Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

20 aprile 2011

Immigrati, sbarco record a Lampedusa Frattini accusa: ritorsione di Gheddafi
Arrivano in 760: mai così tanti su un solo barcone. Tremonti: Ue assente
la Repubblica, 20-04-2011
VLADIMIRO POLCHI
ROMA — «II regime di Gheddafi sta cominciando a organizzare il traffico di esseriumani»,come ritorsione contro 1'Italia. Franco Frattini punta il dito contro il colonnello libico: l'ex alleato che nel 2008 ha firmato il Trattato d'amicizia con l'Italia. Per il responsabile della Farnesina è lui il "mandante" dello sbarco record di ieri aLampedusa: 760 migranti, tra cui 63 donne e 7 bambini, partiti dalle coste libiche e arrivati a bordo di un vecchio motopeschereccio.
Ecosi, dopo tre giorni di tregua dovuti alle cattive condizioni del mare, riprende la conta degli sbarchi: ai profughi dalla Libia (che verranno trasferiti nei centri di Mineo e Crotone) vanno aggiunti anche 54 tunisini arrivati nella notte di lunedi. Dall'inizio dell'anno sono oltre 29mila gli immigrati sbarcati e 330 i tunisini rimpatriati. «Il regime di Gheddafi - sostiene il ministro degli Esteri italiano - cosi come aveva minacciato, sta cominciando dal porto di Al Zwara a organizzare il traffico di esseri umani». Solo il sostegno al Consiglio Nazionale Libico di Bengasi garantira all'Italia, secondo Frattini, il controllo dei flussi: «E' dimostrando fiducia nella transizione verso la nuova Libia che ci garantiamo un futuro di maggiore controllo migratorio. Abbandonando questa posizione, dicendo "chissà Gheddafi può ancora vincere", questo si aprirebbe le porte alle migrazioni. Del resto - aggiunge Frattini - dall'inizio della crisi sono arrivati in Italia non piü di 3.000 profughi, rispetto ai 500mila» che, via terra, sono andati in Egitto, Tunisia e Algeria. Poi, sul caso scoppiato attorno ai permessi temporanei concessi dall'Italia e non ritenuti sufficienti perl'espatrio dalla Francia, Frattini attenua i toni: «A livello bilaterale credo che la questione sia finita. Italia e Francia hanno interesse comune, domani gli immigrati che arrivano in Italia potrebbero giungere in Corsica».
Ma quanti sono i permessi concessi finora? 4.039, mentre altre 10.286 domande sono ancora in fase istruttoria, secondo quanto fa sapere il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano. «L'obiettivo è chiudere la partita entro Pasqua», promette il capo della Protezione civile e commissario per l 'emergenza immigrazione Franco Gabrielli, secondo il quale del circa 23.500 tunisini sbarcati in Italia, il Viminale ha fornito solo una lista di 11.800. Ciò significa che la meta si sono allontanati dai centri d'accoglienza e hanno fatto perdere le loro tracce. Non solo. II dipartimento della Protezione civile chiarisce che i migranti con permesso temporaneo «sono liberi di circolare sul territorio» e, quin- di, «di riunirsi in luoghi pubblici comele stazioni, di acquistare biglietti per treni, navi e aerei».
Sul fronte europeo, Italia, Spagna, Grecia, Cipro e Malta si alleano e approvano un documento congiunto: l'Europa sostenga concretamente i Paesi che sopportano la maggiore pressione migratória. Mail fronte mediterraneo perde unapedinapesante: la Francia infatti si sfila, dopo settimane ditensione conRoma. «Si deve riconoscere - ammette la commissaria Ue, Cecilia Malmstrom, in una bozza di comunicazione per il Consiglio europeo - che la Ue non è equipaggiata per aiutare gli Stati membri più esposti a massicci movimenti migratori».
E a chiamare in causa l'Europ a è anche Giulio Tremonti. «Missing in action, anzi inno action», ovvero scomparsa nella non azione: cosi il ministro dell'Economia definisce la reazione europea davanti all'emergenza immigrazione e all'ondata di rivolte del Nord Africa.



Una nave-galera vaga per il Mediterraneo carica di migranti
Liberazione 20 aprile 2011
Stefano Galieni
Il nome altisonante “Excelsior” (Grandi Navi Veloci) non tragga in inganno, trattasi di vera e propria nave galera. L’imbarcazione già utilizzata per la sua capienza nell’utilizzo di Lampedusa dopo la visita di Berlusconi, è ripartita, carica di profughi il 12 aprile scorso e ancora vaga nel Mediterraneo. Una crociera che gli ospiti probabilmente si sarebbero volentieri risparmiati. Secondo le dichiarazioni della prefettura all’imbarco, ore 15 erano nella nave circa 800 persone. Il 13 aprile in 335, recita la burocrazia da vagone piombato, sono stati fatti sbarcare a Catania. Si tratterebbe di richiedenti asilo fuggiti dalla Libia e provenienti dal Corno d’Africa, che sono stati tradotti nel CARA di Mineo per le procedure d’obbligo. I restanti sono tornati in mare e dopo uno scalo tecnico a Cagliari(?) hanno raggiunto il porto di Civitavecchia, nella mattina del 16 aprile. Sono scese, circondate dalle forze dell’ordine, circa 300 persone, la caserma De Carolis, utilizzata come Cai (centro di accoglienza e identificazione) non li poteva tenere, quindi, con altri mezzi sono stati tradotti in vari Cie sparsi in tutta Italia (Bari; Bologna, Catanzaro, Gorizia, Milano, Modena, Roma e Torino). Non finisce qui, il 18 aprile l’imbarcazione è entrata nel porto di Napoli dove per circa 250 persone è scattato il trasferimento blindato presso la ex caserma Gandolfato, altro Cai. In totale si era già a quota 885 persone il cui viaggio in Italia sembra essersi trasformato in un eterno vagare. Ma a bordo c’erano anche altri 90 ragazzi tunisini che dopo la gita sono stati ricondotti a Trapani, dove sono giunti ieri mattina e trasferiti nel Cara di Salina Grande, già pieno all’inverosimile. Nonostante la struttura sia destinata – come recita l’acronimo - ai richiedenti asilo, alcuni suoi locali, in primis la palestra, sono vigilati 24 ore al giorno. Impossibile accedervi, i 90 dovrebbero trovare posto in tale spazio per poi essere rimpatriati. Il girovagare dell’Excelsior illustra bene quanto sta avvenendo ai profughi dopo il trasferimento in tendopoli e caserme, la concessione del permesso temporaneo, i tentativi di raggiungere la Francia. I permessi vengono elargiti con discrezionalità. A Trapani, ex aeroporto Kinisia, in circa 700 sono stati già fatti partire. Avevano il biglietto ferroviario fino a Palermo. Da lì, incontrando ostacoli non indifferenti si sono sparsi, spesso senza alcuna forma di protezione, sul territorio nazionale. Lo stesso avviene per chi ottiene il permesso a Manduria (Taranto) e a S. Maria Capua Vetere, una parte di questi ultimi sono arrivati nei giorni scorsi a Roma facendo infuriare il sindaco Alemanno che non era stato neanche avvisato. Si aspettava i ragazzi tunisini rinchiusi a Civitavecchia e cercava già, con l’assente presidente della Regione, Renata Polverini, di diffonderli nelle altre province laziali. Ma a Civitavecchia le cose non vanno per il verso giusto: vengono rilasciati circa 60 permessi al giorno e, in base a una discrezionalità che sembra attenere all’arcana imperii c’è chi viene portato in pulman a Torino e chi viene lasciato senza nulla nella campagne laziali. Il tutto senza cercare minimamente il coinvolgimento delle associazioni di tutela dei migranti. Chi prova a tentare di comprendere le opzioni messe in campo dal governo viene intimidito e minacciato, è accaduto domenica notte a Lampedusa, dove alcun attivisti antirazzisti sono stati, per l’ennesima volta perquisiti, identificati e interrogati perché avevano osato interloquire con alcuni ragazzi tunisini. Gli occhi sono puntati su quanto accade alla frontiera francese fra Ventimiglia e Mentone, dove domenica si è interrotto, anche per i turisti, il trattato di Schengen per la libera circolazione, ma quello che più preoccupa è il meccanismo contorto che vede unire una segregazione diffusa e capillare dei profughi, nel periodo in cui si attendono i permessi temporanei e poi una dispersione in condizioni di assoluto abbandono degli stessi a pratiche espletate. Si vuole veramente montare forse una nuova emergenza, per alcune migliaia di ragazzi che circolano senza meta. Saranno utilizzati a scopo elettorale? Intanto dalla Libia giungono nuovi profughi e l’U.E. ha già disposto che non potranno essere respinti al mittente.



