Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

08 maggio 2013

Cittadinanza, la lezione dall’estero
La Stampa, 08-05-2013
Giovanna Zincone
L’ annuncio della ministra Kyenge di volere facilitare l’acquisizione della cittadinanza per i bambini nati in Italia ha suscitato anche reazioni negative. Eppure, riaprire la discussione su una possibile riforma, partendo dai minori, significava muovere da quello che era apparso come un punto di potenziale consenso politico nella scorsa legislatura. Allora, infatti, dopo poche sedute di discussione sulla riforma della cittadinanza in Aula, si decise di riportarla in Commissione, una sede dove è meno difficile trovare accordi per trovare un’intesa proprio sui minori. Sul rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza per i bambini nati in Italia, su una qualche forma di ius soli, si erano espressi con favore o almeno con interesse anche esponenti del centro-destra. Peraltro, anche più di recente, appartenenti al Pdl, a Fratelli d’Italia e qualche leghista hanno firmato un manifesto di Telefono Azzurro che sponsorizzava la cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia. A cosa si deve dunque la sollevazione anti ius soli di questi giorni? A repentini ripensamenti o a un banale fraintendimento?
Si pensa forse che ius soli voglia dire che basta essere nati in un Paese per diventarne automaticamente cittadini? In Europa non significa questo. Lo ius soli semplice, all’americana, adottato peraltro anche in altri Paesi «nuovi», cioè popolati dall’immigrazione, nel vecchio continente non c’è proprio. E nessuno lo vuole, neanche in Italia. Per ius soli in Europa si intende la possibilità che la cittadinanza alla nascita possa essere riconosciuta ai figli di stranieri stabilmente residenti nel Paese. Non solo, nel Vecchio Continente si parla pure di ius soli quando i nati sul territorio nazionale, anche se i loro genitori non hanno i requisiti dir esidenza richiesti, possono diventare cittadini dopo un certo numero di anni passati nel Paese e comunque prima della maggiore età. Si è infine diffuso a macchia d’olio nel continente, un altro istituto che appartiene alla stessa categoria: il modello francese del doppio ius soli, secondo il quale è automaticamente francese il figlio nato in Francia da uno straniero a sua volta nato in Francia. Un qualche tipo di ius soli condizionato è previsto dunque dalla stragrande maggioranza dei Paesi membri dell’Unione Europea. Ed è quanto hanno proposto diversi progetti di riforma italiani. In vari stati, il criterio di un certo tempo di residenza e, più spesso, quello dello studio nelle scuole del Paese, favoriscono quei minori che non possono contare sullo ius soli. È una pista che potremmo seguire anche noi. Qualunque siano gli strumenti che si vogliano adottare, basta smettere di essere tanto eccentricamente più severi rispetto ad altri stati europei.
Sebbene, infatti, la cittadinanza costituisca una materia sulla quale i singoli membri dell’Unione non sono disposti a cedere sovranità, quegli stessi Paesi dovrebbero evitare differenze eccessive, visto che lo status di cittadino di un singolo Stato costituisce condizione sufficiente per avere accesso alla cittadinanza dell’Unione con tutti i diritti che ne conseguono. Fortunatamente, i Paesi membri stanno un po’ convergendo. Sullo ius soli, ad esempio, Stati tradizionalmente più severi come la Germania hanno introdotto la possibilità per i figli di stranieri lungo-residenti di diventare cittadini alla nascita, mentre ordinamenti giuridici più flessibili, come la Gran Bretagna, che non prevedevano criteri aggiuntivi, hanno imposto il requisito della carta di soggiorno a tempo indeterminato per i genitori. Lo ius soli di stile europeo è nato dalla concretezza dei problemi più che da approcci ideologici. Non si capisce quindi perché questo ius soli all’europea sia percepito da qualcuno in Italia come un innesto eversivo o semplicemente un’idea campata in aria.
Certo, in materia di cittadinanza è bene discutere per trovare accordi ad ampio raggio. I criteri che selezionano chi ha diritto a far parte a pieno titolo di una comunità rappresentano regole fondamentali della convivenza pubblica. La questione va presa sul serio. Il che implica porsi due interrogativi preliminari: in che tipo di comunità politica vogliamo vivere, e in quale mondo stiamo vivendo. Il doppio binario di questi ragionamenti ci obbliga a estendere la discussione sulla cittadinanza al di là dello ius soli. Allargare il dibattito di solito complica le cose, ma in questo caso può chiarirne i termini.
