Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 marzo 2015

I fondi per i migranti spesi in fiere di paese e contratti ai parenti
Caltagirone, inchiesta sul ”Cara” di Mineo
La stampa, 25-03-2015
Fabio Albanese
E dire che non lo volevano. E pensare che quando nel 2011 l’allora premier Berlusconi e l’allora ministro dell’Interno Maroni vennero a visitarlo e annunciarono che quella mega struttura di Mineo, ormai abbandonata dagli americani di Sigonella, sarebbe diventata il Cara (Centro accoglienza per richiedenti asilo), più grande d’Italia, poco ci volle che alzassero le barricate: «Qui non vogliamo migranti - dissero gli amministratori dei comuni della zona - potrebbero portare malattie e causare problemi di ordine pubblico».
E invece, man mano che le procure di Catania e Caltagirone vanno avanti con le rispettive inchieste, dal Cara di Mineo, che ospita oltre tremila richiedenti asilo, l`unica malattia emersa è quella del malaffare: non dei migranti ma di chi li dovrebbe assistere.
Le risorse
Una delle due inchieste della procura di Caltagirone sull'«affare Cara» riguarda l'uso di risorse destinate al centro e usate invece per sagre e manifestazioni locali e per l'assunzione, sia nel Cara sia nelle strutture del Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) della zona, di decine, forse centinaia di persone, imparentate con politici e amministratori dei 9 comuni che aderiscono al Consorzio «Calatino Terra d'Accoglienza».
Il Consorzio gestisce il Cara e il ricco budget; l'ultima gara d'appalto, 97 milioni in tre anni, è stata giudicata «illegittima» dal presidente dell'autorità anticorruzione Cantone ed è da mesi sotto la lente della Dda di Catania, che ha avviato l'indagine dopo aver ricevuto dalla procura di Roma atti dell`inchiesta su "Mafia Capitale" con, al centro, il ruolo di Luca Odevaine, il quale aveva un incarico anche al Cara di Mineo. E` in questa inchiesta che sarebbe indagato anche l`attuale sottosegretario all`agricoltura Giuseppe Castiglione (Ncd), ai tempi in cui da presidente della provincia di Catania fu soggetto attuatone della gestione del Cara (Castiglione nega di aver ricevuto un avviso di garanzia).
La procura di Caltagirone ha aperto questa seconda indagine, al momento «contro ignoti», dopo una serie di esposti anonimi e di denunce e dopo l`acquisizione di atti: il procuratore Giuseppe Verzera deve far luce sull`uso di una parte dei fondi per l`assistenza ai migranti, usati invece per contribuire all`organizzazione di manifestazioni come una sagra dell`uva a Licodia Eubea, la festa di Santa Lucia a San Cono, il Natale di Mirabella Imbaccari, il presepe vivente di Vizzini: solo nell`ultimo anno 200mila euro destinati a "progetti di integrazione" dei migranti, in minima parte utilizzati per i richiedenti asilo, «in scena» come partecipanti o spettatori.
L`occupazione
C`è poi il capitolo assunzioni. Attorno al business CaraSprar, controllato dal Consorzio, ruotano un migliaio di posti di lavoro. Molti occupati sono imparentati con sindaci, assessori ed ex assessori di tutti gli schieramenti. Posti di lavoro che, in comuni piccoli come questi, possono spostare i voti sufficienti a fare eleggere un candidato o un altro.



Migranti, 5 su 100 muoiono in mare
Avvenire, 25-03-2015
Alessia Guerrieri
Proteggere le persone, prima dei confini. Perché davanti all’aumento delle «vittime delle frontiere», la risposta deve essere un sistema permanente d’accoglienza. Un canale umanitario, insomma, in cui la parola d’ordine sia mobilità transnazionale e integrazione, non Cara (Centro d’accoglienza per richiedenti asilo) e Cie (Centro d’identificazione ed espulsione).
Due realtà, queste, che verranno poste sotto la lente d’ingrandimento «già da questa settimana» dalla Commissione d’inchiesta parlamentare, «finalmente messa in condizione di lavorare», dice uno dei membri, il deputato Paolo Beni (Pd), durante l’incontro Protect people not borders, organizzato alla Lumsa di Roma dall’associazione studentesca Good morning, youth e dal "Comitato 3 ottobre".