Lampedusa: volontario canadese perquisito e trattenuto per ore
www.brogi.info 20 aprile 2011
Paolo Brogi
Ricevo questa denuncia da EveryOne, si aggiunge a quella pubblicata ieri, cosa sta succedendo a Lampedusa?
LAMPEDUSA, ATTIVISTA DIRITTI UMANI PERQUISITO E TRATTENUTO PER ORE DA AUTORITA’. EVERYONE: “ITALIA RISPETTI CARTA ONU A TUTELA DEGLI HUMAN RIGHTS DEFENDERS”
“Venerdì 15 aprile scorso Georges Alexandre, 42enne di origine canadese, difensore dei diritti umani del Gruppo EveryOne e del movimento “Kayak per il diritto alla vita”, è stato prima fermato e successivamente sottoposto a perquisizione personale e del suo furgone da Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza nell’isola di Lampedusa, dove opera da oltre cinque mesi offrendo assistenza ai migranti sbarcati dal Nord-Africa”. Lo rendono noto Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell’organizzazione umanitaria EveryOne. “Georges ha abbandonato il suo lavoro di impiegato in Canada per sposare la causa dei diritti umani a favore degli immigrati che in queste settimane sbarcano sulle coste di Lampedusa. E’ lì che li assiste giorno e notte con consigli sull’opportunità di richiedere protezione internazionale e con assistenza materiale continua, impiegando risorse personali per sfamare molti di loro e riparare ai loro bisogni più impellenti. E’ un uomo conosciuto da tutti, cittadini e forze dell’ordine, che ha recentemente documentato, anche per alcuni media stranieri, la condizione degli immigrati sbarcati sulle nostre coste”.
L’attivista, secondo quanto lui stesso ha riferito agli operatori di EveryOne, è stato fatto scendere nel pomeriggio di venerdì, in zona Albero Sole, dal furgone-camper all’interno del quale vive da una pattuglia di Carabinieri per un “controllo di routine”: gli sono stati chiesti i documenti personali e quelli del suo multivan. Successivamente, sono arrivati altri Carabinieri e agenti della Polizia di Stato, che hanno iniziato a interrogarlo sulla sua permanenza a Lampedusa, sul suo impegno per i diritti umani e sui suoi mezzi di sostentamento, mentre altri membri delle forze dell’ordine iniziavano a mettere a soqquadro l’abitacolo e la parte posteriore del camioncino. La perquisizione proseguiva, senza che Georges potesse ottenere spiegazioni, con lo smontaggio di alcuni neon interni al camper e l’esame accurato di ogni pertugio del veicolo, compreso il motore. Inoltre, tutti gli effetti personali dell’uomo venivano passati al setaccio. Dopo circa un’ora, giungeva sul posto una pattuglia della Guardia di Finanza con alcuni agenti, uno dei quali si identificava quale il responsabile del servizio aeronautico della GdF, che sottoponeva l’attivista alle stesse domande già poste da Carabinieri e Polizia. Due ore dopo l’inizio della perquisizione, intorno alle 19,15, l’uomo veniva condotto in caserma dai Carabinieri e nuovamente sottoposto a un serrato interrogatorio, mentre le Forze dell’ordine esaminavano i file contenuti nel suo PC. Alle 20,30 Georges Alexandre veniva rilasciato e gli veniva fatto firmare il verbale di perquisizione, dove veniva messo a conoscenza – solo allora! – della possibilità di farsi assistere da un legale durante la perquisizione testé effettuata, che non aveva dato esito ad alcunché di anomalo o illegale.
“Ciò che è accaduto al nostro attivista” commentano Malini, Pegoraro e Picciau, “è sintomo di un problema drammatico, ovvero la condizione cui in Italia e in altri Paesi sono soggetti i difensori dei diritti umani.  Gli operatori umanitari affrontano quotidianamente grandi rischi e subiscono, troppo spesso da parte delle autorità, controlli e pedinamenti, intimidazioni, denunce, perquisizioni, arresti e altri procedimenti iniqui. Ricordiamo alle autorità italiane” dichiarano gli attivisti, “che la missione degli Human Rights Defenders è riconosciuta dalle Nazioni Unite attraverso la Dichiarazione sui diritti e le responsabilità degli individui, dei gruppi e delle istituzioni sociali per promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali universalmente riconosciuti, adottata nel 1998. Pertanto,” spiegano, “ogni atto che impedisca lo svolgersi regolare della loro attività sul territorio, seppur giustificabile con motivazioni di ordine pubblico e attività di prevenzione, si configura come un chiaro abuso. Chiediamo alle autorità di Lampedusa, anche attraverso un appello al Ministro dell’Interno e al Ministro della Difesa, di non manifestare sospetto od ostilità al lavoro di Georges Alexandre e degli operatori umanitari come lui impegnati sul territorio per la tutela delle minoranze, ma di attenersi alla Dichiarazione delle Nazioni Unite e rapportarsi costruttivamente con l’attivismo per i diritti umani, componente essenziale della società civile in uno stato democratico. Abbiamo segnalato l’episodio” concludono i co-presidenti del Gruppo EveryOne, “all’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, allo Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla condizione dei difensori dei diritti umani, al Commissario europeo per la Giustizia, i Diritti fondamentali e la Cittadinanza e ai vertici di Front Line, organizzazione che tutela gli attivisti a rischio, affinché offrano sostegno a Georges Alexandre e prendano contatto con il Governo italiano, al fine di evitare la reiterazione di atteggiamenti ingiustificatamente duri nei confronti di Georges e del suo impegno civile in Italia”.



