Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

15 gennaio 2015

Immigrati irregolari, forte crescita in Italia e Ue nel 2014
I dati forniti da Frontex indicano un significativo aumento del flusso di migranti senza permessi
Giornalettismo, 15-01-2015
Nel 2014 gli immigrati entrati irregolarmente all’interno dell’Unione Europea sono stati 276 mila, con una crescita del 138% rispetto all’anno scorso. Il Paese più colpito dagli ingressi dei clandestini è stata l’Italia, con 170 mila migranti clandestini arrivati ai nostri confini soprattutto via mare.
GLI IMMIGRATI IRREGOLARI E L’ITALIA – Il commissario all’Immigrazione, il greco Dimitris Avramopoulos, ha comunicato al Parlamento Ue i numeri degli ingressi degli immigrati irregolari registrati da Frontex, l’agenzia preposta alla sorveglianza dei confini europei. Secondo i dati forniti da Frontex nel 2014 sono arrivati all’interno dei Paesi UE più di 276 mila immigrati irregolari, di cui 170816 in Italia. L’anno scorso l’incremento dei clandestini rilevato nel nostro Paese è stato pari al 277% rispetto al 2013. Il flusso verso l’Italia, la Grecia e Cipro proveniente dalla Turchia, dalla Siria, dal Libano e dall’Egitto è aumento dalle 24799 del 2014 ai 50561 del 2014. Il commissario Avramopoulos ha rimarcato come la maggior parte degli ingressi conteggiati da Frontex sia avvenuto attraverso il Mar Mediterraneo. Nell’anno appena trascorso sono stati più di 200 mila i migranti irregolari arrivati via mare. I numeri forniti dalla Commissione Ue sono stati illustrati in una risposta sulle tragedie dell’immigrazione, che regolarmente registrano la morte di decine di persone che affrontano viaggi della speranza, o della disperazione, per abbandonare i loro Paesi di provenienza al fine di raggiungere l’Europa.
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GLI IMMIGRATI IRREGOLARI E L’EUROPA – I dati citati dal commissario Ue indicano come nel 2014 sia stato più contenuto l’aumento dei flussi di immigrati illegali verso la Spagna e il Portogallo (7285 immigrati nel 2014 contro i 6352 del 2013). Sono calati invece, nel 2014 gli immigrati illegali dal Marocco verso le Canarie (231 contro i 264 del 2013). In aumento gli immigrati irregolari dai Balcani verso la Mitteleuropa (37374 nel 2014 contro 19951 nel 2013, +87%). Frontex ha registrato una flessione per gli immigrati illegali da Ucraina e Bielorussia verso la Ue (1077 nel 2014 contro 1259 nel 2013, -14%). Il commissario Ue Dimitris Avramopoulos ha ammonito che solo attraverso un deciso e coordinato impegno dell’Ue si potrà frenare l’afflusso dei migranti irregolari, aumentato dai numerosi conflitti in corso lungo i confini dell’Unione europea. Secondo l’esponente dell’esecutivo Juncker è essenziale che i Paesi Ue rafforzino la loro collaborazione contro i trafficanti di persone, migliorando i sistemi di raccolta e scambio delle informazioni.
 
 
 
