Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

18 dicembre 2012

Immigrati, denuncia Amnesty: Italia non impedisce sfruttamento lavoratori agricoli
Reuters, 18-12-2012
Antonella Cinelli
ROMA (Reuters) - L'Italia ha ancora molta strada da fare per eliminare lo sfruttamento dei lavoratori migranti nel settore dell'agricoltura, secondo un rapporto pubblicato oggi da Amnesty International.
"Amnesty International ritiene che la situazione creata dal 'decreto flussi', dal 'pacchetto sicurezza' e dall'inadeguatezza della protezione delle vittime di sfruttamento del lavoro faciliti lo sfruttamento dei lavoratori migranti e ostacoli il loro accesso alla giustizia", si legge nel rapporto "Volevamo braccia e sono arrivati uomini", realizzato a giugno-luglio nelle aree di Latina e Caserta, anche se l'organizzazione sottolinea che "lo sfruttamento dei lavoratori migranti è diffuso in tutto il paese".
Nell'area di Latina, secondo dati ufficiali, un lavoratore agricolo su tre è straniero. Ma i dati reali, spiega Amnesty, sono ben diversi: gli immigrati, impiegati per turni più lunghi e salari più bassi del dovuto, arriverebbero all'80%.
Nell'area di Caserta, sempre stando al rapporto, una giornata di lavoro di otto-dieci ore o più vale 20-30 euro, a volte addirittura solo 15 euro.
Amnesty chiede quindi all'Italia di rivedere la politica migratoria espandendo i canali migratori regolari, e di abrogare il "pacchetto sicurezza" che ha istituito il reato di immigrazione clandestina e garantire l'applicazione della tutela giuridica ai lavoratori migranti.



Chini nei campi, i lavoratori migranti senza diritti nell’agricoltura italiana
Corriere della sera, 18-12-2012
Riccardo Noury
Migranti Venti, quando va bene 30 euro per una giornata di lavoro: paga oraria media, 3.75 euro che, nel caso di turni di lavoro superiori alle dieci ore, scende sotto i tre euro all’ora.
Sempre che i soldi te li diano tutti. A “Sunny”, un lavoratore migrante dell’India, non è andata così:
    “Lavoro 9 -10 ore al giorno dal lunedì al sabato, poi cinque ore la domenica mattina, per 3 euro l’ora. Il datore di lavoro mi dovrebbe pagare 600-700 euro al mese. Negli ultimi sette mesi, però, mi ha dato solo 100 euro al mese per le spese. Non ho un contratto con il datore di lavoro, quindi non posso andare via perché perderei il denaro. Non posso andare alla polizia perché non ho documenti. La mia sola opzione è aspettare di essere pagato”.
E a un certo punto, i datori di lavoro scompaiono, come nel caso di “Baba”, un lavoratore migrante del Ghana:
    “A volte ci si mette d’accordo per 25-30 euro, ma alla fine della giornata ti danno 15-20 euro. A me è successo tre o quattro volte. Due volte mi è successo che il datore di lavoro mi ha detto di tornare il giorno dopo per essere pagato a lavoro finito; ma il giorno dopo non era più sul posto di lavoro e non è tornato. Non sono stato pagato per niente”.
A questo punto, qualcuno di voi starà pensando: “Non gli sta bene? Tornassero a casa loro”, “Il lavoro agli italiani!”, “Qui c’è la crisi, che venite a fare!”.
Il punto è che l’agricoltura italiana dipende fortemente dalla manodopera straniera migrante. Secondo il Dossier statistico Immigrazione 2011 della Caritas/Migrantes, nel 2010 i migranti regolari hanno svolto il 23.6 per cento delle giornate lavorative totali in agricoltura nel nostro paese. Le statistiche ufficiali, tuttavia, non tengono conto del lavoro dei migranti irregolari e dei migranti “lavoratori non dichiarati”, cioè i braccianti regolari il cui datore di lavoro non ha dichiarato il rapporto di lavoro alle autorità, per evitare di pagare tasse e contributi previdenziali.
Allo sfruttamento del lavoro dei migranti nel settore dell’agricoltura in Italia, molto diffuso nel centro-sud, è dedicato un rapporto pubblicato oggi da Amnesty International in occasione della Giornata internazionale dei migranti.
