Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

11 maggio 2015

Migranti, il piano Ue all`Onu ma l`obbligo di accoglienza sarà solo per i primi ventimila
Mercoledì il varo delle quote persuddividere gli arrivi tra gli Stati membri E oggi Mogherini presenta al Palazzo di vetro gli interventi decisi da Bruxelles
la Repubblica, 11-05-2015
ANDREA BONANNI
BRUXELLES. Oggi l`Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Federica Mogherini, illustrerà al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite la drammatica situazione dei migranti nel Mediterraneo e la decisione del Consiglio europeo di condurre una missione per la distruzione delle barche usate dai trafficanti di esseri umani. L`obiettivo è quello di ottenere al più presto .il via libera ad una risoluzione dell`Onu che autorizzi l`intervento delle forze europee nelle acque territoriali libiche e possibilmente anche nei porti che vengono utilizzati come base di partenza delle carrette del mare. Non sarà facile. Ci sono resistenze soprattutto all`ipotesi di missioni aeree per la distruzione delle imbarcazioni. Ma sembra certo che gli europei riusciranno comunque ad avere la benedizione del Palazzo di vetro, che darebbe alla loro azione la richiesta legittimità internazionale. In questo caso, il piano di azione preparato da Bruxelles dovrebbe finire sul tavolo dei capi di governo al prossimo Consiglio europeo di giugno. Quindi toccherà ad una coalizione di Paesi europei su base volontaria mettere insieme le forze di intervento necessarie, che saranno con ogni probabilità coordinate dall`Italia.
Mercoledì, invece, il collegio dei commissari dovrebbe approvare l`Agenda europea per le migrazioni, un documento che stabilirà una se rie di principi per far fronte in modo strutturale alla questione degli immigrati, sia di quelli che cercano asilo, sia di quelli irregolari, sia dei migranti che richiedono un permesso dilavoro. Il documento prevede, tra l`altro, l`obbligodiridistribuire i profughi tra i vari Stati membri tenendo conto della popolazione, del Pile del numero di rifugiati già ospitati. Un obiettivo ambizioso, che infatti suscita forti resistenze da parte di molti Paesi, a partire dalla Gran Bretagna, dall`Irlanda, dall`Ungheria e da numerosi governi del Nord e dell`Est europeo. Il dibattito sarà lungo. E difficilmente i primi atti legislativi concreti potranno vedere la luce prima dell`autunno prossimo.
Per sbloccare la situazione, la Commissione ha deciso di ricorrere all`articolo 78.3 del Trattato, che dà all`esecutivo comunitario la possibilità di proporre «misure di urgenza» sulle quali il Consiglio deve decidere a maggioranza «sentito il Parlamento europeo», il cui via libera non è dunque vincolante. Queste misure di urgenza riguarderebbero l`accoglienza di un numero limitato di rifugiati da distribuire tra gli stati membri sempre in base alla stessa chiave di ripartizione. Quale sarà questo numero non è ancora deciso in via definitiva. In un primo momento si era parlato di cinquemila, cifra scartata perché considerata irrisoria. Alla fine è comunque probabile che la cifra proposta dalla Commissione si situerà tra dieci e ventimila rifugiati attualmente ammassati nei centri di accoglienza in Italia, a Malta e in Grecia.
La procedura di urgenza dovrebbe anche consentire di evitare che si crei una minoranza in grado di impedire l`approvazione della proposta della Commissione. Infatti, poiché si riferisce alle procedure di richiesta di asilo, la norma di fatto consente un «opt-out» di Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca. Se decidessero, come èprobabile, di esercitare illorodiritto a chiamarsi fuori dal provvedimento, i tre Paesi sarebbero anche esclusi dalla votazione e tra i rimanenti non dovrebbe essere difficile raccogliere la maggioranza qualificata necessaria.



"Serve una polizia europea sulle frontiere più instabili"
Il sottosegretario Gozi: batteremo le resistenze
La Stampa, 11-05-2015
GUIDO RUOTOLO
ROMA
Sandro Gozi, sottosegretario con delega agli Affari Europei, settimana importante per la Ue sul fronte della immigrazione.