Una commissione istituita alla Camera a fine novembre, ma ancora non operativa, in cui 21 deputati avranno tempo un anno per analizzare le condizioni di permanenza dei migranti in queste strutture – in Italia i Cara sono 14 e i Cie 13, ma attualmente attivi solo 5 – il loro sistema di gestione e le procedure di affidamento della direzione dei centri.
Parallelamente però, Italia ed Europa, dovranno ripensare le politiche sull’immigrazione e sull’asilo.
Va innanzitutto superata la logica dell’approccio emergenziale, secondo la portavoce Acnur per il Sud Europa Carlotta Sami, prendendo coscienza tuttavia dell’aumento del numero delle persone «che fuggono dal terrore» e che muoiono attraversando il Mediterraneo «perché non hanno alternative, né un canale legale per venire nel nostro continente».
Dall’inizio dell’anno, infatti, le vite perse in mare sono più di 400, «5 ogni 100 migranti, mentre nel 2014 il rapporto era 2 ogni 100». In sostanza, «lavorare per la pace», «istituire un canale umanitario», più che concentrarsi «sulla tutela dei confini», sono per il rappresentante dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, le azioni politiche su cui Bruxelles dovrebbe orientarsi. Altrimenti si continuerà a «fare scelte sbagliate» aggiunge Sami, a crearsi alibi, «a non cercare una strategia comune per l’asilo». Il che significa non risolvere il problema.
L’Unione Europea, difatti, nel periodo 2008-2013 ha stanziato il triplo dei fondi per la protezione delle frontiere rispetto a quelli destinati all’accoglienza: un miliardo e 820 milioni contro 630 milioni. «Una sproporzione» dicono i ragazzi di Good morning, youth, che dimostra come «la comunità internazionale sia in realtà più un’individualità internazionale». Il tema dell’immigrazione, invece, gli fa eco il rettore dell’ateneo che ha patrocinato l’evento, Francesco Bonini, «consente di guardare in prospettiva e in profondità» il mondo attuale, «costruendo relazioni» attente alla persona e ai cambiamenti.
«Occorre dunque un progetto di lungo periodo per proteggere la vita» per Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre – nato proprio dopo la tragedia a largo di Lampedusa del 2013 in cui morirono 368 stranieri – perché l’indifferenza è costata già «20mila morti negli ultimi dieci anni». Dietro ogni rifugiato e ogni migrante c’è appunto una storia «che ha più punti di contatto con noi di quello che immaginiamo», ammette Donatella Parisi, responsabile comunicazione del Centro Astalli. Quindi dopo anni in cui si parla solo di accoglienza – aggiunge – bisogna iniziare a lavorare sull’integrazione «dando opportunità a
queste persone di mostrare il meglio che hanno da offrire».



Ecco gli scout di Allah "Ma nei nostri giochi i maschi e le femmine non si toccano mai"
la Repubblica.it, 25-03-2015
ZITA DAZZI
MILANO. Come tutti gli scout del mondo, indossano il fazzoletto arrotolato al collo, amano la vita all`aria aperta, condividono i valori dell`amicizia e della pace. E credono in dio. Che poi questo dio sia Allah e non Gesù Cristo non cambia. Loro non ci vedono niente di strano e nemmeno i responsabili nazionali dell`Agesci ( Associazione guide e scout cattolici italiani) che li hanno accolti come fratelli e "formati" perché potessero cominciare a fare attività educative, col metodo del movimento internazionale ispirato agli scritti di Robert Baden-Powel, padre dei milioni di "lupetti" e "coccinelle" che in tutto il mondo esplorano i boschi in "squadriglie" e fanno giochi nella natura per imparare la solidarietà e i rispetto delle regole.
