Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

30 luglio 2014

Immigrati, affonda barcone al largo della Libia Almeno venti morti, decine di dispersi
Il naufragio a 100 km a est di Tripoli. A bordo c'erano oltre 150 migranti provenienti dall'Africa sub-sahariana e diretti verso le coste italiane
la Repubblica.it, 30-07-14
TRIPOLI - Nuova tragedia dell'immigrazione al largo della Libia: almeno 20 persone sono morte e decine sono disperse nel naufragio di un barcone a 100 km a est di Tripoli. Lo ha reso noto il portavoce della Marina libica. Secondo i 22 clandestini tratti in salvo, a bordo c'erano circa 150 migranti.
 "Una pattuglia della marina ha messo in salvo 22 migranti immigrati clandestini che erano aggrappati ai resti del loro barca", ha detto il colonnello Kassem Ayoub, portavoce della marina libica, aggiungendo che oltre venti corpi sono stati recuperati.
Secondo i sopravvissuti - ha riferito - circa 150 migranti, provenienti dall'Africa sub-sahariana, erano a bordo dell'imbarcazione diretta verso le coste italiane e affondata al largo di Al Khums, 100 km a est di Tripoli. I soccorsi - ha aggiunto - sono al lavoro alla ricerca di altri possibili sopravissuti.
Intanto, per quanto riguarda le coste italiane, è atteso per le ore 8.30 l'arrivo in rada a Porto Empedocle del mercantile liberiano Perge, con a bordo 112 migranti di origine subsahariana soccorsi nel Canale di Sicilia. Il trasbordo e lo sbarco in banchina dei profughi sarà curato da motovedette della Guardia costiera e da unità navali dei Carabinieri e della Polizia; le operazioni sono coordinate dalla Capitaneria di Porto Empedocle.
 
 
 
Naufragio al largo della Libia, morti 20 immigrati 
Io Messaggero, 30-07-14
Schiacciati tra la disperazione e la paura sono saliti su un barcone che li doveva portare in Italia ma quando si trovavano a un centinaio di chilometri a Est di Tripoli hanno fatto naufragio. L`allarme è scattato quando era già buio e dalle prime notizie si profila una tragedia di grande proporzioni: a bordo erano oltre 150 e il conteggio dei sopravvissuti si è fermato a 22: venti i cadaveri subito recuperati mentre per tutti gli altri ci sono ben poche speranze: «dispersi» dicono le prime agenzie targate Tripoli riprendendo fonti della Marina libica. 
VIA DALLA GUERRA 
Non vedevano l`ora di partire, come altre migliaia che sono in attesa, per lasciarsi alle spalle una Libia in guerra dove regnano le milizie e l`anarchia, dove non c`è uno straccio di stato che provi a rispettare accordi presi nel dopo Gheddafi con l`Italia per frenare l`esodo dei clandestini verso le nostre coste. E non vedevano l`ora di farli partire anche gli scafisti, probabilmente preoccupati di perdere qualche "bagaglio umano" e quindi un po` di guadagno a causa delle violenze che stanno dissanguando la Libia. 
E` andata meglio, ieri, ad altri disperati che dopo aver lanciato una richiesta di aiuto sono stati soccorsi da una nave cargo battente bandiera delle Bahamas e che trasporta gas e petrolio: anche questi immigrati, circa un centinaio, erano partiti dalla costa libica. La nave che li ha salvati ha fatto rotta verso Brindisi dove dovrebbe attraccare questo pomeriggio alla banchina di Costa Morena. Non è ancora noto se a bordo vi siano anche donne e bambini: a coordinare le operazioni di ingresso nel porto è la capitaneria di porto di Brindisi, mentre le operazioni di identificazione e soccorso sono coordinate dalla locale prefettura. IL giorno prima la motovedetta Cp 906 della Guardia Costiera, del dispositivo Mare Nostrum, aveva soccorso altri 156 migranti: tra loro 14 donne e 7 minori. Tutti sono stati fatti sbarcare nel porto di Augusta. 
