Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

08 maggio 2015

L`INTERVISTA / IL SENATORE LUIGI MANCONI
"Ma così si rischia solo di sfruttarli ancora"
MARIA ELENA VINCENZI
ROMA. Senatore Luigi Manconi, lei presiede la Commissione per la Tutela dei Diritti Umani. Una circolare del Viminale, che prevede che i richiedenti asilo lavorino come volontari per gli enti locali, ha scatenato parecchie polmiche. Cosa ne pensa?
«Bisogna partire da una incongruenza dell`attuale normativa che vieta ai richiedenti asilo, per i primi sei mesi di attesa del riconoscimento dello status di rifugiato, di svolgere qualunque attività lavorativa retribuita. Questo, effettivamente, determina nei profughi una condizione di smarrimento e aggiunge allo stato di obiettiva marginalità e di ansia per l`esito della richiesta, una situazione di vuoto. Non solo: l`inattività viene percepita dai residenti italiani quasi come un`ulteriore colpa, tanto più perché si ignora o si vuole ignorare che si tratta di persone in fuga da gUerre etniche e tribali, da persecuzioni di natura religiosa, politica, sessuale e da catastrofi naturali, miseria e carestia. Di conseguenza, l`idea di offrire loro un`attività è decisamente positiva. Ma a questo punto intervengono le perplessità».
Ovvero?
«Non sono convinto che in tutto il territorio  nazionale sia possibile garantire l`assoluta volontarietà del lavoro svolto, il fatto cioè che dipenda da una scelta totalmente libera. Temo, in altre parole, che in più di una situazione quel lavoro volontario si presti a essere sfruttato; e che he non sia garantita affatto quella condizione molto significativa affermata al punto 4 della circolare, che prevede una qualche attività di formazione. E, ancora, che si tratti effettivamente di un lavoro "di pubblica utilità", come dice la circolare, e indirizzato a uno "scopo sociale", perché è proprio questo che potrebbe favorire una maggiore accoglienza da parte dei residenti e una più equilibrata convivenza. Ma ritengo sia necessario porre un`ulteriore condizione». Quale?
«Tutto ciò avrebbe un senso se questo volontariato fosse preliminare - mi si dice che al Viminale provvidenzialmente qualcuno la pensa così- all`inserimento dei richiedenti asilo e rifugiati all`interno di progetti di lavori socialmente utili. Dunque, remunerati modestamente e, tuttavia, remunerati. In caso contrario, sì, il rischio della discriminazione è forte».



Rischio illegalità per migliaia di richiedenti asilo
il manifesto, 08-05-2015
Valentina Brinis e Liana Vita
La cronaca dei naufragi di chi tenta di attraversare il Mediterraneo per chiedere asilo nei paesi europei ci ha abituati all'idea che, una volta raggiunta l'Italia, tutte le difficoltà svaniscano. Ma non è così. Per dimostrarlo basterebbe visitare anche solo uno dei Cas (centri di accoglienza straordinaria) o un qualunque Cara (centro di accoglienza richiedenti asilo e rifugiati) per rendersi conto delle condizioni difficili in cui sono costrette a vivere centinaia di persone in attesa di completare l'iter per la richiesta di asilo.
Tralasciando però questo aspetto dell'accoglienza, ci sono altri fatti che stanno accadendo in alcune città italiane che ben rappresentano il percorso a ostacoli (a volte insuperabili) che caratterizza la vita dei profughi in Italia. Uno di questi riguarda Roma, dove da qualche mese i titolari di permessi di soggiorno in scadenza stanno riscontrando difficoltà nel rinnovo se si trovano sprovvisti del certificato di residenza. Per completare quella pratica, infatti, è necessario comunicare agli uffici della questura un indirizzo a cui far pervenire le comunicazioni. Un passaggio che, fino a ora, quando non poteva essere compiuto autonomamente, veniva risolto grazie ad alcune organizzazioni autorizzate che correvano in soccorso rilasciando un certificato di residenza.
Per una disposizione della Questura di Roma quelle residenze, considerate "virtuali", non sono più valide per il rinnovo del permesso di soggiorno, ai sensi dell'art. 10bis della legge 07.08.1990 n. 241, come riportato nelle lettere rilasciate dall'Ufficio immigrazione in risposta alla richiesta di rinnovo. La motivazione è legata al fatto che quell'indirizzo non corrisponderebbe alla dimora abituale del richiedente che dunque risulterebbe irreperibile qualora lo si cercasse. Le nuove disposizioni prevedono che l'indirizzo fornito nella richiesta di rinnovo corrisponda a un domicilio effettivo, ma in molti casi, anche se il titolare del permesso di soggiorno ha un alloggio, difficilmente è in grado di dimostrarlo con la documentazione necessaria (contratto di affitto o cessione di fabbricato o con la dichiarazione di ospitalità).