Il primo scout musulmano d`Italia era un ex cattolico di Udine convertito all`Islam, che non aveva voluto rinunciare alla sua passione di quando era ragazzino. Era il 2007 ed era un`eccezione assoluta. Adesso è nata l`Associazione scout musulmani d`Italia, circa 200 iscritti, tutti figli di immigrati e in contatto diretto con l`Agesci. La vicepresidente è una ragazza immigrata di seconda generazione, Sarah, 26 anni, quinta figlia di una famiglia di egiziani trapiantata in Italia, studentessa di farmacia a Milano, una ragazza solare e allegra, col suo hjiab colorato ben calcato intesta. È stata lei a frequentare un corso Agesci per organizzare un percorso da scout Doc per un gruppetto di 20 bambini di religione islamica, anche loro figli di arabi e nordafricani che vivono a Milano.
«Il Profeta Moharnmed, pace e benedizione su di lui, viveva anche lui una vita da scout - ha raccontato Sarah ai giornalisti della rivista "Scarp de tenis", vicina alla Caritas Ambrosiana, che esce questa settimana con un servizio sul tema. «L`Islam come religione combacia con il movimento scout e si può dire che lo scoutismo è Islam perché Maometto viaggiava per diffondere il suo messaggio e viveva in modo molto umile, davanti ad un pasto abbondante non doveva saziarsi, si accontentava di poco, viveva nella natura, e anche nei momenti più difficili era sempre disponibile verso tutti. Sapeva ascoltare, era al servizio di tutti, bambini, donne e anziani, cercava di trasmettere il messaggio dell`Islam a tutti».
Sarah in questi giorni è in Egitto per una breve vacanza, ma appena tornerà riprenderà le sue uscite in giro per la Lombardia, con i bambini al seguito. «Hanno chiesto di fare solo alcune piccole modifiche alle regole generali spiega Matteo Citterio, responsabile delle relazioni internazionali Agesci - Per esempio, le ragazze portano il velo sul capo e non indossano i pantaloni corti. Nei giochi di gruppo si evita il contatto fisico fra maschi e femmine, come prescrivono i precetti della loro religione. Comunque, noi li sosteniamo nelle loro attività e nella creazione di un percorso per i bambini. Fare formazione a loro è stata un'esperienza interessante». A Milano per altro, con 100mila islamici residenti, non è cosa insolita trovare bambini musulmani anche negli oratori, tanto che l`arcivescovo Angelo Scola, recentemente, ha dato loro il benvenuto: «Se pregano nelle nostre parrocchie, non c`è problema. La vera integrazione si costruisce così».
Sarah è d`accordo sul dialogo a tutto campo con i cattolici e pensa che una strada veloce per insegnare sani principi di vita anche ai più piccoli è quella che si impara andando con gli scout: «Così si arriva più vicino a Dio perché ci si distacca dalla vita movimentata di ogni giorno, dalla routine che distrae. Noi preghiamo cinque volte al giorno e anche quando facciamo le uscite tutti insieme, rispettiamo il precetto. Nell`Islam c`è questo sentimento dello "sforzo" che appartiene allo scoutismo: bisogna sempre sforzarsi in modo positivo per migliorarci, essere utili agli altri e sorridere nei momenti difficili, come dice il Profeta».



Mafia capitale non è finita, in piazza gli operatori e i rifugiati dimenticati
Il sistema messo in piedi dal ras delle cooperative Salvatore Buzzi lascia un'eredità pesante: l'accoglienza dei migranti è al collasso, nonostante l'impegno quotidiano degli operatori. "Alcuni richiedenti asilo non hanno neanche il sapone" denuncia Sumahoro dell'Usb. Nel frattempo il futuro di 1.400 dipendenti della 29 giugno è legato alle proroghe degli appalti
la repubblica.it, 24-03-2015
ROMA - Stefano Cau è un ex operatore del centro di accoglienza Namasté. La struttura è gestita Cooperativa Abc, consorziata alla "acchiappaservizi" romana 29 giugno: l'apice sistema di potere di Salvatore Buzzi, il ras dell'accoglienza di Mafia Capitale. Quello che faceva "tutti i soldi sugli zingari, sull'emergenza abitativa e sugli immigrati", come si evince dalle intercettazioni dei Ros.
