Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

23 novembre 2010

Gli immigrati sulla gru volevano trasparenza  Saranno espulsi
l'Unità, 23-11-2010
Italia-razzismo
Espulsione immediata senza passare dal Cie (Centro di Identificazione ed Espulsione). Potrebbe essere questa, riassunta in una frase, la sorte di due delle sei persone immigrate che per 17 giorni hanno protestato a 35 metri di altezza, sul braccio di una  gru in un cantiere di Brescia. Una protesta per chiedere, ricordiamolo, che il meccanismo del permesso di soggiorno sia reso più semplice e chiaro. Una iniziativa che rimanda in ultima istanza all’importanza rivestita dalla regolarità della posizione giuridica per tutte le vicende relative alla vita concreta dell’immigrato in Italia. E, infatti, lo straniero viene riconosciuto socialmente solo se è un lavoratore con documenti legali in mano. L’assenza di questa condizione determina in genere l’oscuramento della persona in quanto tale. E non solo. La riduce a soggetto indesiderato costretto nella marginalità, nella clandestinità o nel Cie. Nel 2009 sono transitate in queste ultime strutture 10913 persone: 4152 delle quali sono state rimpatriate e 3945 sono state rilasciate, al termine del periodo di trattenimento previsto dalla legge, con foglio di via. Gli “ospiti”  vivono in un’angosciante attesa perché, fino all’ultimo istante, non sanno a quale dei due gruppi sono destinati: se a quello dei rimpatriati o a quello dei rilasciati con foglio di via. Alcuni protestano e fanno sentire la loro voce. Altri scelgono di ammutolirsi, cucendosi le labbra con ago e filo. Nel caso più recente, avvenuto nel Cie di Torino, si tratta di sei persone originarie del Maghreb, ma in queste strutture episodi di autolesionismo si registrano di frequente. E quei corpi, mortificati e feriti, certificano quale è lo stato di malessere all’interno dei Cie.



Ora Mara incalza la Lega "Via le ordinanze razziste delle giunte nel Bresciano' '

la Repubblica, 23-11-2010
PAOLO BERIZZI
BRESCIA —All'inizio erano casi isolati. Adesso è diventato un braccio di ferro. Da una parte i sindaci — soprattutto leghisti, ma anche Pdl — della provincia di Brescia e le loro ordinanze creative contro gli immigrati (una decina quelle denunciate finora) . Dall'altra il ministero delle Pari opportunità. Che attraverso il suo ufficio anti-discriminazioni razziali (Unar), dopo essere intervenuto ripetutamente per stoppare l'offensiva delle amministrazioni contro la residenza e l'ospitalità straniera, adesso dice basta. Che il vaso è colmo l'Unar lo scrive in una lettera inviata al primo cittadino leghista di Bassano Bresciano, ultimo capitolo del botta e risposta sui diritti degli immigrati. Dopo avere rilevato la «discriminazione» contenuta nell' ennesima ordinanza irrituale finita sotto la sua lente d'ingrandimento (la n°406 del l2 gennaio 2010 , la materia è la solita: «modalità di iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente»), l'ufficio del ministero guidato da Mara Carfagna invoca ora un intervento deciso. Che metta fine alle provocazioni dei sindaci "lumbard" e alla deriva delle sperimentazioni in atto nel "laboratorio Brescia". «Visto il ripetersi di comportamenti simili da parte dei primi cittadini di molte realtà comunali —è scritto in una missiva partita da Largo Chigi—si chiede che si trovino adeguati mezzi attraverso i ministeri competenti e le associazioni a cui gli enti territoriali fanno riferimento, al fine di approfondire e dibattere in termini giuridici il tema dei poteri degli stessi sindaci». In sostanza, è il messaggio, ordinanze subdole e prove muscolari nei confronti degli immigrati ,  da ora in poi non devono più essere tollerate.
La storia va avanti da mesi. E non è un caso, forse, che lo "sceriffato" leghista abbia attecchito in una provincia il cui capoluogo, Brescia, recentemente è balzato agli onori delle cronache per alcuni provvedimenti singolari
messi in pista dalla giunta a guida Pdl-Lega: prima i guanti igienici sugli autobus frequentati dagli immigrati. Poi l'invio—per ora solo in fase sperimentale—di vigili urbani armati sulle stesse linee dei mezzi pubblici. Nel solco dei soli delle Alpi di Adro, e prima ancora dei bonus bebé solo agli italiani e dell'operazione White Christmas di Coccaglio (via gli stranieri irregolari entro il Natale scorso), molti amministratori bresciani si sono messi in scia: hanno iniziato un'opera di regolamentazione —di fatto una deregolamentazione—il cui obiettivo è quello di mettere i bastoni tra le ruote agli stranieri. Da Rocca franca a Castelmella, da Bassano a Calcinato, da Chiari a Verolanuova fino a Gavardo, le giunte del Carroccio (e di liste del centrodestra) hanno preso ad applicare lo stesso schema in materia di iscrizione anagrafica, residenza, ospitalità e verifica delle condizioni igienico sanitarie abitative. In pratica: l'intero pacchetto che riguarda i cittadini stranieri che vivono o vorrebbero vivere in paese. Ecco, per disincentivarne la residenza i sindaci lumbard hanno elaborato norme accessorie: tetti minimi di reddito (5mila euro), contratti a tempo indeterminato, schedature degli appartamenti che ospitano immigrati,  obbligo di fornire dati precisi su chiunque vi trascorra anche solo un giorno. Partite le segnalazioni, l'Unar è sempre in-tervenuto tempestivamente. In cinque casi (gli ultimi sono Bassano e Gavardo) oltre agli ispettori della Carfagna è intervenuta anche la prefettura: e i firmatari delle ordinanze sono stati invitati a fare marcia indietro.
A far da cane da guardia, mobilitando prefettura e ministero, ci ha pensato spesso la Cgil. «Queste ordinanze hanno una regia precisa — ragiona Damiano Galletti, segretario della Camera del lavoro di Brescia—mirano a togliere diritti inviolabili agli immigrati sindaci oltretutto non hanno l'autorità per imporre questi vincoli. È la legge dello Stato che comanda. Per fortuna il ministero delle Pari opportunità se ne è accorto».