Immigrati in Campania, un business da 50 milioni l’anno
La provincia di Napoli ospita 3.700 richiedenti asilo: una convivenza costosa e per nulla semplice
Linkiesta.it, 14-01-2015
Marco Aragno
Quasi 130mila euro al giorno. 47 milioni di euro l’anno. Tanto “valgono” i circa 3700 immigrati ospitati nei centri di accoglienza della Campania. Il numero più alto dopo quello registrato in Lombardia (4333) e in Sicilia (5440). Un giro di affari milionario, su cui convergono gli interessi di associazioni, Onlus e centri alberghieri. E di cui le prime vittime sono gli immigrati stessi.
Facciamo ordine. Dei 3700 extracomunitari richiedenti asilo ospitati nelle strutture campane, 1322 sono concentrati nella provincia di Napoli, per lo più sulla fascia costiera - tra Giugliano, Licola, Varcaturo e Pozzuoli. Soggiornano in alberghi con nomi “vacanzieri”. Liternum, Panorama, Circe. E proprio come in una vacanza dovrebbero sostare per non più di trentacinque giorni, come prevede la legge, per poi essere espulsi o ricevere il sospirato permesso di soggiorno. E invece restano lì, in una specie di limbo, costretti a destini incerti e soggiorni prolungati da una burocrazia lentissima.
Una situazione difficile, dunque. Che spesso e volentieri degenera in rabbia e tensioni. Come quelle che lo scorso 5 gennaio, fuori a un hotel di via Carrafiello a Varcaturo, hanno spinto una trentina di rifugiati a bloccare la strada per la mancata erogazione dei “pocket money”. O come quelle che lo scorso 9 gennaio, presso l’Hotel Panorama di Licola, hanno scatenato la reazione di alcuni residenti: una molotov incendiaria e una motocicletta in fiamme sono state la risposta degli italiani alla protesta dei “neri”. Ragioni diverse, invece, hanno animato la manifestazione improvvisata ieri su viale Carlo III a Caserta, dove un drappello di migranti di un centro di accoglienza limitrofo ha bloccato il traffico per reclamare la salma di un gambiano morto pochi giorni fa all’ospedale della zona.
«Sono tutti dei bravissimi ragazzi – ha dichiarato un albergatore di Varcaturo, che ne ospita circa ottanta a Linkiesta –. Sono sottoposti ad una situazione di forte stress fisico e psicologico. Alcuni hanno delle vere e proprie crisi di nervi dopo aver ascoltato le notizie che arrivano dai paesi d’origine. Quando contatto le associazioni dicendogli che c’è bisogno di un intervento di supporto, mi rispondono: ‘non li pensare’. Tutto ciò è assurdo. Gli albergatori fanno il possibile per non far mancare loro niente, ma sembra che alle associazioni e a chi le dovrebbe controllare interessino solo i soldi».
Già, perché il sistema d’accoglienza che dovrebbe garantire assistenza agli immigrati è kafkiano. Troppi i soggetti coinvolti. Troppi a dividersi la torta dei trenta, trentacinque euro giornalieri messa a disposizione per ogni immigrato dal Ministero dell’Interno. La supervisione è gestita dalla Prefettura di Napoli che, tramite apposite gare d’appalto (11 nel solo 2014), affida ad associazioni, Onlus e cooperative l’incarico di provvedere ai migranti richiedenti asilo. Tra di esse alcuni “colossi” del terzo settore, come la New Family Srl di Napoli (un’ATI). A loro volta, gli enti aggiudicatari si rivolgono a strutture alberghiere per l’alloggio e i pasti, riservandosi la cura di altri servizi previsti dal capitolato d’appalto, come l’assistenza medica, le lezioni d’italiano, la mediazione culturale e l’inserimento sociale. Aspetti spesso trascurati. Perché ciò che davvero conta per le associazioni è la gestione dei cosiddetti “pocket money”, ovvero i 2,50 euro pro-capite giornalieri che, in teoria, servirebbero ai migranti per piccoli extra, compresi medicinali come analgesici e antidolorifici, ma che nella pratica vengono erogati a singhiozzo e in maniera non trasparente. Da qui l’ira dei migranti che ha portato all’ondata di proteste degli ultimi giorni.
In mezzo a tutto questo c’è ovviamente il dramma umano dei ragazzi tenuti “prigionieri” nelle strutture alberghiere. Molti di loro sono arrivati nei centri di accoglienza da zone calde del Pianeta. Scappano dalle guerre civili o dai paesi arabi assediati dall’Isis. Come Zaafir, 24 anni, siriano, approdato a Lampedusa e tenuto in un centro di accoglienza da ottobre. Mastica pochissimo l’italiano. Ci racconta che possiede una laurea in Ingegneria e che vorrebbe costruirsi un futuro migliore dalle nostre parti. Quel futuro che, a quanto pare, neanche l’Italia sarà in grado di dargli.
 
