Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

29 luglio 2013

Calabria, nave con 102 migranti siriani intercettata al largo di Crotone
A bordo del peschereccio due donne e una bambina piccola. In corso gli accertamenti, indagine su due presunti scafisti. Il gruppo sarà trasferito nel Cara di Isola Capo Rizzuto
la Repubblica, 29-07-2013
CROTONE - Un peschereccio di 17 metri con a bordo 102 migranti di nazionalità siriana, tra cui due donne, una bimba di 4 anni e altri minori, è stato intercettato al largo delle coste ioniche calabresi dalla Guardia di Finanza. I migranti, in discrete condizioni di salute, saranno trasferiti al porto di Crotone. Un aereo del dispositivo di pattugliamento aeromarittimo dell'Agenzia Europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere (Frontex), coordinato dal Gruppo Aeronavale della Guardia di Finanza di Taranto, ha intercettato il peschereccio nella primissima mattinata di ieri, a circa 170 miglia dalla costa nelle acque internazionali antistanti il litorale tra Roccella Jonica e Crotone.
Un pattugliatore e un guardacoste della Sezione Operativa Navale della Guardia di Finanza di Crotone hanno quindi individuato l'imbarcazione nelle acque territoriali alle 2.20 della notte. All'arrivo in porto, previsto alle 9, si procederà allo sbarco, con l'ausilio dei baschi verdi del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Crotone, alle prime cure dei migranti e alla successiva identificazione. Due persone sono state riconosciute quali presunti scafisti e proseguiranno gli accertamenti d'indagine, sulla base anche degli elementi raccolti durante tutte le fasi dell'operazione. I migranti saranno accompagnati al Cara di S. Anna di Isola di Capo Rizzuto.



Strage di migranti: “Ci sono 31 morti” e a Lampedusa torna l’emergenza
Si capovolge gommone davanti alle coste libiche, il racconto dei sopravvissuti. Alfano: “Fermare i mercanti di morte”
la Repubblica, 29-07-2013
ALESSANDRA ZINITI
LAMPEDUSA — Sono sbarcati sul molo Favaloro, là dove solo tre settimane fa Papa Francesco ha abbracciato altri profughi come loro, con ancora negli occhi le tragiche immagini delle mani dei loro compagni di viaggio che uscivano dall’acqua in un ultimo disperato grido d’aiuto, arsi dal sole, disidratati e soprattutto choccati per quella tragica traversata che ha aggiunto 31 vittime senza nome al lunghissimo elenco degli oltre 6.000 morti in fondo al Canale di Sicilia.
In 22 ce l’hanno fatta, salvati dalla prontezza dei soccorsi dirottati sul luogo del naufragio dalla nostra Guardia costiera che venerdì pomeriggio ha raccolto l’allarme lanciato da bordo di un gommone che stava per affondare al largo delle coste della Libia. Gli uomini degli equipaggi di due mercantili panamensi, il Gaz United e il Gaz Energy, li hanno tirati fuori dall’acqua al tramonto, prima venti, poi altri due mentre il piccolo gommone sul quale avevano viaggiato stava ormai per affondare. «Eravamo 53 a bordo — racconta Jalil, 21 anni, senegalese — ci avevano fatto imbarcare mercoledì da una spiaggia della Libia dove eravamo in attesa da mesi, ma il gommone era troppo piccolo per tutti e imbarcava acqua continuamente.
In tre giorni pensavamo di dover essere ormai arrivati e invece si vedeva solo mare. Quando abbiamo capito che saremmo affondati, uno di noi che aveva un telefono satellitare ha dato l’allarme, le donne piangevano, avevano sete, poi quando abbiamo visto le navi che si avvicinavano ci siamo buttati in mare. Abbiamo chiesto di cercare gli altri, ma non si vedeva più niente ».
Ci sarebbero nove donne tra le 31 vittime di questo nuovo naufragio, il terzo del 2013, dopo il tragico soccorso dei migranti aggrappati alle gabbie dei tonni in mezzo al Canale di Sicilia che turbò tanto Papa Francesco da spingerlo a scegliere Lampedusa come prima visita del suo pontificato.