La bolla Fini si sgonfia Lui chiama gli immigrati

La raccolta di firme per il manifesto di futuristi è ferma a quota 20mila, un quinto delle previsioni. Per evitare la figuraccia il leader si appella agli stranieri
Libero, 23-11-2010
MARCO GORRA
ROMA -  La badante, il pizzaiolo, il muratore e il sostenitore di Futuro e libertà. Nella lista dei celebri lavori che gli italiani non vogliono più fare e lasciano agli immigrati  si segnala una significativa new entry: il finiano. «Il manifesto di Fli», annuncia trionfante il presidente della Camera in persona, «può essere firmato dagli  immigrati  regolari residenti in Italia». Reclutamento senza frontiere, dunque. «È importante che lo firmino», sottolinea infatti Fini, «perché è una prova di condivisione di valori della destra italiana da parte di chi, in un futuro prossimo, sarà cittadino della nostra nazione». Ufficialmente, l'operazione è il non plus ultra del finismo bello, buono e inclusivo, con i cittadini del domani che mettono la firma sul manifesto del partito nuovo e solidale che solo, nell'asfittico centrodestra italiano, ha capito che l'avvenire è loro. Meno ufficialmente, l'operazione-immigrati  è l'ultima carta rimasta in mano ai futuristi per evitare la mamma di tutte le figure in bemolle.
CHI SI FIRMA E PERDUTO
Il punto è che la campagna di adesioni al manifesto del Fini-pensiero sta andando assai a rilento. Al convegno di Bastia umbra, presentando il manifesto, Fini aveva indicato l'obiettivo: centomila firme entro il 15 gennaio, quando si apriranno a Milano i lavori del primo congresso di Fli. Obiettivo ambiziosetto, ma sull'onda dell'entusiasmo non ci avevano dato granché peso. Finché non sono iniziati ad arrivare i primi dati, e lì è scattato l'allarme: firmano in pochi, serve un colpo di teatro. E si arriva al video-messaggio di Fini della scorsa settimana: uno spottone che ha colto nel segno, considerando che sulla sua onda emotiva le adesioni hanno oltrepassato quota diecimila. Da lì in poi, però, nuova flessione. Ad oggi, sotto il manifesto di Fli non ci sono più di ventimila firme: che sono un quinto del necessario. E il brutto è che il trend appare in flessione: gli apostoli del finismo hanno ovviamente già firmato tutti, e che ad andare a rilento siano le iscrizioni dei neofiti e dei convertiti, senza i quali il peso elettorale di Fli è destinato a contrarsi drasticamente è il peggiore dei segnali. E allora si corre ai ripari sperando che a colmare il vuoto indigeno siano gli immigrati.
Che in casa finiana inizi ad aleggiare un certo nervosismo lo dimostrano anche le altre tre notizie di giornata dal fronte Fli. Accomunate dal denotare una marcata riduzione di cabotaggio politico. La battaglia di Fini, che doveva svolgersi nell'empireo delle idee, si sta rivelando assai più terra terra di quanto preventivato. A partire dal caso del simbolo del PdL. Sostiene Italo Bocchino, capogruppo alla Camera e capofila dei katanga finiani, che alle prossime elezioni Berlusconi non potrà usare il logo del partitone: «Nome e simbolo del PdL sono in comproprietà con Fini». E per tutta la giornata non si parla d'altro: si compulsano atti notarili, si prende atto delle parole del sindaco di Terzigno (Napoli) Domenico Auricchio che sostiene di avere ceduto il simbolo «in esclusiva» al premier, si fa notare che l'ufficio brevetti europeo dà ragione al Cav. Il PdL spara a palle incatenate: quelle di Bocchino sono «pose che sarebbero a stento ammesse nelle più misere discussioni condominiali» (Sandro Bondi); «È come quando si giocava a calcio da piccoli e si diceva "il pallone è il mio"» (Maurizio Gasparri); «Ricatto delle carte bollate» (Fabrizio Cicchitto). A sera ricorri pare Bocchino per annunciare che «sul simbolo decideranno i magistrati». E chi vuole malignare sull'asse fini-toghe da oggi ha un elemento in più.
SECONDI FINI
Quanto al resto, ieri è stata anche la giornata delle mozioni sul pluralismo in Rai. Alla Camera è arrivata quella di Fli, dove si sostiene che la tv pubblica è in mano a Berlusconi tramite il duo Masi-Minzolini. A Palazzo Madama è invece stata presentata la contro-mozione del PdL, dove si ribaltano i termini della questione e si invita la Rai a difendere sì il pluralismo, ma dalla minaccia dell'egemonia della sinistra nei talk show. Da ultimo, da segnalare l'uscita di Fini sulla bontà dell'introduzione del reato di stalking: «Una conquista civile il cui ampio consenso fa ben sperare». Il reato di stalkingè il fiore all'occhiello del lavoro di Mara Carfagna alle Pari opportunità e quale sia l'attuale situazione del ministro è noto. Circostanza che rende abbastanza difficile non vedere secondi fini nei complimenti del presidente della Camera.



