i motivi per cui la Cgil ha annunciato un ricorso contro “l’ingiusto provvedimento” delle tassa sui permessi di soggiorno.
Ad annunciarlo sono stati ieri il segretario confederale della Cgil, Vera Lamonica, e il presidente dell’Inca, Morena Piccinini, per i quali “la norma è ingiusta sia perché, oltre a violare la legge, incide sugli stranieri che già contribuiscono con il loro lavoro alle finanze dello Stato sia perché si addebitano loro i costi di una politica delle espulsioni che è sempre meno coerente con i movimenti migratori in atto”.
Secondo i due rappresentanti, “è ingiusto che le risorse necessarie alle espulsioni debbano ricadere su chi è regolarmente presente sul territorio. È sulla regolarizzazione di chi non lo è e sull’emersione del lavoro nero che le fonti di finanziamento alle politiche migratorie e di integrazione vanno trovate. Questo in coerenza con quanto il Governo si è impegnato a fare nella lotta alla evasione fiscale”.

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SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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