 
 
Parigi, il momento di fermarsi a riflettere
Corriere.it, 14-01-2015
Fabio Amato
L’argomento sollevato da Marco Antonsich si presta a molteplici interpretazioni tutte, anche da versanti opposti, dettate dall’esigenza di semplificazioni che ci aiutino a capire quel che in realtà, temo, non si possa comprendere pienamente. Siamo emotivamente dopati dagli eventi per cui o si ricorre a letture postcoloniali per comprendere la posizione degli attentatori (finché non tocca a noi) o, come detto, si identifica nell’immigrazione un tasto da far risuonare come se esistesse una correlazione tra le due cose. La grancassa dell’identità europea democratica e ferita risuona e tutto si spettacolarizza sulla spuma del momento, tra poco ce ne dimenticheremo, come ci siamo dimenticati della strage di Oslo e Utoya, perché maciniamo tutto a grande velocità e abbiamo necessità di percorsi logici che ci facciano andare avanti.
Il grave vulnus alla libertà di espressione si confonde con analisi un po’ precipitose dell’Islamismo, visto come una comunità coesa. Siamo in guerra da tempo e non vogliamo accorgercene fino al prossimo episodio mediaticamente di impatto. Ma non è guerra guerreggiata che consente di identificare mezzi e attori chiaramente. L’Intelligence invocato come la soluzione di tutti i mali creerà solo altri fenomeni alla Jean Charles de Mendez (chi?). Non è guerra di identità contrapposte ma sono probabilmente frutti marci di una logica socio-economica non più governabile. Gli attentati eternano le vite di tre marginali che hanno trovato un riferimento nei folli proclami dell’Is (altra organizzazione dalla spaventosa capacità di comunicazione mediatica), ma si trattava di tre cittadini francesi, come erano inglesi gli attentatori di Londra. Le rivendicazioni che si facevano durante le rivolte delle banlieues, ad esempio, erano infarcite di riferimenti alla jihad assolutamente imprecisi.
Si crea una poltiglia tra dimensione emotiva (le bandiere, le matite, i morti ammazzati), geopolitica su più piani, innanzitutto nel senso tradizionale: il nodo del Medio Oriente sempre al centro, ma sempre più frammentato e ingestibile con la monarchia saudita, paradossalmente, ultimo baluardo dell’Occidente e allo stesso tempo fucina del radicalismo. Geopolitico anche nel senso popular delle narrazioni per cui tutti esibiscono la loro presenza in una forma quasi pornografica (alla Han per intenderci) per dire “io c’ero” e noi metabolizziamo tutto insieme al selfie di Totti dopo il derby, al cordoglio per Pino Daniele, al dispiacere più silenzioso per Francesco Rosi, alle dimissioni di Napolitano e a noi stessi che non stiamo poi così in forma… Esiste anche una dimensione socio-economica che diventa difficile da sbrogliare: è vero che i migranti del Novecento hanno sofferto condizioni di maggior disagio e umiliazione senza reagire con il terrorismo, come i nostri genitori e nonni hanno vissuto privazioni maggiori delle nostre, ma sono cambiate le prospettive e le proiezioni esistenziali della generazione under quaranta (per banalizzare) in una precarietà che spesso diventa vuoto assoluto di progetti che lascia spazio ad altre scelte. Se noi parliamo di quel che hanno fatto Coulibaly e i fratelli Kouachi, nella loro perversa visione, hanno già vinto.
In sintesi ho la sensazione che non ci siano letture da proporre, ma riflessioni da intraprendere. Almeno io non so dare ancora risposte e posso solo procedere per negazione, diffidando da certe interpretazioni. A proposito di procedura per negazione, quel che condivido pienamente di quanto dice Marco Antonsich è che la guerra di religione non esiste e forse non è mai esistita essendo guerre di uomini, su cui forse dobbiamo di più interrogarci. Forse abbiamo strumenti vecchi (parlo per me) con cui leggere una società che cambia continuamente pelle e che assume per validi valori come l’eroismo, la violenza e la morte sembra un videogioco o una scena di camorra di una serie televisiva, oppure rubata da una videocamera a circuito chiuso o da un cellulare, ma tanto non le distinguiamo più.…
 
 
 