Padova, Carpi: le nuove Prato Bar e borse, piccoli cinesi crescono

Le maggiori concentrazioni nei distretti manifatturieri emiliani e veneti
Corriere della sera, 23-11-2010
Dario Di Vico
Non è difficile incontrare chi si lascia scappare che «qui da noi ormai è una nuova Prato». Artigiani e commercianti delle province emiliane e venete sono sul chi vive. Sentono odore di invasione cinese e non ci stanno. I dati, che dovrebbero essere oggettivi, non confermano le loro sensazioni ma neppure le smentiscono. Perché se è vero che nel manifatturiero e nei servizi la presenza di operatori cinesi nelle regioni padane è in costante aumento, fortunatamente le dimensioni (e i problemi) di Prato per ora restano lontani.
Campanello d'allarme — Secondo le ultime rilevazioni Unioncamere (terzo trimestre 2010) le manifatture di proprietà cinese sono circa 750 a Reggio Emilia, 585 a Padova, 560 a Modena. E ancora, ben 502 nella piccola Mantova e 437 nell'altrettanto piccola Rovigo. I numeri di Prato (3.493) e anche di Firenze (2.347) no sono dunque paragonabili ma non per questo commercianti e artigiani veneto-emiliani che suonano l'allarme hanno torto. Anche perché i dati parlano di ditte individuali che agiscono alla luce del sole e sono registrate nelle statistiche ufficiali, nessuno può formulare nemmeno una stima su quanti siano invece i laboratori clandestini. Di sicuro nelle province attorno al Po 0 anche in Lombardia i ritrovamenti da parte delle forze dell'ordine di «fabbriche fantasma» non fanno più notizia. Finiscono nelle brevi. E nei mesi scorsi la Confartigianato di Treviso per richiamare l'attenzione ha organizzato un incontro pubblico con la Guardia di finanza. Obiettivo: fare il punto sulla strategia di contenimento delle illegalità nella produzione di abbigliamento, scarpe e divani. In Brianza poi, la capitale del mobile made in Italy, a fine settembre si è verificata a Muggiò l'esplosione di un laboratorio cinese.
Avanzata silenziosa — L'avanzata asiatica nel manifatturiero padano è lenta e silenziosa. Fanno molto più scalpore le acquisizioni di bar e osterie (alcuni di nome) comprati con trattative lampo e non è un caso che Marco Paolini abbia iniziato a girare un film sui rapporti tra cinesi e veneti ambientato in un'osteria venduta. Sono passati di mano il bar Franchin di Rovigo, il ristorante Dai Nodari di Vicenza, il bar Cavour di Reggio Emilia e il bar Pilar di piazza dei Signori a Padova. Sempre nella città del Santo altri esercizi nelle vicinanze del centro storico sono stati acquistati in contanti per 6-700 mila euro e, dopo un periodo di gestione diretta, i cinesi hanno assunto camerieri e conduttori italiani per evitare di perdere clienti. Secondo Ferdinando Zilio, della Confcommercio di Padova, in tutto il Veneto saranno 2 mila i bar, ristoranti e osterie passati di mano.
La compravendita è molto meno frequente nell'industria. La tendenza degli operatori cinesi in questo caso è quella di articolare la loro presenza lungo l'intera filiera, dal capannone 0 sottoscala che produce calze e vestiti fino alla bancarella che li vende nei mercati di paese. Oppure di aprire in posizioni strategiche dei Centri Ingrosso, come nel caso di Padova, dove c'è persino una gioielleria e si può comprare di tutto, dalla frutta e verdura all'orsetto di peluche. Il guaio è che molti di quei prodotti, provenienti nelle fabbriche tutte intorno, portano l'etichetta made in Italy e vengono venduti in gran quantità a sloveni e austriaci. «Lì dentro non si sa nemmeno cosa sia una fattura e le regole, tutte le regole, vengono continuamente calpestate. Purtroppo in città c'è una sottovalutazione di quanto sta avvenendo» tuona Zilio.
«Devo dire che i numeri dell'Unioncamere riferiti a Mantova sono sorprendenti, questa penetrazione nel manifatturiero ancora sfugge ai nostri occhi» ammette Massimo Salvarani, direttore della Cna locale. E vero che anche nel Mantovano una fabbrichetta clandestina al mese salta fuori e la scena è sempre la stessa: un grande locale dove si cuce, si mangia e si dorme. Le aree a maggiore concentrazione di ditte cinesi sono segnalate attorno al distretto della calza di Castelgoffredo 0 nella maglieria vicino ai comuni di Poggio Rusco e Quistello. Non è chiaro quanto e come i cinesi lavorino per grandi aziende italiane e se abbiano sostituito 0 meno i vecchi contoterzistì della zona. Se è così, comunque, è successo tutto nel silenzio. Giorno dopo giorno. Anche a Rovigo è l'abbigliamento il cuore del nuovo manifatturiero cinese. Come a Mantova non si tratta però di un insediamento