Dietro Mafia Capitale. La vita per Stefano Cau e gli altri operatori del centro, però, è andata avanti anche oltre gli scandali: con disagi quotidiani legati al commissariamento e al congelamento dei fondi. La vita andava avanti, già, ma gli stipendi dei lavoratori non arrivavano, così come i soldi per far funzionare un'accoglienza già complessa. I rifugiati erano in continua agitazione: occupavano i centri e indicevano azioni dimostrative nella speranza di ottenere attenzione. Tredici di loro venivano espulsi dal nostro Paese durante una protesta, perché chiedevano ciò che per legge spettava loro. Gli operatori si trovavano nella condizione di schermo, non pagato, ma sovraccaricato di tensioni, tra gli utenti, consapevoli di quanto gli era stato tolto dal malaffare, e la gestione commissariale.
La lettera. Così Stefano Cau ha deciso di non rimanere in silenzio e ha preferito denunciare la situazione. Il 4 febbraio ha scritto una lettera ai commissari delle cooperative Enriches29 e Abc, nella speranza di essere ascoltato. Le lungaggini burocratiche per il diritto d'asilo - nella lettera si denuncia che la valutazione della commissione, oggi, può arrivare anche dopo 14 mesi - l'assenza di possibilità lavorative, le "difficili condizioni di accoglienza", scrive Tau, "producono" nei rifugiati "una comprensibile condizione di stress e di frustrazione che può esprimersi in forma di conflitto verso il personale di servizio".
"Il ripristino della legalità". Le cause delle proteste dei rifugiati sarebbero sempre le stesse: "miglioramento del vitto, l'erogazione della diaria di 2,50 euro (e non di 30, come suggerito da qualcuno, ndc) o in denaro o in buoni più facilmente spendibili", perché chi ha fame, di solito, non sa che farsene di una ricarica telefonica. Questi, però, sono problemi già sorti nel giugno 2014, ben prima degli scandali giudiziari, che avrebbero aggravato "i fattori di criticità" causando "ingiustificabili ritardi nell'erogazione di beni e servizi (dai kit igienici agli abbonamenti per il trasporto urbano ai pocket money)". Insomma, per evitare di acuire il conflitto, Cau auspicava un incontro in "tempi brevissimi" per il "ripristino della legalità" e per la distribuzione di "quanto previsto dalla Convenzione con la Prefettura". Dunque, di quanto dovuto.
La visita "fuori tempo" a Namasté. Il 28 febbraio, però, il contratto dell'operatore è scaduto. Ed è stato tra i pochi non rinnovati. "La gestione commissariale ha deciso così  -  racconta  -  nonostante il rapporto utente -operatore sia ormai 80 a 1 e questo generi, nella qualità del lavoro, un doppio danno: da una parte si costringono i miei colleghi a turni massacranti, dall'altra si dequalifica il professionista. L'insegnante di italiano di Namasté oggi fa l'operatrice, non insegna più italiano". Ma la beffa delle beffe, per Cau, è stata la tempistica della visita da lui auspicata oltre un mese fa. "Appena me ne sono andato, praticamente, loro sono andati in visita", sorride in maniera amara.
Rifugiati e operatori in piazza. Rifugiati e operatori dei centri d'accoglienza romani hanno deciso di scioperare lo scorso 23 marzo: uniti, perché la battaglia oggi più che mai è comune. Hanno sfilato per via Cavour, via dei Fori Imperiali e piazza Venezia  -  sotto gli occhi sbigottiti dei romani - chiedendo "diritti per tutti": al soggiorno, alla casa, al lavoro, ad un'accoglienza decorosa. "Siamo qui per chiarire due cose: non siamo merce, ma esseri umani, i richiedenti asilo chiedono un'assistenza dignitosa. Chiediamo anche il rispetto della dignità degli operatori, che si vedono sfruttati, invece che essere considerati importanti figure professionali", spiega Aboubakar Soumahoro dell'esecutivo nazionale Usb. "Da Mafia Capitale a quanto pare non è cambiato nulla", prosegue. "C'è chi dice che rifugiati ricevono ogni giorno 30 o 35 euro. Sono balle, bugie. Ci sono rifugiati che non hanno il sapone, che non possono imparare l'italiano, perché nei centri non vengono fatte le lezioni".