Immigrati ospitati in ex caserma dei lager. Proposta tedesca fa discutere
Si starebbe studiando la possibilità di ospitare i richiedenti asilo in una caserma delle SS legata a Buchenwald
il Giornale, 15-01-2015
Ivan Francese
La notizia è di quelle che colpiscono come un pugno allo stomaco. In Germania si starebbe studiando la possibilità di ospitare gli stranieri richiedenti asilo in alcune strutture legate all'ex campo di concentramento di Buchenwald.
Le autorità locali della città di Schwerte, nella Germania occidentale, hanno proposto di accogliere ventuno residenti asilo in una caserma di epoca nazista che con ogni probabilità è stata utilizzata dalle SS di guardia in un avamposto del lager nazista. Il problema degli alloggi per richiedenti asilo si pone come uno dei temi più pressanti per la Germania, alle prese con un enorme afflusso di rifugiati, provenienti in particolare dalla Siria e dall'Iraq.
Le autorità tedesche iniziano così ad avere problemi a trovare alloggi dove ospitare queste persone in attesa che le loro richieste di asilo vengano valutate.
La proposta di alloggiarli nella ex caserma delle SS ha comunque creato polemiche in tutto il Paese. "Questo non è un posto normale, un posto qualsiasi, ma un luogo di sfruttamento, di oppressione e violenza senza limiti" spiega a Der Spiegel Christine Glauning, direttore del Centro di Documentazione per il lavoro forzato sotto il regime nazista.
La storia del sito non è ben documentata: si tratta di un piccolo avamposto del ben più grande campo di sterminio di Buchenwald, dove hanno trovato la morte oltre 230.000 prigionieri. All'avamposto di Schwerte sono stati costretti a lavorare come schiavi circa settecento prigionieri polacchi, impiegati in servizi di manutenzione della vicina ferrovia.
Le autorità di Schwerte hanno però difeso la propria decisione, sottolineando che la caserma non aveva mai ospitato prigionieri e che anzi nel dopoguerra era già stata utilizzata come alloggio per veterani e invalidi di guerra, oltre che come studio di un artista.
 
 
 
