Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

06 dicembre 2010

Vicini a chi ha paura
l'Unità, 06-12-2010
Luigi Manconi
Dice: gli immigrati delinquono più degli italiani. Falso. Tra gli immigrati regolari il tasso di criminalità è pari a quello registrato tra i cittadini italiani: e, nella fascia di età 24-50 anni, la frequenza dei delitti è minore all'interno della popolazione straniera. (Diverso è il caso degli immigrati irregolari, dove il tasso di criminalità è più elevato: ma qui le ragioni sono altre e facilmente decifrabili). Dice: gli stranieri violentano le nostre donne. Falso. Le “nostre donne” (e le nostre bambine) sono violentate dai “nostri uomini”: da italiani, cioè, come confermato dall'Istat; ed è altrettanto provato che il 94% di quelle violenze avviene in ambito familiare, parentale, amicale. Ma bastano questi dati e bastano le argomentazioni obiettive a disinnescare l'intolleranza etnica? Ovvero a far sì che le due tragiche vicende di questa freddissima domenica di dicembre, che vedono come protagonisti due immigrati regolari, siano classificate come cronache criminali senza alcuna connotazione razziale? Certo, sarebbe ragionevolissimo che fosse così: come è stato quando, nel caso della “strage di Erba”, i due autori non sono stati indicati come “cattolici praticanti” e in occasione dell'omicidio di Sarah Scazzi non si è scritto (ma qui qualche rischio si è corso) che il delitto “è maturato nell'ambiente dei testimoni di Geova”. E invece quando gli autori di reato sono stranieri, immancabilmente il tratto della nazionalità o della confessione religiosa emerge con brutalità, a tracciare in maniera indelebile la fisionomia di un Altro, irreparabilmente diverso: e, dunque, più agevolmente criminalizzabile. E quell'Altro – anche all'interno di un ordinamento giuridico dove la responsabilità penale è personale – trascina con sé, nella stigmatizzazione  e nell'ostracismo, il suo gruppo di appartenenza e la sua comunità. Tutto ciò è tanto più terribile quanto meno è affrontabile solo con argomenti razionali e con intelligenza logica. E c'è un motivo: la xenofobia (che non è razzismo, ma che può diventarlo) affonda le proprie radici nella nostra stessa identità antropologica, è fatta di umori tetri e pulsioni profonde, riguarda ciascuno di noi. È compito della politica, e di ogni uomo e donna di buona volontà, disinnescare quegli umori e quelle pulsioni e sottoporli a controllo, affinché non deflagrino. Per questo è necessaria una lunga e faticosa opera di formazione e autoformazione e una aspra lotta culturale. Questa deve evitare di colpevolizzare quanti vivono con ansia l'impatto, talvolta doloroso, con l'immigrazione. Spesso le manifestazioni di diffidenza (e persino di ostilità) dicono, come possono, una cosa sola: aiutateci a non diventare razzisti. Insomma, astuti come serpenti e candidi come colombe. Gli imprenditori politici della paura vanno combattuti a viso aperto. Si deve a loro se oggi il razzismo non è più un tabù in Italia ma una abbietta risorsa elettorale. Ma gli abitanti di Brembate e quelli di Lamezia non vanno lasciati soli. Non sono razzisti né sono destinati fatalmente a diventarlo: vivono le nostre stesse ansie. Possiamo salvarci insieme, ma solo se ci aiuteranno e si aiuteranno gli italiani e gli stranieri che non uccidono adolescenti.



Marocchino drogato e senza patente fa strage di ciclisti

Con la sua Mercedes è piombato su un gruppo di amici che pedalavano: 7 morti e 3 feriti gravi
il Giornale, 06-12-2010
Filippo Maria  Cutrupi

Lamezia Terme (Cz) «Rosario dove sei? Dove ti hanno portato?». Piange disperatamente Gennaro Perri, uno dei quattro ciclisti rimasti feriti nel tragico incidente di ieri mattina dove sette persone, che pedalavano in gruppo con lui, hanno perso la vita. Nessuno ha il coraggio di dirgli che Rosario è morto. Gennaro Perri, nel lettino dell'ospedale di Lamezia Terme in cui è ricoverato, racconta ancora terrorizzato la dinamica dell'incidente: «Ho visto quella Mercedes che ad un certo punto, in un tratto in rettilineo, mentre tentava un sorpasso, ha cominciato a sbandare. Non abbiamo avuto il tempo di renderci conto di quello che stava accadendo». Era una normale domenica di dicembre, di sole e bel tempo, e i soliti amici, amanti della bicicletta, si erano ritrovati tutti insieme per il solito giretto, un classico della domenica. Di solito da Lamezia Terme si pedalava verso Pizzo ma ieri la scelta è caduta nella direzione opposta ad Amantea, in provincia
di Cosenza, cosi tutti in fila, come ormai facevano da almeno otto anni erano partiti intorno alle 8 di mattina, alle 13 li aspettavano a casa per il pranzo. Un pranzo che nessuno ieri ha consumato. Trascorse da poco le 12, un marocchino che guidava sotto l'effetto di cannabinoidi li ha investiti in pieno sulla Statale 18 in località Marinella di Lamezia Terme, ed è stata una strage: sette morti, ma il bilancio è ancora provvisorio, e quattro feriti, due dei quali sono in condizioni gravi. Non ancora accertata la dinamica dell'incidente, risulta tuttavia che il marocchino, Chafik Eiketani, 21 anni, immigrato regolare ma senza patente perchè gli era stata ritirata sette mesi fa per un sorpasso azzardato, alla guida di una Mercedes grigio chiaro, e sempre tentando un folle sorpasso sulla Statale 18, ha investito il gruppo di ciclisti. L'investitore, che dopo il drammatico è finito con la propria autovettura in un terreno agricolo, ha riportato solo ferite di lieve entità ed è stato ricoverato presso l'Ospedale di Lamezia Terme, dove è stato sottoposto agli esami tossicologici cui è risultato positivo. Su di lui grava la pesante accusa di omicidio aggravato plurimo, per cui attualmente è in stato di arresto e piantonato. Al suo fianco, in auto, c'era anche il nipotino di dieci anni, illeso.
Il sindaco di Lamezia ha proclamato il lutto cittadino per il giorno in cui verranno celebrati i funerali delle vittime. Pesante il giudizio sull'accaduto di Sandro Mazzatorta Capogruppo della Lega in commissione di Giustizia al Senato, che affermato l'assoluta necessità di intervenire sul reato di omicidio colposo da incidenti della strada. É assolutamente inconcepibile che la condanna per una strage come quella di accaduta a Lamezia, comporti solo pochi mesi di reclusione per il responsabile, che non vengono neanche scontati per gli innumerevoli benefici che la Legge prevede.
Salvatore Mancuso era insieme al gruppo di ciclisti falciati dall'auto pirata, poche ore prima dell'impatto: «Mi sento fortunato, sono vivo per la pioggia. Dovevamo andare verso Amantea - racconta, piangendo, sul luogo della strage - ma quando siamo arrivati verso Campora San Giovanni ha iniziato a piovere ed io ed altri tre del gruppo abbiamo deciso di tornare indietro. A casa mia moglie ha ricevuto una telefonata e un amico le ha detto: non so come dirtelo, ma forse tuo marito è rimasto coinvolto in un incidente. Lei ha risposto che ero sotto la doccia, ma io ho subito capito». Quelle biciclette attorcigliate su se stesse, con accanto i corpi dei ciclisti, come cavalieri morti in battaglia accanto ai loro cavalli, è un'immagine incancellabile. «Quello che abbiamo trovato arrivando qui - racconta Silvio Rocca, uno dei soccorritori - è stato uno scenario impressionante. Indescrivibile. Nemmeno una bomba avrebbe potuto provocare qualcosa del genere». Una passione, quella per il ciclismo amatoriale, che accomunava tutte e sette le vittime: dall'avvocato al responsabile di una palestra e ad un meccanico, e che, invece, li ha divisi per sempre dalle loro famiglie nella prima giornata di freddo invernale, a pochi giorni di un Natale che per le famiglie delle vittime sarà soltanto di dolore e disperazione.



Immigrato drogato e senza patente uccide sette ciclisti

La Stampa, 06-12-2010
GIULIA VELTRI
LAMEZIA TERME - Corpi immobili a terra e sanguinanti. Bici deformate e schizzate lontano anche di dieci metri. E poi un'auto fumante messa di traverso sulla carreggiata, un uomo che cammina tremante sul ciglio della strada, stringendo la mano di un bambino.
Questa la scena che si è trovato di fronte ieri mattina, più o meno a mezzogiorno, Clemente Folinazzo, il primo ad arrivare sul luogo del terribile incidente che è avvenuto in località Marinella, a Sant' Eufemia di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro. Una vera e propria strage: sette morti e tre feriti gravi, falciati in bici da un'auto guidata da un uomo risultato poi positivo alla cannabis, senza patente, di origini marocchine. «Sembrava che fosse scoppiata una bomba - racconta l'uomo - Alcuni automobilisti sono andati via impietriti, non ce l'hanno fatta a fermarsi».
Le sette vittime sono Rosario Perri, Francesco Stranges, Vincenzo Pottin, Giovanni Cannizzaro, Pasquale De Luca, Domenico Palazzo e Fortunato Bernardi. Facevano parte di un gruppo sportivo: impiegati, avvocati e commercianti. Uniti dall'amore per il ciclismo.
Sono stati travolti da una Mercedes, guidata da Chafik Elketani, un marocchino di 21 anni. Sotto l'effetto di droga e senza patente perché gli era stata ritirata sette mesi fa, probabilmente nel tentativo di un sorpasso invade la corsia opposta, nella quale sta transitando il gruppo di ciclisti, e li stende tutti. Falciati di colpo. Un impatto frontale molto violento anche per l'alta velocità dell'auto.
In base alla ricostruzione fatta da uno dei sopravvissuti, e confermata dai primi riscontri tecnici, la carovana di dieci persone pedala in direzione sud la statale 18, la strada che lambisce la costa tirrenica a cavallo fra le province di Catanzaro e Cosenza. A pochi chilometri da Lamezia Terme, una Mercedes grigia, vecchio modello, sbanda e all'improvviso travolge il gruppo. Alla guida un ragazzo marocchino residente a Gizzeria, un paese vicino, e con regolare permesso di soggiorno. A bordo con lui il nipote di 8 anni. Entrambi si sono feriti in maniera lieve e l'uomo è stato rinchiuso nel carcere di Catanzaro arrestato con l'accusa di omicidio colposo plurimo aggravato.
Le sette vittime appartenevano a un gruppo di ciclisti professionisti e amatori, legato alla palestra Atlas di Lamezia Terme, e ogni domenica organizzavano gite in bici. Ieri, vista anche la giornata luminosa che si alterna alla pioggia, la loro destinazione è Amantea, cittadina lungo la costa cosentina. Sono le 11.30.
Un gruppo di quattro persone, a causa della pioggia, decide di ritornare indietro, salvandosi così miracolosamente dalla strage. In dieci proseguono fino ad Amantea e poi, sulla strada del ritorno, il terribile incidente. Una tragedia impressionante.
«Ci avevano allertato -spiega Silvio Rocca, uno dei primi soccorritori della Croce bianca - per un incidente in cui, secondo le prime notizie, era coinvolto un solo ciclista. Giunti sul posto, però, abbiamo visto che si trattava di una strage».
Tra le vittime il proprietario della palestra, Fortunato Bernardi, che è zio del terzino Felice Natalino, la giovane promessa dell'Inter originario proprio di Lamezia. Nella pattuglia anche due fratelli: Rosario e Gennaro Perri, il primo è morto, il secondo è ricoverato a Cosenza. «Dove sei, Rosario? Dove ti hanno portato», chiedeva urlando Gennaro dal suo lettino d'ospedale. Ancora nessuno ha avuto il coraggio di dirgli che il fratello è morto.
Si sente un miracolato, Salvatore Mancuso, fra quelli che ha fatto rientro a casa per la pioggia. Hanno telefonato anche a casa sua, subito dopo la tragedia. «Ma io ero già sotto la doccia», racconta.
Il sindaco di Lamezia Terme, Giannetto Speranza, ha indetto una giornata di lutto in coincidenza dei funerali. Ma a lutto è una regione intera. Le più alte cariche istituzionali hanno espresso il loro cordoglio alla vittime e ai familiari.
Ma il bilancio finale della giornata di ieri per le strade calabrese è di nove e non sette morti. Nel pomeriggio, a Cassano sullo Jonio, hanno perso la vita in un incidente anche due sorelle rumene di 23 e 20 anni.