L'effetto di tutto ciò è che diventeranno presto irregolari migliaia di persone e tra queste anche molti titolari dello status di rifugiati, in possesso di un titolo permanente e la cui condizione è paragonabile a quella dei cittadini italiani. Ma l'aspetto che più preoccupa è che si creerà un vero e proprio commercio illegale di indirizzi di residenza falsi, con conseguente sfruttamento economico di chi deve rinnovare il titolo di soggiorno.
Arrivati a questo punto il ministero dell'Interno dovrebbe chiarire agli Uffici immigrazione delle questure italiane come sia da intendere il significato di "dimora abituale". Basterebbe una nota per affrontare e sanare una situazione che rischia di esplodere. È giunta infatti l'ora di correre ai ripari se non si vuole far precipitare migliaia di persone nella irregolarità.

 

 

IL COMMENTO di BEPPE BONI
ASSALTO SENZA FINE
QN il Giorno, 08-05-2015
SE DAVVERO da qui a fine anno arriveranno in Italia 200mila immigrati, come ipotizza il Viminale, la distribuzione nelle regioni italiane rischia di essere un aspirina, non la terapia. Anche la proposta di farli lavorare può essere una pezza, ma non la soluzione. L`obbligo del lavoro per i richiedenti asilo, fra l`altro, non è previsto. Serve la volontarietà. Poi? Dopo che succede mentre le ondate di migranti continuano ad arrivare? Manca una visione d`insieme. Il sistema dell`accoglienza scricchiola, la tolleranza dei cittadini vacilla, i prefetti faticano ad imporre ai comuni la distribuzione dei profughi Perfino regioni insospettabile come il Friuli Venezia Giulia a conduzione Pd tirano il freno a mano ipotizzando scarsità di posti. Se lo dicono la Lombardia e il Veneto però scatta l`accusa di razzismo. A Ravenna, città rossa della rossa Emilia, 2mila cittadini hanno presentato una petizione per evitare l`insediamento di un centro immigrati sulla costa, a Marina Romea.
MENTRE l`Onu gira intorno, con i temi dell`Onu che non sono quelli della realtà, ad una ipotetica operazione di polizia internazionale, sul fronte dell`accoglienza serve una svolta definitiva e di fantasia, chiamiamola così. Perché il problema è europeo, ma i profughi sono solo a destinazione Italia. Già, uno dice: ma tanto una parte di loro appena può cerca di andare verso Francia e Germania. Bene, quindi è ora di prendere coraggio e afferrare per il bavero l`Europa. Il problema ce lo dividiamo subito da buoni fratelli: le navi di Triton che raccolgono i naufraghi li distribuiscono in Croazia, a Capodistria in Slovenia, a Siviglia e Barcellona in Spagna, a Marsiglia in Francia. Ottimi porti in grado di accogliere i disperata dei barconi come succede a Pozzallo in Sicilia e negli altri approdi della speranza per chi affi.onta il mare partendo dalla Libia. Idea provocatoria? Sarà anche così, ma è evidente che non siamo più in grado di reggere l`assalto. Nelle pieghe delle follie italiche nel frattempo spunta, tanto per complicare le cose, un articolo della legge sulla tortura (approvato alla Camera e in discussione al Senato) che impedisce di rimpatriare tutti coloro che provengono da Paesi dove non sono rispettati i diritti umani o ci sono discriminazioni religiose. Come dire porte spalancate a tutti.



Alfano s'inventa lo schiavismo «I migranti lavorino gratis»
Scivolone del ministro: cita una circolare secondo cui si può impiegare chi sbarca ma il testo lo smentisce ed è polemica. Intanto scoppia la rivolta dei prefetti per i tagli
il Giornale, 08-05-2015
Massimo Malpica
Arrivano gli «immigratis». L'ultimo parto della fervida fantasia del ministro dell'Interno Angelino Alfano è una soluzione creativa per restituire appeal al popolo dei barconi. Ossia, trasformare migranti e richiedenti asilo in manodopera a costo zero per gli enti locali.