Arrivati a Lampedusa ieri mattina, i 22 superstiti (tutti di Nigeria, Gambia, Benin e Senegal) sono stati rifocillati e condotti al centro di prima accoglienza dove, dopo gli sbarchi delle ultime ore (450), la situazione è ormai oltre il limite. Un migliaio di profughi a fronte di una capienza di meno di 300 posti, una situazione d’emergenza soprattutto per i minori, circa 150, bloccati a Lampedusa da settimane in condizioni drammatiche come denuncia Terre des hommes che lancia un appello affinché vengano trovati i fondi per le comunità destinate all’accoglienza dei minori.
Il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che ieri ha disposto il trasferimento di un centinaio di migranti sulla terraferma, ha auspicato nuovi accordi che possano fermare i flussi migratori in preoccupante aumento. «La tratta di esseri umani deve avere termine, bisogna rafforzare una rete di collaborazione con i principali Paesi d’origine dei flussi migratori ».
La preoccupazione è che nelle prossime settimane, con l’acuirsi della tensione nel Nord Africa e in Siria, ci sia un vero e proprio assalto alle coste siciliane. Ancora ieri, lo stesso mercantile panamense che ha soccorso i superstiti del naufragio ha recuperato altri 92 clandestini, tra cui 16 donne, dirottandoli verso Pozzallo visto il sovraffollamento di Lampedusa. Ma le coste della Sicilia orientale, ormai da mesi, sono diventate la meta alternativa dei trafficanti di uomini che hanno scelto il litorale di Porto Palo di Capo Passero, tra Ragusa e Siracusa, come punto dove lasciare i profughi in partenza dalle coste egiziane. Solo negli ultimi due mesi ne sono arrivati più di duemila. E quasi tutti sono richiedenti asilo politico. Come le donne somale che ieri mattina, insieme ai loro bambini, hanno inscenato una protesta bloccando le strade di Modica. Musulmane, ospiti del centro di accoglienza per richiedenti asilo, chiedevano di poter avere del cibo dopo il tramonto, in ossequio al Ramadan.



Se l’oculista Kyenge potesse curare la miopia di Sartori (e dell’italiano medio)
Corriere della sera, 29-07-2013
Marco Antonsich
Credo che sia un fatto generazionale. La probabilità statistica di opinioni e atteggiamenti conservatori verso tutto ciò che può essere definito come “nuovo” o “diverso” cresce, a volte, col crescere dell’età. Giovanni Sartori, dall’alto dei suoi 89 anni, non fa eccezione. La Fallaci e la battaglia negli ultimi suoi anni di vita contro l’Islam pure confermano la regola. Intendiamoci. Sartori è uno tra i più noti politologi italiani e un’autorità nel campo degli studi sui partiti politici. Ma anche questo è il punto. Essere un’autorità in questo campo non produce un automatico diritto per essere autorità in campi estranei alla sua specializzazione. E questioni sociali e culturali legate al cambiamento demografico delle società contemporanee non paiono essere un campo dove egli si muova con le dovute sensibilità intellettuali ed analitiche. Certo, alcuni anni fa, egli ha discettato di questioni legate alla diversità dall’alto della sua dotta conoscenza di teorie politiche.
Ma il passo dalla società ideale, fondata su principi normativi, alla società reale, che sfugge ad ogni fisso ingabbiamento teorico è ovviamente incommensurabile.
    Il rischio di giudicare tutto dall’alto di un osservatorio accademico, senza mettere testa e piedi laddove il cambiamento avviene, rischia di creare forti miopie, che forse la signora Kyenge potrebbe aiutare nella sua doppia veste di medico oculista e di immigrata con una storia di integrazione positiva.
Non mi dilungo su una serie di punti che comunque Sartori, secondo me, fatica a leggere correttamente. Ovvero un terzomondismo che certo non è figlio della caduta del Muro, essendo stato importato in Italia dalla Francia post-coloniale già negli anni Settanta; delle incompetenze del governo Letta che indirettamente farebbero risultare competentissimi tutti i governi precedenti; della richiesta di uno ius soli pieno che mai la Kyenge ha domandato; e della definizione di integrazione come “fusione tra un popolo e un altro” che magari (ma dubito) esiste in teoria, ma mai si è vista in terra, nemmeno in quella società del melting pot americano che appunto adotta forme di multiculturalismo di fatto per gestire e rispettare le diversità di cui è composta.