Dall`inizio dell`anno il numero dei migranti che hanno attraversato il Mediterraneo sui barconi della disperazione, e della morte, raggiungendo le coste italiane oscilla tra i 70 e gli 80 amila. E secondo stime fornite dal nostro ministero dell`Interno sarebbero decine di migliaia quelli "in fila" sulle sponde africane pronti a fare rotta verso l`Italia. Agosto, se le condizione meteo saranno favorevoli, potrebbe rovesciarne tra Sicilia e Calabria oltre ventimila. Lo scorso anno in totale ne erano arrivati circa 43 mila. Se il flusso di quest`anno continuerà con la stessa intensità di questi primi sette mesi l`aumento degli arrivi rispetto allo scorso anno potrebbe essere superiore del 200%. E alla lista di siriani, eritrei, somali, etiopi, maligni e di chi proviene da paesi sub sahariani ora potrebbero aggiungersi migliaia di libici. A migliaia sono già fuggiti verso la Tunisia e molti potrebbero decidere di attraversare il Mediterraneo per scappare dalla guerra tra milizie. 
 
 
 
Europa e profughi: mai più irregolarità
Avvenire, 30-07-14
Luigi Manconi*
Lungo un quarto di secolo, nel Mediterraneo sono morti, secondo stime attendibili, almeno ventimila tra profughi e migranti. Due, tre persone che, ogni giorno che Dio ha mandato in terra, hanno trovato nel canale di Sicilia il loro 'cimitero marino'. Una stima che arriva ai sei/sette morti quotidiani se si considerano solo i dati degli ultimi tre anni. E nel solo 2011, anno più nero sotto questo punto di vista, hanno perso la vita oltre duemila persone. Sono queste le cifre crudeli di una strage che l’operazione 'Mare Nostrum' ha, più che fermato, sospeso, in una sorta di tregua precaria. Eppure, lo sappiamo, quella macabra contabilità è destinata a riprendere il suo tragico ritmo. 
Nasce da qui, dalla violenza di questi terribili numeri, la decisione di porre al centro di una possibile politica comune europea per l’immigrazione e l’asilo l’urgenza di fermare quella strage. Come priorità allo stesso tempo politica e morale. È il senso di un piano per l’Ammissione umanitaria elaborato dal sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, e da me, all’indomani del naufragio del 3 ottobre davanti a quell’isola. Lo abbiamo presentato al Capo dello Stato il 21 ottobre 2013 e lo abbiamo discusso in maniera approfondita il 22 luglio scorso, insieme al presidente della Camera, al ministro dell’Interno, al capo di Stato maggiore della marina, al rappresentante dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati e a numerosi esponenti di organizzazioni umanitarie. 
I punti essenziali da cui il piano ha preso le mosse sono: l’urgenza di garantire ai profughi viaggi legali e sicuri attraverso il Mediterraneo, ponendo fine alla lunga sequenza di morti; l’urgenza di una politica comune europea per l’asilo e la necessità di tradurla in azioni condivise; l’urgenza di distribuire in maniera più equa e razionale l’afflusso di profughi e fuggiaschi sull’intero territorio europeo. Questi obiettivi possono essere perseguiti, o comunque resi più praticabili, attraverso una strategia di anticipazione/avvicinamento della richiesta di protezione internazionale in quei Paesi (Giordania, Libano, Tunisia, Egitto, Algeria, Marocco...) dove i movimenti di profughi e fuggiaschi si aggregano, si addensano, transitano. E attraverso un sistema di presidi, garantito dalla rete diplomatica del Servizio europeo per l’azione esterna, dalla rete diplomatico consolare dei Paesi dell’Unione, dall’Acnur e dalle organizzazioni umanitarie internazionali. Un piano da affiancare ad altre proposte, quali il programma di reinsediamento, i progetti di corridoio umanitario, le misure di ingresso protetto e ricongiungimento. 
