Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

04 aprile 2012

Sbarco a Lampedusa: dieci morti
Tra i 48 sopravvissuti anche dodici donne, tre in stato di gravidanza
LAURA ANELLO  
«Ne sono morti dieci», ha detto tra le lacrime una donna appena sbarcata. Li ha contati sulle dita, mostrando le due mani. «Dieci, dieci», ha ripetuto agli interpreti. «Dieci, dieci», hanno confermato i suoi compagni ancora stravolti dal viaggio. Questa volta sarebbero sei somali e quattro eritrei a essere finiti nel grande cimitero del Canale di Sicilia, travolti da un`onda forza cinque che ha investito il gommone strapieno poco dopo la partenza dalle coste libiche.
Qui a Lampedusa ne sono arrivati 48, tutti dell`Africa subsahariana: 36 giovani uomini e 12 donne, tre delle qua-` li con il pancione di una gravidanza avanzata. Tutti profughi dalla pelle nera che, dopo il viaggio nel deserto, in Libia rischiano la vita ogni giorno, perseguitati come collaboratori di Gheddafi. Imbarcarsi è già un miracolo, poi la sfida è arrivare. Scene di sempre, ieri, al porto che l`anno scorso è diventato l`epicentro della migrazione: i ragazzi che baciano terra, le donne bar- collanti, le coperte termiche dorate che riverberano al sole già estivo, il sorriso di chi ha scampato la morte.
Questa volta a salvarli dopo almeno tre giorni di navigazione (erano partiti probabilmente nella notte tra venerdì e sabato) sono state lunedì la nave militare italiana "Orione" e una motovedetta della Guardia costiera, a sessanta miglia a sud di Lampedusa, in acque maltesi. «Abbiamo il motore ìn avaria, abbiamo perso la rotta», hanno urlato dal telefono satellitare a un amico in Libia. L`allarme è rimbalzato alle autorità italiane, a Malta e in Tunisia. Ancora una volta è stata Lampedusa a intervenire, mentre la Procura di Agrigento ha aperto un`inchiesta per fare luce sul racconto dei migranti.
Ma la permanenza sull`isola, dove il centro di accoglienza è chiuso dopo l`incendio dell`anno scorso, è durata un solo giorno: già ieri tutti sono stati trasferiti a Porto Empedocle. Le loro testimonianze sono concordi, lucide, cariche di sgomento, ritenute estremamente attendibili.
I dieci morti senza nome si aggiungono così ai cinque cadaveri trovati a bordo di un gommone il 17 marzo, e agli altri quattro che sarebbero caduti in mare pochi giorni dopo, nel corso della traversata che ne fece arrivare a Lampedusa 52.
Qui cresce l`allarme, alla vigilia della Pasqua che segna tradizionalmente l`inizio della stagione turistica. Cresce la paura di un`altra stagione nera, con gli alberghi mezzi vuoti, l`isola militarizzata, i visitatori in fuga.
«Questa volta non siamo disposti a pagare noi», è il ritornello che si sente nei bar, tra i pescatori, sul corso.
I profughi che arrivano, ma anche gli osservatori sull`altra sponda del Mediterraneo, raccontano di decine di barconi carichi di disperati pronti a salpare.
Un esodo in scala ridotta rispetto all`anno scorso, quando dall`Africa investita dal vento delle «primavere» salparono in sessantamila, ma pur sempre un esodo che Lampedusa in questo momento non sa come affrontare.
Proprio ieri il ministro dell`Interno Anna Maria Cancellieri è andata a Tripoli per stringere un accordo di collaborazione dopo una serie di colloqui con il premier Abdel Rahim Al Kiib e con i rappresentanti del governo.
Un`intesa che, spiega una nota del Viminale, «prevede iniziative di collaborazione in materia di sicurezza e in particolare nel contrasto alle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico dei migranti». Si parla di formazione per le forze di polizia per il controllo delle coste, di rafforzamento della sorveglianza delle frontiere libiche, di sostegno al rientro volontario dei migranti nei Paesi di origine, anche in collaborazione con l`Organizzazione internazionale delle migrazioni. In prima battuta si punta a riattivare i controlli della fascia costiera con le sei motovedette della Guardia di finanza donate ai libici negli anni scorsi, danneggiate durante la guerra e adesso ferme in attesa di manutenzione.
Ma, dopo la condanna dell`Italia da parte della Corte europea per i respingimenti, resta da capire come il governo voglia scoraggiare l`esodo nel rispetto dei diritti. Una volta individuato un barcone, che cosa farne? Nell`attesa di capirlo, qui a Lampedusa è corsa contro il tempo per riaprire il centro di accoglienza. Che presto, giurano in tanti, tornerà a riempirsi.