diffuso, non ci sono Chinatown 0 grandi centri di smistamento ma un lento ingresso nella subfornitura. Nella provincia di Modena è il distretto di Carpi a catalizzare l'attenzione delle nuove ditte cinesi, quelle regolari e quello no. Qui la Cna locale si azzarda a stimare che a fronte di un'azienda emersa ce ne siano almeno quattro sommerse. Per avere dati precisi, suggeriscono, forse occorrerebbe analizzare i consumi notturni di energia elettrica visto che le manifatture fantasma lavorano anche quando gli altri dormono. Modena però offre molte altre occasioni e così ditte cinesi sono presenti nella ceramica e addirittura nel biomedicale. Aveva fatto scalpore qualche settimana fa la presenza a una fiera specializzata di un'impresa cinese della meccanica per ceramiche con tanto di brand «Modena Machinery».
A Reggio Emilia, città multietnica ormai per eccellenza, attorno alla stazione centrale una piccola Chinatown esiste con tanto di bar italiani conquistati, mentre gli insediamenti nel manifatturiero sono più nella parte a sud della provincia attorno ai comuni di Correggio, Brescello, Ca' del Bosco. I laboratori spesso sono ospitati in case coloniche e anche in questo caso è il distretto della maglieria di Carpii a esercitare attrazione.
Le reazioni — In prima fila a denunciare i rischi dell'invasione cinese sono le organizzazioni dei Piccoli. A Firenze lo scorso anno è stata la Cna a mobilitare i propri artigiani davanti al rischio che la pelletteria locale passasse armi e bagagli sotto i cinesi. L'ufficio studi nazionale della Confartigianato ha elaborato un'analisi sulla presenza in Italia, sulle rimesse di denaro in Cina e sulle caratteristiche socioculturali delle loro comunità. Risultato: ogni cinese in Italia ne mantiene 4 in patria e nonostante la Grande crisi l'attività di money transfer nel 2009 continuava ad aumentare a tassi superiori al 20% mentre quella degli immigrati di altri Paesi faceva segnare per la prima volta una contrazione. Le comunità cinesi sono anche quelle che meno utilizzano servizi pubblici e privati per l'inserimento nel mercato del lavoro, non sono minimamente interessate al riconoscimento del titolo di studio conseguito in patria e sono anche le meno portate a utilizzare l'italiano sul luogo di lavoro. Finora allarmi e denunce sono rimaste nell'ambito associativo e non si segnalano episodi di intolleranza. Qualche tempo fa aveva però colpito l'affermazione del governatore veneto Luca Zaia, «in Veneto non permetterò che nascano Chinatown», e sempre nel Nordest la Lega è stata molto critica verso l'apertura nei dintorni di Manzano (distretto della sedia) di un centro ingrosso cinese. Va in controtendenza la Caritas che polemizza con chi parla di pericolo giallo e concorrenza sleale. Critica esplicitamente Roberto Saviano per quelle che giudica esagerazioni contenute in Gomorra, sostiene che la permanenza dei cinesi in Italia è a tempo determinato e di conseguenza molti di loro non imparano la lingua di un Paese nel quale non resteranno. Analizza, infine, il senso di timore degli italiani verso i progressi economici cinesi in un momento di recessione in Italia e arriva a parlare di «un crescendo di notizie diffamatorie verso la comunità cinese che si traducono in tensione sociale e anche in pesanti atti di razzismo».
Legalità — È normale che ci siano punti di vista diversi. E forse non ha nemmeno senso dividersi tra chi pronostica "nuove Prato" e chi invita gli italiani a lavorare per l'integrazione. Ivan Malavasi, presidente della Cna e imprenditore del Reggiano, non nasconde le preoccupazione dei suoi associati. «Ho l'impressione che il patrimonio di competenze che sta passando di mano noi non lo ricomporremo più. Per certi versi i cinesi ci sostituiscono e noi siamo portati a mollare». Che fare, dunque, per non vivere nell'incubo dell'invasione gialla? «Dobbiamo batterci per un modello economico di assoluta trasparenza e quindi massimo sostegno a tutte le iniziative per il ripristino della legalità. Non ci possiamo permettere asimmetrie». Sulla stessa lunghezza è Raffaello Vignali, deputato del Pdl e consigliere per le Pmi del ministro Paolo Romani. «Non dobbiamo far passare l'idea che a da noi, a Prato 0 altrove, si possa far tutto. Dobbiamo quindi chiedere di intensificare i controlli a tutti i livelli. Perché francamente non è possibile che a Roma in via Veneto, proprio sotto il ministero dello Sviluppo economico, a una certa ora della sera i marciapiedi diventino un unico tappeto di merci contraffatte». E in questo caso la beffa precede il danno.



