Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Roma - L’odissea dei somali. Sgomberata l’ex ambasciata. 130 rifugiati senza un tetto


Dal tugurio alla strada. Questa non si chiama accoglienza
E’ di pochi giorni fa il video reportage girato da Fabrizio Ricci e Carlo Ruggiero sull’ex ambasciata somala di Roma di via dei Villini, stabile che permanentemente ormai da un decennio era diventato rifugio per circa 130 rifugiati somali senza un tetto dove stare.
Ieri, una operazione di Polizia, ha portato gli agenti fino all’interno dell’edificio per esegure forzatamente lo sgombero.
Una situazione ormai da tempo conosciuta che nessuno ha voluto vedere per anni.
Niente luce, niente acqua, nessun tipo di sicurezza. All’interno dello stabile la situazione era veramente sotto la soglia minima della vivibilità. La soluzione? Lo sgombero.
Come se per richiedenti asilo e rifugiati vivere in quelle condizioni fosse degno, come se non fosse vero che, nonostante i beneficiari della protezione internazionale siano giuridicamente equiparati ai cittadini italiani, non vivano nella realtà una condizion e ai margini della clandestinità sociale.
Così, ancora una volta, emergono tutti i limiti dellaccoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati in questo paese.
Prima vittime nei teatri di guerra, poi inghiottiti nel vortice dei trafficanti di uomini, libici o turchi che siano, poi ancora respinti, clandestini ancor prima di approdare nel nostro paese. E una volta arrivati, sempre che il viaggio non si sia tramutato in tragedia, nonostante riconosciuti titolari del diritto d’asilo, ancora ricacciati, acora in viaggio, ancora costretti a migrare anche quando restare è il loro obiettivo, oppure ingabbiati, quando invece il desiderio vorrebbe portarli in un diverso paese europeo, vittime della Convenzione di Dublino, di un’aeuropa che mentre si fa unica nel controllo delle frontiere, non altrettanto uniformamente permette di accogliere i profughi.

Eppure in Italia, da ormai un decennio, esiste un Sistema di Protezione dei Richiedenti Asilo e Rifugiati che, coordinato dal Servizio Centrale, coinvolge oltre 100 enti locali in tutta la penisola.

Ma che cosa sta avvenendo?
Non è certo lo Sprar ad essere sotto accusa. Da sempre soffre la poca inclinazione della politica a finanziare progetti in favore dell’inserimento dei migranti, ed in particolare in questo momento, nonostante gli sforzi per mantenere alto il livello di efficacia dei progetti, subisce le ulteriori restrizioni finanziarie a causa della crisi, che stanno mettendo a rischio il "risultato finale". Il sistema di accoglienza è infatti realtizzato dagli enti locali che si avvalgono, nella quasi totalità dei casi, di collaborazioni con le realtà del territorio. I percorsi di inserimento, che hanno il fine di inserire i beneficiari all’interno del territorio, rendendoli autonomi sotto il profilo della lingua, della capacità di ricerca del lavoro, per quel che concerne le competenze professionali e per quanto riguarda la sistemazione abitativa, hanno a disposizione soli sei mesi per dare forma a questi abiettivi.
Il loro funzionamento è però diversificato da città a città, disegnando una mappa dell’accoglienza che, a macchia di leopardo, si suddivide tra zone in cui la qualità e gli standard del progetto è più elevata (e così anche la sua efficacia) e zone in cui l’accoglienza risulta essere una mera anti-camera alla strada.
I finanziamenti sono ristretti e "Dublino", contemporaneamente, non permette una distribuzione su scala europea della presenza di richiedenti asilo e rifugiati, che risponda ai desideri soggettivi espressi dagli stessi beneficiari.
AQnche la distribuzione della capacità di accoglienza è dismogenea. Si va dai 95 posti del Progetto Fontego, realizzato dal Comune di Venezia, che oltre alla sistemazione abitativa può contare su uno sportello di assistenza, su progetti di formazione linguistica, di accompagnamento al lavoro, di sviluppo di competenze professionali, di accompagnamento abitativo, di assistenza psicologica, nonchè su una rete consolidata di attività realizzate in sinergia con il territorio, per arrivare fino ai 15 posti disponibili distribuiti nella stragrande maggiornaza delle altre città. La città con un maggior numero di posti disponibili è proprio Roma (165), ma la proporzione con il numero di abitanti rende assolutamente minima la capacità ricettiva, mentre per Milano e Torino, altra grande metropoli (ed in parte ancora anche Roma), l’accoglienza è affidata ai centri polifunzionali che poco hanno a che vedere con progetti di inserimento.