Sono oltre 80 mila i migranti tratti in salvo nel Canale di Sicilia grazie all’operazione 'Mare Nostrum'. Ma questo fondamentale impegno non può essere l’unica modalità d’intervento: occorre una soluzione duratura nell’ambito delle politiche per l’immigrazione e per l’asilo dell’Unione Europea nei confronti di uomini, donne e bambini che fuggono dalle guerre e dalle persecuzioni (di natura politica, religiosa, tribale, sessuale, etnica...). Si tratta, dunque, di avvicinare geograficamente e giuridicamente il momento e la procedura di richiesta della protezione nei Paesi prima indicati. Il primo passo da compiere è la realizzazione da parte della Ue di presidi internazionali, in collaborazione con le organizzazioni umanitarie e attraverso le ambasciate e i consolati dei Paesi membri e la rete del Servizio europeo per l’azione esterna. Il trasferimento verso il Paese di destinazione, dove la richiesta di asilo sarà formalizzata e completata, deve avvenire, con mezzi legali e sicuri, tramite la concessione di un visto, coinvolgendo tutti gli Stati Membri e fissando per ciascuno quote di accoglienza. L’Europa deve garantire protezione e asilo offrendo ai profughi la possibilità di trovare soccorso senza mettere a repentaglio la vita nella trappola mortale del Mediterraneo. È una proposta, questa, aperta a emendamenti e integrazioni. Vorremmo che fosse discussa a partire da ciò che ne costituisce il cuore: il fatto di essere ragionevolissima e concretissima.
* Presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato
 
 
 
IL DISASTRO DELLE POLITICHE EUROPE 
Immigrazione, mai più morti 
Cronache del Grantista, 30-07-14
Simone Sapienza 
« Il dato reale nessuno lo conosce, quello odocumentato dalla stampa, dal 1988 a oggi, lungo le varie frontiere europee, dice che sono ormai 20mila i morti accertati, il che significa che il dato reale è molto più alto, perché nessuno è in grado di sapere quanti siano i naufragi di cui non si è mai avuta notizia». A parlare è Gabriele Del Grande, scrittore e fondatore del blog Fortress Europe, che dal 2006 raccoglie le cifre (e spesso conta i morti) del fenomeno migratorio che interessa il Mediterraneo, ma non solo. «Certo che 20mila morti sulle coste europee è un dato che fa rabbrividire - aggiunge Del Grande intervistato per Fainotizia.it da Gaetano Veninata - se pensiamo che in tempi di pace il Mediterraneo è diventata una grande fossa comune, sono i caduti di una guerra mai dichiarata che si combatte di fatto in frontiera, ogni giorno, per impedire a poche migliaia di persone di entrare a casa nostra». 
Una casa però, quella europea, che ha 28 legislazioni, procedure e tempi diversi. È questo uno dei principali motivi del sostanziale fallimento delle politiche nazionali. Secondo Francesco Cherubini, ricercatore di diritto dell`Unione europea all`università Luiss "Guido Cadi", ormai è divenuta inudibile la necessità di affidare all`Ue tutti i poteri in materia di immigrazione, ma questo può essere fatto solo con una revisione dei trattati. «D`altra parte commenta - la renitenza degli Stati membri a cedere sovranità su questo tema rende la politica europea monca e le competenze degli Stati scoordinate». 
IL SEMESTRE A GUIDA ITALIANA 
A luglio si è aperto il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell`Unione europea. Tre le priorità che il Governo ha inoltrato a Bruxelles: crescita e occupazione, clima e energia, immigrazione. Che l`immigrazione avrebbe rappresentato il focus del semestre italiano Renzi lo aveva anticipato lo scorso aprile al summit Ue-Africa e lo ha confermato di recente il vice ministro degli Esteri, Lapo Pistelli. Tuttavia sull`effettivo potenziale del semestre europeo aleggiano diversi dubbi. «Con il Parlamento europeo nato dalle ultime elezioni non credo che assisteremo a delle riforme importanti», osserva Del Grande. Il problema, però, non riguarda semplicemente la composizione dell`assemblea. La presidenza italiana non garantisce certo una piena autonomia d`azione, poiché le decisioni più importanti sono prese a livello di Consiglio europeo. Il rischio, dunque, è giocare una partita persa in partenza. A illustrare con chiarezza la questione è Emma Bonino, ex-ministro degli Esteri intervistata per FaiNotizia.it da Daniela Sala: «Su questo fenomeno difficilmente nel semestre europeo avremo una svolta normativa, per il semplice motivo che nei prossimi sei mesi le istituzioni europee sono in ricostruzione. La nuova Commissione entra in funzione il primo novembre, ammesso che tutte queste procedure vadano in porto. Potrà essere però un importante periodo di semina di priorità politiche. A sud del Mediterraneo - prosegue la leader Radicale - sono in movimento milioni di persone. Il primo passo è quello di accettare questo fenomeno composito non più come una continua emergenza ma come un elemento strutturale che ha vari componenti: economiche, umanitarie, sociali e di sicurezza. Si deve fare un passo avanti sulla comunitarizzazione almeno di certi elementi della politica d`immigrazione, superando i veti tetragoni degli Stati membri». 