I lavoratori migranti ricevono paghe inferiori di circa il 40 per cento rispetto al salario minimo. Le vittime dello sfruttamento del lavoro sono migranti africani e asiatici e, in alcuni casi, cittadini dell’Unione europea (soprattutto bulgari e rumeni) e cittadini di paesi dell’Europa orientale che non fanno parte dell’Unione europea (tra cui gli albanesi).
La ricerca di Amnesty International si è concentrata in particolare nella provincia di Latina e nel Casertano.
Secondo il contratto provinciale concluso tra sindacati e organizzazioni di imprenditori agricoli, i lavoratori agricoli dell’area di Latina dovrebbero lavorare 6.5 ore al giorno, sei giorni alla settimana, per un salario orario lordo di 8.26 euro (tra 5.60 e 6.60 euro al netto delle tasse). Quando Amnesty International ha visitato l’area di Latina, nel giugno 2012, molti lavoratori agricoli indiani lavoravano 9-10 ore al giorno dal lunedì al sabato, poi mezza giornata la domenica mattina, per circa 3-3.50 l’ora. Alcuni lavoratori, tutti con permessi di soggiorno validi, hanno dichiarato di lavorare sei giorni alla settimana per 4-5 euro l’ora. Solo uno dei 25 lavoratori migranti intervistati da Amnesty International ha affermato di essere pagato 8 euro l’ora.
L’area di Caserta ospita ufficialmente circa 23.000 cittadini stranieri (compresi cittadini dell’Unione europea), il 2.5 per cento della popolazione. La percentuale reale, compresi i migranti irregolari, è probabilmente molto più alta. Ad esempio, la popolazione straniera di Castel Volturno è ufficialmente di 2900 persone su un totale di 23.000 abitanti; in realtà, le stime raggiungono le 7000 persone.
La paga minima per un lavoratore agricolo nell’area di Caserta, contrattata fra le parti sociali, è di 39.91 euro lordi per 6.5 ore di lavoro (5.70 euro l’ora). Tuttavia all’alba sulle rotonde, ossia in quegli uffici di collocamento illegali dove il caporalato la fa da padrone il potere contrattuale dei lavoratori migranti è praticamente inesistente, la paga standard per una giornata di lavoro (dalle 8 alle 10 ore) è di 20-30 euro, cioè non più di 3.75 euro l’ora.
Il rapporto di Amnesty International descrive i principi della politica migratoria italiana, fissati dal Testo unico sull’immigrazione del 1998 e dalla legge Bossi-Fini del 2002. Il primo è il controllo dei flussi d’ingresso. Il numero di lavoratori migranti ammessi nel paese ogni anno è fisso e definito in un decreto governativo (il cosiddetto “decreto flussi”), che stabilisce quote per tipi diversi di lavoratori.
Il secondo principio è la subordinazione del rilascio del permesso di soggiorno all’esistenza di un “contratto di soggiorno” scritto, depositato dal datore di lavoro allo Sportello unico per l’immigrazione, col quale egli s’impegna a garantire un alloggio adeguato e a pagare le spese del viaggio di ritorno al lavoratore migrante che intende assumere. Una volta verificato che nessun lavoratore italiano o comunitario è interessato al lavoro, lo Sportello unico per l’immigrazione rilascia il “nulla osta al lavoro”, sulla base del quale i nostri Consolati rilasciano il visto d’ingresso che, in Italia, dev’essere convertito in permesso di soggiorno.
Nella pratica, il sistema non funziona. Intanto, le quote d’ingresso stabilite dal governo italiano rimangono regolarmente al di sotto la domanda reale di lavoro migrante. Nel 2011 i datori di lavoro hanno presentato circa 400.000 domande per lavoro subordinato, quasi quattro volte il numero di posti disponibili secondo la quota stabilita per quell’anno (98.080).
C’è poi, immancabile, la “burocrazia”: poiché per il rilascio del “nulla osta” possono occorrere anche nove mesi, l’idea che i datori di lavoro in Italia reclutino lavoratori migranti quando essi si trovano ancora nel paese d’origine – quando possono reclutare migranti che si trovano già in Italia, sebbene in posizione irregolare – è semplicemente irrealistica, specialmenteper i lavori poco qualificati, come quelli tipicamente svolti da lavoratori migranti, stagionali e non, in agricoltura e nel turismo. Ma, in questo caso, anche laddove il datore di lavoro fosse disponibile a concludere un “contratto di soggiorno”, la legge impedisce il rilascio di permessi di soggiorno per lavoro subordinato o stagionale a lavoratori migranti che si trovino già in Italia irregolarmente.