Ponte Galeria, cronaca di fine anno
Corriere delle migrazione, 11-01-2015
Alessandra Ballerini, Stefano Galieni 
Addio 2014, ti lasciamo ricordando due frasi, una ormai resa pubblica perché intercettata, l’altra ascoltata in diretta telefonica. Iniziando dalla seconda arriveremo alla prima, ma vi chiediamo un po’ di attenzione, c’è un percorso da ricostruire.
19 dicembre, tardo pomeriggio, un freddo che entra nelle ossa, sotto le luci al neon del Cie di Ponte Galeria, periferia sud ovest di Roma, dove ad alcuni di noi, attivisti, legali e giornalisti, hanno permesso di entrare e ad altri no, a causa di surreali difficoltà comunicative fra prefettura, questura ed ente gestore. La gestione è nuova, non ancora rodata. Chi ha vinto la gara d’appalto ha stracciato la concorrenza: «Con meno di 29 euro al giorno per ogni “ospite” garantiamo tutto». Il Cie è vecchio, è quello di sempre. Con le sbarre a perdita d’occhio, di modo che alzando lo sguardo anche il cielo ti appaia in gabbia, i cani feroci e tristi faticosamente tenuti a bada da poliziotti che fanno bella mostra di questa rumorosa armata a quattro zampe, i materassini di gommapiuma buttati a terra senza una rete né una coperta, i cessi inguardabili, il cibo scarso e di pessima qualità, le proteste, le risse, le divise in assetto antisommossa. Tutto tristemente vecchio.
Dentro al centro chi ha avuto modo di passare alcune ore con l’europarlamentare Barbara Spinelli, alla quale non poteva essere negato l’ingresso, registra e riporta a chi è rimasto fuori quanto ha potuto vedere e sentire. C’è tensione, forte, chi è rinchiuso lamenta assenza di igiene, personale inesistente, freddo e luce accesa giorno ma soprattutto notte.
I reclusi ci mostrano i loro giacigli e i cessi che non è possibile chiamare diversamente e si lamentano. Della reclusione in sé che non riescono a comprendere: «Sono nato in Italia». Oppure: «Sono qui da 22 anni ho famiglia e lavoro», O ancora «Ho già scontato la mia pena in carcere, perché mi rinchiudete ancora?» e poi i tanti e sinceri “sono malato” “sono tossicodipendente” e infine il coro unisono “aiutateci”.
Ma si lamentano con maggior acredine, a volte sfidando coraggiosamente il direttore, delle condizioni di questa ingiusta detenzione. «Sono qui da quattro giorni e ancora non mi hanno dato nulla. E non parlo solo dei vestiti e delle ciabatte, parlo di sapone e carta igienica. Guarda le mie mani mi faccio schifo” A noi, perdendo il nostro ruolo di persone che dovrebbero fare cronaca, fanno schifo altri, coloro che le mani sono convinti di averle pulite. È la cronaca di una giornata normale nel Cie ma guai ad accettarla come norma, finiremmo anche noi a cercare misere mediazioni con un sistema che non ne concede, che ha già definito la differenza fra i “sommersi” e i “salvati”.
Quando si prova a chiedere conto ai responsabili del centro, si entra in un sistema di scatole cinesi. Tre sono i soggetti coinvolti: la GEPSA (Gestione Penitenziari e Servizi Ausiliari), società francese del gruppo Cofely (2200 dipendenti in Italia) e controllata da GDF Suez, uno dei colossi mondiali dell’energia; la Associazione Culturale Acuarinto (sede ad Agrigento) che si occupa di minori non accompagnati, vittime di tratta e richiedenti asilo; la romana Synergasia, impegnata nella mediazione linguistica. Soggetti che quindi non sembrano  possedere i titoli e le competenze per gestire un Cie. O almeno è impossibile essere informati attraverso la responsabile comunicazione di GEPSA, raggiunta telefonicamente e impossibile anche saperlo dai funzionari della stessa, presenti al centro. Ci spiegano che le loro “procedure aziendali” impongono di non poter riferire alcun dato anche se richiesto da parlamentari. E la frase raggelante di partenza è questa: «L’azienda deve tutelare i propri clienti, quindi se volete informazioni specifiche dovete richiederne alla Prefettura, il nostro cliente».Il concetto di trasparenza, il fatto che si operi con un ente pubblico, non viene preso in considerazione, in fin dei conti tutto è privatizzato quindi i reclusi nel Cie sono esclusivamente un fatturato. Il concetto viene ripetuto in maniera ossessiva e ripetitiva, quasi si trattasse di una voce preregistrata, inutile cercare un dialogo. La società francese sembra si stia interessando ad acquisire gran parte degli appalti che riguardano non solo i Cie ma anche i centri per richiedenti asilo e ogni forma di accoglienza. Garantisce serietà e discrezione, dimezza il personale impiegato (quindi i costi) e si impone sul mercato. Intanto, delle modalità di trattamento dei reclusi poco importa, anche perché, ogni fatto che accade lì dentro sarà reso pubblico solo se “il cliente”, quindi alla fin fine, il ministero dell’Interno nei suoi organismi periferici, lo vorranno. Ma c’era bisogno di una multinazionale con sede in Francia per fare business sugli immigrati in Italia? Non bastano già coloro che operano da tanti anni impunemente? Il 18 aprile 2004, in tv andò in onda una puntata di Report, sugli allora Cpt (oggi Cie). È ancora attuale: in quell’occasione la direttrice del programma, Milena Gabbanelli, ebbe a dire: «Gli immigrati non li vuole nessuno, i soldi degli immigrati li vogliono tutti». C’è da augurarsi che, data l’assenza della politica, provveda la Corte dei Conti a renderci edotti sui misteri aziendali, ancora più indecifrabili degli arcani imperii.
Giornata assurda quella del 19 dicembre 2014. Per chi, come noi, da 15 anni si occupa di centri di detenzione, una sorta di svolta. Prima un avviso dalla prefettura in cui ci si dice che la visita ad una delegazione è “sconsigliata”, poi una mediazione in base alla quale una parte della delegazione è autorizzata ad entrare mentre alcuni restano in attesa, poi una trattativa per entrare a parlare con una delegazione di “ospiti”, quindi i passi indietro motivati dal fatto che la prefettura non aveva comunicato alla questura l’elenco dei visitatori. Momenti di tensione, fuori, i dipendenti della “Auxilium” l’ente gestore che aveva perso l’appalto, protestavano per difendere i propri posti di lavoro. Dentro regnava il caos e dopo alcune ore l’ufficio immigrazione della questura decideva di imperio. Entravano solo l’europarlamentare Barbara Spinelli, due suoi collaboratori e la portavoce della campagna LasciateCIEntrare, Gabriella Guido. Saranno queste le modalità per il prossimo futuro nei centri? Difficile prevederlo, a chi è rimasto fuori hanno garantito che quando la nuova gestione andrà a regime, non ci saranno problemi. Ovviamente però non si potranno fare domande pretendendo risposte immediate. Arriviamo così alla seconda frase.
«Con gli immigrati si guadagna più che con la droga». È diventata una delle frasi simbolo dell’inchiesta “Mafia-Capitale”, caposaldo di un sistema di affari incentrato sulle necessità di provvedere all’accoglienza e basato sul fatto che ogni elemento di trasparenza nella gestione dei servizi salta, sempre e da sempre, in nome di una condizione di emergenza. Emergenza e discrezionalità, due parole che dovrebbero essere bandite dal vocabolario di chi si occupa di immigrazione e di accoglienza e più in generale della fruizione dei diritti fondamentali. Non è una emergenza ma una prassi. Le persone arrivano e arriveranno, ieri attirate dalla prospettiva di un futuro migliore in Italia, oggi in fuga dalle guerre e con l’obbiettivo di considerare il nostro come paese di transito. Un’emergenza e una discrezionalità che permettono tranquillamente, nel silenzio assoluto, che una parlamentare europea che su questioni connesse all’immigrazione sta già operando insieme ad altri affinché per l’Italia scattino procedure di infrazione, di essere tenuta sul gradino dell’ingresso di uno zoo per esseri umani, come giustamente ha voluto definirla. Spinelli è uscita indignata da questo incontro con la realtà, come ne è uscita incollerita Daniela Padoan sua assistente. Per noi, chi firma e chi come l’antropologa e militante antirazzista Annamaria Rivera o il giornalista, presidente della Carta di Roma, Giovanni Maria Bellu, questa è la vergogna misconosciuta di un paese orrendo. Questo 2015 inizia con la solita bugia dell’invasione di “clandestini” stavolta che arrivano sullo Jonio o sull’Adriatico o che muoiono in un traghetto dalla Grecia. E ci dicono che sono “clandestini” siriani, kurdi, afghani, iracheni. Sempre più spesso, morti. Ma anche da morti sono solo clandestini. Mai che si dica perché arrivano o dove avrebbero voluto andare.
E si alzano, giustamente parole di fuoco, contro chi traffica sulle loro vite per farli giungere in Italia.
Le stesse parole di indignazione per chi lucra sulla loro accoglienza qui o sulla loro inutile e assurda detenzione, sono già roba dimenticata, roba del vecchio anno. Ma per noi che eravamo dentro o fuori, la memoria conta ancora e anche questo 19 dicembre, lo porteremo in giro, come racconto di una storia che chiede, pretende, giustizia.
 