UN MARE NOSTRUM EUROPEO 
Alla vigilia del semestre di presidenza italiana, Amnesty International Italia ha presentato le proprie "Raccomandazioni". Il documento contiene un giudizio positivo sull`operazione Mare Nostrum, la missione militare e umanitaria decisa dal Governo Letta, in seguito al tragico naufragio di Lampedusa, con l`obiettivo di prestare soccorso ai migranti prima che possano ripetersi altre tragedie nel Mediterraneo. Sull`operazione Mare Nostrum è favorevole anche il giudizio di Gabriele Del Grande: «A fronte di 60mila arrivi da gennaio ad oggi, contiamo un centinaio di morti in totale: numeri molto bassi rispetto al 2011, ad esempio, quando in conseguenza della guerra in Libia arrivarono più di 50mila persone e ne morirono oltre 2mila». In queste settimane il Governo italiano ha dichiarato che chiederà 
all`Ue di inserire Mare Nostrum nella dinamica di Frontex plus. Cioè la sostituzione della missione italiana attraverso il potenziamento dell`Agenzia europea nata nel 2005 per coordinare il pattugliamento delle frontiere degli Stati Ue. Sempre ammesso che si trovino le risorse necessarie. «Sarebbe meglio il contrario», obietta Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty Italia, «inserirei Frontex dentro l`operazione Mare Nostrum. L`ipotesi militare si è dimostrata fallimentare, se l`Ue e Frontex intendono applicare una politica che ponga la preoccupazione umanitaria al centro delle scelte delle forze di polizia - prosegue Rufini - sarebbe certamente un grosso passo in avanti». 
UN SISTEMA DI ASILO UNICO 
Ma, oltre al soccorso in mare, è l`intera gestione dei profughi a mostrare l`enorme arretratezza delle norme comunitarie. «Abbiamo delle convenzioni che non aiutano e che vanno riviste», spiega Emma Bonino. «In Italia, per esempio, in pochi chiedono l`asilo politico a causa dei vincoli imposti dalla Convenzione di Dublino». Quest`ultima stabilisce infatti che lo Stato membro competente all`esame della domanda d`asilo sia quello in cui il richiedente ha messo piede per la prima volta: poco importa che l`interessato abbia la famiglia a Berlino, a Stoccolma o Parigi. È una lotteria. Diritti e servizi cambiano a seconda della terra di approdo, ma non solo. A cambiare da paese a paese, infatti, sono le stesse chance di vedersi riconosciuto l`asilo politico. 
Alcuni principi della Convenzione di Dublino sono stati rivisti di recente, ma solo parzialmente. Il semestre europeo potrebbe gettare le basi per un`ulteriore revisione, impossibile al momento. Questo del resto è uno dei punti di partenza di tutte le proposte avanzate dalle organizzazioni internazionali. «In questo momento - spiega ancora Del Grande - il ministro dell`Interno Alfano sta ponendo la questione in un modo che ha un po` il sapore della commedia all`italiana. Da mesi ormai la polizia non identifica le persone che sbarcano in Sicilia e il copione è sempre uguale: centinaia siriani o eritrei arrivano e nel giro di 24 ore scappano dai centri di accoglienza, vanno a Catania, salgono sul primo treno per Milano e lì bastano poche ore intorno alla stazione centrale per trovare un passaggio in macchina a mille euro per la Germania o la Svezia». E i dati di Eurostat lo confermano, se è vero che nel 2013 il più alto numero di richiedenti asilo è stato registrato in Germania (127mila), seguita da Francia (65mila), Svezia (54mila), Regno Unito (30mila) e, infine, Italia (28mila). 