In sintesi, i datori di lavoro tendono a, perché non possono fare altrimenti o, soprattutto, lo trovano conveniente, impiegare migranti irregolari. Questi non hanno altra scelta se non lavorare nell’economia informale.
Ecco aperta, allora, la strada al mercato parallelo dei permessi, allo sfruttamento e all’invisibilità. La condizione di migrante irregolare, come noto, in Italia è un reato dal luglio 2009. Ciò significa che i migranti irregolari che vogliano denunciare abusi, compreso lo sfruttamento lavorativo, rischiano non solo di perdere il lavoro ma di essere accusati del reato di “ingresso e soggiorno illegale” (su cui oggi il Segretario generale dell’Onu prende una posizione molto netta), detenuti ed espulsi.
Si chiede “Jean-Baptiste”, un lavoratore migrante del Burkina Faso:
    “Quando il datore di lavoro non paga, che cosa puoi fare per avere il denaro? Senza documenti, come puoi andare alla polizia? Senza documenti, sei espulso. Ma non hai fatto niente di male…”.
Le autorità italiane possono dare una risposta?
PS: i nomi delle persone intervistate da Amnesty International sono stati alterati per ragioni di sicurezza.



La bidonville fra gli agrumeti "Sono i fantasmi di Rosarno"
Una situazione insostenibile per un migliaio di braccianti: "E c'è meno lavoro di prima". La lotta solitaria di un sindaco. Ecco perché, in due anni, non è cambiato nulla
la Repubblica.it, 17-12-2012
GIUSEPPE BALDESSARRO
SAN FERDINANDO (RC)  -  Abayomi ha appena finito di piantare i quattro legni del perimetro. E ora sta tentando di dare forma al telone che ha trovato in una discarica. Non sa ancora che tra qualche ora la sua capanna non ci sarà più. Nè il sindaco Domenico Madafferi glielo vuole dire. Ha già firmato l'ordinanza di sgombero da consegnare alle forze dell'ordine, ma "a questi ragazzi africani", tenterà di dare una mano fino all'ultimo momento: "Farò tutto il possibile". Anche ieri mattina il primo cittadino era in mezzo alla tendopoli della campagna reggina. La sua vita si divide tra la Prefettura di Reggio Calabria e quel campo diventato ormai una bidonville a pochi passi dal mare e dal grande porto di Gioia Tauro. In mezzo agli agrumeti calabresi c'è una polveriera, pronta ad esplodere come accadde a Rosarno due anni fa. Stesse dinamiche, simili le situazioni, identici i volti di migranti stagionali. Una sola differenza, "qui di lavoro per tutti purtroppo non ce n'è" e la crisi ne ha fatti arrivare ancora di più, a migliaia bivaccano nella Piana dove crescono gli alberi delle clementine più dolci d'Italia.
Dopo i fatti di Rosarno, quando la rabbia degli africani esplose in tutta la sua violenza, il Ministero dell'Interno, la Regione e la Protezione civile si misero assieme per cercare una soluzione. Si realizzarono alcune tendopoli e arrivarono i container. C'era almeno un pasto caldo al giorno e un minimo di assistenza. A distanza di 24 mesi "sono spariti tutti", dice Madafferi. E i sindaci "sono rimasti soli". Per fortuna i rapporti con la popolazione locale sono buoni, le tensioni di un tempo si sono attenuate. I Pianigiani per mesi hanno fatto quel che hanno potuto per aiutare i braccianti neri. Ora però non basta più, sono troppi e ne continuano ad arrivare.
A San Ferdinando c'erano 40 tende, un medico, una cucina da campo e un salone per farli mangiare. In primavera sono finiti i soldi e la situazione è precipitata. Oggi nel campo che poteva ospitare fino a 250 persone ce ne sono oltre mille. Nelle tende dove si dormiva in sei, trovano riparo 10 o 12 persone. E tutto intorno ci sono centinaia di capanne costruite con qualsiasi cosa. Legna, plastica e cartone sono diventati merce rara da queste parti. L'acqua calda è un miraggio, così come tutto il resto. Un medico volontario viene al campo una volta a settimana, Emergency fa altrettanto. Poi ci sono quelli dell'associazione "Il mio amico Jonathan". Avevano vinto l'appalto di 40 mila euro per far da mangiare ai migranti che tornavano dai campi alla sera. E anche quando ad aprile scorso il loro compito era formalmente finito non se la sono sentita di lasciare la gente senza un minimo di aiuto.