Senza patente e drogato; extracomunitario o no non deve passarla liscia

il Giornale, 06-12-2010
Mario Cervi
Non prenderò spunto dalla spaventosa strage di Lamezia Terme che ha un protagonista marocchino -altri lo farà suppongo - per risollevare il problema (...) (...) di un'immigrazione disordinata, largamente incontrollata, e per questo pericolosa. Il coinvolgimento di molti, troppi extracomunitari in vicende sanguinose e delittuose - con prevalenza di provenienti da determinate aree, tra esse il Nord Africa - sollecita inquietudini e allarmi legittimi. La frangia sbandata, rissante, trasgressiva e anche delinquenziale degli «ospiti» impone all'Italia, come ad altri Paesi europei, il dovere di tutelare meglio gli onesti: siano essi cittadini italiani o stranieri.
Ma l'orrore di quei poveri ciclisti falciati da un'auto al cui volante era un drogato, privo della patente che gli era stata tolta per precedenti infrazioni, non riguarda specificamente gli extracomunitari. Ci riguarda tutti. Perché tutti sappiamo, da esperienze dirette o informazioni casuali, che il tale o talaltro guidatore notoriamente spericolato e per questo sanzionato, ha riottenuto il suo bravo documento o ha guidato senza permesso; e allora, colto in flagrante, se l'è cavata - perfino quando avesse provocato danni alle persone - molto a buon mercato.
Gli incidenti stradali sono per fortuna in diminuzione ma rimangono tra le maggiori cause di morte. La sensazione dell'uomo della strada è che la legge sia troppo indulgente nelle sue sentenze, troppo poco zelante nel far espiare le pene, e troppo corriva nel restituire la patente a pirati del volante. Capita perfino di vedere tipi o tipacci del cosiddetto jet set che, beccati in auto senza patente, quasi si pavoneggiano per la loro trasgressività spavalda, ci ridono sopra. E in cella non finiscono mai.
La qualifica di colposo che probabilmente correderà gli omicidi di Lamezia Terme fa pensare, detta così, a qualcosa di negligente e quasi innocente. Ma c'è ben più che negligenza in questi crimini. Certo chi ritiene che un drogato adulto non sia responsabile dei suoi atti può avere comprensione per il massacratore. Non l'hanno di sicuro quanti pensano, come me, che drogarsi è una brutta dipendenza, guidare drogati è un crimine. Qualche pronuncia giudiziaria di primo grado ha voluto qualificare come volontarie, non colpose, uccisioni benché non avessero particolari caratteristiche di criminale sconsideratezza. Ma in appello o in cassazione, a quanto ricordo, il fattaccio è stato ricondotto alla dimensione colposa. Le condanne più severe sono a qualche anno di reclusione - il massimo si aggira sui nove - ma sappiamo bene come funzioni la singolare aritmetica dei Tribunali di casa nostra. Tra sconti, condoni, concessioni di libertà vigilata, magari premi per buona condotta, tanti condannati fanno soltanto una capatina nelle galere della Repubblica, poi corrono nella prefettura competente per riavere la patente. E ributtarsi gioiosi sulle strade.
Non ho sufficiente competenza legale per suggerire rimedi. Due mi permetto tuttavia di caldeggiarli. Il primo è che dopo determinate serie infrazioni la patente non possa essere riconcessa mai più. Il secondo è che se uno, essendogli sta¬ta tolta la patente, è sorpreso a guidare, finisca in galera e ci rimanga per un bel po' senza invocazioni virtuose della presunzione d'innocenza fino alle calende greche. Si osserverà che queste proposte poco hanno a che fare con la tragedia calabrese. L'investitore è piantonato in ospedale, sarà processato. Vero. Ma se non avesse compiuto una carneficina se ne andrebbe ancora in giro - portandosi appresso un nipote ragazzino - e se sorpreso senza patente avrebbe avuto qualche noia, ma nemmeno tante. Di espulsione nemmeno parlarne. A questo almeno si può porre qualche riparo, per i casi futuri.



La Lega: cacciamoli Giovanardi: adesso gli imbecilli tacciano

la Repubblica, 06-12-2010
ROMA—L'automobilista pirata è un marocchino di 21 anni, senza patente, fatto di cannabis. Ha travolto e ucciso sette ciclisti italiani, tre li ha feriti. Immediata arriva la sollevazione da destra, stimolata anche dall'arresto nel Bergamasco del presunto assassino di Yara (anche lui un marocchino). Carlo Giovanardi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle politiche antidroga, sempre presente sui seguiti di questi fatti di nera, attacca: «Dopo il tragico episodio di Lamezia Terme c'è da sperare che nessuno dia più spazio a quegli imbecilli che straparlano di differenza tra droghe leggere e pesanti. Continueremo in un'azione determinata di prevenzione e repressione della diffusione di ogni tipo di sostanza».
Il senatore della Lega Piergiorgio Stiffoni affida pezzi di colpa «al solito buonismo all'italiana». E spiega: «In commissione al Senato la Lega aveva proposto la modifica al codice della strada per reati come questi, che sono omicidi belli e buoni a cui non si può dare l'attenuante della colposità. Ma la commissione non ha voluto infierire». Già. «Di delinquenti così ne abbiamo talmente tanti in Italia che non serve importarne gratuitamente, cacciamoli tutti a casa loro». Il relatore della legge Bossi-Fini, il leghista Antonio Gentile (Pdl), allarga: «I fatti di Lamezia Terme e Bergamo non devono dare adito a rivolte razziste, ma devono far pensare: c'è una forte immigrazione, di stampo nordafricano e nomade, che coincide con la delinquenza e il crimine. Un ubriaco ha ucciso sette ciclisti a Lamezia Terme e mi chiedo se il fatto che sia successo in Calabria non rappresenti una diminutio in termini giornalistici perché non mi spiego come questo fatto non venga considerato una vera e propria strage».
Il presidente del Consiglio regionale della Calabria, oggi a guida centrodestra, assicura: «Intendo seguire la vicenda sul piano giudiziario affinché sia assicurata verità e giustizia». La traduzione "pulita" delle parole del leghista Sandro Mezzatorta: «Il pirata non se la caverà tanto facilmente».



Nel paese dei volontari spuntano i cartelli  «Basta, fuori i marocchini dall'Italia»