«Finalmente, grazie alla spinta impressa dal Vertice straordinario voluto dal Presidente Renzi, la Commissione sta lavorando su proposte concrete. I trattati ci danno un grande margine di intervento. Dobbiamo riuscire a usarli innanzitutto per fronteggiare l`emergenza. Penso che Junker stia dimostrando un coraggio che è mancato in passato, soprattutto proponendo delle quote europee di rifugiati da distribuire tra tutti i 28 Stati
membri dell`UE. L`emergenza profughi va infatti affrontata dall`Europa nel suo insieme e credo che riusciremo a superare le resistenze degli Stati più reticenti, anche perchè questa volta nessuno potrà mettere il veto».
L`accoglienza è uno dei problemi. C`è poi la lotta senza quartiere ai trafficanti e un governo complessivo dei flussi migratori.
«Dobbiamo essere consapevoli che affrontare l`emergenza non basta. Un anno fa abbiamo proposto di creare un vero sistema comune di asilo politico, attraverso il sistema del mutuo riconoscimento. Solo se ogni Stato europeo riconosce le decisioni degli altri Stati potremo superare le regole obsolete di adesso, il cosiddetto "sistema di Dublino". In pratica, dovremo stabilire uno status del rifugiato uguale in tutti i Paesi dell`Unione. L`Europa deve capire ogni giorno di più che divisi si perde. Ci serve una polizia europea delle frontiere, e una politica dell`immigrazione legale ed economica, che oggi ancora manca. Attualmente, abbiamo 28 politiche nazionali».
Se non si interrompe il flusso migratorio in entrata dalla Libia il rischio è quello di una catastrofe umanitaria, soprattutto in questa situazione di guerra civile strisciante.
«Dobbiamo interrompere il flusso di migranti dalla Libia e dal Nordafrica in generale. E l`unico soggetto titolato a parlare con tutti ipaesi nordafricani è l`Europa, anche se noi abbiamo importanti relazioni politiche e diplomatiche con loro. L`Italia deve essere una voce importante, e siamo pronti ad assumerci tutte le nostre responsabilità come del resto stiamo già facendo. Ma anche in questo caso, un`Europa politicamente forte è il soggetto migliore per affrontare un problema umanitario così grave. Noi sosteniamo con forza la mediazione condotta da Leon per la pacificazione della Libia. I tempi sono molto stretti: dobbiamo chiudere
per maggio perchè poi comincia il Ramadan, tutto si blocca e dopo l`estate scadrà il Parlamento di Tobruk. Quindi impegno massimo per giungere ad un accordo tra le parti entro questo mese».
Il tentativo di Bernardino Leon va avanti ormai da quasi nove mesi. Siamo in una fase di stallo. L`Europa sta a guardare?
«L`Europa non sta a guardare né può permettersi di farlo. Sta attivamente partecipando a tutta la mediazione in corso. Certo che in Libia c`è un problema di sicurezza che si può risolvere lavorando per un governo di unità nazionale e chiedendo allo stesso tempo ai Libici il loro impegno a contrastare lo sfruttamento dei migranti. Non dobbiamo fermarci all`ultimo miglio. Il nostro è un obiettivo ambizioso: stroncare il traffico di essere umani e tagliare i finanziamenti alle organizzazioni criminali. Per fare questo dobbiamo coordinare di più le intelligence: le informazioni ci sono a vanno utilizzate al meglio non solo tra Paesi europei, ma coinvolgendo anche i paesi africani e arabi».



ANDARE OLTRE L`EMERGENZA
La Stampa, 11-05-2015
LAURA BOLDRINI*
Ecco una sintesi dell`intervento che la Presidente Boldrini pronuncerà stamattina a Lisbona al vertice dei presidenti di Parlamento dell`Unione per il Mediterraneo
Possiamo affrontare le questioni dell`immigrazione e dell`asilo scindendole dal rispetto per i diritti umani, che sono alla base dei Trattati fondativi dell`Unione europea? Io ritengo di no. Un approccio meramente repressivo o difensivo sarebbe miope, inefficace e perfino controproducente.
Nel Mediterraneo si susseguono tragedie sempre più gravi. Se il numero di migranti che ha raggiunto le coste italiane quest`anno è in linea con quello dello stesso periodo del 2014 - siamo intorno a 35 mila - nei primi
 mesi del 2015 sono morte 1800 persone, contro le 96 dell`anno scorso. Nessuno può permettersi di rimanere a guardare.