Lampedusa, ne sono sbarcati 760 tutti assieme Ad accoglierli i medici e gli infermieri in prima linea
I team di Medici Senza Frontiere e quelli dell'Inmp, (Istituto Nazionale Malattie della Povertà) intervengono per le diagnosi immediate sulle condizioni di salute dei profughi in arrivo. Donne in stato di gravidanza e anche diversi neonati di due, tre settimane. Il male di vivere altrove
la Repubblica, 19-04-2011
VALERIA PINI
LAMPEDUSA - Ne sono arrivati 760 tutti insieme. Erano stipati uno su l'altro su un peschereccio non più lungo di 25 metri. A bordo, 63 donne (molte in stato di gravidanza) e 7 bambini, compresi neonati, di 3-4 settimane. Una delle donne aveva rotto le acque ed è stata immediatamente soccorsa e ricoverata. L'imbarcazione ha lanciato le cime d'ormeggio sul molo turistico dell'isola alle 13.45 e ci sono volute un paio d'ore per sbarcare tutti. Ad accoglierli - oltre al personale medico e infermieristico del Poliambulatorio di Lampedusa - c'era l'équipe di Medici Senza Frontiere 1, composta da otto persone: un medicio, due infermiere (una delle quali ostetrica) due mediatori culturali che parlano arabo, un elogista, un responsabile del progetto, un addetto alla comunicazione.
Tre giorni e tre notti in mare. "Provengono tutti dall'Africa subsahariana  -  ha riferito Gianluigi Lopes di MSF  -  gente dal Ghana, dalla Costa d'Avorio, la Nigeria, ma anche dall'Asia, ilPakistan, il Bangladesh. Su tutti  -  ha aggiunto il componente dell'équipe dell'organizzazione umanitaria Premio Nobel per la pace nel 1999  -  le patologie tipiche prodotte da un viaggio portato a termine in condizioni davvero drammatiche: ipotermia, stato di chock, nausea da mal di mare, vomito, stato generale di prostrazione, depressione psicologica.  Hanno raccontato di essere stati tre giorni e tre notti in mare, ammucchiati in 760 uno su l'altro
su quel peschereccio che al massimo avrebbe potuto ospitare forse neanche un centinaio di persone".
Africani provenienti da Tripoli. Il peschereccio, che sarebbe partito tre giorni fa da una località non meglio identificata vicino Tripoli, è stato intercettato in mattinata dalla Guardia Costiera che lo ha così rimorchiato in porto.  "Dal primo triage medico sul molo - ha riferito Vittoria Gherardi, una dottoressa di MSF a Lampedusa - abbiamo constatato che le condizioni di viaggio di queste persone sono state estremamente dure: molti di loro erano debilitati ed il viaggio in mare ha gravato sui loro fisici già provati dalla guerra e dalla difficoltà di reperire generi alimentari in Libia. I bambini che sono stati allattati dalle donne in viaggio erano in buone condizioni di salute, anche se le madri presentavano forte spossatezza
L'altra équipe. Ma c'è anche un'altra squadra di medici, anche loro in prima linea, arrivata però una decina di giorni fa, nata per gestire l'emergenza a Lampedusa. E' il team dell'Inmp, 2l'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà, interviene per controllare le condizioni di salute delle persone, che vengono sottoposte al cosiddetto triage, la rapida diagnosi delle persone coinvolte in un  qualsiasi evento traumatico, come può essere una traversata in mare in condizioni disperate.
Ricominciano gli arrivi. Oggi, dopo quattro giorni di tregua, sono ripresi gli sbarchi. Alle tre del mattino sono arrivati 50 migranti 3e metà giornata un barcone con circa 700 persone a bordo. Arrivano dalla Libia e saranno trasbordati sulla nave Flaminia, che li porterà nei centri di accoglienza in diverse ragioni. "Siamo stati chiamati in piena notte per accogliere il primo barcone ed ora stiamo affrontando l'arrivo di questo secondo con centinaia di persone a bordo. A bordo ci sono donne e bambini", spiega Giustino Strano, coordinatore del progetto dell'Inmp per l'emergenza a Lampedusa.
La missione durerà 2 mesi. Il gruppo di lavoro dell'Inmp è arrivato sull'isola il 10 aprile. La missione che durerà due mesi e punta a dare dignità e accoglienza alle persone che sbarcano e garantire il diritto alla salute a tutta la popolazione presente  Lampedusa. Questo gruppo di lavoro multidisciplinare, composto da 23 operatori socio-sanitari, scende in campo ogni giorno per aiutare centinaia di persone. "Nel team c'è un rianimatore, un ginecologo, un pediatra, un infettivologo, uno specialista delle malattie della migrazione, ma anche uno psicologo. Sono aiutati da mediatori culturali e infermieri - dice Strano - che parlano la lingua degli immigrati e comunque tutti conoscono il francese e l'inglese".
Il viaggio. Il viaggio sui barconi della speranza verso l'Italia dura giorni ed è estremamente faticoso. I migranti arrivano a terra in condizioni difficili. "Sono giovani, ma affrontano ore di navigazione e quando sbarcano sono seriamente provati - dice Strano - sono bagnati, disidratati, soffrono di ipotermia e di malesseri provocati dalle estreme difficoltà del viaggio. Spesso hanno patologie alle vie urinarie comev cistiti o uretrite. Questo perché, spesso per pudore, durante il percorso trattengono i bisogni per giorni e giorni".
Non è facile ricominciare. Oltre ai vari problemi legati alla carenza di cibo ed acqua, gli immigrati, devono far fronte ai gravi problemi legati alla salute mentale. "Arrivano da lontano e sono disorientati - dice Strano - per questo, nel team il ruolo dello psicologo diventa fondamentale nel cercare di dare a chi me ha bisogno il supporto necessario. Un bisogno condiviso con gli abitanti di Lampedusa, nello stato di emergenza nel quale ci troviamo". Per tutti non è facile ricominciare.
Il male di vivere altrove. Uno studio effettuato dall'UC Davis School of Medicine 4 e del National Institute of Psychiatry, in Messico, si è concentrato sulla migrazione dei messicani verso gli Stati Uniti, ma i risultati sono validi anche nel nostro caso, in quanto applicabili ad ogni persona che varca i propri confini illegalmente e si ritrova a dover affrontare una nuova lingua, nuove leggi e nuove abitudini senza la protezione della legalità. Secondo questo studio, per loro il rischio più grave è quello di precipitare nella depressione. La ricerca pubblicata sugli Archives of General Psychiatry 5, rivela che i migranti, di solito, hanno tra i 18 e i 25 anni ed hanno quattro volte e mezzo più possibilità di ammalarsi di un disturbo depressivo, rispetto ai loro coetanei della stessa età che non emigrano.
L'équipe della Croce Rossa. I volontari della Croce Rossa Italiana sono impegnati dalle prime ore del pomeriggio nelle operazioni di soccorso e assistenza ai migranti sbarcati a Lampedusa. Per assisterli sono al lavoro 26 volontari della Croce Rossa Italiana 6, tra cui il Direttore Sanitario Fabio Romitelli, 3 medici, 8
infermieri e personale addetto alla logistica. "Con i nostri volontari  - spiega Fabio Romitelli - abbiamo prestato soccorso immediato al molo, al momento dello sbarco, e al Posto Medico Avanzato (PMA) della CRI, dove abbiamo effettuato 27  prestazioni sanitarie. I migranti presentano sintomi di ipotermia, disidratazione, patologie addominali, traumi toracici, diabete scompensato. La Croce Rossa Italiana ha assicurato loro il triage e la stabilizzazione dei parametri clinici".