Michelangelo, uno dei volontari spiega: "Organizziamo le collette, mettiamo assieme quel che la gente ci regala e quando ci riusciamo veniamo qua a fare qualcosa da mangiare". Domenica mattina il menu diceva verdure cotte e riso, niente altro. I fuochi su cui si fanno bollire i pentoloni dell'acqua addossati ai rifugi ti tela e celofan. E sono tutto quei bivacchi. Sono riscaldamento e cucina. Quattro pali e le pareti di eternit, da queste parti le chiamano docce. All'esterno c'è un gradino di terra. E mentre da fuori uno dei ragazzi versa acqua tiepida dall'alto, dentro un altro prova a levarsi di dosso il fango e la fatica dei campi.
Il sindaco si è arreso: "A 72 anni certe cose non le posso vedere più. L'Azienda sanitaria mi ha mandato una relazione nella quale si parla di gravissimo rischio igienico, per non parlare di quello per l'ordine pubblico. Non posso assumermi la responsabilità di tenere in piedi questa storia. Siamo soli e può succedere qualsiasi cosa". Madaffari al campo lo conoscono tutti, come anche in paese. Con la sua indennità paga le bollette della luce del Comune e la voce "spese di rappresentanza" non c'è un euro. "Quando arriva qualche ospite importante e lo invitiamo a pranzo, pago io di tasca mia". Della politica dice: "Non me ne frega niente, mica devo fare carriera, e poi quello che ho visto ultimamente mi è bastato".
Decine di appelli, lettere, richieste di incontri, Madaffari ha bussato alla porta di tutti. Ma niente. E racconta: "L'ultima riunione del tavolo istituzionale per l'emergenza immigrati è stato pochi giorni fa. C'era la Regione. Ma il direttore generale Franco Zoccali ha detto che non è un problema loro. Il prefetto è rimasto a bocca aperta. Solo pochi mesi fa avevano promesso due milioni di euro".
 Il prefetto si chiama Vittorio Piscitelli, è quello che ha sciolto il comune di Reggio Calabria per infiltrazioni mafiose. Sarà un caso, ma prima c'erano i soldi, ora non più. E anche lui non può che alzare le mani. "La vuole vedere l'ultima  -  continua il sindaco  -  la Presidenza della Repubblica ci ha mandato poco meno di 500 coperte, costo 5mila euro e 17 centesimi. Sono coperte di "materiale di seconda scelta, non commerciabile", così c'è scritto nella fattura. Lo sa cosa significa? Che quel che non va bene per la gente normale può andar bene per questa gente. Come se non fossero persone come tutte le altre. E' umiliante". E a nulla sono valsi i richiami del vescovo Francesco Milito che nei giorni scorsi ha consegnato 10 mila euro alla Caritas per un piccolo intervento. Anche quelle parole cadute nel vuoto.
A sera i migranti stanno attorno ai fuochi, bruciano tutto quello che possono per scaldarsi. Da queste parti li chiamano i "fantasmi della Piana", perché sembrano invisibili alle istituzioni. All'alba proveranno ancora a trovare una giornata di lavoro. I "capi neri", li conoscono tutti qui. Sono loro che al mattino ne prendono 10 o 20 per volta. Li portano sui campi e dicono cosa fare. Una volta a settimana danno loro quello che vogliono, da 25 a 35 euro, a qualcuno 5 centesimi a cassetta per le arance e un euro per le clementine. Il resto lo tengono loro.
I migranti non vedono mai i proprietari delle terre su cui lavorano. Qualcuno si arrabbia, prova a ribellarsi. Soprattutto quelli che hanno la carta d'identità italiana in tasca. Prima erano registrati al nord, a Brescia o in Romagna. Per questo sanno cos'è un contratto e un salario veri. Poi la crisi li ha portati in Calabria. Ma se provano a protestare restano al campo, senza la giornata. I "capi neri", quelli che procurano rogne non li vogliono tra i piedi. Il documento italiano qui non vale. Qui siamo alla bidonville di San Ferdinando.  