Cosa può fare di più l`Unione? Dal Consiglio europeo straordinario di fine aprile è emerso un primo riconoscimento della necessità di affrontare il fenomeno in maniera condivisa ed organica, ma devono seguire risposte più concrete. Ci auguriamo che accada con la nuova Agenda europea sulla migrazione, il piano quinquennale Ue che il presidente Junker presenterà dopodomani e che dovrebbe includere proposte fortemente innovative sulla ripartizione dei richiedenti asilo tra gli Stati membri.
La decisione più incisiva presa dal Consiglio di aprile è stata quella di triplicare i fondi stanziati per «Triton», da tre a nove milioni di euro, ovvero la stessa cifra che l`Italia spendeva da sola per «Mare Nostrum». Permangono però le preoccupazioni riguardo all`area d`intervento dell`operazione, che per essere realmente efficace deve agire ben oltre le frontiere europee, spingendosi al di là del limite delle trenta miglia nautiche. Se ciò non avverrà, molte altre vite umane andranno perse.
Ma se è fondamentale concentrarsi sul soccorso in mare, occorre anche affrontare con nuovo slancio le cause alla base di questi movimenti forzati di popolazione. Vanno moltiplicati dunque gli sforzi per giungere ad un governo di unità nazionale in Libia, per porre fine alla guerra civile in Siria e per contrastare il sedicente Stato islamico in Iraq, nonché per coniugare aiuti allo sviluppo e diplomazia nelle complesse crisi in atto nell`Africa subsahariana.
Occorre inoltre fornire alternative concrete alla traversata in mare. In questa prospettiva si tratta di concedere un maggior numero di visti umanitari, così come facilitare i ricongiungimenti familiari per i rifugiati. Si tratta anche di rafforzare i programmi di «resettlement», o reinsediamento, e stabilire così un sistema di quote a livello europeo che permetta di trasferire persone, riconosciute dagli organismi in- ternazionali bisognose di protezione,-verso i singoli Stati dell`Ue. E sarebbe opportuno valutare l`ipotesi - proposta anche da autorevoli esponenti delle istituzioni europee di permettere ai richiedenti asilo di presentare la domanda nelle ambasciate dei Paesi terzi, in modo da evitare pericolosi viaggi nel deserto o per mare.
Se l`Europa poi vuole proseguire il suo percorso di integrazione politica, il tema dell`asilo rappresenta uno dei primi terreni su cui concentrarsi in una prospettiva comunitaria. E questo significa cedere un po` della propria sovranità nazionale: adottare politiche comuni tra i ventotto Stati superando il Regolamento di Dublino; istituire centri d`accoglienza europei nei paesi che registrano il più alto numero di ingressi; stabilire quote di richiedenti asilo e rifugiati per ciascuno Stato dell`Unione. Oggi metà dei richiedenti asilo viene accolta da soli tre paesi: Germania, Svezia e Italia. Una situazione che va riequilibrata.
Bisogna quindi lavorare sulle soluzioni reali, non su scorciatoie accattivanti, ma di fatto scarsamente efficaci. L`Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, António Guterres, lo ha ribadito con chiarezza: «Chi fugge per salvare la propria vita non si fermerà davanti agli ostacoli. Arriverà comunque. La scelta che abbiamo di fronte è con quale grado di efficacia sapremo gestirne l`arrivo, e con quanta umanità». C`è chi esclama, soffiando sul fuoco populista: «Gli immigrati ci faranno perdere la nostra identità!». Ma la nostra identità si perderà se non agiremo, se non accoglieremo chi fugge da guerre e persecuzioni. La nostra identità non è fondata sull`esclusione, ma sul valore dei diritti. Ed è questa identità che dobbiamo proteggere.
* Presidente della Camera dei deputati



«Serve il sì di Tripoli, ma non c`è un solo governo»
L`ammiraglio Caffio: l`intesa resta complicata, Russia e Cina si metteranno di traverso
Ebe Pierini
Controllo delle coste libiche sul modello dell`operazione antipirateria denominata Atalanta con un determinato dispositivo navale o in alternativa un vero e proprio intervento militare contro gli scafisti. Sono queste le ipotesi in discussione. L`ammiraglio Fabio Caffio, esperto di diritto internazionale marittimo, analizza quello che potrebbe accadere in seno al Consiglio di Sicurezza e quello che potrebbe essere il profilo di un`eventuale futura operazione militare che alla fine non semba poi così scontata.