Il parto di Vivian tra le urla dei disperati  "Quella carretta rischiava di capovolgersi"
la Repubblica, 20-04-2011
ATTILIO BOLZONI
LAMPEDUSA—Toccano terra e scoprono di essere vivi. Uno s'inginocchia e prega il suo Dio. A Lampedusa sbarca in massa un'umanità africana, la carne da macello di Gheddafi per i suoi ricatti. Barcollano, sembrano ubriachi.Di paura e di felicità. Sono tutti in fila indiana. Cento. Duecento. Cinquecento. Settecento. Ottocento quasi. Mai cosi tanti ce n'erano stati sopra un peschereccio approdato su quest'isola. Mai tutti in una volta li avevamo visti pigiati nella fetida stiva di un barcone che solo per buona sorte è scivolato in porto con il suo carico di congolesi e ghanesi, di senegalesi e ivoriani, nigeriani, liberiani, sudanesi. Tutti neri. Uomini e donne e bambini. Tutti tramortiti da due giorni e due notti nel Mediterraneo e tutti in trance per avercela fatta.
Ce l'ha fatta il ragazzino con i pantaloni laceri che saltella come se fosse in discoteca. Ce l'ha fatta la signora con addosso il suo cappotto più elegante, lungo e rosso vermiglio con il collo di pelliccia. Ce l'hanno fatta l'altra donna che tiene fra le braccia la sua bellissima bimba con le treccine, quello alto e smilzo con la sacca dell'Inter, quello basso senza una scarpa, la moglie che bacia il marito, l'altro marito che accarezza la moglie. La piü incrédula di tutti loro forse è Vivian, che quando l'isola frontiera era ancora all'orizzonte aveva cominciato a tremare e a urlare dal dolore perche li, su quel legno fradicio, stava per partorire. «C'è una donna incinta... si sono rotte le acque», grida via radio un ufficiale delia Guardia Costiera. Il barcone fa in tempo a entrare in rada e Vivian Ekmek, ventitré anni, nigeriana, il marito rimasto a Tripoli, fa in tempo a far nascere la sua bambina al poliambulatorio di Lampedusa. Alle 16,01 Lampedusa ha un'altra figlia. Qui dove le donne prendono l'elicottero per far nascere i loro bimbi lontano, qui continuano a nascere i figli del popolo che viene dal mare. L'ultima pesa tre chili e trecento grammi. E ancora non ha un nome.
Stanno tornando. Sono tornati. In tanti, tantissimi. L' aveva annunciate il vento che era calato, l'aveva annunciate anche il rais libico che avrebbe rovesciato un'infinità di neri sull'Europa che lo bombarda. Quindicimila, dicono. I primi mille erano pronti a salpare all'alba di domenica, li avevano radunati intorno ad Al Zwara ma poi sul peschereccio non ce ne stavano piü di 760:680 uomini, 63 donne, 17 bambini. Rotta verso l'ltalia del barcone più carico di disperati mai arrivato a Lampedusa, il record era di 545, i tunisini di quattro settimane fa che si erano accampati sulla collina della vergogna.
Rotta verso la Sicilia, le spiagge agrigentine di Licata. «Erano diretti là quando li abbiamo avvistati», racconta il capitano di vascello Vittorio Alessandro che era in mare con i suoi uomini della Guardia costiera per pilotare il peschereccio verso la salvezza. I radar li avevano intercettati a 40 miglia da Lampedusa, in acque internazionali. A 35 miglia l'abbordaggio, poi il lentissimo e inquieto viaggio verso l'isola. Il barcone dondolava senza onde, a ogni virata sembrava che dovesse capovolgersi. «Il momento più pericoloso, eravamo tutti con il fiato sospeso», dice il comandante Cosimo Nicastro. Il barcone tagliava il mare a una velocità di 7 nodi, se non l'avessero avvistato subito sarebbe arrivato a Licata almeno dieci o dodici ore dopo. Con un po' di moribondi e forse anche di morti. Con Vivian che forse avrebbe perso sua figlia. Con tante altre donne incinta che non avrebbero resistito ad un'altra notte di traversata.
E invece in un primo pomeriggio di sole violente la chiglia sporca di ruggine del barcone sfila fra il molo e gli scivoli di cemento del porto di Lampedusa, i medici di Senza Frontiere sulla banchina, i poliziotti, i volontari, quelli délia Croce Rossa, gli abitanti dell'isola che si precipitano a presenziare all'ultima invasione. Dal barcone cominciano a scendere. Uno dopo l'altro. Acqua e merendine per tutti, quattro barelle per i più debilitati, le ambulanze che partono, una decina di ragazzi sotto choc, altri disidratati, altri ancora assiderati. E tutti storditi.
Ammassati sul piazzale del porto, comincia la conta. Settecentosessanta neri di pomeriggio e altri cinquanta tunisini di mattina. Arriva al porto anche il sindaco Bernardino De Rubeis: «Ce l'aspettavamo questo sbarco, chiamerò Berlusconi per spiegarli che quello che diceva Gheddafi sta awenendo». Quello che nessuno può ancora esattamente dire è ciò che accadrà fra l'Africa e Lampedusa nelle prossime ore e nei prossimi giorni.
II vento di maestrale è sceso nellanotte ma dadomani comincerà ad alzarsi unoscirocco «molto tirato», 25 nodi, cinquanta all'ora. I profughi sbarcati raccontano che un altro grande barcone ha lasciato la costa libica venti- quattro ore dopo il loro peschereccio. Lo scirocco incrocerà di traverso quel barcone quando gli altri disperati si troveranno proprio in mezzo, fra Tripoli e Lampedusa. C'è moita gente che ha cominciato a pregare per loro, da questa e dall'altra parte del mare.



"Un'odissea stare qui ma nei centri non torniamo"
I racconti dei giovani in attesa a piazza Cinquecento: "Il vero problema è il posto per la notte. Non troviamo niente"
la Repubblica, 20-04-2011
"Io sono rimasto 17 giorni a Lampedusa". "Io sono stato 10 giorni a Napoli". "Io sono arrivato qui a Roma coi pullman che ci hanno scaricato a Grottarossa". "Io sono scappato da Trapani". "Io sono di Tunisi". "Io sono partito da Sfax". Storie che si replicano, esperienze vissute uno a fianco all'altro. I tunisini a Roma, quelli che stazionano davanti alla stazione Termini, hanno affrontato situazioni difficili. Da settimane sono lontani dalla loro terra che hanno deciso di lasciare, nella speranza di trovare qualcosa di nuovo e di buono al di là del mare.
Quello stesso mare che ha tradito molti di loro e che ha rischiato di far male anche a chi ora è a Roma, nella speranza di raggiungere amici e parenti. Al nord ("Dov'è la stazione Tiburtina? - domanda uno di loro - devo prendere un treno per Padova") o all'estero. Lontano dal mare. "Il viaggio è stato faticoso - raccontano, e Dorsef traduce lei che è romana figlia di tunisini e che li aiuta - il mare era grosso, la barca faceva acqua".
Il nome non lo vogliono dire, "non ha importanza". C'è un giovane, ha 23 anni, che in Tunisia ha lasciato i genitori malati. "Sono venuto in Italia per lavorare, perché ho bisogno di mandare loro i soldi per l'intervento e le medicine". Medicine che servono anche ad alcuni di loro: "Uno si è preso la polmonite, un altro ha una cistite. Li ho portati al pronto soccorso qualche giorno fa", prosegue Dorsef.
Qualcuno si sofferma su quei lunghissimi giorni in attesa sul molo di Lampedusa: "È stato un inferno, non ci hanno trattato bene". E ora, cosa succederà? "Nei centri non ci torniamo, questo è certo", dicono tutti. È questa la loro bussola. Per questo preferiscono dormire in strada, piuttosto che andare da chi promette un tetto, ma chiede di sapere la loro provenienza: "Vogliono sapere in quale centro stavamo, da dove siamo scappati. Così poi ci rispediscono lì. No, in quei posti non ci andiamo, non sono sicuri".