Se vogliamo mantenere in Italia un modello di convivenza pubblica di tipo liberaldemocratico, dobbiamo adattare le nostre istituzioni ai tempi: non possiamo accettare uno scollamento crescente tra appartenenza alla società e membership dello Stato. Non possiamo ammettere che, a causa di una normativa sulla cittadinanza tra le più severe d’Europa, anche per quanto riguarda i tempi di naturalizzazione degli adulti, restino esclusi come membri a pieno titolo dello Stato italiano milioni di individui che risiedono stabilmente nel nostro Paese, che qui lavorano, spesso con mansioni pesanti. Non possiamo continuare a declassare civilmente i loro figli che frequentano numerosi le nostre scuole. La storia delle istituzioni liberaldemocratiche italiane sta facendo in questo modo un salto all’indietro nel tempo: una fetta cospicua di lavoratori è esclusa dalla comunità pubblica.
Ammodernare la cittadinanza, anche inserendo elementi di ius soli non significa, però, sbarazzarsi dello ius sanguinis. Anzi, uno ius sanguinis ben temperato va tenuto da conto. È uno strumento comodissimo e, infatti, tutti gli stati, anche quelli in cui predomina lo ius soli, continuano a farne buon uso. Serve in particolare proprio nel mondo contemporaneo in cui sempre più famiglie si muovono. Per chi lavora per un certo periodo di tempo all’estero è fondamentale poter trasmettere la propria cittadinanza ai figli nati nel Paese straniero, e non dobbiamo dimenticare che gli italiani continuano a emigrare. In particolare la nostra emigrazione in Germania è aumentata nel 2012 del 40%. E i nostri emigrati sono sempre più spesso giovani e quindi potenziali genitori ai quali lo ius sanguinis è utile.
Per finire torniamo agli Usa e allo ius soli puro. Lì quell’istituto incontra sempre più critiche e si moltiplicano le proposte di revisione. Tuttavia, quello ius soli esagerato è temperato da un meccanismo di contenimento che può suggerire qualcosa a noi italiani. Mi riferisco alla trasmissione della cittadinanza per discendenza, cioè per ius sanguinis, all’estero. Chi ha ottenuto la cittadinanza Usa per nascita, se poi non passa una parte significativa della sua vita negli Stati Uniti, non può trasmettere a sua volta la cittadinanza ai figli. La regola vale in generale per i bambini nati all’estero da cittadini americani che non abbiano mantenuto rapporti significativi con il Paese. Inserire qualche legame culturale come requisito per consentire ai discendenti di chi sia emigrato definitivamente dall’Italia di ereditare la cittadinanza sarebbe un altro strumento utile per superare l’attuale sistema, che rende cittadini ed elettori persone che possono non avere alcun legame reale con il nostro Paese. Questa è l’altra faccia dello scollamento tra appartenenza alla società e membership dello Stato che si dovrebbe superare.
Una seria manutenzione del nostro regime liberale serve proprio, se non vogliamo che degeneri in un vecchio organismo stizzoso e idiosincratico. Perciò, possiamo continuare anche in questa legislatura a lasciar marcire la questione della riforma della cittadinanza in cantina?



Immigrati, altolà di Grasso: «In Italia solo per partorire»
il Giornale, 08-05-2013
Francesca Angeli
Roma -Pietro Grasso non è contrario allo ius soli. Ma lo vuole molto molto «ristretto». Evidentemente non tutta la sinistra è convinta che l'integrazione passi attraverso l'automatica concessione della cittadinanza a chi nasce nel nostro paese.
Ed infatti a frenare gli entusiasmi del ministro per l'Integrazione, Cécile Kyenge, che ha trovato una fervida alleata nel presidente della Camera, Laura Boldrini, è la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato, Pietro Grasso: «Non possiamo fare in modo che l'Italia diventi il paese dove sbarcano le puerpere soltanto per ottenere la cittadinanza italiana per i figli - taglia corto Grasso - Ci vogliono regole». L'ex procuratore nazionale antimafia quando parla di regole intende precisi paletti che vadano a restringere l'accesso a quel diritto perché il suo timore è che si venga in Italia a frotte soltanto per ottenere la cittadinanza. Le ragioni sono evidenti: la facilità di accesso attraverso i nostri confini e il nostro sistema sanitario che, seppure assai vituperato negli ultimi anni, offre garanzie molto più alte di assistenza gratuita rispetto ad altri paesi.