    Quello che mi preme invece osservare è il modo di vedere sartoriano che credo rifletta il vedere dell’italiano medio.
Quando si parla di integrazione, Sartori e l’italiano medio vedono solo una parte – la loro. Chi si deve integrare sono gli altri, che devono adottare i “nostri” modi di vestirsi, di mangiare, di parlare e magari anche di pensare. A parte il fatto che questa allora non sarebbe più integrazione – che comporta sempre uno scambio reciproco – ma assimilazione, il punto è che Sartori e l’italiano medio non vedono come questa domanda di “integrazione” sia vanificata dalla convinzione di fondo che comunque l’altro non potrà mai diventare come noi. Rimarrà sempre l’orango o chi è riuscito a laurearsi senza (saper) leggere.
    Sono questi atteggiamenti di razzismo, aperto o mascherato, i veri ostacoli all’integrazione.
E se Sartori non fosse affetto da miopia ben vedrebbe che in Francia, in Inghilterra ed altrove le seconde o terze generazioni che non si dichiarano francesi, inglesi o altro lo fanno esattamente per ribadire il loro rifiuto a società razziste che non li riconoscono come figli/e propri/e. Seppur attraverso un “miracolo” – laurearsi senza leggere – la Kyenge ha vissuto sulla sua pelle (nera) cosa significhi “integrarsi” in una società che spesso preferisce celebrare il maiale day anziché seguire i passi di Francesco a Lampedusa.
    Ecco perché lei più di altri può aiutare tutti a vederci meglio sul tema dell’integrazione – tema che Sartori credo abbia letto solo sui libri



“Con i razzisti serve più severità e anche la Bossi-Fini va superata”
Il Viminale: tolleranza zero dopo il caso Kyenge    
la Repubblica, 29-07-2013
VLADIMIRO POLCHI
ROMA — «Il Viminale alzerà il livello d’attenzione contro il diffondersi di atti di razzismo: dalla condanna siamo intenzionati a passare all’azione, ed uno dei primi passi sarà cambiare una legge inefficace come la Bossi- Fini». Il viceministro ministro dell’Interno Filippo Bubbico rompe gli indugi all’indomani degli insulti a Cécile Kyenge e trova alleato il mondo delle associazioni, pronto a scendere in campo con l’Arci che annuncia una grande manifestazione in autunno in solidarietà al ministro dell’Integrazione.
«La Kyenge reagisce con dignità e tolleranza ad attacchi odiosi — sostiene Bubbico — noi invece non possiamo più tollerare una situazione che, oltre che odiosa, può diventare pericolosa. Sono giuste le condanne, ma ora è il momento di agire contro il persistere di atti di inaudita violenza che prendono di mira una nostra concittadina». Per questo, il viceministro progetta «una maggiore attenzione e un’azione ancora più efficace contro il razzismo». Ma «lo strumento repressivo da solo non basta, le risposte devono essere anche culturali e nessuna forza politica può più sminuire come semplici cadute di stile episodi tanto violenti di razzismo». Il problema è che ci sono leggi di per sé discriminatorie, «come la Bossi-Fini che rispetto agli obiettivi dichiarati registra una scarsa capacità d’incidenza. I centri d’identificazione ed espulsione per esempio producono sofferenza umana a carico di chi ha abbandonato seppure irregolarmente il proprio Paese per fuggire da una vita
di stenti e non si sono rivelati efficaci nel governo dei flussi clandestini. Per questo — afferma Bubbico — la Bossi-Fini va cambiata, garantendo la sicurezza dei cittadini, ma anche i diritti civili e umani dei migranti». Infine la cittadinanza: «Un bambino figlio di immigrati che fa le nostre scuole deve potersi sentire italiano. Dunque avanti con lo ius soli, ma senza improvvisazioni, garantendo la cittadinanza a chi sceglie il nostro Paese integrandosi, pur nel rispetto delle proprie tradizioni».