Una mossa che secondo Angelino potrebbe, chissà, far breccia tra i cuori di pietra di quei sindaci e governatori finora poco propensi a concederei propri territori per far fronte all'emergenza umanitaria, spingendoli sulla retta via dell'accoglienza, ma in cambio dello sfruttamento degli «immigratis». I quali, sembra di capire, sarebbero costretti a lavorare per il puro piacere di farlo in base alla circolare del Viminale che lo prevede, o forse spinti dal duro monito del ministro che ieri ha sbottato: «Invece di star lì a far nulla, che li facciano lavorare».
Perché fino a ora questa «circolare che permette di far lavorare gratis i migranti» non sia stata mai applicata, però,Alfano non lo spiega, così come non spiega che tipo di prestazioni verrebbero richieste agli stranieri ospiti dei centri d'accoglienza, se siano facoltative o se invece quello che ha in mente l'uomo che guida il Viminale è una reintroduzione dei lavori forzati. La dichiarazio ne ha tutta l'aria della scivolata. E infatti l'uscita di Alfano ci mette poco a sollevare polemiche. «Alfano riscopre lo schiavismo. Lavoro gratis agli immigrati uguale a più disoccupazione per gli italiani», twitta la parlamentare azzurra Daniela Santanchè, mentre il capogruppo alla Camera di Sel Arturo Scotto ringhia un «si vergogni» e persino Salvini si indigna. Anche dal punto di vista giuridico, gli «immigratis»/schiavi evocati dal ministro sembrano improbabili.
«È una cosa che non sta né in cielo né in terra», sospira Fulvio Vassallo Paleologo, professore di Diritto d'asilo all'università di Palermo. «Alfano può fare tutte le circolari che vuole, ma io conosco leggi e direttive dell'Unione europea e dico che è illegittima e che, nel caso, la impugneremo. Molti migranti sarebbero felicissimi di lavorare, ma certo non gratis e non per forza: nemmeno i detenuti fanno più i lavori forzati. Il ministro semmai - conclude - si occupi delle persone sfruttate e abusate al di fuori dei centri di accoglienza, a cominciare dal Cara di Mineo, in Sicilia, che lui conosce bene».
Quando in serata l'Ansa rende pubblica la circolare, diventa chiaro che il documento ha ben poco a che vedere con le parole di Alfano. Si parla di «volontariato» rivolto solo ai richiedenti asilo interessati a unirsi spontaneamente a qualche associazione per «favorire l'integrazione». Tutto qui. Il ritorno dello spettro della schiavitù sembra sventato.
Se non altro, con la sua opinabile esternazione Alfano ha distolto l'attenzione da altre magagne e problemi che lo riguardano. Una bella gatta da pelare, per esempio, gli soffiava sul collo proprio ieri: la «rivolta» dei prefetti. Il braccio operativo del ministero sul territorio non lamenta di dover lavorare gratis, semmai male, e contesta in particolare il «ruolo unico» previsto dalla riforma Madia (dalla quale, peraltro, ilgoverno sembra orientato a escluderli con un emendamento). Così, in piena emergenza immigrazione, prefetti e funzionari prefettizi hanno manifestato «sconcerto e malessere» per la «profonda disattenzione» nei loro confronti, anche da parte dell'amministrazione.
E soprattutto, parlando di «collasso» del «sistema accoglienza dei migranti», ieri hanno disertato proprio l'incontro sull'immigrazione col ministro alViminale, organizzando per oggi un'«assemblea di mobilitazione» alla quale è stato invitato anche Angelino Alfano. Che sarà reduce da un'altra giornata di polemiche alvetriolo. Vada sé, gratuite.



«Localizzato sul fondale il barcone dei 750 morti»
Il Messaggero, 08-05-2015
Lucio Galluzzo
IL RELITTO
PALERMO Su un fondale di 375 metri, 85 miglia a nord est delle coste libiche, la Marina militare ha individuato il relitto del barcone colato a picco il 18 aprile scorso. Nella sciagura morirono 750 migranti, chi trascinato via dalle correnti, chi annegato in stiva.
IL RITROVAMENTO
L`individuazione del probabile relitto-bara si deve agli specialisti della strumentazione sonar dei cacciamine Gaeta e Vieste, agli operatori di un mini sommergibile Gígas, all`equipaggio della corvetta Sfinge che hanno condotto le ricerche su richiesta della Procura di Catania. Le telecamere del Gigas hanno inquadrato, nei pressi del relitto, un cadavere e individuato numerosi corpi all`interno dello scafo e su uno dei ponti. Sarà tuttavia necessario attivare una speciale procedura, che passi attraverso un apposito impegno di spesa assunto dal Governo, per procedere alle eventuali operazioni di recupero del relitto.