Il Regno Unito sta preparando la bozza di risoluzione da far approvare dal Consiglio di Sicurezza dell`Onu che autorizzerebbe l`intervento militare in Libia. In quella sede ci sono Paesi che potrebbero opporsi?
«Si tratta ovviamente di una bozza che deve essere discussa ed essere approvata necessariamente da tutti i componenti del Consiglio di Sicurezza. La Russia ha già preannunciato una sua idea in merito all`intervento da svolgere in Libia. Immagina un`azione del tipo di quella antipirateria avviata nel Corno d`Africa. Ovviamente con l`autorizzazione del governo libico. Sicuramente la posizione della Russia sarà diversa da quella della Gran Bretagna. Inoltre tra Russia e Cina esiste un`alleanza navale. Proprio di recente hanno svolto un`esercitazione congiunta. Mi aspetto che la Cina difenda i diritti dello stato costiero interessato come ha fatto anche in passato. Entrambe faranno in modo che venga approvato un testo mitigato in qualcosa rispetto a quello presentato dalla Gran Bretagna».
È imprescindibile un assenso da parte del governo libico?
«Il consenso del governo libico è fondamentale. Rappresenta, assieme alla risoluzione dell`Onu, uno dei pilastri per un intervento militare. Ma quale governo? Quello di Tobruk cui fa riferimento la comunità internazionale? Non dimentichiamo che Turchia e Qatar ad esempio riconoscono il governo di Misurata. Ma, siccome nelle precedenti risoluzioni dell`Onu si fa riferimento all`integrità territoriale della Libia e le Nazioni Unite si sono già espresse a favore del governo di Tobruk, penso che si andrà in questa direzione. Di sicuro la Libia dovrà dare il suo assenso al pattugliamento sotto costa e ad eventuali azioni sul terreno».
Si va delineando l`ipotesi di un`operazione sotto comando italiano al quale parteciperebbero 10 Paesi europei. Assegnare il comando all`Italia è una sorta di atto dovuto?
«Sicuramente l`Italia ha le capacità per guidare un`eventuale operazione in quanto già in passato ha coordinato azioni multinazionali. Non dimentichiamo il ruolo che abbiamo ancora oggi in Libano nell`ambito di Unifil. Non va sottovalutata nemmeno la posizione di favore dei libici nei nostri confronti. Abbiamo sempre interagito positivamente con la Libia e lì vi sono i nostri terminali petroliferi e del gas».
Come valuta l`ipotesi di un intervento anche della Nato?
«La Nato potrebbe agire in coordinamento con l`Unione Europea. Anzi, probabilmente potrebbe essere il momento giusto per un`operazione congiunta Nato - Ue. Un buon banco di prova».
Pensa che sia necessario stabilire quote obbligatorie di migranti da ripartire tra i vari Stati membri dell`UE? «Decisamente sì e lo ha detto anche il Presidente della Repubblica. In Italia sono tutti favorevoli ad una ripartizione dei migranti per quote. L`Unione Europea va vista unitariamente, nel suo complesso. Il numero dei migranti va equilibrato. L`Italia ha da sempre, per motivazioni di natura culturale e religiosa, una posizione molto aperta e basata sul principio di accoglienza. In altri Paesi europei invece vige un forte nazionalismo. Non dimentichiamo le politiche di respingimento della Spagna e della Grecia».



«Colpire i traffici di uomini con ogni mezzo»
La bozza per una risoluzione che apra all`uso della forza in Libia. L`ipotesi del comando affidato a Roma Oggi Mogherini al Palazzo di Vetro dell`Onu per l`incontro con i membri del Consiglio di sicurezza
Corriere della sera, 11-05-2015
Marco Galluzzo
ROMA Inizia oggi una settimana decisiva per capire se l`Italia riuscirà a far passare alle Nazioni Unite una risoluzione che prevede l`uso della forza per contrastare il fenomeno del traffico di migranti nel Mediterraneo.
Davanti ai 15 membri del Consiglio di sicurezza oggi Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la politia estera della Ue, illustrerà le conclusioni dell`ultimo Consiglio europeo, e avrà il compito di convincere membri permanenti e non permanenti della necessità di arrivare ad una rapida decisione. Per adottare una risoluzione occorre il voto favorevole di 9 membri su 15 e nessun veto da parte dei cinque membri permanenti. Fra questi la Gran Bretagna, che ha il compito di presentare formalmente la bozza di risoluzione, e la Francia, fanno parte dell`alleanza che poi dovrebbe agire nelle acque territoriali libiche per contrastare il fenomeno del traffico illegale di persone. Scontato il loro parere favorevole, meno quello di Cina, Stati Uniti e Russia, che però al momento si dicono, anche se con diverse sfumature, pienamente consapevoli del problema e della necessità di fare qualcosa.