Corriere Della Sera, 06-12-2010
Marco Imarisio
Il sindaco leghista prova a calmare gli animi: «Ci dissociamo da questi episodi»
BREMBATE DI SOPRA (Bergamo) - L'attesa ti mangia l'anima. E qui non succede niente, soltanto un altro giorno livido di neve ghiacciata, trascorso senza segni di speranza. A mezzogiorno il colonnello dei Carabinieri lascia la caserma per andare dai genitori di Yara. «Comunicazioni». Ne esce mezz'ora dopo, scuro in volto, le labbra serrate, l'espressione vuota come quella di una maschera di cera. Ogni cosa è cupa, in questa domenica di parole vane. La speranza si è ormai cristallizzata in rabbia, la frustrazione di una comunità diventa per alcuni la valvola che spurga umori inconfessabili. «Sono stati loro, i negri». Il ragazzino sulla bici da cross avrà al massimo quindici anni. Insieme ai suoi amici continua a girare in circolo, dalla Città dello sport di via Locatelli alla strada dove abita la famiglia Gambirasio, ripercorrendo in modo forse involontario la strada che la loro coetanea Yara avrebbe dovuto fare quell'ultimo venerdì di novembre. Invece non è andata così, invece sono passati nove giorni di molta buona volontà e nessun risultato. Fino alla scorsa notte, quando il fermo di un operaio marocchino, accusato di omicidio, ha dato corpo ad antiche paure e alla convinzione che tutto, ormai, sia finito. «Sono stati loro».
LA SCRITTA SUL LENZUOLO BIANCO - L'unica strada affollata nella domenica di Brembate di Sopra è quella che porta alla casa di Yara. C'è un tempo inclemente, ma la possibilità di dare un calcio alle inibizioni è più forte della neve. Arriva un signore in bicicletta, la appoggia a una cancellata. Si guarda intorno, sceglie un punto di buona visibilità, un'insegna sgombra davanti a un ristorante, ci appende un lenzuolo bianco. «Marocchini fuori da Bergamo», c'è scritto sopra. E se ne va senza proferire parola. A sostituirlo arriva in auto un compaesano che trascina la sua personale invettiva. «Occhio per occhio, dente per dente». E quel che colpisce non è la promessa biblica della legge del taglione, ma l'implicito messaggio che contiene.
CARTELLI E STRISCIONI - La morte di Yara viene ormai data per certa, logica conseguenza di una lunga attesa senza alcun riscontro. E sui balconi e i cancelli delle case di Brembate compaiono altri cartelli, altri striscioni. In via Cesare Battisti, sopra la filiale del Credito Bergamasco c'è un «Marocchini fuori dall'Italia». Poco oltre, in una strada laterale che si dipana da via Don Giovanni Bosco, si legge un «Padroni a casa nostra» fresco di vernice. Ne abbiamo contati una decina, non di più.
«È ORA DI FINIRLA CON QUESTA GENTE» - Ma le voci, quelle si sentono. Nei ristoranti che celebrano il rito della tavolata domenicale, persino al campo base sul fiume Brembo dove i volontari che continuano a cercare Yara trovano tè caldo e qualche momento di ristoro. «È ora di finirla con questa gente». «Li abbiamo sopportati per troppo tempo, dovevamo pensarci prima, adesso è tutto inutile». Qualcosa è cambiato a Brembate. Il sindaco ha cominciato a capirlo la scorsa notte, dopo che il telegiornale aveva dato la notizia del fermo, quando i suoi concittadini gli telefonavano a casa per dare fondo all'ira, alla ricerca di un effetto placebo che lenisse l'improvvisa consapevolezza di un lutto imminente. Diego Locatelli esibisce una calma che non è attribuibile soltanto al dramma che sta vivendo il paese, a obblighi contrattuali imposti dal ruolo. Nel suo essere leghista ci sono molti echi di una fede vissuta in modo non banale. Ieri ha convocato una conferenza stampa per dire poche parole, ma chiare. «Ci dissociamo da singoli episodi avvenuti in occasione della divulgazione di notizie inerenti alle indagini tuttora in corso, e auspichiamo che ciò non venga strumentalizzato».
MAGNETE PER PULSIONI ESTREME - Il pericolo che avvengano entrambe le cose è concreto. Schizzi di intolleranza seguiti da impietosi giudizi su una comunità che finora ha dato invece prova di generosità, l'immagine del paese leghista brutto sporco e cattivo come contrappasso al contegno e alla dignità mostrata e raccontata in questi giorni. Brembate di Sopra e la tragedia di Yara rischiano di essere un magnete per pulsioni estreme. Ieri si è fatto vedere anche Efrem Belussi, pugile, bicipite tatuato con il Sole delle Alpi, rappresentante dei Volontari padani disconosciuti dalla Lega, noto alle cronache per aver massacrato di botte un cameriere albanese in un locale di Venezia. «I bergamaschi sono stufi di essere sfruttati dalla cancrena marocchina». Il suo contributo è stato questo. Ha promesso di tornare presto.
«È STATO TUTTO INUTILE» - Ieri sera Adriano Carugati, pensionato con due dita in meno, lasciate anni fa su una fresa, tornava dalle sue otto ore di ricerche con gli occhi lucidi, e non era il freddo. «Mi sa che è finita» diceva. «È stato tutto inutile, e adesso per noi cambierà tutto». Brembate di Sopra non è un paradiso ma neppure un inferno popolato da razzisti. E' solo un piccolo paese della Valle Brembana, che vede cadere quel vincolo basato sulla sicurezza reciproca che tiene insieme la sua comunità. «Il mondo è cattivo» diceva ieri Carugati. La sua è una vita piena, due turni giornalieri da vigile a controllare l'entrata e l'uscita delle scolaresche in via Papa Giovanni XXIII, animatore del circolo anziani, reclutatore di volontari alla ricerca di Yara. Ma nel suo sguardo ieri c'era rassegnazione, il riflesso di una sconfitta. Ore 19, bar Giada, davanti a piazza Vittorio Veneto, il centro del paese. Fall Dioup, il nome è inventato per intuibili ragioni, si avvicina al banco dove effettuano le ricariche del telefonino. Ne chiede una da 15 euro. «Prima devi dirmi buonasera» è la risposta della signorina alla cassa. E non sta scherzando. Una volta fuori, lui e i suoi amici senegalesi si dirigono verso un altro locale, quello che tutti qui chiamano «il posto dei marocchini», un wine bar in via XXV Aprile.
«NON SI STAVA TANTO MALE» - Il bancone e la cassa sono al centro. A destra, un gruppo di anziani brembatesi gioca a carte, intorno a loro le mogli chiacchierano bevendo un prosecco. A sinistra si apre un salone illuminato solo dal maga schermo che si appresta a trasmettere il prepartita di Catania-Juventus. Una decina di immigrati discute ad alta voce, sul tavolo ci sono alcuni quotidiani in lingua araba. Gli italiani da una parte, «loro» dall'altra. Mamadou, operaio metalmeccanico, si guarda intorno con circospezione. «Adesso sono feriti nell'anima - dice - dobbiamo fare attenzione a quel che diciamo, a come ci comportiamo». «La gente qui è un po' chiusa» dice il presunto Fall Dioup. «Non sono mai calorosi con noi, ti fanno sempre sentire che sei diverso, che non appartieni alla loro tribù. Qualcuno magari è aggressivo, ma in fondo non si stava poi così male». E in quel verbo coniugato all'imperfetto c'è molto rimpianto. Per quel che è stato, e forse non potrà più essere. Mai più.



"Lo straniero cattivo? Propaganda politica"

Il sociologo Barbagli: è un'arma di scontro ideologico
La Stampa, 06-12-2010
FRANCESCA PACI
ROMA - In una vicenda a forte impatto emotivo come quella di Yara la comunità ha bisogno che si trovi presto il colpevole anche a costo di commettere degli errori ini-ziali, è un caposaldo della sociologia a partire da Durkheim» ragiona Marzio Barbagli, sociologo dell'università di Bologna e massimo esperto di immigrazione e sicurezza. Ammette però, che quei cartelli con la scritta «occhio per occhio» non sarebbero comparsi per le strade di
Brembate se l'indiziato numero uno fosse stato un italiano: «Indubbiamente la reazione è aggravata dal fatto che si sospetta di un immigrato, soprattutto trattandosi di una zona con una quota della popolazione non molto simpatizzante per gli stranieri».
E' la paura a gonfiare la minaccia percepita dalla gente? «I dati non dipendono dal razzismo, sono dati. E ci dicono che sebbene in Italia il numero di omicidi sia notevolmente calato, passando dai quasi 2 mila l'anno del '92 ai 620 attuali, la quota d'immigrati condannati è molto elevata rispetto al peso degli immigrati stessi. Parliamo di un 35% che nelle regioni del nord sfiora il 40%. Nove su dieci, come per gli italiani, sono uomini. C'è da aggiungere però, che di solito gli stranieri   ammazzano   altri stranieri, spesso della stessa nazionalità,   nell'indifferenza mediatica. Se invece la vittima è un nostro connazionale l'impatto è assai più forte». Anche in Calabria la rabbia per i ciclisti uccisi dal giovane marocchino rischia di trasformarsi in un noi contro voi. Non basta l'esperienza sempre più diffusa di storie d'integrazione a vincere la diffidenza degli italiani? «La paura in casi del genere non è irrazionale. Anche coloro che guidano senza patente e che, a onor del vero, finiscono per uccidere assai di rado, sono frequentemente immigrati. Il problema esiste. Ma a intervenire sulla reazione della gente è più la politica che la psicologia. L'immigrazione infatti è l'ultimo terreno di scontro ideologico della società post-ideologica, l'unico che contrappone ancora gli eccessi di chi cavalca la paura a quelli di chi la minimizza. I media poi condiscono il tutto rispondendo alla richiesta popolare di un colpevole con il sensazionalismo». Come interpreta  la corrispondenza tra immigrazione e devianza? «Il numero di reati tra gli immigrati è alto anche in altri paesi. Per quanto riguarda l'Italia le ragioni sono diverse. La prima è legata agli irregolari, più deviarti, e alla nostra difficoltà nel gestire i flussi migratori. La seconda riguarda il grado d'integrazione. Chi vive in un contesto di controllo familiare o comunitario delinque più difficilmente di uno senza rete. Infine, ma è la minore delle cause, ci sono cortocircuiti culturali simili a quelli in cui incappavano gli emigranti italiani nell'America del primo 900 affatto disposta, per esempio, a chiudere un occhio sul delitto d'onore».
Aziz Marzouk, finito in prima pagina come il killer di Erba sebbene fosse innocente, ha fatto riflettere. Che rapporto c'è tra l'allarmismo e i cartelli di Brembate? «Il sensazionalismo, di solito, si esaurisce dopo i primi giorni. E comunque al di là dei cartelli e dei proclami in Italia non ci sono molti casi di aggressioni xenofobe. Il clima è ancora decente. Anche perché, nella ricerca dei colpevoli, le forze dell'ordine agiscono in modo autonomo rispetto alla parte politica al governo».



Il razzismo del dolore

la Repubblica, 06-12-2010
CHIARA SARACENO
C'ERA da aspettarselo. Quando si è saputo che un nordafricano è stato arrestato perché sospettato di aver ucciso Yara, è esploso il razzismo. Senza neppure aspettare conferme.
E tanto meno la conferma di un giudizio. Quasi un gesto liberatorio: questa volta non è "uno di noi",ma"uno di loro". Dopo Avetrana, ove una quasi coetanea di Yara è stata uccisa da zio e cugina che era andata a trovare fiduciosa, dopo Pinerolo, dove una donna è stata uccisa dall'ex amante del marito con la complicità del figlio, finalmente le cose sono tornate a posto: i cattivi sono gli altri (anche in Calabria dove sono morti sette ciclisti), doppiamente sconosciuti, perché non familiari e soprattutto perché stranieri. Una auto-rassicurazione che cerca capri espiatori su cui rovesciare l'ansia che produce l'insicurezza derivante dal non sentirsi più in controllo del territorio e delle condizioni della vita quotidiana. Non perché ci sono gli immigrati, ma perché sono cambiate molte regole del gioco, ma molti comportamenti, e molte teste, sono rimaste le stesse. Specie per quanto riguarda i comportamenti nei confronti delle donne, incluse le ragazzine.
Essere genitori oggi, specie di una figlia, è spesso fonte di ansie e paure. Non è sufficiente sapere che la maggior parte delle violenze avvengono in famiglia, da parte di familiari (italiani e no). Oggi come un tempo ogni genitore sa che una figlia femmina è più vulnerabile. Non perché sia più debole di un figlio maschio (peraltro anch' esso non del tutto protetto dalle attenzioni improprie e violenze, anche da parte di insospettati, come ha segnalato il grande scandalo della pedofilia da parte di ecclesiastici). Ma perché più di un maschio è considerata preda cacciabile da parte di uomini che si credono in diritto di prendere ciò e chi desiderano. È questo timore che ha legittimato in passato la maggiore sorveglianza cui sono state sottoposte le figlie rispetto ai figli, riducendo i loro spazi di libertà, il raggio delle loro esperienze. Chiudendo in un recinto la potenziale preda, perché non si può controllare il cacciatore. Anche se non sempre neppure il recinto è un luogo sicuro, come ha dimostrato appunto l'omicidio di Avetrana ed è documentato quasi quotidianamente dalle cronache che parlano di fidanzati, mariti, fratelli che macellano le donne che per qualche ragione considerano loro proprietà.
Ogni genitore conosce il batticuore con cui aspetta il rientro dei figli, maschi o femmine che siano, ma con un pizzico di ansia in più se sono femmine. Si è stretti tra il desiderio di dare fiducia e autonomia e la consapevolezza di non potere prevedere ed evitare tutti i rischi. L'ansia rischia di diventare divorante di fronte a casi come quello di Yara: sparita in pieno giorno, mentre torna a casa, in un paese dove si conoscono tutti e dove apparentemente il controllo sociale sul territorio dovrebbe essere maggiore che in una grande città. Invece di cercare un capro espiatorio nell'immigrazione, come se il problema dell'insicurezza e della violenza riguardasse solo o prevalentemente gli immigrati, bisognerebbe riflettere sul persistere di queste condizioni di insicurezza per le donne, che costituiscono una gabbia invisibile per tutte, ma che in molti, troppi, casi tolgono la dignità e la vita.
Soprattutto, ora, mentre le speranze di ritrovare Yara viva si stanno spegnendo, sarebbe il caso di rispettare lei, la sua vita e il sorriso bambino, e la dignità dolorosa dei genitori, che non si sono offerti al circo mediatico pronto a documentarne ogni sospiro e ogni lacrima. Che si eviti la caccia agli immigrati, ma anche di fare di una tragedia l'ennesima occasione per uno spettacolo per guardoni. Niente processi e ricostruzioni in pubblico, con o senza modellini ed esperti sempre in servizio.   Niente   appostamenti   per  spiare il dolore dei familiari. Nessuna solleticazione del narcisismo più -o meno ingenuo di amici e conoscenti. Sobrietà, silenzio e molta autoriflessione.