I PROCESSI
Sono ormai centinaia i processi in corso contro trafficanti di esseri umani in corso in quasi tutte le regioni. Nella rete delle indagini è caduto persino un ligure di 62 anni, originario di La Spezia, bloccato dalla Guardia di Finanza mercoledì sera a 10 miglia da Torre Canne, nel brindisino, mentre trasferiva in Italia 28 migranti, tra cui 4 donne e 4 bambini, di nazionalità siriana e irachena. Lo scafista ligure è stato arrestato con l`accusa di favoreggiamento dell`immigrazione clandestina ed il suo natante è stato sequestrato. E sempre in Puglia, a Taranto, è stata arrestata la presunta "cassiera" di una cosca libica. L`accusa è stata rivolta alla nigeriana Eunice Itodo, sbarcata da un mercantile danese che aveva soccorso in mare 203 migranti. La donna` è stata denunciata da un connazionale. Secondo il teste la Itodo avrebbe curato la contabilità e incassato i soldi versati dai migranti per il viaggio. Intanto qualche cosa sembra muoversi in Libia, paese dilaniato dalla guerra civile, in preda al caos, dove si contendono il potere due governi, due parlamenti, mentre l`Isis aspetta il momento propizio per mettere tutti i contendenti fuori gioco ed affermare la supremazia della sua bandiera nera e dello Stato islamico. La novità, quanto meno sul fronte dell`emigrazione verso 1` ItaLia, è giunta dal Governo di salvezza nazionale. Milizie fedeli a questo Governo - ha detto il portavoce del dipartimento immigrazione della polizia, Mohamed Al-Ghawail - hanno arrestato ieri 600 migranti, tra cui 18 donne e alcuni bambini, mentre a Sabratha, ad ovest della capitale, si stavano imbarcando per I` Italia.
LA COOPERAZIONE
Contemporaneamente al blocco delle partenze da Sabratha, il Governo di salvezza nazionale ha affermato dì volere cooperare con 1` Ue, per stroncare il traffico, e con i Paesi africani per bloccare l`afflusso- di migranti sul proprio territorio. Uno «spiegamento di truppe armate per pattugliare i siti da cui partono gli immigrati», è l`ultimo dei passi che il governo ha chiesto di compiere all`Autorità per l`immigrazione illegale libica. Le precedenti misure riguardano, in due casi, un «miglioramento» dei centri di detenzione; il «tentativo di deportare i detenuti nei loro paesi di origine»; e «il rivolgersi agli Stati come Mali, Niger e Somalia, al fine di collaborare per fermare il flusso di immigrati verso la Libia attraverso i confini meridionali».



MIGRANTI, IL NO DEGLI ENTI LOCALI A UNA (DIFFICILE) ACCOGLIENZA
Corriere della sera, 08-05-2015
Gian Antonio Stella
Di ventinove profughi, per dirla con qualche canaglia nostrana, ci ha appena liberato l`Isis, tagliando loro la gola. Erano migranti cristiani. Della Chiesa etiope fondata 17 secoli or sono. Se ce l`avessero fatta ad arrivare qui davvero c`è chi se la sarebbe sentita di «liquidarli come clandestini» e ributtarli a mare o restituirli agli aguzzini della Jihad? Piaccia o no, questa è la domanda sullo sfondo del braccio di ferro tra il governo e gli enti locali per la distribuzione degli immigrati sbarcati sulle nostre coste. Certo, è una vergogna che l`Europa se ne lavi le mani. Ma batter la scarpa sul tavolo come Krusciov non risolverebbe nulla. Tanto più che, come spiegò un giorno Berlusconi, «la Germania ha ospitato da 30o mila a 400 mila bosniaci...». Sono 5o milioni, i profughi nel mondo. Sì, non possiamo farci carico di tutti mettendoci sulle spalle un peso troppo grande. È difficile per i Comuni, sottoposti a durissimi tagli finanziari, smaltire i nuovi arrivati. Difficile per un governatore, un sindaco o un prefetto spiegare l`imposizione dell`accoglienza. Non si può liquidare come fottuti egoisti quanti sono chiamati a incessanti emergenze senza capire bene cosa lo Stato vuoi fare. Quali sono le prospettive oltre l`affanno quotidiano.
Detto questo, alcune Regioni hanno mostrato un senso dí responsabilità altrove assente. La Sicilia, con tutti i suoi problemi, accoglie oggi il 21% dei rifugiati: quanto Lombardia (9%), Piemonte (5%), Veneto (4%) e Friuli (3%) insieme. Davvero la ricca Vai d`Aosta, con un reddito pro capite di 36.800 euro contro i 15.500 della Calabria (che ospita il 7 per cento dei nuovi arrivati), è nell`«assoluta impossibilità» di accogliere 79 persone (una per Comune e tre nel capoluogo) perché, dice il presidente Augusto Roliandin, ha già 62 ospiti?