«Lo ius soli va temperato dallo ius culturae - spiega Grasso - la possibilità di dare la cittadinanza a coloro che hanno imparato o seguito un corso professionale nel nostro paese. Oppure che almeno un genitore soggiorni nel nostro paese da almeno cinque anni, che uno dei genitori sia nato nel nostro paese e vi soggiorni quando è nato il figlio». Insomma giusto dare la cittadinanza a chi condivide il nostro modo di vivere, la nostra cultura e tradizioni come indubbiamente accade per molti ragazzi nati e cresciuti qui. «Ci sono giovani che frequentano le nostre scuole e tifano le nostre squadre - prosegue Grasso - si sentono italiani e questo è molto bello. Perché non dare a questa umanità la possibilità di condividere quello che l'Italia può dare?». La posizione di Grasso risulta così ugualmente distante sia da quella del ministro Kyenge sostenuta da una parte del Pd e da Sel, sia da quella del centrodestra che è schierato in buona parte per lo ius sanguinis: sei italiano, se sei figlio di italiani.
Ma che dimensione ha questo fenomeno al momento? Ci sono circa 140mila richieste in attesa di ottenere una risposta. Dal 2008 al 2010 si sono concluse con esito favorevole circa 40mila procedimenti all'anno, comprendendo sia chi ha ottenuto la cittadinanza per residenza sia chi è diventato italiano con il matrimonio. Cifre piuttosto ridotte che sembrano dar ragione al sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi, che esprime apprezzamento per il ministro Kyenge ma giudica un errore «porre per prima una questione come lo ius soli che è meno sentita dalla comunità straniera». Le priorità degli immigrati, dice Tosi, sono altre: il lavoro, la casa, la scuola.
Oltre a quello sullo ius soli Grasso ha aperto anche un altro fronte di polemica questa volta all'indirizzo dei suoi colleghi senatori. Il presidente ha deciso che attiverà un registro delle presenze in aula, come a scuola, rendendo pubblici i nomi di presenti ed assenti. «Non si potrà mai obbligare nessuno ad essere presente - osserva Grasso - perché i senatori non sono dei dipendenti ma devono rispondere ai loro elettori ed io credo che il consenso per i parlamentari sia molto importante». Nessun obbligo certo ma brutta figura garantita per chi dovesse risultare un assenteista. E Grasso ritiene pure che si possa anche «fare a meno» dei senatori a vita. Qualcosa di superato perché «si tratta di una nomina che risale al periodo regio».



Trentamila under 18 dagli asili alle superiori è lo ius soli 'milanese''
Una lettera e una cerimonia al Castello
La Repubblica, 08-05-2013
TIZIANA DE GIORGIO
HANNO genitori stranieri ma sono nati e cresciuti nel nostro Paese. Un esercito di oltre 34mila bambini e adolescenti iscritti nelle scuoe della città di ogni ordine, dagli asili alle superiori. Sono gli stranieri di seconda generazione milanesi. Dalla prossima settimana, in maniera simbolica, Cittadini italiani ius soli per l'amministrazione comunale. Con una cerimonia in previsione al Castello Sforzesco per giovedi 16, tutti gli stranieri non ancora maggiorenni, nati in Italia e residenti a Milano, riceveranno la cittadinanza italiana onoraria. Una festa —che dará l'avvio ai quattro giorni di iniziative di "riGenerazioni" — alla quale parteciperanno il sindaco Giuliano Pisapia, gli assessori alle Politiche sociali e alla Scuola, Pierfrancesco Majorino e Francesco Cappelli. Ma soprattutto 200 alunni italiani e stranieri di diversi istituti a rappresentare quel terreno d'incontro e contaminazione fra culture che è la scuola di ogni giorno.