L'incontro in Prefettura. Ci sono stati momenti di tensione tra polizia e manifestanti, venuti a contatto sotto la Prefettura. Troppo zelo da parte degli agenti, nel voler ricacciare i rifugiati e gli operatori al di là delle transenne. Alla fine, però, la giornata si è conclusa in festa e una delegazione Usb ha incontrato il Prefetto Vicario Ferdinando Santoriello. "Ci sono elementi positivi  -  ha detto Sumahoro in una telefonata successiva  -  ci hanno assicurato più controlli nei centri, sul rispetto delle convenzioni con la Prefettura. Poi hanno promesso commissioni più veloci e che i pocket money (la diaria di 2,50 euro, ndc) saranno erogati in forma spendibile". "Bene così  -  aggiunge il sindacalista  -  ma se non manterranno la parola scenderemo di nuovo in piazza".
La soluzione? Accoglienza pubblica. "Noi come Usb chiediamo una reinternalizzazione dei servizi, ci sono esempi virtuosi in Europa da questo punto di vista. Il sistema degli appalti genera solo malaffare, Mafia Capitale l'ha dimostrato. L'Italia deve iniziare a programmare l'accoglienza, la globalità non può essere solo quella del capitale ma dev'esserlo a tutto campo, altrimenti parliamo di Mondo di Sopra e Mondo di Sotto, come diceva qualcuno", sostiene Valentina Greco, operatrice sociale del centro per minori non accompagnati "Salem", con contratto in scadenza il 31 marzo. Che spera, in cuor suo, di non vedere il suo nome aggiungersi a quello di Stefano Tau nella lista degli operatori troppo lungimiranti.



Italiani o stranieri, non c'è mai fine alla disperazione
L'Huffington Post, 24-03-2015
Rosamaria Vitale
Medico chirurgo, specialista in Psicologia, psicoterapeuta
Non so se ringraziare il cielo o maledirlo. Il mio lavoro, con le varie associazioni che operano a Milano nel campo dell'assistenza alle persone che vivono in situazioni di estrema povertà e marginalità, siano esse italiane o straniere, mi fa entrare in contatto con una realtà che sembra un incubo.
Questa sera sono stata a Piazza Affari, la piazza dei soldi e della ricchezza, che però alla domenica sera si trasforma in una specie di ristorante, sotto i portici, dove alle persone senza fissa dimora l'associazione MIA offre il pasto serale e la Fondazione Isacchi Samaja offre visite mediche e farmaci. Non so neanche quante visite avrò fatto, 25/30, forse. Ho visto persone provenienti da vari paesi, oltre che da varie regioni italiane. C'erano egiziani, tunisini, cinesi, rumeni, bulgari, kossovari, pakistani, brasiliani. L'età variava dai 18 ai 55 anni.
Alcuni avevano patologie croniche, ipotiroidismo, diabete, malattie cardiache; altri patologie lievi legate alla stagione. Oggi era il primo giorno di primavera, ma pioveva e faceva abbastanza freddo. Salivano sul camper, uno dietro l'altro, ed io mi sentivo sempre più impotente. Cosa possono fare un antibiotico o una tachipirina se uno dorme su quattro cartoni appoggiati sul freddo marmo, quando il meteo segna 8 gradi, con acquazzoni, sotto i portici dei magnifici edifici di Piazza Affari? Questa è la notte. Al mattino, come nei film, lo scenario sarà completamente cambiato: via i senza tetto, largo ai business men.