Un corridoio per i profughi
Dopo l`appello di quattro preti di prima linea lanciato da "l`Espresso" parla il cardinale Vegliò: "La Chiesa valuta l`ipotesi di un canale umanitario"
l'Espresso, 08-05-2015
Fabrizio Gatti
LA PROPOSTA di quattro preti di prima linea, lanciata la scorsa settimana da "l`Espresso", ha ora il sostegno di un cardinale. Antonio Maria Vegliò, presidente del "Pontificio consiglio della pastorale per i migranti", ha valutato con interesse l`appello di don Luigi Ciotti, don Virginio Colmegna, don Gino Rigoldi e padre Alex Zanotelli affinché sia la Santa Sede ad aprire un corridoio umanitario, concedendo visti d`ingresso ai profughi ed evitando loro la traversata del deserto libico e del mare. Una proposta indirizzata a papa Francesco che, all`inaugurazione di Expo 2015, ha ricordato «i volti di milioni di persone che hanno farne». Settemila volti si sono aggiunti negli ultimi giorni portando a quarantamila il numero dei profughi già sbarcati in Italia dall`inizio dell`anno. Tra loro 369 persone, molte donne incinte e 45 bambini, sono stati salvati lunedì dalla nave del Moas, la stazione d`aiuto in mare per i migranti: un`operazione privata di Malta, di cui è direttore generale Martin Xuereb, 47 anni, capo delle Forze armate maltesi quando, l`11 ottobre 2013, l`assenza per cinque ore di decisioni del suo comando lasciò annegare oltre 260 siriani, tra i quali almeno 60 bambini.
È un dramma continuo. E nessuno può vederne la fine. Ma se Italia, Francia, Germania, Svezia e tutta l`Ue vengono confrontate con gli sforzi di Turchia, Giordania, Libano e altri Paesi più vicini alle crisi umanitarie, l`emergenza che sta dando fiato alla Lega di Matteo Salvini e alle destre europee è soltanto una piccola goccia. «L`Europa deve cominciare a rendersi conto che questo è solo l`inizio», è la previsione pessimistica di padre Zanotelli, uno dei sostenitori dell`appello al papa.
«Ho letto la proposta con interesse», dice a "l`Espresso" il cardinale Vegliò, di fatto il "ministro dell`immigrazione" del Vaticano: «I suoi vari aspetti, però, necessitano di approfondimenti poiché la sua realizzazione presenta elementi che devono essere studiati. In ogni caso, l`obiettivo che la Chiesa tenderà a raggiungere sarà la tutela della vita umana, la salvaguardia e la promozione della centralità e della dignità di ogni essere umano».
Non è vero che il problema sia esclusivamente a carico dell`Italia. L`Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) calcola che 219.000 persone nel 2014 abbiano attraversato il Mediterraneo in cerca di protezione: 170mila sono arrivate in Italia, ma altre 43.500 sono entrate in Grecia. Da noi sono dunque sbarcati 2,8 stranieri ogni mille abitanti, la maggior parte dei quali prosegue verso altri Paesi. In Grecia sono invece 3,9 ogni mille residenti, tenendo conto però che su Atene pesa anche un tasso di disoccupazione del 25,7 per cento contro il 13 per cento in Italia. Il mal comune non aiuta. Ma dovrebbe spingere verso politiche congiunte: ad esempio una richiesta di revisione del regolamento di Dublino, che obbliga i profughi a rimanere nel primo Paese che toccano. E missioni diplomatiche Ue nei Paesi in cui la fuga ha origine.
I 219 mila sbarcati non dovrebbero essere una catastrofe nell`economia dell`Unione Europea: se dividiamo il loro numero per i 507 milioni di abitanti dell`Ue otteniamo il risultato di 0,4 stranieri ogni mille abitanti. Quanto fa lo 0,4 di un uomo, una donna, un bambino? Questa è la reale proporzione degli sbarchi del 2014 che spinge l`Europa molto indietro nella classifica mondiale. Secondo i dati dell`Unhcr, il Pakistan ospita 1,6 milioni di rifugiati afghani. Seguono il Libano (1,1 milioni di siriani che si aggiungono ai palestinesi), Iran (982.000 profughi), Turchia (824.000), Giordania (737.000), Etiopia (588.000),Kenia (537.000) e Ciad (455.000). In Europa si trasferisce solo una minoranza: un milione e 700 mila rifugiati, 3,3 profughi ogni mille abitanti. Un numero che impegna prevalentemente cinque Paesi sui 28 dell`Unione: Germania, Svezia, Francia, Italia, Regno Unito. Gli altri stanno a guardare.