“Disoccupazione nulla fra gli immigrati? Forse Tremonti si riferisce solo al Nord”
Giornale di Puglia, 20-04-2011
BARI. “Quando il Ministro Tremonti afferma che in Italia abbiamo accolto quattro milioni di immigrati e non gli risulta che tra i giovani stranieri ci sia disoccupazione, immaginiamo si riferisca alle condizioni delle regioni settentrionali, dimostrando ancora una volta di non rivolgere alcuna attenzione al Mezzogiorno. Stando alle esperienze condivise dagli immigrati nelle nostre strutture sindacali e nei luoghi di lavoro, la realtà è ben diversa e sicuramente non altrettanto edificante ed ottimistica. Tanti sono costretti a lavorare sottopagati e sfruttati, con orari che superano, a volte, le dodici ore giornaliere”.
Il Segretario Generale della Uil di Puglia e di Bari, Aldo Pugliese, replica con decisione alle dichiarazioni del Ministro dell’Economia Tremonti, denunciando una situazione lavorativa, per gli immigrati residenti nel Sud d’Italia, tutt’altro che agevole.
“Ricordiamo bene il dossier pubblicato qualche anno fa dal settimanale L’Espresso – continua Pugliese - che indagava sulla realtà occupazionale e lavorativa nel Foggiano durante la raccolta del pomodoro. Lavoratori immigrati che, dopo aver subito per mano dei caporali il sequestro dei documenti d’identità, lavoravano in condizioni assimilabili solo alla schiavitù ed erano costretti a vivere e riposare in strutture abbandonate, fatiscenti ed insalubri. In quel periodo la Regione Puglia emanò una legge contro il lavoro nero e sommerso che ha dato risultati positivi, grazie a costanti controlli ed ispezioni, ma per un solo anno. Oggi, a distanza di tempo, la realtà è tornata ad essere quella del dossier. Questo è il lavoro disponibile nelle nostre terre, il lavoro che soltanto gli immigrati, in condizioni di disperazione, accettano, a fronte del rifiuto dei nostri giovani. Giovani italiani con un elevato livello di scolarità e che in molti casi sono laureati a pieni voti, giovani della nostra Regione tra i quali il tasso di disoccupazione si attesta, a dicembre 2010, secondo i dati Istat, al 39,5%. Giovani che quando riescono ad ottenere un posto di lavoro, come manovali o nel settore del pulimento, gioiscono come se di un risultato straordinario si trattasse. Se Tremonti fa riferimento a posti di lavoro liberi nel Settentrione, facciamo presente che moltissimi giovani, ben volentieri, sarebbero disponibili a lavorare anche fuori dalla propria terra d’origine. Mentre nelle Regioni settentrionali il saldo migratorio – conclude il Segretario Generale della Uil di Puglia e di Bari - calcolato come differenza tra iscrizioni e cancellazioni per trasferimento di residenza, tra i laureati è ampiamente positivo, in Puglia si attesta a -9,3, mentre nel Mezzogiorno la perdita netta di laureati, nel quinquennio 2000-2005, è stata di 50mila. Ma non dobbiamo dimenticare che la quasi totalità di quei posti vacanti sono di un livello retributivo talmente basso da non garantire condizioni di vita dignitose. Non possiamo, quindi, che essere d’accordo con il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi quando afferma che ‘senza occupazione non si esce dalla crisi’”.



Profughi tunisini, ultima fermata Termini 150 rifugiati sopravvivono alla stazione
Hanno il permesso di soggiorno, ma non una casa: cibo e coperte da 4 volontarie loro connazionali «Fonderemo un'associazione: si chiamerà dignità»
Corriere della sera, 20-04-2011
Rinaldo Frignani
ROMA - Martedì mattina un tunisino che da anni vive a Roma ha cucinato il cous cous in piazza della Repubblica. Piatti di carta, bottiglie d'acqua e finalmente sorrisi per oltre un centinaio di profughi tunisini che aspettano da giorni di poter salire su un treno per la Francia. Soli, affamati, preoccupati per un futuro che, la rocambolesca traversata del Mediterraneo e lo sbarco a Lampedusa, continua a essere incerto, gli immigrati hanno trasformato via Giolitti, all'angolo con piazza dei Cinquecento, in un presidio fisso. Una testimonianza diretta di quello che accade nel Nordafrica e che potrebbe accadere presto in molte città europee.
«La stazione Termini non è un accampamento, ma ci manca poco: la situazione è drammatica». A parlare è Saidi Mehe, da 19 anni in Italia, da 5 a Roma, al Tuscolano. È lei, con altre tre tunisine, a occuparsi dell'assistenza ai connazionali. Nessuno le ha chiesto di farlo. «Ma bisogna anche dire che nessuno muoveva un dito: nè la nostra ambasciata, nè il consolato - spiega in una breve pausa mentre distribuisce la cena ai profughi, anche questa pagata con una colletta dalle quattro volontarie -. Nel nostro centro culturale, vicino piazza Bologna, hanno accolto questi ragazzi per due ore, poi li hanno mandati via».
Con Saidi c'è Ouiem Abidi, un'interprete del tribunale, a Roma da 22 anni, che vive a Centocelle: «Siamo volontarie, ma soprattutto tunisine: abbiamo deciso di aiutare i nostri ragazzi dopo averli visti per giorni qui, vicino alla stazione, senza che sapessero dove andare».
Martedì sera erano quasi 150, provenienti dai centri d'accoglienza di Civitavecchia, Napoli, Caserta. Per la maggior parte ragazzi fuggiti dal sud della Tunisia. Tutti i profughi hanno il permesso di soggiorno temporaneo, ma in tasca niente soldi. Saidi ha raccolto un'ottantina di nomi per i biglietti per il primo treno per Ventimiglia: «Dovrebbe pagarli la Sala operativa sociale, almeno speriamo - spiega la volontaria, cameriera in un ristorante - altrimenti non sapremo come fare. I primi 12 li abbiamo pagati noi, con i nostri soldi, ma così non si può andare avanti per molto».
E poi, prosegue Saidi, «c'è il problema di dove farli dormire: sono profughi e come tali non possono finire in centri da dove non li farebbero uscire. Forse sarebbe il caso di riaprire per loro i centri per l'emergenza-freddo». Nella serata di martedì, il Comune ha offerto una struttura in periferia, anche perché il primo treno disponibile è previsto per questa mattina.
«Speriamo che la situazione possa migliorare - conclude Saidi - anche perché per le forze dell'ordine siamo noi a essere responsabili per i profughi, in caso di danni alle strutture o altri problemi. Non è giusto, ma è così. E perciò abbiamo deciso di fondare un'associazione: si chiamerà karama, che in tunisino vuol dire dignità».