“Medici senza frontiere” relaziona su immigrati e salute

NuovaSocietà, 23-11-2010
Laura Caviglia
Si è tenuto ieri sera, 22 novembre, al Cineteatro Baretti un incontro con "Medici Senza Frontiere" durante il quale è stato presentato il rapporto "Al di là del muro. Viaggio nei centri per migranti in Italia", risultato di un'indagine socio- sanitaria effettuata all'interno dei centri di detenzione per immigrati privi di permesso di soggiorno (CIE), nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) e migranti (CDA) in Italia.
Ma non solo. Grazie all'intervento di Rolando Magnano e Alvise Benelli, operatori dei progetti italiani di "Medici Senza Frontiere", è stato descritto in modo più ampio il panorama della situazione sanitaria delle persone immigrate nel nostro Paese.
Con la proiezione del video "MSF a Lampedusa" è stato presentato il lavoro di assistenza sanitaria che Medici Senza Frontiere ha effettuato a Lampedusa dal 2002 al 2008.
Come spiega Alvise Benelli, le patologie maggiormente riscontrate al momento degli sbarchi erano attribuibili alle condizioni della traversata: disidratazione, piaghe dovute all'impossibilità di muoversi per giorni, ipotermie, ustioni chimiche provocate da un miscuglio di acqua, benzina e urina e, infine, psico-depressione da stress.
Molte delle persone arrivate erano richiedenti asilo e solo nel 2008 al 50% venne riconosciuto il diritto di protezione umanitaria. Dal 2008 in poi venne formalmente decretato il blocco degli sbarchi per fermare l'immigrazione irregolare. Blocco che però, afferma Benelli, ha più che altro impedito la migrazione dei richiedenti asilo, gli unici a non poter entrare in altri modi all'interno dei confini italiani. Dal 2009 iniziarono i veri e propri respingimenti, vere e proprie violazioni dei diritti della persona, che impediscono ovviamente un adeguato intervento di assistenza sanitaria.
Un altro video, "Una stagione all'inferno", porta invece la testimonianza delle condizioni di vita dei lavoratori stagionali immigrati in Italia, dei quali, secondo un'indagine del 2007 in cui vennero visitate e intervistate 600 persone, il 75% delle stesse presentavano patologie croniche dovute alle pessime condizioni abitative e lavorative, subite per guadagnare pochi euro ad ora o a giornata.
MSF denuncia il fatto che i controlli istituzionali, per quanto siano stati intensificati negli ultimi anni, siano inefficaci, se non addirittura spesso complici di questo sistema di schiavitù invisibile.
La situazione abitativa, lavorativa e quindi sanitaria vissuta all'interno del nostro Paese dalla popolazione immigrata priva di permesso di soggiorno dovrebbe farci riflettere sul concetto di salute, interpretandolo nelle sue diverse sfumature.
Secondo la definizione della O.M.S la salute è da considerare "uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia o infermità. E' un diritto umano fondamentale".
E come tale non deve essere violato.