Il primo obiettivo per molti dunque è riformare Dublino e ottenere dall`Europa una condivisione della responsabilità, in pratica un sistema di asilo unico, che preveda la possibilità di fare domanda direttamente all`Unione europea. 
PRESIDI UE NEI PAESI DI PARTENZA 
La seconda proposta di difficilissima realizzazione ma che prende sempre più quota all`interno del dibattito europeo è avanzata da varie organizzazioni di frontiera, come l`Unhcr e l`Oim, e in Italia dal presidente della Commissione diritti umani del Senato, Luigi Manconi. L`idea è quella di creare dei corridoi umanitari insieme all`istituzione di screening centers di controllo e smistamento delle domande di asilo e immigrazione, già nei paesi di partenza o di transito. 
«Potrebbero farlo le ambasciate dei paesi dell`Unione o nelle delegazioni dell`Ue negli Stati terzi» spiega Gianni Ritfini. «È assurdo che un cittadino siriano debba rischiare la vita in mare per arrivare in Europa, dovrebbe avere una corsia preferenziale dentro le ambasciate dí qualsiasi Paese del mondo, in particolare di quelli europei», conferma Del Grande. Sulla proposta interviene anche Emma Bonino: «Potrebbe partire come progetto pilota in alcuni paesi, ma non esistono soluzioni miracolose, che valgono in tutte le situazioni. C`è anche un problema di sicurezza in diverse realtà, come ad esempio quella libica, che rimane uno dei punti principali di partenza, dove non senza difficoltà vedrei file di persone davanti a degli uffici, esposte a milizie e ai trafficanti di esseri umani che da questa "legalizzazione" verrebbero duramente colpiti». 
 
 
 
I disperati della giungla che sognano Londra 
Tra le dune tra Calais e Dunkerque si nascondono migliaia di sudanesi, eritrei, afghani e siriani. La polizia ha demolito i campi vicino al porto e sgomberato gli edifici occupati, ma non riesce a fermare la marea di disperati che provano a entrare in Inghilterra 
il manifesto, 30-07-14
Angelo Mastrandrea 
CALAIS - A vete dell`Antidox?» Non ho idea di cosa si tratti. «E` uno  spray, me lo spruzzo addosso così i cani non sentono l`odore». Nella «giungla» di Calais, Jacob si prepara alla traversata della Manica. Sono appena dodici chilometri fino a Dover, poca roba in confronto al viaggio dalla Libia fino a Lampedusa che gli ha aperto le strade dell`Europa. Durante l`occupazione nazista, più di un francese per sfuggire agli invasori lo percorse addirittura a nuoto. Ma oggi per gli immigrati come Jacob superare la Manica è persino più complicato che sbarcare in Europa. Le porte d`ingresso all`Inghilterra sono sbarrate: il porto è controllato militarmente e la stazione di Fréthun, dove partono i treni per Londra, è una specie di prigione a cielo aperto. Il binario è protetto da un`inferriata e sorvegliato da telecamere e militari, i cancelli vengono aperti solo nell`imminenza del passaggio del convoglio e previa presentazione del biglietto. Bisogna superarne un paio e vederseli richiudere alle spalle prima di giungere alla meta. Se si vuole trovare una rappresentazione materiale della Fortezza Europa bisogna venire in questa cittadina di frontiera del nord del continente. 
La Francia non sa come comportarsi con la marea di disperati che si alza o si abbassa a seconda delle circostanze: una guerra in Medioriente, una primavera araba finita male, una crisi improvvisa in un paese africano. Il governo socialista, pressato da un`opinione pubblica sempre più insofferente, risponde a suon di sgomberi la cui efficacia è solo mediatica ma che sortiscono l`unico effetto di gonfiare quella che gli immigrati chiamano «la giungla», una teoria di dune e foreste che si estendono per una cinquantina di chilometri fino a Dunkerque. Va avanti così da anni, ma la volontà disperata di chi ha traversato il deserto e il Canale di Sicilia, l`intera penisola italiana e tutta la Francia e ora si sente a un passo dall`Eldorado è più forte dei gas lacrimogeni e dei controlli. Se si è sfidata la morte per traversare il deserto e il Mediterraneo, figuriamoci se spaventa quest`ultima sfida. 