«Dieci morti nel canale di Sicilia»
il manifesto ,04-04-2012
CARLO LANIA
Il gruppo era partito nella notte tra venerdì e sabato dalla Libia La denuncia di 48 subsahariani salvati lunedì a Lampedusa. Le vittime sarebbero cadute in mare a causa del maltempo. La ministra Cancellieri a Tripoli conferma i pattugliamenti italo-libici
Potrebbe essere l'ennesima tragedia dell'immigrazione, consumata ancora una vota nel Canale di Sicilia. Secondo quanto raccontato da 48 profughi soccorsi lunedì sera al largo di Lampedusa, almeno dieci loro compagni di viaggio, sei somali e quattro eritrei, sarebbero morti durante la traversata dalla Libia in Italia. Le vittime sarebbero morte affogate dopo essere cadute in acqua a causa, probabilmente, delle cattive condizioni del mare. I 48 sopravvissuti, tra cui 12 donne, tre delle quali sarebbero incinta, sono tutti originaria dell'Africa subsahariana e viaggiavano a bordo di un gommone soccorso lunedì pomeriggio dalla nave Orione della marina Militare e da una motovedetta della Guardia costiera nonostante si trovasse ancora nelle acque Sar (di ricerca e soccorso) di competenza maltese. Trasportato a Lampedusa, il gruppo è stata trasferito in serata a Porto Empedocle.
Sulla vicenda è probabile adesso che verrà aperta un'inchiesta dalla procura di Agrigento. Al momento mancano però riscontri certi al racconto fatto dai sopravvissuti. «Finora non abbiamo trovato cadaveri, almeno nelle acque italiane», spiegava infatti ieri sera una fonte della Capitaneria di porto.
Il gommone era partito nella notte tra venerdì e sabato scorso da un porto situato al confine tra la Libia e la Tunisia. Stando al racconto fatto dai profughi, la tragedia sarebbe avvenuta poche ore dopo la partenza quando, probabilmente a causa del maltempo, il gommone ha cominciato a imbarcare acqua e alcuni dei suoi occupanti sarebbero caduti in mare senza che i loro compagni riuscissero a fare niente per salvarli. A questo punto sarebbe stato lanciato un Sos con un telefono satellitare, allarme raccolto dalla nostra marina.
La notizia di quella che potrebbe essere l'ultima tragedia degli immigrati arriva proprio nel giorno in cui il ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri è volata a Tripoli per decidere con le autorità libiche nuove misure di contrasto all'immigrazione clandestina. Un viaggio reso più difficile dalla complicata situazione politica del Paese, che a giugno è chiamato alle urne. Ieri Cancellieri ha incontrato il premier libico Abdel Rahim Al Kiib e i ministri degli Affari esteri e degli Interni, Ashour Ben Khayal e Fawzi Al-Taher Adulali. Il viaggio era stato annunciato durante la visita fatta da Mario Monti in Libia e ha portato alla firma di un'intesa che prevede il contrasto comune alle organizzazioni criminali che si occupano di traffico di immigrati e alla formazione della polizia libica. Previsto anche un supporto italiano ai lavori per il Centro di trattenimento di migranti a Kufra, struttura che, sotto il regime di Gheddafi, la struttura di Kufra era stata duramente criticata dalle Ong per le violazioni dei diritti umani che si sarebbero verificate ai danni degli immigrati.
Nulla di nuovo rispetto al passato, invece, per i pattugliamenti comuni italo-libici delle coste del paese nord-africano che proseguiranno come prima. E nulla di fatto anche su uno dei punti più spinosi del vecchio accordo esistente tra Italia e Libia come i respingimenti in mare. Il viaggio di Cancellieri poteva essere l'occasione per lasciarsi alle spalle uno degli aspetti peggiori della politica sull'immigrazione del passato governo Berlusconi, che però l'attuale esecutivo non ha saputo o voluto cogliere.