Rosarno, gli "schiavi invisibili" ci sono ancora, sono tutti lì
La Rosarno di tre anni fa, quella della rivolta e delle denunce per i diritti calpestati di chi lavora, esiste ancora. Non è cambiato niente. Anzi, il virus dello sfruttamento si è diffuso in tutto il Paese. "Quando non hai i documenti ti danno solo lavoro nero, che è mal pagato". Le testimonianze è raccolte da Amnesty International. Come quella di  Jean-Baptiste: "Se non ti pagano cosa puoi fare senza documenti?"
la Repubblica, 18-12-2012
VLADIMIRO POLCHI
ROMA - Ricordate Rosarno e gli schiavi invisibili della Piana di Gioia Tauro? Cos'è cambiato a tre anni dalla rivolta dei braccianti stranieri? Poco o nulla. Anzi, il virus dello sfruttamento si è diffuso in tutto il corpo del Paese. "Quando non hai i documenti ti danno solo lavoro nero, che è mal pagato. Prendiamo dai 25 ai 30 euro al giorno per otto o nove ore di lavoro. Ma quando ci facciamo male non prendiamo niente". A parlare è Ismael, un immigrato del Burkina Faso che vive e lavora a Caserta. La sua testimonianza è raccolta da Amnesty International. Così come quella di  Jean-Baptiste: "Quando il datore di lavoro non paga, che cosa puoi fare per avere il denaro? Senza documenti, come puoi andare alla polizia? Senza documenti, sei espulso".
La Giornata dei migranti. In occasione della Giornata internazionale dei migranti, che ricorre il 18 dicembre, Amnesty International lancia un nuovo rapporto sull'Italia per denunciare lo sfruttamento dei braccianti agricoli stranieri: Volevamo braccia e sono arrivati uomini. Il 18 dicembre di 22 anni fa fu varata la "Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei lavoratori e lavoratrici migranti e delle loro famiglie": entrata a pieno titolo nel diritto internazionale nel 2003, dopo essere stata ratificata da 20 Stati membri. L'Italia però, così come gli altri Stati europei, non l'ha ratificata. Il rapporto di Amnesty si concentra sulle gravi forme di sfruttamento, per lo più nel settore agricolo, delle province di Latina e Caserta.
I braccianti di Latina. Stando al rapporto, fino all'80 per cento dei lavoratori agricoli nell'area di Latina sono stranieri. Le loro condizioni? Sunny (nome fittizio), un migrante indiano che non ha documenti e lavora senza contratto, si è confidato con Amnesty: "Lavoro 9-10 ore al giorno dal lunedì al sabato, poi cinque ore la domenica mattina, per 3 euro l'ora. Il datore di lavoro mi dovrebbe pagare 600-700 euro al mese; io contavo di mandare 500 euro al mese a mio padre, mia madre e mia sorella in India. Negli ultimi sette mesi, però, il datore di lavoro non mi ha pagato il salario intero. Mi dà solo 100 euro al mese per le spese. La mia famiglia in India ha dovuto chiedere soldi ad altre famiglie. Non posso andare alla polizia perché non ho i documenti: mi prenderebbero le impronte e dovrei lasciare l'Italia".
Le rotonde a Caserta. La paga minima per un lavoratore agricolo nell'area di Caserta, contrattata fra le parti sociali, sarebbe di 39.91 euro lordi per 6.5 ore di lavoro (5.70 euro l'ora). Sulle rotonde, però, il potere contrattuale dei lavoratori migranti è praticamente inesistente. "Accetto qualsiasi lavoro da chiunque", spiega Body, un lavoratore ganese. La paga standard per una giornata (dalle 8 alle 10 ore) è di 20-30 euro, cioè non più di 3.75 euro l'ora. Alcuni migranti hanno riferito che le paghe possono scendere anche a 15-20 euro al giorno. Afram, della Costa d'Avorio, racconta: "Oggi ho lavorato dalle 6 del mattino alle 6 della sera, con una pausa di 30 minuti, a zappare un campo. Mi hanno pagato 20 euro".
I falsi contratti. La ricerca condotta da Amnesty International nell'area di Latina denuncia l'esistenza di un sistema di compravendita di visti. "In India ho pagato 300,000 rupie (circa 4,300 euro, ndr) per il nulla osta per entrare in Italia  -  ricorda Sunny  -  Per avere un contratto una volta arrivato in Italia bisogna pagare altri mille euro". Individui che si fingono futuri datori di lavoro ricevono denaro per presentare la domanda di nulla osta, ma nella maggior parte dei casi non intendono impiegare i migranti appena arrivati. E così spesso i contratti di soggiorno non vengono firmati e, otto giorni dopo il loro arrivo in Italia, la posizione dei lavoratori migranti diventa irregolare.