Pubblicato il terzo rapporto Emn sulla situazione italiana
Immigrazione e sviluppo, oltre la "precarietà"
Farefuturo, 23-11-2010
Maria Elena Viggiano
"Calabria, bloccato veliero con 137 clandestini". La notizia è di ieri ma potrebbe essere di una settimana fa o di domani, perché purtroppo l’arrivo di immigrati che cercano di raggiungere l’Italia, con la speranza di trovare una vita migliore, è all’ordine del giorno. Nonostante ciò, non c’è ancora stato un processo di reale integrazione tra i cittadini italiani e chi cerca accoglienza ma è ormai diventato inevitabile avviare una seria riflessione su tale problematica. Un’analisi dettagliata ha evidenziato che il futuro demografico e il mercato occupazionale del paese sono soggetti a cambiamenti dovuti ai flussi migratori. Lo studio è stato condotto dall’European Migration Network (Emn), la rete istituzionale diretta dalla Commissione europea che segue l’andamento dell’immigrazione nei 27 Stati membri dell’Unione europea, e cerca di interpretare i dati statistici, di osservare l’evoluzione del fenomeno e la normativa di riferimento. Il Terzo Rapporto Emn Italia, appena pubblicato, si suddivide in tre parti: la partecipazione dei migranti al sistema economico italiano, la migrazione temporanea e circolare in Italia, l’annuale rapporto statistico in materia di immigrazione e protezione internazionale. Un lavoro sistematico che parte dall'analisi di uno dei presupposti fondamentali: l’alta presenza di immigrati e, quindi, l’aumento della popolazione. Secondo i dati Istat, ogni anno si assiste a una crescita media di persone che va dalle 150mila alle 240mila unità. In base a questi dati, si è calcolato che nel 2050 si arriverà a 67 milioni di residenti (rispetto ai 60 milioni del 2009), il 18% dei quali saranno stranieri. Non è quindi possibile evitare di parlare di integrazione, facendosi carico anche dei costi relativi che derivano da diversi fattori, per esempio attualmente la maggior parte degli stranieri sono  popolazione attiva ma, secondo le statistiche, nel 2050 aumenterà in modo inevitabile il numero degli ultrasessantacinquenni e sarà necessario pensare alla loro incidenza sul sistema del paese. Non bisogna inoltre trascurare i diritti per una partecipazione attiva degli immigrati alla vita sociale del paese mentre in questo momento vengono solo utilizzati come forza lavoro necessaria per il sistema produttivo italiano. Le piccole e medie imprese sono consapevoli che gli immigrati rappresentano una nota positiva per aumentare la bassa competitività sui mercati globali, tanto che nel 2010 si calcolano 181 mila lavoratori assunti provenienti dall’estero, per un totale di circa due milioni. Emergono però delle disparità poiché la maggior parte svolge lavori poco qualificati. Assistenza alle famiglie e lavori nell’edilizia sono ancora i settori principali per l’inserimento degli stranieri. Non sorprende dunque che quattro donne su dieci lavorano come colf ma filippine, ucraine, ecuadoriane, peruviane e moldave, che prestano servizio part-time presso milioni di famiglie italiane, spesso non sono assunte in modo regolare e costituiscono parte di un mondo sommerso difficile da penetrare e da delineare. Citando ancora il rapporto, risulta che sono 154.026 i permessi di soggiorno scaduti e non più rinnovati, ripartiti in tutte le aree continentali: il 36,5% di europei, il 22,7% di africani, il 35,7% di asiatici e il 15% di americani. Che fine hanno fatto queste persone? Difficile stabilirlo. Non si sa se sono tornati a casa a causa di una migrazione temporanea e circolare per cui gli stranieri, dopo un periodo di residenza in Italia e dopo aver realizzato il loro progetto, vogliono tornare nella loro patria. La seconda ipotesi è strettamente legata alla crisi economica che non offre più le condizioni agli immigrati di poter sostenere le spese per rimanere in un paese straniero e quindi decidono di rimpatriare. Con ogni probabilità però molti immigrati rimangono in Italia in condizioni di irregolarità e continuano a vivere, lavorare e circolare tra i paesi senza documenti legali. Una situazione di precarietà che non può durare per sempre.              



Chiusi anche oggi gli Uffici e gli sportelli
Cinque, 23-11-2010
Anche oggi rimarranno chiusi gli Uffici e gli sportelli unici per l'immigrazione presso la Prefettura di Roma. Ciò a seguito dell affermazione del Sottosegretario Nitto Palma il quale, nel corso di un'interpellanza parlamentare, ha affermato che i precari che operano presso gli sportelli non sono più utili perché è stato tutto informatizzato e l'arretrato ormai è azzerato. Secondo i sindacati la verità sta nella volontà di licenziare le lavoratrici con contratto di lavoro a tempo determinato, che hanno vinto il concorso, per sostituirle con lavoratrici interinali aggirando così le norme sull'assunzione nella Pubblica Amministrazione e diminuire i diritti ed i salari degli operatori.



Molise, stranieri sono 2,5% della popolazione

Ricerca dell'Osservatorio economico statistico di Unioncamere
(ANSA) - CAMPOBASSO, 23 NOV - Cresce in Molise il numero di cittadini stranieri: alll'inizio dell'anno erano 8.111, il 2,5 per cento sul totale dei residenti (+11% rispetto all'anno precedente, superiore alla media nazionale 8,8)%. Lo rende noto l'Osservatorio economico statistico dell'Unioncamere Molise.
I minori sono il 20,3% del totale degli stranieri, mentre i minori nati in Molise, che rappresentano la ''seconda generazione'', stranieri in quanto figli di genitori stranieri, ma non immigrati, sono il 9,7%. Aumento anche delle imprese di stranieri: 2.617 (6,0% in piu' del settembre 2009).



Un'altra barca a vela al largo di Crotone
Soccorse 60 persone trasbordate su mercantile. Ci sono 3 bimbi
(ANSA) - CROTONE, 22 NOV - Sessanta immigrati che si trovavano a bordo di una barca a vela in difficolta', sono stati soccorsi da unita' della Guardia costiera mentre si trovavano a 45 miglia dalla costa di Crotone. Gli immigrati, tra i quali ci sono tre bambini ed una donna, sono stati trasbordati su una portacontainer fatta arrivare sul posto. Il mercantile adesso fara' rotta su Crotone dove dovrebbe arrivare in nottata. Ieri, sempre a Crotone, e' giunta un'altra barca a vela con 137 clandestini iracheni e bengalesi, intercettata al largo da un guardiacoste della guardia di finanza. .