"Occhio per occhio, via gli immigrati" cartelli razzisti ma Brembate si divide

la Repubblica, 06-12-2010
PIERO COLAPRICO
E il sindaco avverte: "Qui non ci saranno né cacce all'uomo né show". Spiega un maghrebino: "La gente del posto lo sa, noi lavoriamo. E' sempre stato un paese tranquillo, noi non diamo problemi". La rabbia su Facebook: "Lasciate a noi quel marocchino, vengono solo a rubare e a violentarci le donne"
BREMBATE - Solo i volontari sembrano aspettare senza angoscia la luce del mattino: "Per cercarla  -  giurano  -  come se Yara fosse viva". E attendono l'alba come se Yara "fosse in attesa di essere liberata". Gli altri? "Doveva toccare alla figlia di un giudice o di un politico, non di uno di noi. Così quelli che si occupano della legge capiranno una buona volta che cos'è che bisogna fare..." La frase spietata esce dalla bocca di un anziano, con un caschetto di capelli bianchi, che sta accanto a un coetaneo della protezione civile. Forse sta in questa frase la sintesi più cruda per raccontare senza diplomazie "come ci si sente" oggi a Brembate, dove il freddo di questo dicembre di neve e nebbia è niente rispetto al gelo che scende in via Rampinelli, davanti al cancello della famiglia Gambirasio, quando arriva, scuro e teso in volto, dopo una notte d'interrogatori, il colonnello provinciale dei carabinieri.
Su Yara, tredicenne con l'apparecchio per tenere dritti i denti, resta ormai acceso un lumicino di speranza, sempre più flebile: a questo si riduce la "svolta". Brembate, che sinora ha rispettato la dolente scelta del silenzio invocata da papà Fulvio e mamma Maura, ha così uno scossone imprevisto. La delusione popolare per come vanno tante cose da tanti, troppi anni, dall'immigrazione alla certezza della pena, si condensa in un sordo rancore. Quello che fa dire: "Che volete sapere da noi? Rivolgetevi a quei marocchini là,
al bar dove bevono la birra". E che innervosisce una donna robusta: "Hanno i figli che sono andati a scuola con Yara, perché non aiutano le ricerche, perché non dicono niente?".
Non è facile nemmeno essere immigrato: "Per colpa di uno, rischiamo sempre tutti di passare dei guai, ma - spiega un magrebino - la gente del posto lo sa, qua noi lavoriamo, è sempre stato un paese tranquillo. Noi non diamo problemi, lavoriamo tutti". È sempre stato così, a Brembate, una sorta di quartiere residenziale della megalopoli di capannoni e mercatoni, condomini e ville che da Bergamo arriva sino alle Prealpi. Sino a dieci giorni fa, quando Yara scompare, quando Brembate si scopre ferita e vulnerabile, e non più "tranquilla" come si sognava. I più rumorosi conquistano oggi qualche spazio: soprattutto nelle tv, e molto meno nelle strade. Ecco lo sgommante quarantenne occhialuto. Arriva apposta su un grosso Suv tedesco e mostra il cartello "Occhio per occhio, dente per dente", scritto sul retro di un bersaglio del tiro a segno. Altri ostentano un "Marocchini fuori da Bergamo". Pochi episodi, estranei alla folla che due sere fa non ce la faceva a stare tutta nella chiesa, con le centinaia di volontari che arrivano qui da ogni angolo della bergamasca, con chi dice: "Ma che senso ha cercare un capro espiatorio? Per altro, non ci sono certezze...".
Tanta gente, pur brontolando in privato, in pubblico va d'accordo con il sindaco Diego Locatelli, il quale all'improvviso si presenta ai giornalisti. E legge un comunicato. Quei cartelli di odio contro gli immigrati, dice, "non corrispondono al nostro modo di essere". Sono "singoli episodi" e si augura che "non vengano strumentalizzati". E quanto ai no comment continui raccolti dai cronisti? "Non abbiamo niente da nascondere, ma - spiega il sindaco - mettiamo a disposizione tutto quello che è possibile per aiutare la famiglia di Yara". Se insomma "non è stato possibile instaurare un rapporto con i media, come da loro auspicato", dipende da una filosofia (non solo bergamasca, ma qui molto sentita): "La nostra dignità e il nostro rispetto sono completamente a disposizione della famiglia e non si ha voglia di protagonismo o di audience. Invitiamo la stampa - precisa il sindaco - a comprendere che la vita non è fatta solo di show, ma di dignità, di gente che è abituata a lavorare in silenzio e a difendere la propria vita e il proprio paese". Di certo, assicura, "non ci sarà nessuna caccia all'uomo".
Accanto al sindaco, rincara la dose il compagno di partito e deputato Giacomo Stucchi: "Gli squilibrati ci sono ovunque, mi dissocio in tutti i modi contro questi gesti che se la prendono con un'intera comunità, e non contribuiscono sicuramente a creare un clima sereno intorno alle indagini e alla famiglia. Lancio un appello alla calma".
Giorni pesanti e tragici sembrano però alle porte di Brembate (e non solo). "Lasciatecelo in piazza", "Noi non abbiamo mai cercato niente, loro vengono qui a rubarci il lavoro e violentarci le donne": sono queste e altre le frasi che circolano sulla Rete. L'orrore che s'è infilato proprio qui, sotto la porta di questa casa, sta producendo creando un corto circuito tra i "commentatori" e i fannulloni di Facebook. Il gelo intanto penetra nei cuori degli investigatori, di chi sa qualche cosa, di chi ormai teme l'indicibile.



Il leghista Matteo Salvini: tragedie come questa sulla coscienza di chi ha favorito la politica degli ingressi incontrollati
"Troppi stranieri impuniti, ecco i risultati"
la Repubblica, 06-12-2010
ANDREA MONTANARI
MILANO — Matteo Salvini, eu¬rodeputato della Lega, come giudica i manifesti razzisti che sono comparsi a Brembate dopo il fermo del cittadino tunisino per la scomparsa di Yara?
«La speranza è l'ultima a morire e quella ragazza non è ancora stata trovata morta. Ma se così fosse, temo che il clima diventerebbe pesante. Chiunque sia il colpevole».
Cosa intende dire?
«Queste cose succedevano anche prima che arrivassero gli immigrati, ma da quando cisono così tanti irregolari succedono di più. Lo dicono i numeri».
Ne è convinto?
«È vero che la strage di Erba fu commessa da due italiani, ma ormai il legame tral'immigrazione e la violenza si legge tutti i giorni nei mattinali delle questure».
La Lega cosa propone?
«Ovviamente le generalizzazioni non vanno mai bene. Ogni singolo delinquente deve rispondere per quello che ha fatto.
Ma  i fatti sono fatti. I fermi di questo marocchino per la scomparsa di Yara e di quello responsabile per la strage dei ciclisti a Lamezia Terme certo non depongono a favore di queste persone».
Bisognerebbe chiudere le porte agli immigrati?
«Sicuramente l'immigrazione incontrollata ha prodotto dei danni. Quelli che in questi anni hanno predicato la politica dell'avanti c'è posto per tutti.hanno sulla coscienza quello che sta succedendo».
Con chi ce l'ha?
«Fatti come questi accadono perché c'è un senso di impunità. Brembate è una città tranquilla e ospitale. Dove episodi del genere non si ricordano negli ultimi anni. Se si verificano adesso un motivo ci sarà. Se a Lamezia un ragazzo di vent'anni si permette di guidare ubriaco, senza patente a oltre cento all'ora vuol dire che sa che in Italia, anche se lo beccano, non gli fanno nulla. Bisogna non far più entrare in Italia un immigrato anche regolare se non ha un lavoro. Come stafacendo il ministro Roberto Maroni. Per rimediare agli errori del passato si può solo fermare il flusso».



«Dobbiamo sbatterli fuori», tutti xenofobi su Facebook

Il Messaggero, 06-12-2010
RAFFAELLA GRIGGI
ROMA - Arrivano veloci e feroci. Rabbiosi e sgomenti i post su Facebook nella pagina dedicata alla piccola Yara Gambirasio, creata il giorno della sua scomparsa più di una settimana fa. I messaggi scorrono dal mattino presto quando viene fermato dai Carabinieri un tunisino ventitreenne, coinvolto nel sequestro della tredicenne di Brembate Sopra nel bergamasco. Sono decine di migliaia, sembrano spasmi, non si dominano. Il rigetto è totale. Chiedono la pena di morte, invocano punizioni pubbliche. Sembrano condoglianze calde, facili. E più che altro frustate. "E' da prendere a pietrate in faccia" scrive nel pomeriggio Massimo. E' un elenco vorticoso di commenti senza sconti che segnano lo sdegno e la disperazione. "Datelo in piazza alla gente quel maledetto tunisino" è l'imperativo della rivolta web di Nausica. Tra i messaggi più morbidi, "Tuttia casa",
'Tracce di xenofobia e irrisione. Come quelle di Francesco che sì sente di proporre "un'epurazione " razziale". Specchio di intolleranze e farneticazioni. "Il Marocco deve pagare" allarga gli orizzonti Stefano. Ogni minuto, un pensiero, soprattutto per Yara e la sua famiglia. Ma anche un luogo non luogo dóve sfogare teorie oscure e convincenti. "Pena
di morte come in America, qui difendiamo tutti". Spesso banali, nella loro atrocità. "Quando non rispettano un Paese bisogna sbatterli fuori" non si domina Michele. E neppure Michele da Verona: "Come facciamo a fidarci di loro e a non essere diffidenti? Alla fine portano più violenza, stupri e rapine" scrive Alessandro. La verità, ancora da chiarire ha già le sue sentenze. "Chiedo solo che l'assassino venga lasciato in piazza a Brembate. Ci pensiamo noi bergamaschi, gli troviamo la punizione che la legge non è in grado di dare" ha sfumature leghiste il commento di Jey. Idem quello di Daniele: "Sono bergamasco, vedo extra comunitari arrestati e rilasciati con obbligo di espulsione e invece sono in giro". L'equazione Carroccio- intolleranza ha del luogo comune, e viene smentita. Da Napoli, in una sorta di "Giù al nord" multimediale, Maria replica: "Anche qui, non avrebbe avuto scampo". "Da ragazzo di sinistra dico che non è più possibile l'integrazione con persone la cui cultura è troppo diversa dalla nostra. Yara è vittima della perversione e della repressione sessuale di un mostro" chiarisce Marco. Messaggi e risposte; a catena che rievocano pure l'altro dramma di questi mesi, quello di Avetrana. "Sarah non è morta per uno straniero, e i fatti sono anche più gravi" chiarisce Antonella.