Il piccolo Libano sopporta un rapporto di 247 rifugiati ogni mille abitanti: come se in Italia arrivassero quasi 20 milioni di profughi in tre anni. Malta 23 ogni mille abitanti, il record europeo. La Svezia 12. Ungheria 4,3. Austria 3,3. L`Italia, tra gli ultimi, appena 1,26. Le proporzioni non indicano la soluzione. Ma almeno aiutano a dare una dimensione ai problemi. La maggior parte dei profughi sbarcati in Italia continua il viaggio verso il Nord Europa. Oppure va a nascondersi nelle nuove baraccopoli italiane alla ricerca di opportunità di lavoro ormai inesistenti. Tra i 170.000 arrivati l`anno scorso e i 40mila del 2015, sono meno di 70mila gli ospiti delle strutture di accoglienza allestite dalle prefetture. Il resto è andato all`estero. O si è disperso sul territorio: questa sì, è una bomba umanitaria che prima o poi potrebbe presentarci il conto.
Di fronte alla ritirata dei governi europei, organizzazioni come "Medici senza frontiere" hanno deciso di soccorrere i profughi con operazioni finanziate da privati. Quella in corso davanti alla Libia è stata messa in campo dal "Moas-Migrant offshore aid station" di Malta, un`iniziativa fondata dall`imprenditrice calabrese Regina Catambrone, con il marito americano e l`aiuto di amici ed esperti. Tra loro, proprio Martin Xuereb, che nel frattempo si è congedato dalle forze armate e ora partecipa al Moas nel delicato ruolo di direttore generale dei soccorsi. Il pomeriggio della strage, l`11 ottobre 2013, dopo cinque ore di continue chiamate con il satellitare, i 500 profughi siriani a bordo del peschereccio vedono finalmente un aereo militare di Malta. Ma è completamente inutile al loro recupero. In una successiva intervista in tv, il premier maltese Joseph Muscat racconta che il comandante Xuereb nelle stesse ore lo chiama per chiedergli cosa fare: «Stiamo vedendo le persone affogare una dopo l`altra». E Muscat aggiunge di avergli ri- sposto: «Ascolta, dimentica tutte le norme e le leggi. Raccoglile e portale a Malta». Se in quelle cinque ore di inutile attesa, Xuereb o i suoi ufficiali avessero telefonato alla sala operativa di Roma per chiedere l`assistenza dei mezzi italiani più vicini, i sessanta bambini e i loro genitori sarebbero vivi. La nave italiana Libra è infatti in attesa di un ordine che non arriva ad appena dieci miglia. Perché allora Martin Xuereb chiede il via libera politico al capo del governo? Forse perché fino a quel momento gli era stato vietato di soccorrere profughi per non doverli portare poi a Malta?
Ce n`è abbastanza per convocare l`attuale direttore del Moas almeno sul banco dei testimoni nell`inchiesta penale in corso a Palermo. Ma, come si è visto, l`Europa dei confini non è uguale per tutti. E con il tempo anche quell`indagine, richiesta dai papà siriani che hanno perso in mare i loro bambini, rischia di finire archiviata.



Siamo accoglienti se ricordiamo la storia
Avvenire, 08-05-2015
Marco Impagliazzo
Il Papa ha chiesto alla Conferenza delle Chiese europee che i cristiani del nostro continente si distinguano per l’accoglienza. È un tema antico lungo le sponde del Mediterraneo. Negli Atti degli Apostoli, dopo il naufragio di Paolo a Malta, è scritto che gli abitanti avevano trattato i naufraghi «con rara umanità».
Oggi a fronte dell’impegno di tanti nell’accoglienza dei naufraghi del XXI secolo, esistono espressioni di inaccoglienza preoccupanti. Basta dare un’occhiata a qualche social network, o a qualche dibattito televisivo, dove i temi delle migrazioni sono trattati con volgarità, violenza e persino disumanità. Una prova è nella triste pagina scritta on line da chi pensa che un morto in mare valga un posto di lavoro in più per un italiano.