Lo sdegno di Touadi "Nessun piano d'accoglienza"
Il deputato del Pd attacca la gestione comunale."Ora è urgente una grande staffetta di solidarietà". La Protezione civile: "Impossibile l'assistenza per chi la rifiuta"
la Repubblica, 20-04-2011
Usa un termine ostico, lo conia per l'occasione. Parla di "clochardizzazione forzata", "di giovani persi nei meandri della nostra inadeguatezza politica e organizzativa". Jean-Leonard Touadi, deputato del Pd, ex assessore alla sicurezza della giunta Veltroni, getta una luce sull'emergenza immigrazione che il sindaco Gianni Alemanno sta cercando in tutti i modi di tenere lontana da Roma. "La stazione - racconta Touadi - è diventata da giorni il centro di "accoglienza" targato Alemanno-Maroni. L'improvvisazione, la demagogia e l'incapacità organizzativa sono sotto gli occhi di tutti: basta girare in città e sostare pochi minuti alla Termini, nel cuore di quella Roma che Alemanno voleva "free immigration" per incontrare ragazzi tunisini stanchi, smarriti, malati, che dormono all'addiaccio e sopravvivono da giorni grazie alla solidarietà di quattro volenterose donne della comunità tunisina". Il deputato Pd si augura "una staffetta di solidarietà nei confronti di questi giovani. Non possiamo permetterci, dopo aver minacciato la nostra uscita dall'Europa per questo, che la sorte dei ragazzi tunisini sia affidata alla buona volontà delle quattro eroine tunisine di Termini".
Dal Campidoglio, ieri, nessuna replica. Valgono le parole di due giorni fa, quando Alemanno aveva assicurato, di concerto col prefetto, che Roma sarebbe rimasta esclusa dal programma di accoglienza che sta predisponendo la Protezione civile, coordinato con le Regioni e gli enti locali. Un programma che ieri, la stessa Protezione civile, ha ricordato essere basato "sul principio dell'equa distribuzione" e che "offre assistenza a quanti, in possesso del permesso di soggiorno, la richiedono". Aggiungendo, però, che "non è possibile fornire assistenza a coloro che, pur avendone i requisiti, scelgono di non usufruirne, così come resta evidente che l'accoglienza viene assicurata nelle strutture indicate dalle cabine di regia regionali". Come a dire: tutto il resto è improvvisato e non è sotto la nostra responsabilità.
Ieri, intanto, la commissione regionale Lavoro ha fornito i dati ufficiali dell'emergenza, partendo da Civitavecchia, "il comune maggiormente coinvolto nell'accoglienza dei 700 profughi giunti via mare da Lampedusa a partire dal 5 aprile". Nell'accoglienza è coinvolta anche la Asl che ha costituito un'unità di crisi per far fronte all'emergenza. Anche qui forniti alcuni dati: "L'operazione, fino a oggi, è costata 180mila euro, di cui 5mila di soli farmaci". A costo zero, invece, risulta il trasferimento nel Lazio di 95 minori tunisini non accompagnati smistati nei vari centri di accoglienza. La commissione ha anche affrontato la questione dei nuovi arrivi, "a fronte di una proiezione massima di 5mila presenze".



Rifugiati, rivolta a Castelnuovo di Porto: «Troppi rom al centro d'accoglienza»
Pronte manifestazioni di piazza. Il sindaco Stefoni ha dormito una settimana in auto davanti alla Provincia di Roma. I primi cittadini di 17 comuni contro il «Cara»
Corriere della sera, 18-04-2011
Alessandro Fulloni   
ROMA - Troppi rom al posto dei rifugiati in quello che dovrebbe essere un centro per i profughi. «Occorre inventarsi qualcosa di ancora più eclatante che forse potrebbe arrivare già nella giornata di lunedì 18, altrimenti non so se qualcuno ci darà retta. Ma devono capire che tutti quei rom nella nostra città proprio non possiamo ospitarli». Il sindaco di Castelnuovo di Porto Fabio Stefoni non si dà per vinto, anche se le proteste che ha organizzato, le manifestazioni e le petizioni almeno per ora non sono servite a niente. Inutile anche quella settimana di presidio «h 24», iniziata lunedì 11 aprile e trascorsa dormendo scomodamente nella sua Smart davanti a palazzo Valentini, la sede della Provincia di Roma dove, tra l’altro, Stefoni è anche consigliere. Per gli zingari sgomberati dalle decine di campi abusivi della Capitale è cominciato il trasferimento al «Cara» (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) che si trova proprio a Castelnuovo, lungo la via Tiberina.
ALEMANNO: «AL CARA ALLOGGI TEMPORANEI» - Un orientamento annunciato dal sindaco Alemanno all’assemblea capitolina straordinaria sul piano nomadi. «E’ bene però che la struttura che servirà per l’identificazione e l’alloggio temporaneo – ha precisato con cautela il primo cittadino di Roma - non si riempia: Castelnuovo deve essere un campo di rotazione e non fisso».
LA PROTESTA DI 18 SINDACI - Parole che non hanno certo rassicurato il suo collega di Castelnuovo (anche lui del Pdl) e gli altri 17 amministratori delle cittadine comprese nel distretto Roma Nord (tra cui Nazzano, Riano, Formello, Campagnano, Capena e Riano) che già nella giornata di lunedì 18 aprile potrebbero annunciare iniziative di protesta comuni. Tutte in sintonia con quelle già attuate dal battagliero Stefoni che giorni fa, prima di mettersi a dormire nella Smart, ha dato le dimissioni - «un altro modo per cercare di essere ascoltato» - dal suo incarico.
A ruota potrebbe seguirlo per primo quello di Morlupo, Marco Commissari, che si è detto «solidale con Stefoni». «Le decisioni prese a Roma non le comprendo - attacca Commissari -. Oggi ci costringono a ospitare i nomadi, domani potranno obbligarci ad accettare una discarica: insomma, siamo davanti a una specie di precedente. Se ci sottomettiamo ora, la Capitale farà ciò che vuole della provincia». Resta in ballo l’ipotesi delle dimissioni di massa, anche se non tutti i sindaci sono convinti.
PRESIDIO DEI CITTADINI – E’ un punto, questo, su cui tutti i sindaci si sono trovati d’accordo al termine di una riunione che si è tenuta giovedì 14. A preoccuparli è il clima d’insofferenza che stanno registrando nei bar e in piazza. A Castelnuovo di Porto un presidio di cittadini ogni sera piantona l’ingresso del Cara, bloccando a singhiozzo la via Tiberina. E quel che è successo venerdì a Grottarossa, con un gruppo di persone che ha bloccato l’arrivo di 3 pullman di profughi tunisini provenienti da Caserta e diretti al nord, non rassicura certo nessuno.
«SI AI MAGREBINI, NO A AI ROM» - Stefoni precisa però che «noi siamo pronti a ospitare tutti i magrebini che chiedono asilo ma non i nomadi. E non certo per ragioni di etnia. Finora la cittadinanza è stata tollerante, con i rifugiati abbiamo iniziato un percorso di integrazione, col nostro Bilancio paghiamo la mensa e i campi estivi ai figli. Adesso dovremmo ricominciare daccapo. Ma i rom hanno problematiche diverse, sia a livello sociale sia di sicurezza. La popolazione aumenterebbe del 15 per cento e noi disponiamo soltanto di quattro vigili e nessun servizio sociale».
GLI SGOMBERI PROSEGUONO - Mentre carabinieri e polizia rafforzano la loro presenza a Castelnuovo, gli sgomberi dei campi abusivi a Roma intanto proseguono. Al termine delle operazioni di sgombero i circa 6.000 nomadi presenti nella città verranno ospitati in 10 villaggi attrezzati, in due campi di nuova realizzazione oltre che in alcune delle strutture già esistenti come Salone, Gordiani, Candoni, River, Castel Romano, La Barbuta, Cesarina e Lombroso.
IL PREFETTO RINGRAZIA MEDICI - «Entro maggio sarà pronto il campo della Barbuta - ha spiegato il prefetto Giuseppe Pecoraro, in veste di commissario ai rom- .Al momento del mio insediamento, nel novembre 2008, i campi attrezzati erano sette e sono rimasti sette perché da tutti i comuni e i municipi ho ricevuto una serie di no, con l’eccezione del presidente del X municipio Sandro Medici, grazie al quale stiamo allargando La Barbuta».