In difesa della Kyenge si muove anche l’Arci. Dopo i manifesti affissi in mezza Italia di solidarietà al ministro, Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci, annuncia per l’autunno «una grande mobilitazione, perché è arrivato il momento di schierarsi, di indignarsi in modo visibile contro questa barbarie». L’Arci chiederà «alle altre associazioni, al mondo della cultura e alle istituzioni di condividere con noi la necessità di una manifestazione in solidarietà al ministro dell’Integrazione e contro il razzismo».
E contro il razzismo si muove pure il “Piano nazionale d’azione” che verrà presentato domani dalla Kyenge e dal viceministro del Lavoro e Politiche Sociali, Maria Cecilia Guerra. «Il piano — si legge — rappresenta una risposta alla recrudescenza del fenomeno razzista alla quale stiamo assistendo». Il piano si muoverà sui seguenti «assi prioritari: occupazione, alloggio, istruzione, mass media e sicurezza» e avrà un «focus specifico sulle seconde generazioni» di immigrati.



«Chiudiamo i Cie», un inferno anche per chi ci lavora
Condizioni sanitarie indecenti per gli stranieri trattenuti; stipendi in ritardo per mesi agli addetti.Duemozioni Pd per «superare» le strutture
l'Unità, 29-07-2013
ANDREA BONZI
Il Pd chiede la chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie). Oggi saranno depositate in Parlamento le mozioni a firma della deputata Sandra Zampa e della senatrice Rita Ghedini, in cui si impegna il governo a superare e ripensare completamente il sistema di detenzione amministrativa. Le due parlamentari bolognesi - che da tempo seguono la vicenda - si sono decise a intervenire dopo aver visitato diverse strutture (complessivamente 13 in tutta Italia), in particolare le due situate in Emilia-Romagna, a Modena e Bologna (attualmente chiusa). «La prima questione - spiega Ghedini - è che vengono rinchiusi nello stesso luogo varie tipologie di persone e con necessità diverse. C’è il muratore che ha perso il lavoro e il permesso di soggiorno, la badante irregolare, la donna vittima di tratta, il richiedente asilo e l’ex carcerato a fine pena». Una convivenza aggravata dalle condizioni di vita inaccettabili: «Guardi, sono appena uscita da una visita dal carcere della Dozza. Posso garantirle che il Cie di Bologna, che ora ha chiuso, aveva condizioni igieniche molto peggiori di quelle che la casa circondariale, dove pure ci sono il doppio di detenuti della capienza consentita, ha oggi».
Qualche esempio lo fa Anna Maria Margutti, della segreteria Fp-Cgil di Bologna: «Quella di via Mattei è un’ex caserma. C’erano letti in pietra, nessuna possibilità di avere un po’ di privacy, non venivano dati neppure abiti di ricambio, le donne lamentavano la carenza di assorbenti, ci sono stati casi di scabbia. Per non parlare della presenza di addetti per supporto psicologico e legale, i primi servizi a essere tagliati».
Uno dei punti caldi, al di là della contrarietà di fondo allo strumento, legato alla Bossi-Fini e poi alla legge Maroni, che ha allungato fino a 18 mesi il periodo di detenzione, è il nodo degli appalti. Il capitolato di gestione è uguale su tutto il territorio nazionale, e, di fatto, ha dato vita a una gara al ribasso: 30 euro al giorno a migrante. «Una cifra insostenibile - taglia corto Marco Bonaccini, segretario della Funzione pubblica Cgil di Modena -. Pensi che nella struttura sul nostro territorio, tra le più piccole con una capienza di circa 60 persone, prima di questa nuova gara la Confraternita della Misericordia (guidata da Davide Giovanardi, fratello dell’ex ministro, ndr) aveva una soglia di oltre 70 euro a persona. Noi riteniamo che, per avere dei servizi dignitosi, ne bastino 55. Ma 30 sono proprio pochi». Tanto che le prime gare d’appalto, l’anno scorso, erano andate deserte.