Jacob sa che ancora una volta rischia la vita. Dovrà infilarsi nel cassone di un tir e sperare di passare indenne ai controlli, di sfuggire ai cani poliziotto grazie all`antidoto anti-odore e di non rimanere soffocato o schiacciato. Nella tragica contabilità di questa epocale tragedia contemporanea non ci sono solo le vittime del Mediterraneo o di Ceuta e Melilla, ma pure le morti della Manica. Asfissiati in una cella frigorifero, come accadde nel 2008 a 58 cinesi, o investiti da un tir com`è capitato a due giovani solo qualche mese fa nel tunnel sotto il mare. Negli ultimi quattro anni, alla frontiera di Calais hanno perso la vita 22 persone, quattro negli ultimi sei mesi. Poca roba, se si pensa agli 800 morti accertati nel Mediterraneo dall`inizio dell`anno, ma pur sempre un tragico bilancio che va ad accrescere il conto complessivo di una delle più grandi tragedie del nostro tempo. Il numero dei disperati fermati tra gennaio e giugno mentre tentavano di passare in Gran Bretagna è più che raddoppiato in un anno: erano 3.129 nello stesso periodo del 2013, sono stati 7.414 quest`anno. 
Sgomberi a go go 
Mi accompagno tra le dune a due attiviste di Medécins du Monde, che vanno a caccia di migranti per fornire loro assistenza medica e, come accade in casi del genere, qualsiasi altro tipo di conforto. La ong ha un piccolo ambulatorio proprio davanti al porto, a pochi passi dall`ultimo campo sgomberato. A rue de Moscou, nello spiazzo di un grande centro di distribuzione commerciale, vivevano oltre seicento persone, e nello stesso giorno sono stati evacuati con la forza altri tre edifici occupati, su richiesta del sindaco Natacha Bouchart, 
un`esponente dell`Ump di Nicolas Sarkozy che è riuscita a contenere l`avanzata del Front Nazional grazie a una politica «legge e ordine». Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando, nel 2000, la classe operaia di Calais si senti quasi in paradiso quando la squadra di 
calcio locale, semiprofessionistica, arrivò alla finale della Coppa di Francia. I giocatori, persa la partita col Nantes, furono accolti in maniera trionfale al ritorno in città e il giorno dopo ripresero la vita di sempre. La star Mickael Gérard tornò a fare il magazziniere. Oggi, con una crisi economica che ha devastato il tessuto sociale, le sirene xenofobe si fanno sentire più che altrove e la guerra tra poveri è dietro l`angolo: lo scorso 13 giugno un ventiseienne del posto ha sparato con un fucile ad aria compressa contro due immigrati, un eritreo e un sudanese, mandandoli all`ospedale. 
E` in questo clima che sono avvenuti gli ultimi sgomberi. Appena è arrivato il via libera del tribunale di Lille la polizia non ha perso tempo: ha accerchiato il campo all`alba, ha evacuato giornalisti e attivisti che avevano passato la notte con i migranti, poi ha sgomberato la baraccopoli senza lesinare in lacrimogeni. Gli abitanti sono stati trasferiti in alcuni centri di accoglienza lontano da Calais, in particolare a Valenciennes, quelli che sono riusciti a fuggire si sono sparpagliati nelle foreste lungo la costa. Per questo le organizzazioni umanitarie sono impegnate M una sorta di censimento di questo «popolo della giungla». Nessuno sa esattamente quante persone vivano in questo modo, perché la terra di nessuno si riempie e si svuota a seconda delle circostanze. «In questo periodo stanno arrivando più o meno un`ottantina di persone nuove al giorno», mi spiega Christine, una delle due attiviste di Médecins du Monde. 
Troviamo Jacob tra gli alberi, poco lontano da un anonimo piazzale asfaltato, nella zona commerciale di Gosselies. Ovunque ci siano delle piante e una radura, un posto riparato e abitabile, si nota qualche tenda di fortuna, degli abiti, insomma segni di vita. Con lui ci sono una quarantina di sudanesi, molti provengono dal Darfur. Non tutti parlano l`inglese e «il francese è troppo difficile per noi», prova a spiegarmi uno di loro. Sono tutti maschi, alcuni molto giovani. Un paio indossano t-shirt «italiane». Una di queste celebra la Festa mondiale del rifugiato 2014 e ha una scritta, «Umberto I». Con ogni probabilità, il mio interlocutore era alla Villa comunale Umberto I di Formia, lo scorso 20 giugno. 