Giovedì e venerdì a Modena convegno sul fenomeno migratorio

Modena2000, 23-11-2010
Un convegno di due giorni indaga in prospettiva interdisciplinare, insieme socio-economica e culturale, il tema dell’essere migranti, soffermando – in particolare – la propria attenzione su come il fenomeno si è proposto ed è stato affrontato da due Paesi verso cui oggi è forte il flusso migratorio, sopratutto dal Nord Africa, ovvero Italia e Francia, paese il primo che nei decenni passati ha a sua volta alimentato massicciamente le presenze di immigrati in suolo straniero.
L’appuntamento “Migrazioni. Temi e questioni fra Italia e Francia”, organizzato dai Dipartimenti di Economia Politica e da Scienze del Linguaggio e della Cultura dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, della Associazione e della Fondazione Mario Del Monte, si terrà nelle giornate di giovedì 25 e venerdì 26 novembre presso l’Aula D della Facoltà di Economia Marco Biagi (viale Fontanelli 11) a Modena.
Partendo dalla consapevolezza che le migrazioni portano con sé forti elementi di rottura personali, per chi le vive, e soprattutto culturali ed economici per le società che le assorbono, la due giorni modenese attraverso diverse chiavi di lettura proporrà una analisi sul tessuto sociale italiano e locale, modenese, reggiano e bolognese, in un confronto con la Francia sui temi – ha dichiarato la prof. Paola Bertolini, tra gli organizzatori dell’evento “del multiculturalismo e dell’universalismo, del cambiamento del contesto urbano e dell’abitare, della scuola, della sanità e del mercato del lavoro, della cittadinanza e dei diritti civili, del cambiamento della cultura e del sistema di relazioni”.
A confrontarsi su questi temi numerosi docenti ed esperti dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, della Fondazione Del Monte e di altri atenei e centri di ricerca italiani e francesi.
La prima giornata del convegno, che inizierà alle ore 14.00, sarà suddivisa in due sessioni di lavoro coordinate, la prima, dal prof. Andrea Borsari dell’Università di Firenze, in cui si affronterà la questione delle politiche migratorie italiane da paese di emigrazione a paese di immigrazione e delle donne e immigrazione; la seconda coordinata dal dott. Giuseppe Gavioli della Fondazione Mario Del Monte, che prenderà in esame le tematiche della integrazione, dalle leggi sulla cittadinanza, al lavoro, all’inserimento scolastico.
Il giorno successivo, venerdì 26, a partire dalle ore 9.00 l’attenzione del convegno si sposta nella prima parte sul tema dei diritti umani e dell’universalismo, dell’accento straniero e della performance scolastica degli immigrati, con una sessione coordinata dal prof. Vando Borghi dell’Almamater di Bologna; successivamente sotto il coordinamento della prof.ssa Paola Bertolini dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia si esamineranno le politiche di insediamento e delle discriminazioni sul fronte abitativo patite dagli immigrati, mentre nella sessione conclusiva, che si svolgerà nel pomeriggio, presieduta dal prof. Claudio Baraldi dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia ci si soffermerà su tematiche come relativismo e multiculturalismo, la mediazione interlinguistca nei servizi sanitari, sulle metamorfosi dello spazio urbano e sui luoghi dei migranti.
Il programma dettagliato del convegno è disponibile alla pagina http://dolly.migrazione.unimore.it/      



Baby sharia

Ogni weekend, in Inghilterra, cinquemila bambini imparano quant'è bella la legge del Corano
Il Foglio, 23-11-2010
Marco Pedersini
Roma. Il primo furto va punito con l'amputazione di una mano, per il secondo si deve recidere un piede. E', un'operazione delicata, da eseguire secondo i disegni che corredano un libro di testo su cui studiano cinquemila bambini in tutto il Regno Unito. I segreti dell'amputazione perfetta sono uno degli insegnamenti divulgati dall'associazione "Club e scuole degli studenti sauditi", sotto il cui ombrello si raccolgono oltre quaranta istituti sparsi per la Gran Bretagna. Lo ha scoperto la Bbc, che ha usato un dodicenne munito di microcamera per ricostruire l'istruzione ricevuta da migliaia di suoi coetanei in corsi extrascolastici (organizzati la sera o nel fine settimana),
Gli esercizi proposti da questi libri dalle innocue tinte pastello sono quantomeno fantasiosi. Per esempio: elencare le "qualità riprovevoli" degli ebrei, indicare che fine facciano i non musulmani dopo la morte ("bruceranno nelle fiamme dell'inferno" è la risposta esatta). I brani sull'omosessualità sottopongono un dilemma allo studente: è preferibile la lapidazione, il rogo o il lancio da una rupe (soluzione caldamente raccomandata)? Non mancano gli accenni alla storia contemporanea, fra i quali spiccano i "Protocolli" (un falso) nei quali ebrei e russi si impegnavano a raggiungere il dominio globale dell'economia e dei mass media. "Si ricordi che gli ebrei - dice un altro passaggio - hanno un fenotipo che li avvicina alle fattezze delle scimmie e dei maiali". Il governo saudita ha smentito ogni legame con gli organizzatori dei corsi, il cui direttore dice però di rispondere al dipartimento culturale dell'ambasciata londinese dell'Arabia Saudita. Ci sono altri aspetti che alimentano le perplessità: una delle scuole coinvolte nel servizio della Bbc è di proprietà del governo saudita e stupisce che la stessa smentita scritta diffusa dall'ambasciata azzardi attenuanti sulla gravità degli insegnamenti (sarebbero "descrizioni storiche" che la Bbc presenta "fuori dal loro contesto"). "E' chiaro che non possiamo accettare questo tipo di materiale nelle scuole britanniche", ha detto il ministro dell'Istruzione di Londra, Michael Gove, che ha precisato come gli istituti sotto accusa non godano di alcun sussidio statale - né utilizzino strutture pubbliche. Il reportage rischia di compromettere il programma delle "Free schools" con cui Gove vuole incentivare chi non è soddisfatto della scuola pubblica a fondarne una propria (sono già ventuno i nuovi istituti previsti), Uno slancio riformatore al quale, dopo l'inciampo procurato delle rivelazioni della Bbc, potrebbe essere richiesta maggiore prudenza.