La nostra diplomazia ovviamente sta accelerando i contatti anche con i Paesi africani nel Consiglio di sicurezza, Ciad Angola e Nigeria hanno finora risposto in modo positivo alle sollecitazioni italiane e dunque anche il loro voto, come quello della Spagna, dovrebbe essere favorevole.
La bozza che circola a New York prevede «l`uso di tutti i mezzi per distruggere il modello di business dei trafficanti di esseri umani». La distinzione giuridica è sottile ma nel documento si citano due tipi di traffico, a seconda che le persone abbiano dovuto pagare una somma di denaro, o meno, per il viaggio.
Il testo, originariamente in italiano, poi tradotto in inglese ed avanzato da Londra - visto che l`Italia non fa parte del Consiglio di sicurezza -, è attualmente in visione presso gli uffici di tutti e quattordici le rappresentanze diplomatiche coinvolte. L`adozione di una risoluzione sarebbe la cornice legale che consentirebbe l`avvio di un`azione così come decisa dal Consiglio europeo: un`azione che potrebbe anche avere il comando dell`Italia (ma al momento non c`è alcuna certezza), che in ipotesi potrebbe anche coinvolgere mezzi della Nato, di cui dovrebbero far parte, insieme a Roma, almeno la Spagna, la Gran Bretagna e la Francia.
Il punto più delicato sono forse le cosiddette regole di ingaggio, se ne discute agli articoli 42 e 43 del capitolo 7 della Carta dell`Onu, prevedono l`uso di «mezzi militari navali, aerei e di terra» per preservare la pace, quando è minacciata. Ma gli interessi in gioco sono diversi e anche gli orientamenti dei vari Stati: Mosca, dove il nostro ministro degli Esteri, Paolo GentiIoni, è stato due giorni fa, sembra abbia fatto capire che è favorevole a una risoluzione che abbia come confine netto le sole acque territoriali libiche e
 non le coste, e che non preveda l`uso di mezzi aerei. Un altro problema è la consistenza di eventuali mezzi armati di contraerea presenti nelle coste libiche e in mano ai trafficanti di esseri umani. L`uso di elicotteri armati è una delle opzioni allo studio.
Il briefing di oggi della Mogherini potrebbe toccare anche alcuni di questi punti, sicuramente alla Lady Pesc dell`Unione `Europea toccherà non solo illustrare quello che un`eventuale coalizione di Paesi europei ha intenzione di fare per fermare il traffico illegale di persone, ma anche rispondere ai tanti dubbi e alle tante richieste che potrebbero essere sollevate da uno o più Paesi del Consiglio di sicurezza. Entro la fine della settimana si capirà se l`iniziativa europea dell`Italia, sostenuta dagli altri Paesi membri della Ue, ha avuto successo anche all`Onu o si è incagliata nel veto, o nel dissenso, di uno o più membri delle Nazioni Unite.



Migranti, cosa chiede l’Ue all’Italia: le condizioni che ci penalizzano
Le clausole per iniziare l’esame del testo che obbliga tutti i Paesi all’accoglienza.
Squadre di tecnici stranieri e centri di raccolta per identificare i profughi.
La proposta è valutata dai tecnici del Viminale come una sorta di commissariamento
Corriere.it, 11-05-2015
Fiorenza Sarzanini
ROMA C’è una vera e propria clausola che l’Italia dovrà accettare prima del via libera alla distribuzione dei profughi in tutti gli Stati europei. Una condizione preliminare contenuta nel piano messo a punto dai tecnici dell’Unione Europea che dovrà essere discusso mercoledì. Prevede l’invio in Italia di commissioni internazionali per il fotosegnalamento degli stranieri e la creazione sul nostro territorio di centri di smistamento dove i migranti dovranno rimanere fino al completamento della procedura per l’accertamento dell’identità. Solo se questa parte del progetto diventerà operativa, verrà avviato l’esame della proposta per far diventare obbligatoria e non volontaria l’accoglienza da parte dei 28 Paesi e per una revisione del Trattato di Dublino.