Mentre tornavo a casa pensavo a tutte le situazioni con cui ho avuto a che fare durante la settimana. Ho stilato quindi una classifica. I più fortunati, sotto il profilo della vita quotidiana, a Milano, chi lo direbbe mai, sono i profughi siriani. Arrivano in Stazione Centrale, qualcuno li accoglie e li porta nei centri di accoglienza, dove hanno cibo, vestiti, cure, finché decidono cosa fare. Secondi vengono i profughi eritrei. Non hanno un accoglienza così strutturata, ma hanno tante brave persone, che si sono riunite in un comitato, che si chiama Cambio Passo, e che fanno più o meno quello che dovrebbero fare le istituzioni, con molto più affetto. Ed anche loro quasi sempre si salvano e riescono ad arrivare là dove desiderano andare. Al terzo posto vengono i senza tetto che fanno richiesta di entrare nei dormitori messi a disposizione nel piano antifreddo dal comune di Milano. Non è una gran fortuna, poiché i dormitori chiudono fra una decina di giorni, e chi ci entra oggi sarà tra poco sulla strada. All'ultimo posto, quindi, vengono quelli di stasera. Non hanno proprio niente, neanche un sacchetto di plastica dove tenere un paio di calze per cambiare quelle che hanno addosso. L'ultimo arrivato di questa sera era un ragazzo nord africano in jeans e camicia, che cercava un panino e qualcosa da mettersi addosso. Non aveva neanche i quattro cartoni su cui dormire. Avrei voluto essere come San Francesco.
Chi può cambiare questo mondo? Non ci vorrebbe molto, credo. Anche a Milano molte volte i soldi non vengono spesi per lo scopo per cui vengono erogati. Tutti lo sanno, ma nessuno, tra quelli che possono farlo, trova davvero una soluzione. Alla fine mi sono detta anch'io che in fondo il mondo va avanti lo stesso. E chissà quante Piazze Affari ci saranno, in tutte le città del mondo, capaci di cambiare faccia dalla notte al giorno.



Nell'inferno dei Centri di accoglienza straordinaria, "Tanto, chi controlla?"
Il blitz di LasciateCIEntrare in Calabria. A Lamezia Terme l'ex Cie chiuso dopo la denuncia di Repubblica.it è stato riaperto per accogliere 250 richiedenti asilo, impiegati dalla cooperativa nei lavori del verde urbano. "Il lauto compenso di 10 euro al giorno non viene corrisposto da mesi" denunciano gli attivisti. A Feroleto Antico altre 300 persone sono ammassate nei palazzi di un venditore di macchine agricole, senza mediatori, né assitenza sanitaria. Tra loro anche minori assieme ad adulti estranei e senza un custode notturno
la Repubblica, 24-03-2015
RAFFAELLA COSENTINO
LAMEZIA TERME - Li chiamano CAS, Centri di Accoglienza Straordinaria e sono strutture di emergenza in cui vengono parcheggiati i richiedenti asilo arrivati con l'operazione Mare Nostrum. In Calabria sono completamente fuori controllo, secondo la denuncia degli attivisti della Campagna LasciateCIEntrare che sono riusciti a introdursi in due strutture della provincia di Catanzaro, a Lamezia Terme e a Feroleto Antico. "Accogliere i migranti? Basta disporre di quattro pareti e qualche branda.Tanto chi controlla?" scrive LasciateCIEntrare in un rapporto. La promessa di dieci euro al giorno per lavorare nella manutenzione urbana delle aree verdi. È quanto succede ai rifugiati ospitati a Lamezia Terme dalla cooperativa "Malgrado Tutto", che fa anche parte di Prociv-Arci. La struttura è quella di Pian del Duca, proprietà dell'ente gestore, chiusa dal ministero dell'Interno oltre due anni fa dopo lo scandalo delle "gabbie per radersi" inventate dalla "Malgrado Tutto" per evitare gli atti di autolesionismo dei migranti rinchiusi per l'identificazione.
Condizioni di vita indecenti. L'ex Centro di identificazione ed espulsione (Cie), della capienza di 80 posti, è stato riaperto per "ospitare" tra i 250  e i 300 richiedenti asilo. "La maggior parte delle persone intervistate racconta di essere stata reclutata da parte del gestore della struttura, Raffaello Conte, per lavorare all'interno della cooperativa nel servizio di pulizia e manutenzione urbana. Dieci euro al giorno è il compenso stabilito - dicono Yasmine Accardo (Associazione Garibaldi 101),  Emilia Corea e Fofana Mouctar (Associazione "La Kasbah") -  Eppure questo lauto compenso non viene corrisposto da oltre quattro mesi, secondo i ragazzi intervistati". Il rapporto descrive condizioni indecenti viste e fotografate dai tre attivisti: le ex celle contengono 8, 9 letti. I bagni sono sporchi, non ci sono acqua calda né riscaldamenti. "Il cibo è di pessima qualità, riferiscono i migranti  -  continua la delegazione di LasciateCIEntrare - A volte con i soldi del pocket-money provvedono da soli a comprare qualcosa da mangiare. Molti dei ragazzi indossano solo una felpa e un paio di ciabatte. Gli stessi abiti che avevano addosso nel momento in cui sono arrivati in Italia".