Londra, lezioni di sharia per i bimbi musulmani con insulti antiebraici

Corriere Della Sera, 23-11-2010
LONDRA — Come si mozzano una mano e un piede a un «criminale»? In alcune scuole islamiche dell'Inghilterra i bambini e i ragazzi che frequentano le lezioni serali o del fine settimana studiano libri dove si spiega la punizione che tocca a chi infrange la sharia. Allievi dai 5 ai 18 anni imparano ad applicare la pena alla quale sono condannati il ladro al primo furto (taglio della mano) e il ladro recidivo (taglio del piede). Oppure la donna colpevole di adulterio (la lapidazione) e l'uomo accusato di omosessualità (la morte). E la sorpresa non finisce qui perché ai giovani è riservato anche un indottrinamento antiebraico. Lo scopre la Bbc che, sotto copertura, ha mandato un ricercatore di lingua e costumi arabi a controllare i contenuti degli insegnamenti impartiti in un network di 40 istituti, con 5 mila iscritti nel Regno Unito, autorizzati a divulgare il curriculum scolastico dell'Arabia Saudita. Le immagini, riprese di nascosto dalle telecamere della trasmissione Panorama andata in onda ieri sera, sono chiare: taluni testi estratti dagli scaffali di una biblioteca di questi
centri educativi sono un compendio di tradizioni islamiche ma vi aggiungono sia indicazioni politiche sia offese molto pesanti contro gli ebrei («porci» e «scimmie», «i sionisti vogliono impadronirsi del potere in tutto il mondo»). L'esperto di Corano, Neal Robinson, ha rilevato che «un tale modo di impartire gli insegnamenti islamici conduce a pericolosi sentimenti antisemiti». L'inchiesta della Bbc ha indotto il ministro dell'Educazione Michael Gove a promettere ispezioni nelle scuole chiamate in causa. Una mossa che, sebbene appoggiata dai movimenti musulmani moderati, rischia di infiammare l'antagonismo dei settori più radicali che rifiutano intromissioni del governo britannico. Ma il responsabile della politica scolastica vuole approfondire. Del resto, già nel 2007 era capitato qualcosa di simile. Libri dal contenuto razzista erano stati scoperti, sempre dalla Bbc, in un istituto di Acton, riservato a ragazzi di fede islamica. All'epoca si era trattato di un episodio singolo. Il problema è che in tre anni le scuole coinvolte sono diventate quaranta, con cinquemila allievi. Un campanello d'allarme.



Ma che cosa insegnano le scuole arabe di Londra?

il Riiformista, 23-11-2010
I teenager ignorano la storia del Regno Unito», urlava qualche tempo fa il ministro dell'Istruzione britannico Michael Cove. Ma mentre pensa alla riscrittura dei libri di storia, secondo un'inchiesta di Bbc Panorama il governo di Londra ignorerebbe altri 5mila giovani studenti (dai 6 ai 18 anni) sul suolo del Regno che imparano sharia et alia nelle scuole part-time private islamiche, grazie a libri di testo del curriculum scolastico nazionale saudita. Qualche argomento trattato da questi tomi: gli ebrei, lo dicono i Protocolli dei Savi di Sion, vogliono davvero conquistare il mondo, ma un tempo qualcuno li trasformò in maiali e scimmie; gli atti di sodomia, e quindi gli omosessuali maschi, devono essere condannati a morte; la legge del taglione è tuttora valida (con un manuale dell'amputazione allegato); chi non crede nell'islam merita di morire tra le fiamme dell'inferno. Gove e l'ambasciata araba hanno messo subito le mani avanti: «Noi non c'entriamo nulla». Eppure, il palazzo di Londra ovest dove hanno luogo le lezioni di una scuola sotto accusa è di proprietà del governo saudita. E gli ispettori scolastici dell'Ofsted non entrano in queste aule - mentre tre anni fa alcuni istituti statali espunsero dai loro programmi di scuola secondaria l'Olocausto e le Crociate per «non urtare la sensibilità» degli studenti musulmani.  Risultato? La Gran Bretagna, ancora una volta, cova il rischio di far crescere potenziali giovanissimi estremisti sul proprio suolo. E la Big Society di Cameron, dove le scuole saranno direttamente governate da genitori e insegnanti locali, complicherà il controllo statale. Proprio ieri l'alto rappresentante civile della Nato in Afghanistan, il britannico Mark Sedwill, ha dichiarato che i bambini sono più al sicuro a Kabul che a Londra o Glasgow. Adesso si spiega











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