Questo giornale cerca ogni giorno di rimotivare quella cultura dell’umano che è alla base di ogni discorso "ragionevole" sul tema delle migrazioni. C’è, poi, da recuperare una cultura storica troppo spesso delegittimata. Da studioso di storia mi ha colpito la reazione veemente contro la frase postata su Facebook il 21 aprile da Gianni Morandi: «A proposito di migranti non dobbiamo mai dimenticare che migliaia e migliaia di italiani sono partiti dalla loro Patria con la speranza di trovare lavoro, un futuro migliore per i propri figli, visto che nel loro Paese non riuscivano ad ottenerlo! Non è passato poi così tanto tempo». Ecco, una frase pacata, vera, condivisibile. E invece no! Commenti su come noi eravamo e siamo differenti, su come l’illegalità, l’irregolarità, la sporcizia, la trasandatezza e quant’altro non ci riguardino e non ci abbiano mai riguardato.
L’artista ha pazientemente risposto a decine di commenti, chissà se è riuscito a convincere qualcuno, o almeno a farlo ragionare. A fargli ricordare una pagina di storia. Della nostra storia, di nemmeno tanti anni fa. Quella storia che i nostri stessi nonni, se non i nostri padri, ci potrebbe richiamare alla memoria. Ovvero le migliaia di ristoranti italiani in Francia, Germania, Belgio, Stati Uniti e altrove. E ancora, lo stesso Vescovo di Roma, discendente di avi italiani come milioni dei suoi connazionali argentini.
Ciò che impressione in quella levata di scudi tesi a dire "Noi non eravamo così" è il vortice di vittimismo e di rimozione che sembra trascinare con sé non solo quella «rara umanità» che tutti dobbiamo cercare di preservare, non solo quella civiltà minimale che in genere ci fa essere silenti e pensosi di fronte a centinaia di morti, ma anche la nostra stessa identità di italiani. L’identità di un popolo che – è il caso e il momento di dirlo – è stato tante cose, belle e meno belle, ma anche un popolo di migranti.
E, invece, la rimozione del nostro passato e profonda e tenace. Perché, come scrisse Pasolini, da noi cultura élitaria e popolare hanno finito per convergere sull’«idea che il male peggiore del mondo sia la povertà». Mai, allora, ricordare quando eravamo poveri davvero. Tanto da lasciare l’Italia in mezzo milione l’anno intorno al 1910! Altro che le invasioni odierne! Mai sottolineare che una volta «gli albanesi eravamo noi», per citare un libro di successo di Gian Antonio Stella.
Questa è storia che si studia poco e male a scuola. Molti autori della nostra letteratura hanno ricordato, sull’esempio del grande Dante – «Duro calle / lo scendere e ’l salir per l’altrui scale» –, la nostra esperienza di sradicati, di braccia in cerca di lavoro. I nomi di Sciascia, con il suo Il lungo viaggio, che parla di italiani trasportati e ingannati da scafisti altrettanto italiani, o di De Amicis con il suo Gli emigranti: «Traditi da un mercante menzognero, / vanno, oggetto di scherno allo straniero, / bestie da soma, dispregiati iloti».
Sì, è bene non rimuovere dalla memoria tutto questo. «Bestie da soma» e «iloti» lo siamo stati anche noi. È inutile e dannoso negarlo. Come è inutile ogni negazionismo – in questo tempo di anniversari di stermini. Come è dannoso per ogni popolo non fare i conti con il proprio passato, non riflettere su quanto è stato e su quanto sarà, ovvero limitarsi ad essere spettatori indifferenti, o incattiviti, del nostro presente.



Ricorderemo, tra dieci anni, i volti e i nomi di chi ha perso la vita in un "mare di paura"?
l'Huffington Post, 08-05-14
Isabella Ferrari
Ambasciatrice per l'Italia della partnership tra Save the Children e Bulgari.
Tra dieci anni, quando saranno lontani da telecamere e taccuini dei giornalisti, chissà dove, chi si ricorderà e in che modo di Arwa, Imaad, Muhsin, Faiza, Sesen, Iman, Tangela, Ratiba, Majd, Maisa, Ndidi, Saabir, Nala, Mesi, Salma, Wafyia, Issa, Samar. Ciascuno di questi nomi oggi è una speranza di vita, di un luogo sicuro lontano dalle bombe, dalla fame, dalle violenze feroci, dove proteggere i propri bambini e vederli crescere sani e sicuri. Quando in televisione vedo quei volti umiliati in balia del mare, io vedo il loro coraggio. Sovrappongo a ogni volto un nome, una storia tragica, una speranza per sopravvivere.