E altra metà delle badanti: invisibili e indispensabili

Allarme sommerso: nelle case degli italiani lavora in nero un'immigrata su due
La Stampa, 06-12-2010
FRANCESCA PACI
ROMA - Quando nel 2005 l'allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nominò Cavaliere del lavoro la quarantasettenne rumena Marioara Halip di professione badante il dibattito sull'invecchiamento della popolazione italiana e sul contributo lavorativo nonché demografico degli immigrati era appena agli inizi. Cinque anni odierni corrispondono a cinquanta del secolo scorso e nel frattempo oltre agli anziani soli sono raddoppiate le donne straniere che se ne occupano. Peccato che circa 700 mila di loro siano impiegate in nero, indispensabili eppure trasparenti.
Necessità non fa sempre virtù, denuncia il Terzo Rapporto European Migration Network Italia. Secondo il centro studi di Bruxelles oltre la metà del milione e 400 mila collaboratrici domestiche al servizio degli italiani non ha un contratto regolare. Vale a dire che anziché pagare i cinquecento euro che sono previsti dalla legge per richiedere il permesso di soggiorno e l'emersione molte famiglie hanno preferito navigare sott'acqua.
«Lavoro anche ventiquattro ore al giorno con una signora novantenne per 700 euro al mese e un pomeriggio libero alla settimana che non mi godo perché ho il terrore di essere arrestata» racconta la bulgara Magdalena a condizione di restare anonima.
E' arrivata nel nostro paese nel 2008 ma ancora non esiste per l'Inps, dai cui registri risulta che solo 4 immigrate su dieci sono colf o badanti mentre la Carìtas e le associazioni di volontariato parlano di una cifra pari almeno al doppio. Eppure l'interesse sarebbe reciproco, considerando che i sette miliardi di contributi versati ogni anno dagli stranieri hanno garantito il risanamento dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
«Urge una moratoria della sanatoria truffa del 2009 riservata a colf e badanti di cui il governo continua a non fornire i dati» afferma la vice-presidente del Senato Emma Bonino. Domani, promette, darà in battaglia in Parlamento dove i radicali hanno presentato un'interrogazione: «Chiediamo la revisione dell'esame delle domande e la sospensione degli effetti delle eventuali risposte negative». Allora le richieste furono 300 mila e al vaglio ne passarono l'80 per cento. Da quando la questione è finita sotto i riflettori per la protesta degli immigrati sulla gru di Brescia e di quelli accampati sotto la ciminiera dell'Ex Carlo Erba di Milano il dibattito si è fatto serrato, per quanto sia possibile discutere di strategie nella costante emergenza tattica del governo italiano.
Il lavoro sommerso è una palude che rischia d'estendersi con la crescita esponenziale della popolazione straniera passata dal mezzo milione del 1990 ai 5 milioni attuali. La società cambia a 360 gradi.
Una rivoluzione che coinvolge perfino la chiesa, ammette il direttore generale della Fondazione Migrantes Giancarlo Perego: «Oggi abbiamo in Italia 700 mila cattolici in più provenienti da 100 paesi diversi». Le badanti e le colf, poco meno d'un terzo del totale degli immigrati, sono la cartina di tornasole dell'impatto ambientale perché intervengono sulla sfera occupazionale ma anche su quella familiare, provvedendo al welfare fai-da-te da un lato e dall'altro trainando l'impennata dei matrimoni misti, ormai dieci ogni cento celebrati.
Siamo tornati indietro dai giorni di Marioara Halip al Quirinale? Il rovescio di quella medaglia sono le settecentomila senza nome impiegate clandestinamente. Il rapporto che è stato raccolto e diffuso dall'European Migration Network mette in guardia dal rischio che quanto dovrebbe essere eccezione si trasformi in regola, come dimostrano le recenti inchieste della Digos di Varese e Ravenna sul business delle false regolarizzazioni di collaboratori domestici che venivano indotti a pagare per ottenere un sedicente permesso di soggiorno.



EXTRACOMUNITARI SOLO DI SINISTRA? NON È AFFATTO VERO, ANZI

Corriere Della Sera, 06-12-2010
Gianpiero Dalla Zuanna
Berlusconi ha affermato che  un futuro governo di sinistra «avrebbe l'intenzione di tenere le frontiere spalancate per fare entrare gli extracomunitari "a go go" per dare presto loro il voto e cambiare la maggioranza dei moderati che fino ad adesso il Paese ha avuto e ha», dando per scontato che gli immigrati -se votassero — sceglierebbero i partiti di sinistra. Ma questo non è vero. Una ricerca Ismu del 2008 sulla Lombardia, mostra che più del 60% degli immigrati dell'Est Europa, se potessero votare in Italia, sceglierebbero la destra, che otterrebbe la maggioranza anche fra i cinesi (53%) e fra gli immigrati dallo Sri Lanka (55%). Voterebbero invece a sinistra i nordafricani (62%) e i latinoamericani (58%). Inoltre, la destra accresce i consensi all'aumentare degli anni vissuti nel nostro Paese. Un altro dato conferma l'orientamento a destra degli stranieri dell'Est Europa. Nel 2009 i rumeni residenti in Italia hanno votato per il loro presidente della repubblica, e la grandissima maggioranza (addirittura il 78%) ha scelto Bàsescu, il candidato conservatore.
Certo, quando un partito (non importa se di destra, centro o sinistra) propugna politiche vessatorie verso gli stranieri, è difficile pensare che gli immigrati lo possano votare. Ma se i partiti conservatori propongono una gestione dell'immigrazione realistica, umanitaria e ragionevole, diventano rapidamente attraenti per un gran numero di immigrati. Perché molti dei valori tradizionali della destra sono gli stessi che hanno spinto gli immigrati a lasciare il loro Paese, come la forza della famiglia, o il mito dell'uomo che «si è fatto da solo». Gli stranieri possono invece essere più tiepidi verso l'idea progressista di uguaglianza, specialmente se vengono da Paesi — come l'Est Europa e la Cina — dove per decenni i governi hanno predicato che gli uomini sono tutti uguali, ma creando nel contempo caste di privilegiati. Infine, gli immigrati che dopo anni di sacrifici hanno conquistato un posto al sole, sono fortemente determinati a conservarlo, e quindi sono i primi a chiedere «legge e ordine», di nuovo valori tradizionalmente di destra.



Salute  Il via a gennaio all'ospedale di Pitigliano
Medici cinesi in Maremma per insegnare l'agopuntura
Corriere Della Sera, 06-12-2010
Lauretta Colonnelli

Oggi arrivano i cinesi: Gao Sihua, preside dell'Università di medicina cinese di Pechino; Zhang Liping, direttore per la co-operazione internazionale; Zhao Baixiao, direttore della scuola di agopuntura; Pang He, direttore dell'ospedale di Dongfang. Arrivano a Pitigliano, paese di tufo di 5 mila anime affacciato sulla Maremma grossetana, per visitare l'Ospedale dove tra qualche settimana cominceranno a insegnare agopuntura a medici, non solo locali, ma anche di altri Paesi europei. Oggi chi vuole approfondire la tecnica originale deve volare fino a Pechino. Da gennaio potrà scegliere come alternativa la cittadina toscana, il cui ospedale dovrebbe diventare la «culla della medicina integrata»,
progetto. «È la prima volta che viene proposto un simile modello di cura e di ricerca, dove i vari specialisti —quelli della medicina tradizionale e quelli della medicina complementare — opereranno di concerto e non separatamente come accade di solito», sottolinea Sonia Baccetti, responsabile della Rete toscana di medicina integrata, che collega più di cento ambulatori di medicine complementari nella regione.
Gli utenti della sola omeopatia sono 11 milioni e mezzo, secondo i dati Eurispes 2010. Racconta Bernardini che i cittadini che si avvalgono delle cure omeopatiche hanno difficoltà a comunicarlo ai loro medici di famiglia, i quali non avrebbero sufficiente percezione del bisogno di queste cure: «Il paziente diviso, anziché condiviso, tra due figure mediche che non dialogano tra loro è esposto a rischi per la propria salute. Basti pensare alle possibili interazioni tra farmaci, quando a gestirli siano i medici delle due discipline sulla base di un semplice resoconto effettuato dal paziente».
A Pitigliano, oltre agli agopuntori cinesi, arriveranno tre specialisti di fama internazionale, assieme a sei medici già esperti in omeopatia e fitoterapia. Nello stesso tempo, nuovi medici esperti in terapie integrate si potranno formare con il Master biennale dell'Università di Siena. L'unico in Italia, voluto tre anni fa dal preside Gian Maria Rossolini, al quale si aggiungerà, una volta siglato l'accordo con l'università di Pechino, il corso in agopuntura.
come auspica Simonetta Bernardini, endocrinologa, docente di omeopatia all'università di Siena e responsabile del
All'ospedale di Pitigliano tutto è pronto: i 36 posti letto, gli ambulatori dipinti con colori pastello, la biblioteca. Sono disponibili anche i finanziamenti per i primi due anni: un milione e trecentomila euro. Manca solo la firma di Fausto Mariotti, direttore generale della Asl 9, a cui fa riferimento l'ospedale, per l'assunzione dei 9 medici. «I contratti saranno pronti nei prossimi giorni — assicura — e a gennaio comincia l'attività». Per Dino Seccarecci,  sindaco del paese, una grande conquista: «Finalmente una inversione di tendenza rispetto allo spopolamento dei centri sanitari periferici».