La denuncia di Amnesty. In conclusione, Amnesty International ritiene che la situazione creata dalla rigidità del decreto flussi e dal pacchetto sicurezza faciliti lo sfruttamento dei lavoratori migranti e ostacoli il loro accesso alla giustizia. Le misure recentemente adottate, come  la criminalizzazione del caporalato e la cosiddetta Legge Rosarno, rischiano di essere in gran parte inefficaci. "Il controllo dell'immigrazione può costituire un interesse legittimo di ogni Stato  -  sostiene Francesca Pizzutelli, ricercatrice del Segretariato Internazionale di Amnesty International e autrice del rapporto  -  ma non deve essere portato avanti a danno dei diritti umani di coloro che sono nel suo territorio, lavoratori migranti inclusi".



“Piccoli stranieri sì alla cittadinanza”
Un sigillo civico per gli immigrati nati a Torino sancirà il loro legame con la nostra città
La Stampa, 18-12-2012
Emanuela Minucci
«Siamo la prima città d’Italia a trasformare i bambini stranieri nati qui in piccoli torinesi: sarà anche una cittadinanza onoraria, ma stiamo indicando una strada». Il consigliere radicale Silvio Viale va orgogliosissimo - a ragione - del documento approvato ieri sera dalla Sala Rossa uscito mesi fa dalla sua penna.
Un provvedimento pilota che, come ha ricordato il sindaco Fassino «si tratta di un atto simbolico di grande forza perché in Italia è aperto un dibattito sull’ottenimento della cittadinanza da parte degli stranieri: componente sempre più numerosa della nostra società». Con venticinque voti a favore il Consiglio comunale di Torino ha approvato la delibera che conferisce la cittadinanza civica a tutti i bimbi nati in città e che non sono in possesso della cittadinanza italiana. La cittadinanza civica, viene specificato nel documento, dovrà essere accettata dall’interessato o da chi ne ha la tutela legale e conservata in un apposito albo.
Alla domanda la mamma di Laila Hafida, la prima neonata nata il 1° gennaio dello scorso anno e che ha già ricevuto - in anteprima dal sindaco - la cittadinanza. I capelli avvolti in un foulard osserva la piccola Laila che sta per vivere il suo primo Capodanno da torinese ad honorem: «E’ vero, sul piano pratico non cambia nulla - dice osservando il Corano incorniciato in salotto - ma è il senso di accoglienza, il calore, e il presupposto legato a questa decisione che ci fa apprezzare non poco ciò che ha fatto il Consiglio comunale: speriamo che anche a livello governativo si sblocchi la situazione, comunque per ora, anche solo dal punto di vista del clima, vivere a Torino fa la differenza». Trentotto anni, i capelli avvolti in un foulard beige è ben lieta che la sua piccola faccia notizia. Laila sorride al fotografo, fa ciao con la manina e capisce molto bene l’italiano anche se dice - come tutti i piccoli della sua età - soltanto tre parole fondamentali: mamma, papà e pappa.
Il provvedimento era già stato messo ai voti lunedì scorso, ottenendo «solo» 23 voti. Pur essendo stato approvato dalla maggioranza dei consiglieri, poiché per le modifiche dello Statuto della Città è richiesta la maggioranza qualificata (pari a 27 voti) ieri è stato riportato in aula. La norma prevede che alla terza votazione sia sufficiente la maggioranza semplice.
«La cittadinanza ai bimbi stranieri nati a Torino é un atto politico e simbolico di estrema importanza di cui siamo orgogliosi - ha commentato il capogruppo del Pd Stefano Lo Russo - ed è anche attraverso atti come questo che passano le politiche di integrazione per costruire la Torino di domani». E ha concluso: «Il prossimo Parlamento dovrà affrontare urgentemente il tema della legge sulla cittadinanza agli stranieri e porre l’Italia all’avanguardia in Europa e nel mondo su questo tema fondamentale».  
La deliberazione, fortemente voluta mesi fa anche dal consigliere Roberto Tricarico (Pd) ha invece ricevuto i voti contrari di Pdl, Lega Nord, Torino Libera e Progett’Azione. Astenuti i due consiglieri del Movimento 5 Stelle. Alcuni dei gruppi che hanno votato no, con il Pdl di Maurizio Marrone hanno dichiarato che si tratta di un provvedimento «di facciata che non cambierà certo la vita degli stranieri». Ma la maggioranza di Palazzo Civico sta con il sindaco che crede che questo «sia un buon inizio».
twitter@emanuelaminucci

 

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