I minori stranieri residenti a Milano (secondo gli ultimi dati disponibili del 2011) sono 45.793, vale a dire il 22 per cento dei 200.634 totali. Solo nelle classi delle scuole materne, fra i banchi di elementari e medie, gli iscritti sono oltre 24.360. Hanno genitori di nazionalità prevalentemente cinese, filippina, cingalese, marocchina, peruviana, albanese, ecuadoriana, salvadoregna, egiziana e romena. Ma la maggior parte, il 74 per cento, è nata in Italia. «La cittadinanza simbolica vuole dire a tutti loro per che per noi sono milanesi e italiani a tutti gli effetti — spiega Majorino — a maggior ragione in una città che da centinaia di anni nasce dall'incontro fra più culture». Ma è anche un modo, «per dire alle istituzioni di non aver paura e di andare avanti», prosegue l'as- sessore, nei giorni in cui il tema dello ius soli, per riconoscere la cittadinanza a chi nasce in territorio italiano, è tornato al centro del dibattito politico a livello nazionale. Attualmente i figli di stranieri nati in Italia, che hanno risieduto ininterrottamente nel nostro Paese, possono chiedere la cittadinanza italiana solo dopo i 18 anni e solo entro un anno dal raggiungimento della maggiore età. A Milano, per il 2013 sono al momento sono in 666 ad avere questi requisiti.
Ai bambini stranieri presenti alla cerimonia verranno consegnati attestati con scritto «Io sono milanese, io sono italiano», mentre in tutte le scuole verranno inviate lettere per spiegare agli iscritti il gesto. Ma la consegna della cittadinanza simbolica è solo l'avvio dei quattro giorni di iniziative, dal 16 al 19 maggio, organizzati per il secondo anno da Palazzo Marino in col- laborazione con Icei (Istituto di cooperazione economica internazionale), per parlare e riflettere di seconde generazioni, di integrazione, di (nuovi) milanesi. Sabato pomeriggio nei parchi Nicolò Savarino, Trotter e ai Giardini Montanelli ci sa- ranno laboratori per i più piccoli e momenti di scambio culturale per i più grandi. La sera c'è un concerto di musica hip hop alla Fabbrica del vapore. In programma ci sono presentazioni di volumi contro il razzismo, una proiezione al museo interattivo di Cinema con la partecipazione del regista italo-iracheno Haider Rashid, tornei di calcio al Lido (il programma completo è sulla pagina face- book. com/rigenerazioni).
La Lega: in piazza contro la clandestinità
DOPO gli strilli scomposti rivolti a Cécile Kienge, la Lega si mobilita per dire no allo ius soli. Sabato 18 e domenica 19 maggio verranno promosse, in mille piazze lombarde, raccolte di firme contro le proposte in tema di immigrazione annunciate dal neo-ministro all'Integrazione. «La clandestinità — tuona Matteo Salvini — deve rimanere un reato, saremo in piazza per far capire al ministro Kienge e ai radical-chic che la sostengono quale aria tira e quali sono le priorità della gente». Dunque «opposizione totale e globale in tutte le maniere possibili a provvedimenti che sarebbero una follia». E barricate contro l'abolizione della legge Bossi-Fini, ma soprattutto contro l'ipotesi di concedere la cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia.
Il fuoco di fila dei leghisti contro la Kienge cominciato subito dopo la sua nomina a ministro, e con toni che hanno rasentato il razzismo, non accenna a diminuire. Nel mirino anche Mario Balotelli, che si è detto disposto a fare da testimonial al disegno di legge che introdurrebbe lo ius soli: «Si occupi di dare un cálcio al pallone, lo dico da milanista—taglia corto Salvini—e magari di riconoscere un figlio, se ha tempo».



Rom e Sinti discriminati sui giornali in un articolo su tre che li riguarda.
Presentata a Milano la ricerca del Naga “Se dico rom…”, che ha preso in esame gli articoli pubblicati sui 9 maggiori giornali italiani.
Immigrazioneoggi, 08-05-2013
La carta stampata accresce lo stigma nei confronti di rom e sinti. Ci sono frasi discriminatorie in un articolo su tre comparso, da giugno 2012 a marzo 2013, su nove tra i principali quotidiani italiani.
È quanto emerge dalla ricerca Se dico rom…, realizzata dall’associazione di medici volontari Naga e presentata ieri a Milano.