Copertura garantita dai finanziamenti del Fondo europeo

il Sole, 06-12-2010
Da una parte la certezza che dal 9 dicembre ci sarà un gradino in più da superare per l'atteso permesso di soggiorno Ce di lungo periodo. Dall'altra, l'incertezza sui tempi e sulla buona oliatura degli ingranaggi di questa nuova macchina. «Concentriamoci sulle scadenze - suggerisce Enrico Moroni, coordinatore dell'ufficio immigrazione del patronato Inca Cgil -. Il decreto stabilisce che entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda per svolgere il test le prefetture devono convocare l'interessato. Poi, con l'esito positivo della prova, l'interessato può chiedere alla questura il permesso di soggiorno Ce di lungo periodo che deve essere consegnato in formato elettronico entro 90 giorni. Cosa succederà se queste scadenze si dilateranno?».
In media, prosegue Piero Bombardieri, responsabile nazionale immigrazione del patronato Ital Uil, ogni anno vengono presentate circa  400mila richieste: «Nei prossimi anni crescerà il numero di cittadini stranieri in Italia da più di cinque anni e con tutti i requisiti per richiedere questo tipo di documento. Se non si svolgerà tutto entro i 60 giorni, le domande si accumuleranno, i tempi slitteranno e non si può escludere la nascita di un mercato illegale di diplomi».
Oltre al nodo dei tempi, si apre anche la questione "italiano livello A2". Secondo il quadro comune di riferimento europeo, servirebbe anche una verifica orale, ma arruolare persone qualificate per farlo sarebbe un costo ulteriore. «La vera incongruenza è un'altra - precisa Daniela Shawki, presidente dell'Associazione per la mediazione interculturale e informa immigrati, antropologa e insegnante di italiano agli stranieri -. Si chiede di dimostrare di conoscere la lingua a coloro che sono nel nostro Paese da almeno cinque anni, che hanno una stabilità economica, lavorativa e di domicilio. La maggior parte di loro sono adulti, non più abituati a farsi "esaminare". Inoltre, la lingua dovrebbe essere lo strumento per comunicare emozioni: se la si impone come "capacità sine qua non" per restare in Italia il rischio è che diventi un vero ostacolo». Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, durante il question time a Montecitorio del 27 ottobre ha confermato che «per l'insegnamento della lingua italiana agli immigrati extracomunitari sono stati stanziati 8 milioni di euro per il 2010,12 milioni per il 2011 e circa 7 milioni per gli anni a seguire, provenienti dal Fondo europeo per l'integrazione».
Per il momento, dice Enrico Palmerini, vicepresidente del Coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza (Cnca), è rimasto tutto sulla carta. «Sul territorio ci sono scuole che operano per la formazione dei cittadini stranieri, ma nella maggior parte lo fanno a titolo di volontariato. E questo test sembra una nuova casella in un gioco dell'oca dove non si giunge mai all'arrivo».



Sul test agli immigrati è il prefetto a rischiare

il Sole, 06-12-2010
Sarà un duro esame di integrazione. La prova di italiano chiama all'appello gli immigrati e le immigrate senior che vogliono avere un documento senza scadenza, la ex "carta" di soggiorno, traguardo a metà strada verso la cittadinanza. Si cambia: da giovedì l'esercito dei 400mila aspiranti può collegarsi a internet (o affidarsi a un patronato) e prenotarsi un test. «Come sta?» «Tutto bene, grazie». Italiano per principianti, ecco che cos'è in fondo questo livello A2, non impossibile per uno straniero che vive regolarmente da cinque anni (e che spesso ha alle spalle qualche anno da irregolare).
La macchina informatizzata è pronta. «Come sta?» «Un po' in affanno» sembra invece la risposta giusta in arrivo dalle prefetture che devono farla marciare. Entro 60 giorni dalle prenotazioni online gli esami si dovranno fare. Dove? Dove sono i centri provinciali per l'istruzione degli adulti? E con quali tempi? Gli sportelli per l'immigrazione ingolfati da pratiche arretrate su sanatorie e flussi stanno per perdere 650 lavoratori interinali. Il rischio è che si ripeta, come succede spesso agli immigrati in Italia, una falsa partenza. Che le disposizioni sull'immigrazione prendano il via in fretta e furia, senza "forze" e con troppe incognite.



Test d'italiano per 400mila

Esame obbligatorio per ottenere la «carta» - Da giovedì le prenotazioni online
il Sole, 06-12-2010
Leonard Berberi Francesca Maffinì Francesca Padula

Il test di italiano rischia di diventare più diffìcile per le prefetture che per gli immigrati. Giovedì parte la procedura online, mentre gli esami veri inizieranno a febbraio (entro 60 giorni dalla prime richieste). Dove? Nei «centri provinciali per l'istruzione degli adulti» che la circolare del 16 novembre del ministero definisce «capillarmente diffusi sul territorio», ma che le prefetture si affannano a individuare in queste ore. Per quanti immigrati? Sui numeri, gli uffici territoriali hanno ancora meno certezze. Gli aspiranti sono tanti, l'impatto è stato finora sottostimato. «Almeno 70omila stranieri hanno i requisiti. Di sicuro non tutti presenteranno subito la richiesta, ma è plausibile che 400-500mila immigrati extracomunitari, stabilmente in Italia, possano farlo» spiega Gian Carlo Blangiardo, demografo all'università di Milano Bicocca ed esperto della Fondazione Ismu per la multietnicità. Il quale avanza questa valutazione tenendo conto sia dei dati Istat sulla popolazione straniera residente al 1° gennaio 2010, sia di un'indagine svolta per il ministero del Welfare sull'"anzianità" di residenza della popolazione straniera.
La conoscenza dell'italiano sarà condizione indispensabile perché un immigrato d'ora in avanti ottenga la ex "carta" di soggiorno, oggi permesso Ce per lungo-soggiornanti, documento ambito da quanti hanno il requisito dei cinque anni di residenza regolare e possono dimostrare di possedere un reddito da lavoro in Italia. Documento che non scade e va rinnovato solo dopo 5 anni.
Le prefetture provano a valutare l'impatto che le nuove pratiche avranno sugli sportelli unici dell'immigrazione, già provati dall'arretrato della sanatoria 2009 per colf e badanti e ancora più a rischio per il mancato rinnovo dei 650 contratti a lavoratori interinali in scadenza a fine dicembre. E si affidano agli uffici scolastici regionali (ex provveditorati). «Per ora sappiamo solo che i centri saranno una ventina in tutta la Lombardia» dicono a Milano. «Stiamo lavorando per trovare le sedi, ma al momento non si possono dare indicazioni - precisa Pina Maria Biele, dirigente dell'area immigrazione della prefettura di Brescia -, Appena avremo l'elenco ci sarà una circolare con tutte le informazioni». A Firenze l'accordo sarà siglato oggi. Torino aspettava la nomina del nuovo dirigente scolastico, da questa settimana si definiranno le sedi. A Bari sono stati individuati sei istituti scolastici dove si tengono corsi per adulti e che dispongono di laboratori con postazioni informatiche. Scelti in base alla fruibilità e alla concentrazione degli stranieri sul territorio della provincia. Ma l'ultima pa-
rola spetterà all'ufficio scolastico regionale. «Per il momento, saranno ancora i centri temporanei permanenti a ospitare gli esami - precisa Maria Santorufo, dirigente dell'ufficio per l'immi-grazione della prefettura di Lecce - perché i centri provinciali per l'istruzione degli adulti non sono ancora stati attivati».
L'obbligo del test di italiano dal 9 dicembre è contenuto nel decreto del ministero dell'Interno del 4 giugno che fissa le modalità per ottenere la nuova "carta" di soggiorno (e introduce l'accordo di integrazione» bloccato il 26 novembre dai pareri negativi della Conferenza unificata Stato-Regioni). Gli interessati dovranno dimostrare di avere una conoscenza dell'italiano pari al livello A2 definito dal quadro comune di riferimento europeo: una competenza definita pre-intermedia che permette di comprendere frasi ed espressioni usate frequentemente, leggere testi semplici, scrivere messaggi su argomenti familiari. Il rilascio della ex "carta" è subordinato al superamento con un punteggio di almeno 80 su 100.
Esonerato dal test chi ha una certificazione sulla conoscenza dell'italiano, chi ha conseguito un diploma in Italia; i dirigenti e i lavoratori altamente specializzati di società con sede o filiali in Italia, i professori universitari, traduttori, interpreti e giornalisti corrispondenti dovranno solo presentare il diploma o auto-certificare il loro status.
I cittadini stranieri devono fae domanda, anche attraverso i patronati, collegandosi al sito internet ww.testitaliano.interno. it. Le prefetture ricevono le richieste, controllano i documenti e convocano, entro 60 giorni, gli interessati per svolgere la prova. Gli enti certificatori (università degli Studi Roma Tre, l'università per stranieri di Perugia e quella di Siena, e la società Dante Alighieri) costruiscono le linee guida per il test, i relativi punteggi e la durata della prova.
I centri provinciali per l'istruzione degli adulti hanno anche il compito (sulla carta) di istituire apposite commissioni che definiscono il contenuto della prova sulle linee guida degli enti certificatori, li correggono e comunicano i risultati alla prefettura. Così il cerchio si chiude, con la questura che, verificato l'esito, accende il semaforo verde (o ferma la procedura con quello rosso) per il rilascio del permesso. Il tutto, si legge nella circolare, «senza che derivino nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». E senza che l'immigrato abbia costi superiori a quelli di una normale richiesta per il permesso di soggiorno (poco più di 70 euro). Sarà la direzione centrale per le politiche dell'immigrazione del ministero dell'Interno ad assegnare, sulla base delle indicazioni delle prefetture, i finanziamenti per ciascuna sessione di svolgimento del test alle istituzioni scolastiche.



Gli imam moderati attaccano il Viminale "Scelti gli estremisti"

Il Comitato per l'Islam italiano contesta un corso dedicato dal ministero ai radicali dell'Ucoii
La Stampa, 06-12-2010
FRANCESCA PACI
ROMA - A chi spetta scrivere le regole per la formazione degli imam? Secondo il presidente dell'associazione musulmani moderati Gamal Buchaib toccherebbe al Comitato per l'Islam italiano, l'organismo istituito a febbraio dal ministero dell'Interno per integrare la galassia che ruota intorno alle moschee di cui finora è stato orgogliosamente uno dei 19 membri.
Ma quando ieri mattina ha letto sul Corriere della Sera che a Gazzada, provincia di Varese, s'erano «diplomati» i primi 28 musulmani «accreditati presso le prefetture quali interlocutori privilegiati sull'islam» ha preparato una letteraccia per chiedere a Maroni a cosa serva il Comitato.
In poche ore Buchaib ha raccolto il malumore di diversi colleghi, alcuni dei quali decisi ad andarsene se il Viminale non farà chiarezza. Sarebbe la seconda falla dopo la rinuncia dell'ex ambasciatore Scialoja, dimissionario ad aprile perché solo 2 degli 8 relatori dei primi gruppi di lavoro erano musulmani. Stavolta a mettere in allarme Buchaib e gli altri è che tra i professori del corso ci siano Alessandro Ferrari, docente di diritto ecclesiastico all'Università dell'Insubria, e l'islamista della Cattolica Paolo Branca, entrambi membri del Comitato. E che tra gli allievi figurino nomi legati Ucoii, l'Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia che il Viminale aveva volutamente escluso dalla rosa dei consulenti perché sospettata di flirtare con ambienti radicali.
«Ci avevano detto che era un seminario d'educazione civica e noi avevamo sorvolato sul fatto che partecipassero degli imam fai-da-te, ma così si sanano predicatori d'odio dando loro legittimità» insiste Buchaib, che coordina 140 associazioni e 20 mila iscritti. Perché l'annunciato imprimatur delle prefetture suona tanto come un bypassaggio.
«Come mai non siamo stati interpellati tutti? Sembra che qualcuno voglia cacciare gli integralisti dalla porta per farli rientrare dalla finestra» aggiunge da Torino Abdellah Mechnoune, giornalista e imam con tanto di diploma rilasciato in Marocco. Un altro membro è pronto a mettere in discussione dieci mesi di lavori: «A che serve il Comitato? Ci sono finanziamenti pubblici dietro l'iniziativa di Gazzada? Dobbiamo rimpiangere Amato che aveva allontanato con gentilezza i radicali per rivolgersi chiaramente ai moderati, ora avviene il contrario».
Il professor Ferrari, appena tornato dall'Iran, getta acqua sul fuoco. «Si tratta di un semplice corso di educazione civica che non diplomerà alcun imam, come i miei colleghi già sapevano» assicura. Sulla sua linea è il vicepresidente della Comunità Religiosa islamica Yahia Pallavicini, un altro dei 19 di Maroni: «Dividerci è sbagliato. Il corso è una bella iniziativa didattica utile per l'addestramento alla cittadinanza ma è una cosa diversa dal Comitato, non può in alcun modo formare gli imam».
La miccia però, è accesa. «Non possiamo legittimare chi predica come se fosse in Afghanistan» chiosa Buchaib. E l'imam Mechnoune si rivolge a Maroni: «Lavoriamo insieme per isolare i fanatici». Nel caso non avesse capito, arriveranno una lettera e un'interrogazione parlamentare.