Spesso, troppo spesso, è difficile comunque avere accesso allo Sprar, a causa di una disponibilità complessiva (circa 3.000 posti) ben al di sotto della domanda effettiva di accoglienza. Ma altrettanto spesso, a causa della mancanza di fondi o di una gestione poco lungimirante dei progetti, anche chi viene "accolto", una volta uscito, non riesce a sviluppare autonomamente un percorso di inserimento nel territorio e si vede costretto a re-inventarsi un tetto dove stare ed un modo per "campare".

E’ in questo modo che l’ex ambasciata somala a Roma è diventata un dormitorio squallido, è per questo che sotto quel tetto trovavano rifugio 130 inquilini che si sono visti togliere anche quell’ultimo disperato riparo.

Ovviamente dopo lo sgombero i somali hanno fatto rientro nello stabile nonostante fossero state sbarrate le porte.
Questa è una delle tante storie che raccontsano la vita dei beneficiari dello Status di rifugiato in questo paese, una delle tante facce della nagazione del diritto d’asilo, che dai confini libici fino alle nostre città si sta consumando.
Questo, come tanti altri che attraverasano le città di Torino, Milano, Padova, Firenze, Napoli, Caserta, Bari, Palermo, è il nodo scoperto della nostra democrazia, il suo stato di salute, la misura del suo grado di civiltà.

E ancora, sull’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiasti, in questo mondo in cui le guerre ed i mutamenti climatici stanno costringendo migliaia di persone a fuggire, è anche un pezzo della sfida che abbiamo davanti.

Melting Pot 13 novembre 2010





Profanata l'Ambasciata Somala, perchè?
Circa due settimane fa abbiamo realizzato una video inchiesta per Rassegna.it sulla incredibile situazione dell'ex ambasciata somala di Roma, in via di Villini 9, a pochi passi da Porta Pia. In quell'edificio, da anni, si erano accampati oltre 100 giovani migranti, tutti rifugiati politici (la situazione drammatica del loro Paese è nota) o comunque con permessi umanitari. Grazie all'aiuto di due loro connazionali siamo riusciti per la prima volta a filmare l'interno dell'ambasciata e a testimoniare così le condizioni drammatiche dei suoi "ospiti". Il video in pochi giorni ha fatto il giro del mondo registrando oltre 40mila visualizzazioni su youtube, rimbalzando sui molti dei siti e dei blog gestiti dalle comunità dei rifugiati politici somali in ogni angolo del globo.

Tuttavia, da parte delle istituzioni sia romane che nazionali non c'è stata la reazione che noi avremmo auspicato a fronte di una situazione chiaramente inaccettabile. Poi venerdì scorso è arrivata invece la notizia dello sgombero. Ed è arrivata tramite una nota del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro nella quale si esprime "vivo apprezzamento alle Forze dell'Ordine per lo sforzo e l'impegno con cui stanno operando in numerosi quartieri di Roma per dare sicurezza e garantire serenità ai cittadini". In poche parole, la notizia non consiste nel fatto che a quei rifugiati era stata finalmente concessa una sistemazione dignitosa, ma che i cittadini del “quartiere bene” si erano finalmente liberati di loro.

Insomma, l’ambasciata è stata sgomberata perché alcuni occupanti spacciavano droga. Più precisamente due di loro, "trovati in possesso di sostanze stupefacenti", mentre altre 94 persone residenti nello stabile sono state "accompagnate dai poliziotti all'Ufficio Immigrazione della Questura". Di tutte queste persone, dunque, la Questura non sapeva nulla fino all’altra notte. Le ha scoperte seguendo due spacciatori.

Ovviamente, dopo lo sgombero i rifugiati somali hanno tentato, invano, di rientare nello stabile nonostante fossero state sbarrate le porte. Di loro non si ha ancora alcuna notizia. I comunicati delle istituzioni romane non ne rendono conto. E il rischio è che queste persone che, ripetiamolo, hanno pieno diritto di asilo politico nel nostro Paese, siano ancora più abbandonate a se stesse e non abbiano un posto dove dormire.

L'obiettivo della nostra inchiesta era naturalmente quello di denunciare una situazione inaccetabile, nella speranza che questa venisse sanata. Ma il risultato non può essere di certo quello di un peggioramento delle condizioni di questi rifugiati. Per questo facciamo appello a tutti i media e soprattutto alle isituzioni preposte, affinché si intervenga al più presto.

Carlo Ruggiero e Fabrizio Ricci,

rassegna.it
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