Naufraghi di serie A e di serie B

Valentina Brinis
Il naufragio della nave da crociera Concordia, avvenuto qualche giorno fa al largo dell’isola del Giglio, è stato seguito mediaticamente passo dopo passo: l’urto, le urla dei passeggeri, l’allarme dato attraverso gli altoparlanti dal comandante, la fuga con le scialuppe, i soccorsi e le polemiche.

Tutto ben documentato anche dai corrispondenti esteri sia perché a bordo della Concordia c’erano molti ospiti stranieri, sia perché si tratta di una tragedia inaspettata per una nave di quelle dimensioni (inevitabile è la rievocazione del naufragio del Titanic). E un altro è l’aspetto che colpisce: nonostante tutti i passeggeri fossero stati censiti e registrati (si conoscono il numero di persone imbarcate e le loro generalità) restano le difficoltà nel calcolo dei dispersi. Ma è proprio quest’ultimo problema - ecco il dato singolare – ad accomunare la vicenda della Concordia e i morti (e dispersi) tra i migranti nel Mediterraneo che, nel solo 2011, sono stati 2160. E colpisce ancor più perché quella cifra (duemilacentosessanta) è l’esito, invece, della maledetta combinazione di più irregolarità: quella delle imbarcazioni, del numero di passeggeri, delle condizioni di navigazione e di chi li trasporta verso l’Italia. Il paragone risulta drammaticamente interessante - a prescindere dalla retorica a cui rimanda - perché evidenzia la disparità di trattamento tra i naufraghi della Concordia e quei profughi, che in alcuni casi sono anche naufraghi. Per i secondi non si ha alcuna pretesa di esattezza nel calcolo dei dispersi, nella ricostruzione della loro biografia e, soprattutto,  nessuna pretesa di individuare i colpevoli. Premessa l’umana pietà per i morti della Concordia, non si può non registrare il sospetto che chi giace nel Mediterraneo sia considerato di una categoria diversa (inferiore?) di vittima del mare.
Italia-razzismo 17 gennaio 20212

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