LA RAPPRESENTANZA MUSULMANA IN ITALIA

La Stampa, 06-12-2010
Un organo consultivo creato per isolare i fondamentalisti
Il Comitato per l'Islam italiano è l'organo consultivo di 19 membri creato dal Viminale in sostituzione della Consulta del precedente governo. Ne fanno parte esponenti di comunità islamiche, docenti universitari, esperti, tutti chiamati a lavorare su temi come le moschee, la formazione degli imam, i matrimoni misti. La grande esclusa è l'Ucoii, la più diffusa e radicata organizzazione islamica italiana, sospettata di flirtare con ambienti estremisti.



Imprenditori stranieri, due su tre «under 50»

il Sole, 06-12-2010
Crescono meno di prima. Ma continuano a registrare un altro segno più. A differenza dei colleghi italiani che calano, anche se di poco. Dal terzo trimestre dell'anno passato allo stesso periodo del 2010 nel nostro Paese gli imprenditori stranieri -tra titolari, soci, amministratori - sono aumentati del 4,6 per cento. Nello stesso periodo di riferimento, quelli italiani hanno registrato una flessione dello 0,3 per cento. Se poi si cambia arco temporale, si scopre che dal 2005 al 2009 gli imprenditori nati all'estero sono aumentati del 28,5%, quelli connazionali diminuiti del 2,1.
Lo studio, curato dalla Fondazione Leone Moressa di Mestre sui dati Infocamere, calcola che nelle Camere di commercio distribuite nel Paese alla fine di settembre erano oltre 620mila i soggetti stranieri registrati come imprenditori. La capitale degli affari non cambia: la maggior parte si trova infatti nella provincia di Milano (compresa Monza e Brianza) che ne conta poco più di 73mila. Seguono Roma 56mila) e, a distanza, Torino (quasi 30mila). Tutte al Nord (Firenze, Brescia, Bologna, Verona, Treviso e Genova) e una sola al Sud (Napoli) le altre province che formano la "top ten" dove si concentrano 4 imprese straniere su dieci.
Nel quadriennio 2005-2009 le performance sono differenti: l'area di Milano ha visto un saldo positivo "soltanto" del 16,7 per cento. Mentre le due dirette inseguitaci - la capitale e il capoluogo piemontese - segnano rispettivamente +37,8 e +42,9 per cento. «La differenza di performance è dovuta al fatto che la provincia milanese ha un tessuto imprenditoriale più consolidato e datato», spiega Valeria Benvenuti, curatrice del dossier per conto della fondazione Moressa. Che fa notare anche le performance di altre aree: «La provincia di Prato segna nello stesso quadriennio un balzo del 60,6 per cento, Pavia addirittura del 67,5». Sempre a Prato, poi, un imprenditore su sei è straniero, a Teramo, Trieste e Gorizia uno su dieci.
I settori
Commercio e costruzioni continuano a rappresentare i settori di attività che riguardano il maggior numero di imprenditori nati all'estero: insieme raccolgono più della metà degli iscritti stranieri alle Camere di commercio. Anche se nell'ultimo anno hanno registrato una crescita di circa il 4 per cento. Più contenuto l'aumento della manifattura, il terzo settore più numeroso (+1,3). Performance più marcata per la voce "alloggio e ristorazione": +7,9 per cento. «Il mercato continua a chiedere prodotti etnici - precisa Benvenuti -. Ma a questo dato vanno aggiunti anche i tanti bar che sono stati ceduti ai non italiani». Un settore, questo, che registra anche un'altissima presenza femminile: quasi un imprenditore straniero su due è donna. La media "rosa" tra tutti i settori è del 27 per cento, con un'incidenza molto alta nelle province centro-meridionali. A livello regionale, i settori seguono la collocazione territoriale: «Al Nord la voce "costruzioni" è quella dominante -continua la ricercatrice della fondazione -. Nel Mezzogiorno, invece, il commercio». Poco più della metà degli imprenditori ricopre, all'interno dell'azienda, la carica di titolare. Rapporto, quest'ultimo, che è quasi identico alla natura giuridica dell'impresa etnica: il 54,8% sono registrate come "attività individuale", il 22,4 come "società di persone".
Imprenditoria giovane
Gli imprenditori stranieri, poi, sono relativamente giovani (due su tre hanno tra i 30 e i 49 anni) e sono nati soprattutto in Marocco, Romania e Cina. Giovani, anzi giovanissime, anche le loro aziende: sette su dieci sono state registrate tra il 2000 e il 2009. «Questi dati ci dicono che il tessuto imprenditoriale italiano si sta impoverendo -sintetizza Benvenuti -. In parallelo, continua il dinamismo degli stranieri che, nonostante la crisi, si dimostrano più attivi dei nostri connazionali». La ricercatrice poi cerca di mettere in evidenza anche il dato delle "imprese non classificate": «Ci sono quasi cinquantamila imprenditori stranieri che secondo le nostre Camere di commercio non sono collocabili in nessuno degli schemi previsti - dice -. Però prima o poi dobbiamo cercare di capire cosa fanno e dove vanno inseriti».