 
 
Usa, i repubblicani provano a fermare la regolarizzazione di Obama
La Camera blocca i decreti esecutivi del presidente sull'immigrazione. "Ha ignorato la Costituzione, non aveva l'autorità per firmarli"
stranierinitalia.it, 15-01-2015
Washington – 15 gennaio 2015 – Primo stop dei repubblicani ai decreti con cui Obama sta cercando di realizzare da solo una riforma dell'immigrazione.
Ieri alla Camera è stato approvato un emendamento a una legge sulla spesa per la sicurezza interna che ferma le azioni esecutive firmate dal presidente lo scorso novembre. Tra le altre cose, blocca il progetto di regolarizzare milioni di lavoratori stranieri attualmente privi del permesso di soggiorno.
Il repubblicano John Boehner, speaker della Camera, ha spiegato che l'emendamento è una risposta a un presunto abuso di potere da parte di Obama: “Il Presidente ha ignorato il popolo, la Costituzione e le sue dichiarazioni passate. In almeno 22 occasioni aveva detto di non avere l'autorità per fare quello che poi ha fatto”.
È comunque difficile che il tentativo dei Repubblicani vada in porto. La legge approvata ieri passa infatti adesso al senato, dove per essere approvata senza rischiare il veto di Obama ha bisogno della maggioranza qualificata di 60 voti. Il Grand Old Party ha però solo 54 seggi.
 
 
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