Poi è arrivato il siracusano Consorzio l’Oasi, che ha vinto a Bologna (con un’offerta di 28,5 euro pro capite), Modena (29,5 euro), Trapani e ora corre anche a Milano. Ma i problemi non sono mancati. Sotto la Ghirlandina, i 25 lavoratori hanno concluso ieri uno sciopero di 6 giorni protestando per i ritardi nel pagamento dello stipendio: «Mancano ancora le buste riferite a due mesi di lavoro, ma l’Oasi è da 9 mesi che non paga - attacca Bonaccini -, gli altri 7 mesi è stata la Prefettura ad assicurare gli emolumenti. E, avendo appena ricevuto l’ok del Ministero, coprirà anche il periodo rimanente».
Ed è di sabato l’affondo del primo cittadino, Giorgio Pighi: «Chiudiamolo, crea solo problemi alla città». A Bologna, è successo tutto più in fretta: l’appalto è passato di mano a dicembre 2012, a metà marzo il Cie ha chiuso per lavori di ristrutturazione decisi dalla Prefettura, che poche settimane dopo ha rotto il contratto con l'Oasi, anche a seguito delle gravi carenze segnalate
dall’Ausl, da un esposto della Cgil e dalle parole forti di Virginio Merola, colpito dopo una visita nel «cuore di tenebra
» della città. A fine giugno i 31 lavoratori sono stati mandati a casa e la struttura è tutt’ora serrata.
UN FALLIMENTO ANNUNCIATO
Le mozioni Pd potrebbero dunque fare breccia, se è vero che il sottosegretario dell’Interno, Domenico Manzione, rispondendo in aula alle interrogazioni Pd, ha ribadito che i criteri di appalto della legge Maroni «hanno prodotto una distorsione nelle gare» e vanno rivisti, e si è detto disponibile a valutare la chiusura del centro modenese. Nel testo delle mozioni di Zampa e Ghedini, il fallimento del meccanismo della Bossi- Fini-Maroni e del sistema dei Cie italiano è nei numeri.
Nel 2012, sono stati 7.944 (tra cui 932 donne) i migranti trattenuti nelle strutture italiane. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati con un tasso di efficacia poco superiore al 50%, una parte comunque infinitesimale (il 2,3% rispetto al 2011, lo 0,3% rispetto al 2010) rispetto al totale delle persone ricondotte nel proprio Paese di origine: «Si conferma dunque la sostanziale inutilità dell’estensione della durata massima del trattenimento ai fini di un miglioramento dell’efficacia delle espulsioni», scrivono le democratiche. Viene ricordato anche il lavoro della Commissione De Mistura, che concludeva chiedendo il superamento delle strutture e che resta «ancora senza attuazione». Il Pd chiede, in primis, un cambio sulle politiche migratorie e sul meccanismo di regolarizzazione e, almeno, di rivedere gli aspetti di carattere organizzativo e gestionale dei Cie.



Sono 4,3 milioni gli stranieri residenti in Italia.
Secondo i dati Istat al 1° gennaio 2013 sono aumentati dell’8,2% rispetto all’anno precedente.
Immigrazioneoggi, 29-07-2013
Secondo gli ultimi dati Istat sono 4.387.721 gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2013, 334 mila in più (l’8,2%) rispetto all’anno precedente. Il calcolo della popolazione straniera residente è stato riavviato a partire dal censimento del 2011, sommando alla popolazione censita al 9 ottobre 2011 il movimento anagrafico del periodo 9 ottobre-31 dicembre 2011 e successivamente quello dell’anno 2012.
L’aumento è stato causato soprattutto dall’immigrazione dall’estero (321 mila individui) e, in parte, dalle nascite di bambini stranieri (80 mila), il 15% del totale dei nati da residenti in Italia. Rispetto all’anno precedente, l’incremento delle nascite di bimbi stranieri è dell’1%, inferiore a quello riscontrato per il 2011 rispetto al 2010 (+1,3%).
Nel corso del 2012, 65.383 cittadini stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana. L’86 % degli stranieri risiede nel Nord e nel Centro del Paese, il restante 14% nel Mezzogiorno. Gli incrementi maggiori nel corso del 2012 si manifestano tuttavia nel Sud (+12%) e nelle Isole (+10,9%).
(Red.)

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