Nomadi, giornata di sgomberi «Ma dove andranno?»
In 500 mandati via dai campi di via Severini e dall'ex Miralanza. Alemanno: posti pericolosi. Le associazioni: ora si disperderanno in città. Pd: governo irresponsabile
Corriere dela Sera, 19-04-2011
ROMA - Cinquecento persone sgomberate. Nomadi, rom, romeni lunedì hanno preso i loro pochi averi e sono stati mandati via da due campi dove da qualche tempo risiedevano. Aiutate da forze dell'ordine, vigili urbani e, in un caso anche dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, le ruspe hanno distrutto nella mattina baracche e abitazioni improvvisate in via Serafini, VII Municipio, e poi, nel pomeriggio, liberato la ex Miralanza in zona Marconi. Polemiche e critiche da associazioni e opposizione con tutti che chiedono all'amministrazione comunale che ha deciso gli sgomberi: dove andranno? E mentre in serata è scoppiato un incendio nel campo sulla Collatina, martedì mattina è stato trovato morto un 50enne in una baracca del campo di via Candoni.
VIA SEVERINI - Baracche fatte di pezzi di legno e lamiera, una mini-discarica di rifiuti, forni a gas all'ingresso delle casupole. Lo scenario di degrado del campo nomadi abusivo in via Serafini al VII Municipio, ha accolto lunedì mattina il sindaco di Roma Gianni Alemanno; con lui c'erano il delegato alla Sicurezza Giorgio Ciardi e il comandante dell'VIII gruppo della polizia municipale Antonio Di Maggio. Tutti hanno assistito alle operazioni di sgombero. Ruspe al lavoro e circa 200 nomadi allontanati. «È chiaro che il trasferimento in altra sede è stato chiesto più volte - dice il presidente del VII Municipio Roberto Mastrantonio - poiché quei cittadini vivono in condizioni assolutamente disumane tra enormi cumuli di rifiuti, ratti di dimensioni gigantesche e privi di ogni assistenza socio-sanitaria, tra l’altro a ridosso del Centro Carni del Comune di Roma dove ancora si effettua il trattamento di tipo alimentare, ma noi avevamo chiesto il trasferimento in una situazione migliore e non lo sgombero fine a se stesso: queste persone non troveranno altre collocazioni, andranno invece a ricostituire microcampi in punti diversi della città».
L'INCENDIO - E in serata, nel campo appena sgomberato scoppia un incendio. Secondo quanto si apprende, si tratterebbe di un grosso rogo di rifiuti da cui si sono sollevate due colonne di fumo nero visibili fino al quartiere Talenti. Sul posto sono al lavoro tre squadre dei vigili del fuoco e la polizia municipale. Non si esclude che possa essere stato appiccato dagli stessi nomadi in segno di protesta. Chiuso al traffico dalla polizia municipale del Gruppo VII il tratto di via Collatina compreso tra via De Chirico e via Palmiro Togliatti. I focolai dell’incendio sarebbero due.
ALEMANNO: «I CAMPI ABUSIVI SONO PERICOLOSI» - Agli sgomberati di via Severini, donne e bambini, è stata offerta accoglienza al Cara, il centro per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, ma nessuno ha accettato. «Se non hanno risorse siamo disposti a fare anche rimpatri assistiti», ha detto Alemanno a una donna che gli spiegava di non avere i soldi necessari per tornare in Romania. «Ci lasci stare qui almeno fino alla Santa Pasqua, poi andremo via», è stata la preghiera di un altro nomade al sindaco, che però ha spiegato: «Non è possibile, è un posto troppo pericoloso». Alemanno ha ricordato che si tratta del «70esimo sgombero dall'inizio di aprile». E ha aggiunto: «Dobbiamo cancellare tutti i campi abusivi perchè sono posti pericolosi che possono diventare forni crematori soprattutto per i bambini, e poi perchè ci sono problemi di ordine pubblico». Il campo è stato diviso in quattro settori, e nel primo sono stati censiti 39 nomadi, di cui 15 pregiudicati con precedenti anche per rapina. Molti di loro hanno chiesto di potere almeno prelevare pezzi di ferro e alluminio da rivendere. «Se hanno un modo per prendersi i materiali che possono essere riutilizzati - ha risposto Alemanno - possono portarli via purché non si tratti di refurtiva che comunque finora non è stata trovata. Ma l'abbattimento del campo non può essere rinviato».
«DOVE ANDRANNO? NON SI SA» - «I circa 200 rom sgomberati hanno rifiutato l’offerta del Comune per l’assistenza sociale soltanto a donne e bambini. Hanno preferito tutti andarsene per conto loro e si sono incamminati sulla strada in fila indiana. Dove andranno, non si sa». Così Gianluca Staderini dell’associazione Popica che si occupa di rom rumeni, presente stamani al campo di via Serafin. «Ci sono parecchi bambini e la processione di carrozzine lo dimostra - spiega ancora Staderini - tra i bambini del campo c’era anche una discreta scolarizzazione. Ora non abbiamo idea dove si disperderanno per la città. La polizia municipale li sta seguendo probabilmente per impedire che si insedino da un’altra parte». E Mastrantonio aggiunge: «Il piano di Alemanno si è rivelato fino ad ora un fallimento costoso per la collettività sia in termini economici che in termini sociali. C’è bisogno quindi dell’apertura di un vero tavolo di confronto dove si possa discutere di questo tema; io l’ho fatto chiedendo audizione alla Commissione congiunta Sicurezza e Servizi Sociali del Comune di Roma su Via Severini ma non ho avuto nessuna risposta concreta, segno che ormai la politica degli sgomberi fine a se stessi sta diventando una prassi della Giunta Capitolina».
L'ATTACCO DAL PD CAPITOLINO - Critiche dal Pd di Roma per bocca del suo segretario Marco Miccoli: «Anche oggi sui nomadi registriamo un’altra giornata di ordinaria follia che il sindaco ha nuovamente regalato a Roma. Prima l’incendio al campo de La Barbuta che ha creato difficoltà addirittura all’aeroporto di Ciampino e sul Gra. Poi gli sgombri-spot fatti in alcuni microcampi della Capitale, senza però prevedere dove trasferire i Rom, che così si sono sposati nelle zone vicine e presto ricostruiranno altri nuovi accampamenti abusivi. Tutto ciò dimostra il pressappochismo di questo sindaco che ormai pensa solo a fare campagna elettorale ma non a governare la città. Senza un piano di accoglienza ben preciso, i campi nomadi sgomberati si moltiplicheranno in città come funghi. Ma si può governare in questo modo irresponsabile?».
EX MIRALANZA - E nel pomeriggio c'è stato il bis. Circa duecento persone, la maggior parte di nazionalità rumena, sono state sgomberate dallo stabile della ex Miralanza, in zona Marconi. L’operazione, condotta dalla polizia municipale e dalla polizia di Stato. Nel gruppo degli sfollati quaranta sono i bambini, ai quali, insieme alle madri, il Comune di Roma ha proposto il pernottamento presso il Cara di Castelnuovo di Porto. Proposta rispedita al mittente da parte di tutti i duecento sfollati. «Metteremo presto in sicurezza quest’area - ha detto Ciardi, delegato del sindaco per la sicurezza - stiamo aspettando l’arrivo dell’escavatore per demolire le baracche abusive. Dopodiché provvederemo a sistemare con reticelle, con base in calcestruzzo, l’intera area in modo tale da prevenire eventuali ritorni di accampamenti abusivi. Rafforzeremo anche i controlli sul territorio da parte delle forze dell’ordine. Purtroppo è un sito archeologico industriale soggetto a vincoli, per questo non è facile trovare privati disposti a investire».