Due casi di suicidi. La struttura è isolata su una collina, a diversi chilometri dal centro di Lamezia Terme, circondata dagli ulivi. "Non ci sono più le sbarre alte 10 metri e le gabbie - scrivono gli attivisti - Ma l'aria che si respira è sempre la stessa. Trecento migranti si sentono abbandonati a se stessi da oltre un anno. Ci chiedono perché a distanza di sei mesi non sia stato loro notificato il diniego alla richiesta dello status di rifugiato da parte della Questura, perché non possano usufruire di nessun tipo di assistenza sanitaria". Emilia Corea dell'associazione "La Kasbah" ricorda che nel Cie gestito dalla "Malgrado Tutto" ci furono casi di suicidi. L'11 Dicembre 2006 Pamukov Hristo Aleksandrov, un migrante di nazionalità bulgara si impiccò con una cintura al corrimano delle scale. A gennaio 2005, Said, di nazionalità marocchina, si gettò dal secondo piano dell'ospedale di Catanzaro, dove era stato ricoverato per un malore, dopo che gli era stato comunicato che sarebbe stato riportato all'interno del Cie. Particolarmente controversa la vicenda di un altro marocchino di 19 anni, Hadmol, che a maggio 2004 ha avuto il midollo spezzato in circostante non chiarite, restando paralizzato agli arti inferiori e superiori, dopo quasi un mese di coma.  
Solitudine, abbandono e promiscuità.  Altre 300 persone, in situazione di promiscuità fra adulti e minori, sono ospitate in due palazzi di proprietà di un venditore di macchinari agricoli a Feroleto Antico. Il centro di accoglienza "Ahmed Moammud", si affaccia direttamente sulla superstrada. Sedie e letti consunti, muri sporchi e ingialliti, cibo scadente. Solitudine e abbandono. "Nessuno dei ragazzi con i quali abbiamo parlato possiede la tessera sanitaria - riferisce LasciateCIEntrare - non sanno che per usufruire dei farmaci di cui avrebbero bisogno basterebbe recarsi dal medico e farseli prescrivere. I ragazzi riferiscono che gli operatori sono tre in tutto, che non ci sono mediatori e che di notte non rimane nessun operatore con loro, nonostante la presenza di minori".
Abusi, violenze e sfruttamento. Secondo la legge, l'accoglienza dei minori non accompagnati dovrebbero avvenire in un luogo sicuro. Le strutture hanno l'obbligo di garantire i livelli standard fondamentali: accesso ai beni essenziali, servizi socio-sanitari in condizioni di parità con i minori cittadini italiani, assistenza legale gratuita, accesso all'istruzione di base, diritto a ricevere informazioni sul loro status, possibilità di esprimersi in una lingua a loro comprensibile tramite la presenza di mediatori e, soprattutto, protezione da ogni forma di abbandono, abuso, violenza e sfruttamento. "Nel centro di Feroleto nessuno di questi standard è garantito - denunciano gli attivisti - I ragazzi ospitati all'interno si recano due volte a settimana in una chiesa vicina dove un prete tiene un corso di italiano. Da tre mesi non ricevono il pocket-money".  Nessuna speranza per il futuro. Quasi tutti hanno già fatto l'audizione presso la Commissione per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato. "C'è un solo avvocato, ci dicono, che si occupa dei loro ricorsi  -  continua il rapporto - Uno solo per trecento persone. Ma ignorano come si chiami, né hanno il suo numero di telefono. Dopo averlo incontrato una sola volta e avere firmato un paio di fogli non lo hanno più visto. In che modo sono stati scritti i ricorsi se l'avvocato non ha parlato con i singoli per conoscerne la storia?". Costretti in un limbo, anche i minori non hanno più speranze nel futuro.

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