Tranne due o tre, sono tutti passati dall`Italia. Curiosamente, nessuno di loro ne conserva un cattivo ricordo. Di Roma, «bellissima», hanno come punto di riferimento la Stazione Termini. Uno di loro mi dice di aver alloggiato in un centro di accoglienza fuori dalla città, dalla descrizione si tratta forse di Castelnuovo di Porto. Chiedo loro perché non sono rimasti nel nostro Paese. «Cosa ci rimanevamo a fare?», rispondono più o meno tutti. Le mete oggi sono altre: la Germania, i paesi scandinavi, l`Inghilterra. L`Italia, così come la Grecia, in questo momento è considerata un punto di passaggio. 
«Cerchiamo di andare dove abbiamo la possibilità di fare qualcosa», mi dice Jacob. Lui viene dal Nord Darfur, ha studiato a Khartoum, poi è partito per la Libia e infine per l`Europa, «perché in Africa la situazione è davvero brutta». La lingua, la presenza dì una comunità che possa accoglierli, la possibilità di lavorare: sono questi i motivi più ricorrenti per i quali si sceglie la Gran Bretagna, un paese agli antipodi rispetto al punto d`ingresso in Europa e che necessita, per raggiungerlo, di ulteriori sforzi e pericoli. 
Cena con vista mare 
Alle 18 l`associazione Salam serve la cena in uno slargo ai margini di un canale. E` in quest`occasione che gli immigrati, o almeno quelli che non sono molto lontani dalla cittadina, escono dalla giungla per avere un pasto caldo e qualche bevanda da riportarsi indietro. Mi consigliano di andarci perché è lì che si capirà se lo sgombero ha avuto l`effetto di allontanare definitivamente i migrani ti da Calais oppure no. Finora questa strategia non ha funzionato granché: nel giro di un paio di giorni sono di nuovo tutti là a cercare un modo per arrivare in Gran Bretagna. Non sanno che farsene di un dormitorio: l`obiettivo è la Gran Bretagna. 
Va avanti così almeno da quando, nel 2002, l`allora ministro dell`Interno Nicolas Sarkozy decise di chiudere il centro d`accoglienza di Sangatte, gestito dalla Croce Rossa. Nel 2009 la storia di questa Lampedusa del nord fu raccontata in un film, Welcome, di Philippe Lioret, il cui protagonista è un istruttore di nuoto che aiuta un giovane iracheno ad attraversare la Manica. Fecero discutere, all`epoca, le parole del regista che paragonò il trattamento dei migranti a quello degli ebrei durante il regime di Vichy. Durante il governo Sarkozy, il ministro dell`Immigrazione Eric Besson, ex socialista, si fece vedere tra le dune e promise di ripristinare lo Stato di diritto: «La legge della giungla è terminata». Qualche anno dopo, siamo ancora allo stesso punto. 
A pochi giorni dall`ultima prova di forza, la seconda in grande stile dopo le elezioni europee, trovo centinaia di immigrati in fila ordinata davanti a un pullmino che serve il cibo. Altri attendono distesi sull`erba o facendo capannello tra loro. Non vedo i sudanesi che avevo incrociato nella giungla, mi spiegano che qui vengono soprattutto gli eritrei. Tutti, o quasi, maschi, anche in questo caso. Molti indossano cappelli di lana e abiti invernali anche se siamo in piena estate e la giornata è calda, per queste latitudini. La gran parte di loro vengono dal campo sgomberato di rue de Moscou. A terra, strappati, diversi biglietti del treno lasciano intendere che molti hanno lasciato i centri d`accoglienza dov`erano stati portati per tornare qui. Ne desumo che l`operazione di polizia è ancora una volta servita solo per placare gli umori peggiori dell`opinione pubblica. 