LE ASSOCIAZIONI: IDENTIFICATI DA FORZE DELL'ORDINE - Assieme ai nomadi sfollati erano presenti rappresentanti di associazioni no-profit: "l’Arpj", "l’Arci" e "Popica". «Proprio ieri il delegato del sindaco all’emergenza Rom, Najo Adzovic, aveva prospettato una trattativa col Comune per far sì che gli interi nuclei familiari fossero poi trasferiti al Cara. Ma questa possibilità oggi è stata disattesa con questo sgombero - dice Ulderico Daniele dell’Arpj - evidentemente o il delegato non conta nulla, o dietro c’è qualcos’altro. Fare questo di proposte e poi disattenderle significa non voler fare nulla». I rappresentanti delle associazioni: "Siamo stati identificati dalle forze dell’ordine che ci hanno chiesto i documenti. È passata più di un’ora e ancora non ce li hanno restituiti. Non sappiamo dove si voglia arrivare». E il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti in una nota sottolinea: «È importante che Roma non perda la sua anima solidale e la sua millenaria vocazione all'accoglienza. Bisogna che tutti collaborino per ascoltare e risolvere i problemi posti dai cittadini, evitando che i loro disagi e la loro rabbia si scarichino sugli ultimi».
«AIUTIAMO SOLO DONNE E BAMBINI» - Presente anche, all’operazione di sgombero, il consigliere comunale Fabrizio Santori, presidente della commissione Sicurezza, il quale ha detto: «Questa associazioni fomentano questa gente. L’offerta di assistenza da parte del Comune era chiara, è soltanto per donne e bambini. Gli uomini devono organizzarsi. Possono prendersi in affitto un appartamento e possono trovarsi un lavoro. Come d’altronde fanno tutti gli italiani. Non vedo perché l’Italia, che tra l’altro è stata presa a pesci in faccia dall’Europa, non debba fare come la Francia: rispedire a casa coloro che dimostrano di non avere un reddito di sostentamento. Noi aiuteremo i soggetti deboli: donne e bambini, attraverso i centri di assistenza; ma non possono pretendere che li aiutiamo tutti». Lo sgombero è avvenuto in maniera pacifica, e senza nessun tipo di incidenti. La maggior parte delle duecento persone si trova comunque ancora fuori allo stabile evacuato. Molti di loro non sapendo dove andare hanno detto: «Rimarremo qui fino a quando non ci indicheranno dove poter andare anche perché avevano detto di assisterci fino a giovedì giorno in cui molti di noi sarebbero potuti ritornare in Romania».



Voleva l'apartheid in metrò, ora va con Pisapia
il Giornale, 20-04-2011
Chiara Campo
Nell’Italia dei Valori spunta il nome di Raffaella Piccinni, che propose la metro riservata agli extracomunitari. Leghista dura e pura, è uscita dal Carroccio considerandolo troppo soft su nomadi, integrazione e sicurezza. In una lettera di fuoco ha accusato Bossi di voler "regalare la casa ai rom". Vagoni per immigrati anche nel programma di Di Pietro?
Chissà se prima di sbilanciarsi si era guardato bene «in casa». E questa volta, nessun riferimento a quella della vicenda affittopoli che lo ha travolto qualche mese fa. È un’altra storia. Giuliano Pisapia lunedì sera è tornato a invocare la partecipazione al voto «ai tanti che sono venuti a Milano». Un chiaro riferimento agli immigrati. Durante il primo confronto aperto con il sindaco Letizia Moratti e il candidato del terzo polo Manfredi Palmeri, l’ex parlamentare di Rifondazione che corre per il centrosinistra pensava forse di strizzare l’occhio (intanto) agli stranieri che il certificato elettorale in tasca già ce l’hanno. E chissà dove cadrà l’appello se avranno la pazienza di spulciare l’elenco dei suoi supporter.
Basta un occhio alla lista dei candidati dell’Italia dei valori. Tra chi corre con Di Pietro per il consiglio comunale c’è Raffaella Piccinni, ex leghista di ferro, battezzata «più a destra di Bossi» visto che in una lettera di fuoco al Senatur - e al partito che l’aveva candidata in Provincia due anni fa - lo ha accusato addirittura di voler «regalare le case ai rom». Per la sua linea dura contro gli zingari è riuscita persino a farsi sospendere dal Carroccio, che proprio tollerante con i nomadi non è mai stato.
Ma la Piccinni, tassista e portavoce del sindacato autonomo delle auto bianche, si era fatta già notare nel 2009, alla presentazione della lista per le provinciali. Riuscì a superare il lumbard Matteo Salvini, che non è proprio un moderato e si trovò a cavalcare la proposta lanciata dall’outsider. «Bisogna riservare vagoni in metrò solo per gli extracomunitari, ci sarebbe più sicurezza» esordì la new entry, che su internet cura il blog «Psicotaxi». «Poi arriverà Dario Franceschini con il mocassino a dire che stiamo ghettizzando» aggiunse contro il leader del Pd, aizzando la valanga di polemiche che poi si sono in effetti scatenate. Prime pagine e tg nazionali, linciaggio da parte di quelli che oggi sono i compagni di partito e gli alleati della coalizione.
L’avventura leghista della sindacalista delle auto bianche è durata poco. Il legame si è spezzato quando (secondo la Piccinni) il partito di Bossi è diventato troppo soft nell’applicare il piano per azzerare i campi rom firmato dalla Moratti e dal ministro dell’Interno Roberto Maroni. Per liberare le baraccopoli regolari quel piano prevedeva la creazione di un’area di transito, un campo provvisorio in via Idro con una trentina di casette (persino di design, create nel progetto originario dall’architetto Stefano Boeri che oggi è capolista del Pd). Ma come portavoce del comitato Riprendiamoci Milano ha preso carta e penna e scritto a nome di altri «mille leghisti delusi e pronti a restituire la tessera» che le Camicie verdi «hanno perso la loro identità». In via Idro «vogliono regalare le case ai rom, mentre le aziende chiudono con padri e figli senza lavoro».
Essì che il suo candidato sindaco sempre l’altra sera contestava gli sgomberi messi in atto dalla giunta, perchè «i problemi si risolvono garantendo una casa e una scuola per tutti». Ma da qui al 15 e 16 maggio quando si voterà avranno trovato una linea. Nel volantino con cui chiede il voto la Piccinni è agguerrita, «la Milano da bere se la sono scolata tutta e ci hanno lasciato il conto da pagare». Sui toni si è avvicinata al suo nuovo leader Di Pietro. Che presentando la lista ha avvertito: «Non vogliamo più una Milano in mano ai cementificatori della Prima Repubblica che ancora si trovano nei palazzi del potere». Ma anche qui, tra alleati dovrebbero organizzare una bella reunion per conoscersi meglio.
La giunta una settimana fa ha votato il via libera ai cantieri del Cerba, il parco scientifico voluto da Veronesi e firmato dall’immobiliarista Salvatore Ligresti (che a sinistra chiamano, appunto, il cementificatore) e da Boeri. Repetita iuvant: ora capolista del Pd.

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