Quando l’«altro» è semplice merce

Italia Razzismo
Annamaria Rivera nel suo libro La bella, la bestia, lo straniero (Ediesse, 2010) propone una nuova definizione «per quanto sintetica e parziale» del concetto di reificazione (termine che può essere tradotto dal latino come rendere cosa e sul quale Karl Marx molto indagò, aprendo squarci importantissimi per l’analisi sociale).
Scrive Rivera: «La reificazione è una postura, una disposizione e una pratica sociale routinaria che conduce a trattare soggetti diversi dal noi non già in modo conforme alle loro qualità di esseri sensibili, ma come oggetti inerti o addirittura come cose o merci». Definizione, come l’autrice afferma, «centrale» per comprendere i «processi della meccanica razzista» in cui si riduce una persona alla condizione di oggetto. In quanto atteggiamento di routine, il meccanismo di reificazione si riscontra in molte situazioni quotidiane, una di queste è ben descritta nel libro. La cornice è quella del lavoro nero, in cui, per l’assenza di norme che ne regolino lo svolgimento, si creano le condizioni propizie a pratiche di sfruttamento intensivo della forza-lavoro. Ciò riguarda in particolare persone già costrette in ambiti marginali della società a causa del loro status giuridico di irregolari. Si pensi a quanti immigrati in Italia, privi del permesso di soggiorno e per motivi legislativi e burocratici impossibilitati a regolarizzarsi, sono occupati in attività lavorative senza contratto, senza garanzie legali, senza tutela sindacale: costretti a «condizioni servili o schiavili». Ossia «braccia da lavoro in senso letterale». E questa riduzione della persona a merce è, per esempio, ciò per cui a Rosarno, nel gennaio del 2010, «le braccia da lavoro divenute corpi-bersagli» si sono rivoltate.
3 dicembre 2010
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