Intavolo una conversazione con un giovane afghano, che mi mostra i graffi alle braccia che si è fatto per farsi largo nella foresta: «è fatta per le scimmie, non per gli esseri umani», dice. Racconta della difficoltà di essere soli, senza soldi, in paesi dove tutto è diverso e incomprensibile. «A Parigi sono rimasto per tre giorni senza mangiare e senza sapere dove andare a dormire». Si avvicina un altro giovane, dai tratti asiatici. «Vengo dall`Uzbekistan», dice sorridendo. Ha la moglie e un bambino in Inghilterra, anche loro clandestini, ma non riesce a raggiungerli. Tira fuori il cellulare e mostra una foto: «Eccolo, da quando è nato non sono ancora riuscito a vederlo». Sostiene di aver vissuto qualche mese in Polonia, non è riuscito a ottenere un visto per Londra e ora sta tentando di passare clandestinamente. «Ma non sono abituato a vivere in questo modo, cerco di curarmi al meglio, di mantenere gli abiti puliti e di radermi 
tutte le mattine, però è difficile., Se mi vedesse mia madre chissà cosa direbbe». Non mi rimane che augurargli buona fortuna. 
 
 
 
Francia, ong denuncia: "Bambini rom esclusi dalle scuole"
L'associazione European roma rights centre, che ha condotto una ricerca nei campi rom di Lille, Parigi e Marsiglia, mette sotto accusa sindaci e autorità locali che richiedono documenti non necessari rallentando le pratiche di iscrizione
Redattore sociale, 30-07-14
ROMA – Più della metà dei bambini rom che vive in Francia non va a scuola e le autorità locali stanno deliberatamente bloccando le loro iscrizione. A denunciarlo è l’organizzazione non governativa European roma rights centre (Errc) che ha diffuso i risultati di una ricerca condotta all’inizio dell’anno su un campione di 118 intervistati nei campi rom di Lille, Parigi e Marsiglia.
Le autorità negano che ci sia in corso una politica di esclusione dalla scuola primaria ma la ricerca ha evidenziato come le procedure per l’iscrizione hanno dei tempi eccessivamente lunghi e che queste vengono alla fine rimandate a una data non definita, nonostante in Francia l’obbligo scolastico comprende la fascia d’età che va dai 6 ai 16 anni. “Ho fatto il possibile per iscrivere mio figlio a scuola – racconta una madre – presentando tutti i documenti necessari ma il sindaco ha bloccato tutto. Sono dei bambini rom e per questo vengono trattati in maniera differente”.
“A volte vengono richiesti documenti non necessari, come il certificato di residenza o quello dei vaccini – spiega Erika Bodor, che ha condotto lo studio, al quotidiano The Telegraph – anche se l’unico documento previsto per legge è la carta d’identità. Quando vediamo un bambino chiedere l’elemosina in strada – continua la ricercatrice – ci viene da domandarci se la situazione sia stata determinata da un sindaco che ha rifiutato di iscrivere il bambino a scuola ”.
“Si tratta di una violazione diretta degli obblighi nazionali e internazionali – dichiara il presidente del consiglio di amministrazione dell’Errc Rob Kushen – che mette a rischio il futuro di questi bambini, diminuisce le loro opportunità di impiego e non fa che alimentare l’esclusione sociale”. Manon Fillonneau del team di ricerca dell’Ong parla invece di una situazione che può essere “facilmente associata a una politica di espulsione”. Secondo l’Ong lo scopo delle autorità locali è infatti quello di evitare la mobilitazione da parte di insegnanti e genitori in difesa dei giovani studenti in vista della demolizione dei campi rom.
Una situazione questa che non può non richiamare alla memoria le dichiarazioni del ministro degli interni Manuel Valls, che ha causato non poche polemiche, secondo cui la maggior parte della comunità rom “non ha alcuna intenzione di integrarsi” e quindi dovrebbe far ritorno ai loro paesi di origine. Numerose manifestazioni di protesta si sono scatenate in tutta la Francia anche lo scorso anno, quando una quindicenne rom è stata costretta, davanti a tutta la classe, a scendere dall’autobus alla fine di una gita scolastica per essere rispedita in Kosovo insieme alla famiglia. (Federica Onori)
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SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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