I team misti
La possibilità che la cooperazione dell’Ue fosse condizionata era apparsa chiara già durante il vertice del 23 aprile scorso convocato dopo il naufragio che aveva provocato la morte di oltre 700 persone. Eloquenti furono le parole della cancelliera tedesca Angela Merkel: «Siamo pronti a sostenere l’Italia ma la registrazione dei rifugiati deve essere fatta in modo adeguato secondo le regole Ue». Nella proposta messa a punto a Bruxelles e trasmessa adesso a tutti gli Stati per le valutazioni preliminari il vincolo appare chiaro. È infatti previsto l’arrivo di team stranieri composti da funzionari di Frontex, Europol ed Easo (l’Ufficio europeo per i richiedenti asilo) che si affiancheranno ai poliziotti italiani per effettuare l’identificazione di chi sbarca sulle nostre coste e per collaborare alle indagini sugli scafisti. Già durante la riunione convocata d’urgenza si era parlato di questa eventualità, valutata però dai tecnici del Viminale come una sorta di commissariamento.
Non a caso nei giorni scorsi il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento Immigrazione del ministero dell’Interno, di fronte alla commissione parlamentare sui centri di accoglienza aveva messo in guardia circa il rischio di «accettare impegni immediati in cambio di promesse future». E adesso che l’invio delle squadre è contenuto nella relazione ufficiale, l’Italia risponderà con controdeduzioni.
60 milioni di euro
C’è un altro aspetto sul quale si dovrà discutere. Riguarda quelli che nel testo preparato a Bruxelles vengono definiti «punti di difficoltà». Sono veri e propri centri di accoglienza che l’Italia dovrà impegnarsi a creare e dove i migranti dovranno rimanere fino al termine della procedura per l’accertamento dell’identità o, nel caso dei richiedenti asilo, fino a che non sarà verificata l’esistenza dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato. Si tratta evidentemente di una proposta che di fatto prevede lo stato di custodia di queste persone in modo che non lascino l’Italia per spostarsi in altri Stati. Nella relazione i tecnici impegnano l’Unione Europea a uno stanziamento di 60 milioni di euro per contribuire all’allestimento delle strutture e al mantenimento degli stranieri. Al di là della congruità della cifra, il piano messo a punto dal ministro Angelino Alfano la scorsa settimana al termine dell’incontro con governatori e sindaci già prevede l’allestimento di centri di smistamento in ogni Regione, ma le regole non sono così rigide e soprattutto non è prevista alcuna supervisione straniera. E dunque anche in questo caso bisognerà vedere quale sarà la controproposta messa a punto dagli sherpa italiani.
Le quote e il Pil
Soltanto se questi due punti otterranno il via libera, comincerà la discussione in sede Ue per modificare le attuali regole e prevedere l’obbligo per tutti gli Stati ad accogliere i profughi anziché la disponibilità come avviene ora. Qualora passasse la linea, le quote saranno fissate in base al Pil, il prodotto interno lordo, e al Fondo sociale. Si tratta del primo passo, tutt’altro che scontato, per la revisione del trattato di Dublino che impone la permanenza dei richiedenti asilo nel Paese del primo ingresso, ma appare evidente che i tempi non potranno essere brevi mentre il flusso degli arrivi dall’Africa continua inarrestabile. Non a caso gli stessi funzionari di Bruxelles riconoscono la necessità di stanziare aiuti per lo sviluppo in Africa con un’attenzione particolare all’Eritrea e al Niger, lì dove è maggiore il numero di persone che si mette in viaggio per fuggire da guerra e miseria. In attesa delle decisioni dell’Onu, nulla viene specificato sulla distruzione dei barconi ma si propone una collaborazione dell’Europol nelle indagini sugli scafisti.
E anche su questo il sì dell’Italia potrebbe non essere scontato.



I criteri per la redistribuzione
Avvenire, 11-05-2015
Giovanni Maria Del Re
Sono cinque i cardini della bozza della Commissione Europea per una "Agenda europea per la migrazione", che sarà pubblicata mercoledì. Trattandosi di una bozza, il testo potrebbe ancora cambiare.
Quote obbligatorie. La Commissione presenterà legislazione in materia a fine 2015, per far fronte ad emergenze di flussi di alcuni Stati. Il criterio per la redistribuzione: ricchezza nazionale, popolazione, tasso di disoccupazione e numero di richiedenti asilo già presenti. Le quote saranno legate alla constatazione della presenza di una situazione d’emergenza in un Paese.