Eritrei - Respinti dall’Italia, espulsi dalla LIbia, sequestrati in Egitto

Melting Pot, 06-12-2010
Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
Dopo la celebrazione dei “successi storici” conseguiti da Frattini e da Maroni nella “guerra all`immigrazione illegale”, con la chiusura quasi completa della rotta dalla Libia a Lampedusa, ancora una volta la tragica realtà dei fatti inchioda alle loro responsabilità quanti hanno anteposto ragioni di natura economica e miserabili vantaggi elettorali al rispetto dei diritti umani e della stessa vita dei migranti.
Il sequestro di centinaia di migranti eritrei, somali, sudanesi, in Egitto, le torture alle quali vengono sottoposti quotidianamente per estorcere altro danaro alle loro famiglie, le sei vittime note, e le altre probabilmente ignote, che si devono già contare, come i giovani eritrei uccisi nei mesi scorsi con un colpo alle spalle, colpiti dalle guardie egiziane mentre tentavano di raggiungere la frontiera israeliana, sono conseguenze dirette ed evidenti del blocco di ogni via di fuga dalla Libia verso le coste italiane. Come al solito la chiusura di una rotta comporta immediatamente l’apertura di altre vie per l’immigrazione irregolare. Aumentano i costi e dunque i profitti delle organizzazioni criminali che lucrano sul traffico di esseri umani.
Solo il governo italiano continua a ritenere che dalla Libia non arrivino migranti richiedenti asilo, una circostanza ben nota invece al Parlamento Europeo che nella sua risoluzione del 17 giugno scorso, sulla base dei dati forniti dall`ACNUR, richiama proprio gli eritrei come la componente più consistente dei migranti detenuti nei centri libici, “selon le HCR, 9 000 réfugiés – principalement palestiniens, iraquiens, soudanais et somaliens – ont été enregistrés en Libye, dont 3 700 sont demandeurs d`asile, essentiellement en provenance de l`Érythrée; que les réfugiés risquent constamment d`être déportés vers leurs pays d`origine et de transit en violation des critères de la convention de Genève, et d`être ainsi exposés aux persécutions et à la mort; que des cas de mauvais traitements, de torture et de meurtres ont été rapportés dans les centres de rétention pour les réfugiés, ainsi que des abandons de réfugiés dans les déserts situés aux frontières entre la Libye et les autres pays africains”.
L`Italia continua così a sostenere le politiche ricattatorie di Gheddafi, come testimoniato appena pochi giorni fa, alla fine di novembre, dall`ennesimo viaggio di Berlusconi a Tripoli, seguito questa volta dal sequestro di un peschereccio mazarese bloccato dai libici in acque internazionali, acque sulle quali dopo gli accordi con l’Italia rivendicano la loro sovranità. Neppure un cenno, da parte di Berlusconi invitato alla corte di Gheddafi, alla sorte dei migranti rinchiusi nei centri di detenzione libici e poi liberati per essere quindi espulsi alla scadenza dei permessi brevi per lavoro, concessi per tre mesi, di fronte alla indignazione della comunità internazionale dopo le violenze di Misurata e di Brak. E si deve registrare anche la chiusura della sede dell`ACNUR a Tripoli, il cui personale è stato accusato lo scorso 8 giugno di svolgere attività illegali, una sede che al governo italiano era servita proprio per legittimare, anche in Parlamento, la politica dei respingimenti collettive e la collaborazione con le forze di polizia libiche. Ed a luglio una maggioranza trasversale da “larghe intese” aveva ratificato l’invio di militari italiani in Libia. Ancora oggi si vorrebbero finanziare organizzazioni non governative per procedere anche in Libia nelle politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera e dunque delle procedure di asilo. Intanto in Europa, ed in particolare in Italia il numero dei richiedenti asilo è in drastico calo, dalla Libia non passa più nessuno.
La dipendenza che il governo italiano subisce nei confronti della Libia è diventata tale che qualsiasi protesta sulla violazione dei diritti umani avrebbe come immediata ritorsione il blocco dei rifornimenti di gas e petrolio. I dossier di Wikileaks confermano adesso quanto viene denunciato da anni, la stretta commistione tra accordi commerciali e le politiche di collaborazione nel blocco delle rotte dell’immigrazione irregolare. Violenze sempre più gravi, dentro ed adesso anche fuori la Libia, in Egitto ma sempre riconducibili alle decisioni di espulsione del governo libico, senza che i politici italiani avvertano la necessità di revocare gli accordi di respingimento e di riammissione stipulati con Gheddafi. Ma le responsabilità non sono soltanto italiane, anche se l’Italia si sta mostrando il paese guida, all’interno dell’Unione Europea, per sollecitare politiche sempre più repressive nei confronti dei migranti.
Il Parlamento europeo aveva affermato a giugno che “que toute coopération ou accord entre l`UE et la Libye doit être subordonné à la ratification et à l`application par la Libye de la convention de Genève sur les réfugiés et des autres conventions et protocoles majeurs en matière de droits de l`homme; ed aveva incaricato il suo Presidente “de transmettre la présente résolution au Conseil, à la Commission, aux États membres, ainsi qu`à l`Assemblée générale des Nations unies, au Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés et aux autorités libyennes”, ma le altre istituzioni dell`Unione Europea non hanno mosso neppure un dito per impedire alla Libia di proseguire nelle sue continue e gravissime violazioni dei diritti della persona umana, ed anzi la Commissaria Cecilia Malmstrom, dopo un suo viaggio a Tripoli, sta continuando a premere per un accordo tra Unione Europea e Libia per il contrasto dell’immigrazione clandestina, come se dimenticasse che la maggior parte dei migranti che, negli anni passati, arrivavano in Italia dalla Libia erano richiedenti asilo. Un accordo operativo appare però assai lontanto dopo che Gheddafi ha alzato la posta del ricatto che vorrebbe imporre all’Europa. Ma intanto l’Europa rimane distante dalle tragedie che si consumano nei paesi di transito, non meno dei governi dei paesi del Mediterraneo che rivendicano i fondi europei ma praticano la politica degli accordi bilaterali.
Non stupisce certo che il governo italiano non abbia sentito l’esigenza di intervenire tempestivamente nella vicenda del sequestro degli eritrei bloccati nel deserto del Sinai. Eppure l’Egitto, in materia di immigrazione, è da sempre un partner privilegiato dei vari governi che si sono succeduti nel nostro paese. Dopo la vergogna dei respingimenti in Libia, l’Italia sta dando adesso nuovo impulso alla collaborazione con il governo egiziano, allo scopo di espellere o respingere verso quel paese il maggior numero possibile di immigrati irregolari. Dal mese di marzo del 2007 centinaia di cittadini egiziani irregolarmente giunti in Italia, o salvati in mare da mezzi della nostra marina militare e poi condotti nel’isola di Lampedusa, o sulle coste pugliesi, sono stati rimpatriati in Egitto, dopo un riconoscimento sommario da parte di agenti consolari di quel paese, senza avere la effettiva possibilità di presentare una richiesta di asilo. Dopo il rimpatrio in Egitto gli stessi migranti espulsi dall’Italia sono stati sottoposti ad una dura detenzione ed a violenze di ogni genere. Alcuni risultano addirittura scomparsi.
I respingimenti collettivi verso l’Egitto continuano ancora oggi. Come denunciato dall’ACNUR, dall’ASGI e dalla Caritas di Catania, dopo lo sbarco sulle coste della Sicilia orientale del 26 ottobre scorso, sono stati rimpatriati 68 migranti (con un volo diretto a Il Cairo), 44 minori sono stati inseriti nel circuito delle comunità alloggio protette, altri 17 sono stati arrestati con l’accusa di essere trafficanti. Gli immigrati dichiaravano di essere palestinesi, ma secondo le forze dell’ordine erano egiziani. “Indipendentemente dalla loro nazionalità – ha dichiarato il direttore della Caritas Catania - non è stato concesso loro il tempo e la possibilità di istruire una pratica per l’iter di asilo politico, come da normativa, lasciando poi valutare la situazione a chi è competente nel giudizio. E questo avviene in uno Stato di diritto”. All’aeroporto di Catania era presente un agente consolare egiziano che effettuava i riconoscimenti, mentre in un altra stanza alcuni avvocati attendevano invano che qualcuno presentasse richiesta di protezione internazionale. Una richiesta evidentemente troppo pericolosa per chi, grazie alle scelte del ministero dell’interno, era stato già identificato dal proprio ufficio consolare.
Si registra dunque un altro “salto di qualità”nella collaborazione tra Italia ed Egitto, dopo la chiusura, grazie all’intervento in quel paese di unità militari italiane, nel 2004, della “rotta di Suez” che aveva comportato la riconsegna al governo cingalese di migliaia di tamil in fuga dalla guerra civile. Pratiche di cooperazione di polizia tra Italia ed Egitto, che avevano esposto alla tortura, e forse alla morte, molti di coloro che erano stati deportati dal Cairo a Colombo. In un paese che non riconosce ancora il reato di tortura sembra sempre più “normale” che i migranti in fuga, soprattutto nei paesi di transito, possano essere seviziati ed uccisi. Ed anche quando si tratta di cittadini provenienti proprio da questi paesi, come gli egiziani, se lo scopo è quello di respingerli in massa, non si rispettano neppure le procedure previste dalla legge e dalle direttive comunitarie. E se qualcuno protesta l’unica risposta sono i manganelli, come è successo a Catania poche settimane fa.
Le operazioni di riammissione tra Italia ed Egitto, con voli diretti da Catania e da Roma al Cairo, sono rese possibili dall’accordo di collaborazione firmato proprio nel gennaio del 2007 dal governo italiano, in persona del sottosegretario agli esteri Intini e alla presenza del viceministro all’interno Lucidi, accordo che, in cambio di qualche migliaio di posti riservati ai lavoratori egiziani nelle quote ammesse annualmente con i decreti flussi, consentiva forme di attribuzione della nazionalità, se non della identità personale e dell’età, assai celeri, grazie anche alla collaborazione di funzionari e interpreti egiziani presenti in Italia.
Da questo punto di vista, la politica estera italiana è assolutamente coerente, malgrado il cambio dei governi. Già nel 2005, infatti, tra il governo italiano e quello egiziano esisteva un "Accordo di cooperazione in materia di flussi migratori bilaterali per motivi di lavoro", siglato al Cairo il 28 novembre 2005 dall’ allora ministro del lavoro Roberto Maroni. Nel testo dell’accordo si prevedeva che i due governi, al fine di "gestire in modo efficiente i flussi migratori e prevenire la migrazione illegale", si impegnano a facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoratori migranti da e per l’Egitto. Il governo italiano, dal canto suo, si impegnava a valutare l’attribuzione di una speciale quota annuale per lavoratori migranti egiziani. Nel protocollo esecutivo si leggeva che il ministero del Lavoro e delle politiche sociali italiano comunicheranno all’omologo egiziano i criteri, ai sensi della normativa italiana, per redigere una lista di lavoratori egiziani disponibili a svolgere un’attività lavorativa subordinata anche stagionale in Italia. La lista dovrà essere pubblicata sul sito web del ministero del Lavoro italiano”. Non si sa quanti lavoratori egiziani siano effettivamente arrivati in Italia con un visto di ingresso, anche perchè il governo italiano ha bloccato i decreti flussi annuali, ed ha sbarrato qualunque possibilità di ingresso per lavoro. Un regalo immenso fatto alle organizzazioni criminali che “commerciano” i migranti nel loro viaggio e poi li sfruttano, riducendoli in condizioni di servitù, quando una volta giunti in Italia devono pagare I loro debiti. Un trattamento più crudele è invece riservato ai richiedenti asilo, che “valgono” di più. Se I loro parenti non pagano, torture fino alla morte, come sta avvenendo in questi giorni nel deserto del Sinai, e per qualcuno persino l’espianto forzato di organi, una vera ignominia sulla quale la comunità internazionale non può continuare a tacere. Rimane da verificare la volontà del governo egiziano di lottare effettivamente contro le organizzzioni dei trafficanti che ovunque godono di complicità insospettabili.
Cosa fa l’Egitto per impedire che i migranti in fuga dal Corno d’Africa vengano sequestrati, torturati ed uccisi dalle bande dei trafficanti che in quel paese hanno campo libero. Nulla. Cosa fa la Libia? Si limita a fare fuggire verso l’Egitto quei migranti che non trova più conveniente detenere, quegli stessi migranti che l’Italia ha respinto negli anni passati, o quelli che le guardie libiche più recentemente sono riuscite a riprendere in acque internazionali, con le motovedette ed il personale della guardia di finanza garantiti dal governo italiano. E cosa fa il nostro governo, il ministro degli esteri Frattini, il capo del governo così intimo di Mubarak, di fronte ad un sequestro e a torture che sono state denunciate anche dal Vaticano ? Silenzio, ipocrisia e ancora un rilancio della politica della paura, della paura degli immigrati, una facile strumentalizzazione che già in passato ha garantito un sicuro successo elettorale. Anche sulla pelle di quei migranti che i trafficanti egiziani marchiano a fuoco. Se non si annega più tra Zuwara e Lampedusa, si muore nei deserti africani o nel Sinai, nella terra di nessuno tra Israele ed Egitto.
L`Italia deve denunciare gli accordi di respingimento e di riammissione con la Libia e con l’Egitto perchè non garantiscono il rispetto dei diritti umani dei migranti. Certo è difficile attendere dal governo italiano e dai vertici delle forze di polizia alcuna umanità, dopo anni di stretta collaborazione con le autorità egiziane e libiche. Sono troppi i rapporti delle agenzie internazionali come HRW, MSF ed Amnesty che il governo italiano ha irriso giungendo ad attaccare sistematicamente l`Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e gli avvocati che difendono coloro che, dopo avere subito un respingimento collettivo, di massa, di fatto una deportazione, vietata da tutte le convenzioni internazionali, riescono a presentare un ricorso contro l`Italia davanti alla Corte Europea dei diritti dell`Uomo. Se qualcuno volesse dare un segno di discontinuità rispetto alle politiche disumane praticate in materia di immigrazione ed asilo è questo il momento. Sembra però che recenti gravi fatti di cronaca possano rilanciare le politiche che trasformano i migranti in pericolosi nemici, politiche che negli anni passati sono state avallate anche dall’opposizione.
Si deve esigere da parte di tutta l’Unione Europea una iniziativa urgente in modo che l’Egitto garantisca una protezione effettiva a tutti coloro che fuggono dal loro paese, come nel caso dei profughi sequestrati nel Sinai.
Di fronte a fatti tanto gravi cresce la responsabilità delle istituzioni internazionali. Attendiamo ancora le decisioni della Corte di Strasburgo sui ricorsi presentati dopo i respingimenti collettivi in Libia effettuati dall’Italia il 6 e 7 maggio del 2009, ma intanto il sequestro di migranti eritrei in Egitto, nel deserto del Sinai, dopo gli abusi e le violenze di Misurata, di Sebha, di Brak e di altri centri di detenzione in Libia, come lo stillicidio di vittime tra coloro che dalla Grecia cercano di raggiungere i porti dell’Adriatico, costituiscono una pietra tombale sulla dignità delle persone che hanno contribuito direttamente o indirettamente a produrli, ma anche una macchia sull`onore di tutti gli italiani che non si ribellano a queste politiche di morte e di deportazione.
A tutti coloro che ancora hanno a cuore la vita, la libertà e la dignità dei migranti, che non sono disgiunte dalla dignità e dal futuro dei cittadini italiani, non rimane altro che moltiplicare gli sforzi per estendere e rafforzare le reti di solidarietà e di protezione legale, fino a raggiungere gli immigrati arrestati e violentati nei paesi di transito e contribuire in qualsiasi modo alla circolazione delle informazioni censurate dalle agenzie governative, promuovendo iniziative perchè l`opinione pubblica non si abitui all`idea che, in fondo, è meglio che i migranti, piuttosto di raggiungere l`Italia, muoiano o vengano abusati lontano dai nostri occhi.
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