Sono stati analizzati gli articoli pubblicati su Corriere della Sera (nazionale + pagine dell’edizione Milano), La Repubblica (nazionale + pagine dell’edizione Milano), La Stampa (nazionale), Il Sole 24 ore (nazionale), Il Giornale (nazionale), Libero Quotidiano (nazionale + pagine dell’edizione Milano), La Padania (nazionale), La Prealpina (locale) e l’edizione milanese di Leggo. Non solo i rom e sinti compaiono solo quando commettono reati, ma spesso vengono associati a fatti negativi anche se non ne sono coinvolti. Inoltre “vengono associati a criminalità e degrado cittadini rom che compiono atti che non sono di per sé reato, – scrivono i ricercatori del Naga, – come ad esempio lavarsi alla fontana, o che sono addirittura neutri, come passare in un luogo”. Rom e sinti vengono poi considerati tra i primi sospettati per i reati che vengono commessi in una zona, per il solo fatto di abitarci anche loro.
Su 500 articoli pubblicati da giugno 2012 a marzo 2013 nei quotidiani oggetto di ricerca, poco più di un terzo (164) contengono frasi discriminatorie: il 36 per cento su Libero, il 14 per cento sul Corriere della sera, il 13,4 per cento sulla Prealpina, il 10,4 per cento sulla Padania, il 9,8 per cento su Il Giornale, il 7,3 per cento su La Repubblica, il 5,5 per cento su La Stampa e il 3,7 per cento su Leggo.
Le tipologie di discriminazione contenute negli articoli sono cinque. Il 37,2 per cento rimandano in prevalenza a racconti di intolleranza sociale, seguiti da quelli in cui c’è una differenziazione tra un noi (gli italiani) e un loro (i rom e sinti) pari al 32,3 per cento. Il 28 per cento degli articoli discriminatori sono riferiti alla sicurezza e a episodi che riguardano illeciti (26,8 per cento) attribuiti senza prove ai rom, mentre il 22,6 per cento utilizza il pretesto dei rom per esprimere giudizi negativi nei confronti della Giunta comunale di Milano. Infine, il 21,3 per cento punta sulla difesa del territorio dall’invasione “dei nomadi”, il 14,6 per cento associa il degrado e termini come discarica ai rom. Infine, c’è il 4,9 per cento degli articoli che contiene offese dirette a rom e sinti.



Germania, immigrati al top dal 1995. E' boom di flussi dall'Italia: +40%
Nel 2012 gli arrivi in terra tedesca hanno segnato il record da 17 anni a questa parte, soprattutto dai Paesi meridionali dell'Eurozona schiacciati dalla crisi. Dal Belpaese sono partite il 40 per cento delle persone in più rispetto al 2011. I nuovi tedeschi sono 10 anni più giovani della media nazionale e hanno la laurea
la Repubblica, 08-05-2013
ANDREA TARQUINI
BERLINO - Vola a record storici l'immigrazione nella ricca e forte Germania dal resto dell'Unione europea, e in percentuale l'aumento del numero dei migranti dall'Europa mediterranea schiacciata da crisi e austerità supera di molto il tasso di crescita delle partenze dai paesi dell'Europa centrale e orientale. Lo dicono i dati ufficiali resi noti stamane da Destatis, l'istituto federale di statistica, fornendo una drammatica conferma della crisi e della disperazione dei disoccupati sudeuropei, soprattutto giovani laureati. In particolare, l'aumento del flusso di italiani, in grande maggioranza giovani, verso la Germania, è cresciuto del 40 per cento.
Vediamo i dati nel loro complesso. Nel 2012 si sono trasferiti nella Repubblica federale 1milione e ottomila persone. Nello stesso arco di tempo circa 712mila cittadini tedeschi se ne sono invece andati all'estero a cercare lavori meglio retribuiti (ciò riguarda soprattutto alcune categorie come i medici, retribuiti molto meglio in Norvegia o Nordamerica che non in Germania). Al netto dell'emigrazione tedesca, quindi, almeno 369mila persone provenienti in massima parte dal resto dell'Unione europea sono immigrate qui.