Aprire campi in Niger. Nei centri di protezione per rifugiati in Niger, da gestire insieme all’Alto commissariato per i rifugiati, non saranno presentate le domande d’asilo, ma verrà vagliata la situazione dei migranti. Se non hanno chance all’asilo (ad esempio perché vengono da Paesi "sicuri"), riceveranno aiuti per tornare nel Paese d’origine. La Commissione propone - come chiesto dall’Onu - che l’Ue accolga 20 mila profughi che si trovano al momento fuori dai confini (ad esempio siriani in Turchia, Libano o Giordania).
Lotta ai trafficanti. Frontex (l’Agenzia Ue per le frontiere) ed Europol (l’agenzia europea di collaborazione delle polizie nazionali) dovranno intensificare gli sforzi per identificare e seguire le barche dei trafficanti, e in particolare Europol dovrà anche identificare contenuti Internet con cui i trafficanti attirano i profughi.
Più espulsioni. Rafforzamento delle espulsioni dei non aventi diritto all’asilo. La Commissione raccomanda di rafforzare la cooperazione con i Paesi d’origine. Secondo la Commissione, nel 2013 solo il 39% di questo gruppo è stato effettivamente rimpatriato.
Nuove opportunità di accesso legale. Nuove possibilità a lungo termine per l’immigrazione legale nell’Ue di persone qualificate. Al momento l’Ue ha soltanto l’istituto della Blue Card, il permesso di soggiorno concesso a migranti di paesi terzi con alta qualifica, che però ha validità solo nazionale e non consente ai migranti di spostarsi in altri stati Ue. La Commissione propone di creare un "serbatoio" per di aspiranti migranti (rimasti in patria in attesa) cui potranno attingere imprese e Stati membri. La Commissione definisce però questo progetto «di lungo termine». Il problema è anche che l’immigrazione regolare (non quella di profughi bisognosi di protezione) secondo il diritto Ue è materia strettamente nazionale.



Immigrati. Binetti (Ap): "Lavoro torni essere opportunità per tutti"
Il diritto al lavoro degli immigrati è la più grossa garanzia di successo che una regione possa vantare sul piano imprenditoriale
stranieriinitalia.it, 11-05-2015
Roma, 11 maggio 2015- "Il tema delle immigrazioni e' un tema fondamentale in questa campagna elettorale e l'atteggiamento di accoglienza o di rifiuto, di inclusione o di ghettizzazione sta diventando la vera misura della democrazia di un progetto politico serio e autenticamente riformatore".
Lo ha affermato in una dichiarazione l'onorevole di Area Popolare (Ncd-Udc) Paola Binetti, presente al convegno 'Non lasciatevi rubare la speranza' all'Universita' lateranense.
"Il tema 'Non lasciarsi rubare la speranza' - continua Binetti - non riguarda solo gli immigrati, ma tocca tutti noi italiani, uno ad uno. Perché la vera speranza e' quella di uscire da un individualismo autoreferenziale sempre piu' assordante e accettare di mettere in discussione i nostri privilegi, condividendoli con chi ha avuto molto meno di noi. Il diritto al lavoro degli immigrati, che tanto scandalo ha suscitato ieri dopo le parole del ministro Alfano, e' la piu' grossa garanzia di successo che una regione possa vantare sul piano imprenditoriale e quindi sul piano della ripresa economica. La speranza per tutti noi e' che il lavoro torni ad essere la vera ricchezza di questo Paese e che a tutti venga riconosciuta questa opportunita'".
"Le elezioni regionali - conclude l'esponente di Area Popolare - devono porre al centro della loro campagna elettorale questa domanda chiara e precisa: chi e' per me la persona che cerca lavoro, quella che ha fame e magari viene da lontano. Quella che non ha avuto le stesse opportunita' che ho avuto io: una persona come me, con la mia stessa dignita', con i miei stessi diritti... o qualcuno inferiore a me, che posso disprezzare, allontanare, magari infastidito dalla sua prolungata poverta'. La Regione sara' e diventera' quello che i suoi futuri governanti si impegneranno a fare oggi, scegliendo se stare dalla parte di chi vuole solo mantenere i propri privilegi o mettersi dalla parte di chi cerca una nuova opportunita' per guadagnarseli, sia pure faticosamente, ma dignitosamente. Il Paese sara' migliore, ritrovera' la sua speranza, se - conclude - molte delle regioni in corsa elettorale, sapranno dire un si convinto e determinato, ad una nuova cultura del lavoro e della cooperazione".