Sono migliaia di persone che cercano ogni giorno di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l'Europa. Non sono piccoli gruppi di disperati che fuggono da situazioni transitorie o persecuzioni personali, non solo almeno, sono quasi popoli, spinti a fuggire dalle sanguinose crisi in Medio Oriente o nel Sahel e nel Corno d'Africa. C'è chi non ha perso solo la propria casa, ma un intero paese, come i 43.000 siriani, tra cui 11.000 bambini anche piccolissimi, che sono arrivati in Italia l'anno scorso e quest'anno, dopo viaggi terribili, durati mesi, attraverso il Libano e la Giordania, poi l'Egitto e la Libia, o i 35.000 eritrei per i quali una dittatura era un tunnel buio senza luce e senza uscita, o i somali e i nigeriani spaventati dalla ferocia del fondamentalismo che non ha tregua.
Inferno. Basta una sola parola per descrivere cos'è la Libia per tutti i rifugiati e i profughi che si affidano ai trafficanti di esseri umani, che organizzano la roulette della traversata dall'Africa all'Europa. Gli operatori di Save the Children che accolgono e assistono i bambini e i minori soli non accompagnati sulle coste sud dell'Italia, la sentono ripetere centinaia di volte in un solo giorno sul molo dei porti dove i migranti sbarcano esausti. Per fuggire da quell'inferno ci vogliono 1.000, 2.000 dollari per persona, 4.000 per una famiglia con 2 bambini. I soldi non sono un problema: quando si è disperati e certi di non poter sopravvivere oltre, ci si gioca tutto ciò che resta. Tenersi stretta la vita, è un problema. Quella vita che non c'è più per almeno 700 persone spinte dai trafficanti pochi giorni fa su un peschereccio stipato all'inverosimile vicino a Tripoli e naufragato durante i soccorsi. Forse c'erano anche molte donne e bambini, chiusi a chiave nella stiva perché non potessero risalire sul ponte durante il viaggio.
Quanto buio, puzza, rumore del motore e del mare c'era in quella stiva, per una donna africana troppo giovane con il suo bambino appena nato? Quanto coraggio serve per essere lì a tentare in tutti i modi di guardare solo avanti, di salvare la propria creatura? Quanta distanza c'era tra loro e il futuro, l'Europa? Poche miglia. Ma l'Europa era molto più distante di così. C'è un mare di paura in mezzo. Da una parte la paura di morire, che però non ha mai fermato neanche uno dei migranti. Ma c'era e c'è, dall'altra parte, la paura di accogliere, di condividere. C' è la mancanza del coraggio di mettere al primo posto la vita di chi è ha rischio, di riconoscersi come il gruppo di paesi più ricco del mondo, con le risorse necessarie per far fronte in modo adeguato a questa emergenza umanitaria.
Certo, la comunità internazionale tutta deve fare molto di più per contribuire a spegnere i conflitti che bruciano interi paesi e producono milioni di profughi disperati e senza futuro. Ma ci sono migliaia di giovani mamme, con i loro bambini, in questo preciso momento, stipate nelle fattorie dei trafficanti in Libia, a subire violenze, a sperare di partire. Ci sono con loro centinaia di ragazzini soli picchiati e torturati per estorcere più denaro ai parenti. Ci deve essere il modo perché tutto quel dolore, tutto quel coraggio, tutta quella vita che spinge forte trovi una risposta di salvezza, subito, e di opportunità, dopo. In questa e in altre battaglie sono al fianco di Save the Children, perché credo che tutti noi dobbiamo sforzarci di vincere la paura di ciò che non conosciamo e affrontare con umana solidarietà un fatto storico come questa migrazione biblica.
Ci sembra di non avere gli strumenti economici, sociali, e culturali. E forse è vero. Se i paesi africani e arabi obbligano fiumi di persone a rischiare la morte pur di fuggire dalle loro patrie, ovviamente non è solo colpa nostra. Ma in parte si. E questo è un fatto. Allora è chiaro che non si può fuggire, o girare la testa, o ridurre tutto all'odio, alle parole d'ordine razziste, alla violenza, al rifiuto degli altri. Ricostruire un equilibrio giusto, vuol dire prima di tutto usare il cervello e anche il cuore. Vorrei che i miei figli, i nostri figli, tra dieci anni, ci potessero giudicare diversamente, che fossero loro a ricordare i nomi di chi ha avuto così tanto coraggio, e magari ritrovarli protagonisti della vita dei paesi che li hanno saputi accogliere.
Questo post fa parte di una serie di articoli che celebra i dieci anni di Huffington Post attraverso l'opinione di vari esperti sui prossimi dieci anni nei loro rispettivi ambiti professionali.

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