 In assoluto i polacchi sono il gruppo più numeroso, con 180mila persone, seguiti dai romeni (centosedicimila), dai bulgari con 58mila migranti e dagli ungheresi con 54mila, alto numero rispetto ai pochi abitanti del paese, appena dieci milioni. Ma in percentuale, l'aumento dell'immigrazione polacca è solo
dell'otto per cento, di quella bulgara il 14 per cento e di quella romena il 23 per cento. Tassi d'incremento dell'emigrazione dunque ben inferiori a quelli dei paesi mediterranei dell'eurozona: l'aumento degli arrivi di italiani in Germania è del 40 per cento, quello di greci e portoghesi del 43 per cento, quello dei giovani spagnoli addirittura del 45 per cento. In valore assoluto, gli immigrati italiani hanno superato la soglia di 42mila persone, più delle 34mila provenienti dalla Grecia e dei 30mila spagnoli.
Nel complesso, si tratta dell'aumento più cospicuo dell'immigrazione nella Repubblica federale (dove la disoccupazione appare stazionaria) da ben diciassette anni a questa parte. I nuovi arrivati sono in media di dieci anni più giovani rispetto all'età media dei cittadini tedeschi, e quasi sempre hanno un'alta qualifica culturale e professionale, del livello di una laurea universitaria. Tra i sedici Stati della Bundesrepublik, i cinque Stati che registrano il massimo aumento del flusso di migranti sono anche quelli più ricchi o più industrializzati: Baviera, Nordreno-Westfalia, Baden-Wuerttemberg, Assia e Bassa Sassonia.



«Guarda quel negro», insulti razzisti delle mamme ai baby calciatori
CIRDI, 06-05-2013
BELLUNO – Hanno iniziato deridendo il modo di parlare. Hanno continuato criticando le caratteristiche fisiche (chi troppo magro, chi meno…). Infine, hanno preso di mira il colore della pelle: «Guarda quel negro…». È il razzismo calcistico, approdato mercoledì mattina a Farra d’Alpago nel Bellunese. Protagoniste: alcune mamme dei giocatori della squadra della categoria Allievi della formazione di casa, l’Alpago, che è in testa al campionato provinciale grazie al 3-1 ottenuto il primo maggio contro ilLentiai, terz’ultimo in classifica. E soprattutto, contro ilLentiai multietnico. In squadra ci sono ragazzi italiani, kosovari, brasiliani, indiani e marocchini.
«Si è creato un clima teso e insopportabile», è la testimonianza di Anna, una delle cinque madri di giocatori del Lentiai, presenti a Farra d’Alpago. Sugli spalti, come è prassi per qualsiasi bambino e ragazzo che gioca a pallone, c’erano genitori e altri parenti. In alcuni, dimenticatisi completamente del proprio ruolo, o forse ancor peggio convinti che vada bene onorarlo così, è scattata la follia dell’ultras più ottuso. Insulti, parecchi e ben farciti, nei confronti di tutti, dagli avversari all’arbitro. In particolare insulti per due ragazzi di 16 anni – uno di origine indiana, l’altro marocchina – con la solita insopportabile colpa, impossibile da smacchiare: il colore della pelle. Insulti inequivocabili, gravi, urlati da un paio di mamme-ultras dell’Alpago che hanno acceso una reazione.
Un giocatore del Lentiai si è fermato in mezzo al campo, incapace di continuare a giocare. E sugli spalti una ragazza di 15 anni si è messa a piangere. La sorella di uno dei giocatori in campo non ha retto la tensione. «Allora proprio una di quelle mamme – racconta Anna – le ha detto per consolarla: “Non devi stupirti, il razzismo fa parte della nostra società. Devi abituarti”». A placare gli animi ci ha pensato la madre della ragazza che piangeva, con un gesto di una bellezza rara, specie se contrapposto all’uso selvaggio degli insulti razzisti: «La mia amica brasiliana è andata da una di questi madri dei giocatori dell’Alpago, le ha carezzato il viso – dice ancora Anna – e poi le mani, che tremavano. “Io non parlo l’italiano come te, ma so comportarmi meglio. Se continui così, tuo figlio farà come te”».
La dolcezza e la semplicità delle parole, ben diverse da quelle usate da un’altra mamma: «Mi vergogno di essere alpagota», ha detto una donna originaria dell’Alpago, ma ora trasferitasi nel Feltrino, a Farra per seguire il figlio che gioca nel Lentiai. Vergogna, razzismo, insulti, lacrime in una partita di Allievi: calciatori di 16 anni in uno sport perso nella presunta normalità di comportamenti da codice penale.
Fonte: Il Gazzettino.it

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