Tre cose serie da fare (non solo) per i profughi
Avvenire, 09-05-2015
Sandro Lagomarsini
Lingua italiana, attività formative e utili, lavoro civile In pochi giorni sono andati via in sedici; due hanno trovato impiego in supermercati romani, quattordici lavoreranno a Napoli in una ditta di vestiario. Tra questi ultimi ci sono anche elettricisti e muratori, ma faranno tutti i sarti: cucire abiti sembra il destino dei bengalesi, decretato dai grandi marchi internazionali. Trenta di quei marchi hanno fatto nuovi accordi, più equi, con le autorità del Bangla Desh. Ma produrre in Italia con operai bengalesi forse permette di saltare qualche mediazione. Così ho salutato Anwar, Kalachan, Jamal, Abu Hassan, Murad, Mafuz e tutti gli altri con il triplice abbraccio in uso al loro Paese e ho augurato loro «Good luck, Inshallah!». Mi hanno risposto: «Se Dio vuole!».
Qui, al Centro della Croce Rossa, ricevevano due euro e cinquanta al giorno come «pocket money». Consegnati ogni quindici giorni, hanno permesso – a partire da agosto dell’anno scorso – di mandare alle famiglie almeno 60 euro al mese: un respiro per i tre bambini di Anwar, i due di Noor Hossin, la bambina di quattro anni di Mafuz.
Riusciranno ora a guadagnare di più, visto che l’alloggio è offerto dalle ditte, ma cibo e vestiario sono a loro carico. Molti di loro hanno frequentato il mio corso di italiano (una lezione la settimana, quanto permesso dagli altri impegni), ma altri hanno preferito perfezionare il loro inglese, sui siti web gratuiti.
Nove di loro mi hanno aiutato a ristrutturare il nostro Museo Contadino; nel loro curricolo possono mettere anche la dichiarazione che hanno svolto questo lavoro volontario. Ma quale è il consuntivo della loro permanenza in questi luoghi? Le ombre sono molte. Non parlo dell’egregio lavoro dei volontari e dei responsabili della Croce Rossa. Parlo di un quadro generale insufficiente, che non considera le esigenze dell’ospitalità né assicura un ritorno per l’impegno economico che sostiene l’accoglienza.
Provo a dire che cosa manca.
Anzitutto l’insegnamento dell’italiano; deve essere quotidiano, obbligatorio e intensivo, in modo che in pochi mesi la nostra lingua sia padroneggiata come strumento di base. La diffusione della lingua italiana fa bene anche all’economia italiana.
In secondo luogo, nei primi sei mesi, devono esserci alcune ore giornaliere di formazione e/o di lavoro socialmente utile; a vent’anni o poco più, la prolungata inazione provoca un deterioramento delle qualità umane e un calo dell’autostima, oltre a veri e propri stati di depressione.
Utile – checché ne dica qualcuno – il segnale appena venuto dal ministro dell’Interno proprio su questo punto. Ma alle parole devono seguire i fatti: le istituzioni pubbliche, culturali e sociali devono essere messe in grado di prendere iniziative.
La terza misura deve entrare in campo quando, dopo il primo periodo di permanenza, i profughi ricevono il permesso di lavorare. La legislazione attuale permette solo a una ditta di dare lavoro, sia in agricoltura che negli altri settori, nel caso di lavori saltuari, le procedure attuali sono farraginose, al limite dell’applicabilità. Ma quella dei profughi è una situazione di emergenza. E se le autorità tollerano che si raccolga frutta e verdura pagando il lavoro un euro l’ora, perché non si autorizzano i privati – fino quando i profughi risiedono nei centri di accoglienza – a fare una piccola assicurazione per il lavoro negli orti, nei giardini, nella pulizia dei boschi e dei sentieri, con un compenso minimo registrato presso i Centri? Diamo anche la possibilità di “riscattare” ai fini pensionistici il lavoro fatto. Fissiamo un termine di validità a questo regime e monitoriamo i risultati.
Sono considerazioni e proposte razionali, che nascono dalla conoscenza e dall’affetto che mi lega ai profughi. Non penso siano sgradite a chi legge, ma soprattutto penso che siano buone per l’Italia.

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