Intanto la notizia che nel canale di Sicilia ci sarebbero altre dieci vittime ha suscitato numerose reazioni. «E' necessario incrementare il monitoraggio nel Mediterraneo da parte delle autorità dei Paesi rivieraschi per evitare il ripetersi di queste tragedie in mare», ha detto la portavoce dell'Unhcr, l'agenzia dell'Onu per i rifugiati, Laura Boldrini che ritiene attendibile il racconto dei sopravvissuti. «Abbiamo saputo di questo gommone in pericolo ieri mattina (lunedì, ndr) da un collega in Libia che aveva ricevuto una chiamata di soccorso dall'imbarcazione. - ha spiegato Boldrini -. Dicevano di avere il motore in avaria e di aver perso la rotta, aggiungendo che dieci di loro erano affogati dopo essere caduti in mare a causa di un'onda anomala. Abbiamo subito girato la segnalazione alle autorità italiane, a Malta e alla Tunisia». Per il Cir, il Consiglio italiano dei rifugiati, le condizioni degli immigrati in Libia sono tali da rendere necessario «un piano Marshal che consenta di rafforzare le strutture democratiche, al momento praticamente inesistenti, in modo che questo paese sia in grado di rispettare gli obblighi internazionali assunti».



"MAGGIORI CONTROLLI COINVOLGENDO ANCHE LE NAVI COMMERCIALI"
Intervista a Laura Boldrini «Maggiori controlli coinvolgendo anche le navi commerciali» La portavoce dell`Unhcr: «Sono 15 anni che dura questa emergenza. I Paesi rivieraschi devono fare di più. Il Centro di Lampedusa va riaperto subito»
l'Unità, 04-04-2012
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
ROMA -In una situazione altamente prevedibile non si può essere colti di sorpresa. Da quindici anni a questa parte Pemergenza" è la normalità.
Una normalità agghiacciante». A denunciarlo è Laura Boldrini, portavoce in Italia dell`Alto commissariato dell`Onu per i rifugiati (Unhcr). «È necessario incrementare il monitoraggio nel Mediterraneo da parte della autorità dei Paesi rivieraschi per evitare il ripetersi di queste tragedie del mare», rimarca Boldrini.
«Queste traversate - sottolinea la portavoce dell`Unhcr - ormai sono diventate un vero e proprio azzardo, anche perché l`ultima preoccupazione di chi le organizza è proprio la sicurezza. Proprio per questo motivo è necessario rafforzare la rete di controlli da parte dei paesi rivieraschi, coinvolgendo anche le navi commerciali in transito nel Mediterraneo, in modo da intervenire tempestivamente per impedire che queste tragedie del mare si ripetano».
Sull`ultima tragedia, Laura Boldrini racconta: «Abbiamo saputo di questo gommone in pericolo ieri mattina (lunedì, ndr) da un collega in Libia che aveva ricevuto una chiamata di soccorso dall`imbarcazione.
Dicevano di avere il motore in avaria e di aver perso la rotta, aggiungendo che dieci di loro erano affogati dopo essere caduti in mare a causa di un`onda anomala. Abbiamo subito girato la segnalazione alle autorità italiane, a Malta e alla Tunisia».
Un`altra tragedia nel Mediterraneo.Siamo di nuovo in una situazione di emergenza umanitaria? «Con l`avvicinarsi della buona stagione arrivano anche le persone via mare. Questo sta diventando un fatto fisiologico, perché fino a quando ci saranno luoghi di crisi, guerre, violazioni dei diritti umani, regimi che calpestano la libertà della persona, ci saranno sempre persone costrette a fuggire dal proprio Paese.
E quello che sta succedendo ancora oggi in diverse aree non lontane dal Mediterraneo, e questo produce spostamenti forzati di popolazioni.La novità sarebbe che non arrivasse nessuno».
Come far fronte? «Quello che stupisce è che ogni anno con l`arrivo delle persone via mare, si continui a parlare di emergenza.
Una situazione che si ripete sistematicamente da 15 anni, come può essere ancora considerata una emergenza? In una situazione altamente prevedibile non si può essere colti di sorpresa. Per quanto riguarda Lampedusa, si impone che il Centro di accoglienza venga riaperto nella parte non danneggiata dall`incendio dello scorso settembre».
Ma basta questo? «No, non basta. È necessario anche riconsiderare l`ordinanza che dichiara Lampedusa "porto non sicuro".
Perché questo impedisce di far sbarcare sull`isola i migranti soccorsi in mare, cosicché le motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza devono continuare la navigazione per altre 7 ore per giungere a Porto Em-
pedocle. Queste modalità sguarniscono di mezzi necessari a ulteriori soccorsi. Inoltre, in questa ordinanza si cela anche una misura discriminatoria, perché l`isola è considerata "porto non sicuro" a causa dell`inagibilità del Centro di accoglienza.
Tale misura sembrerebbe mirata solo ai migranti, e non ad altri soggetti. C`è poi un`altra cosa importante da sottolineare...».
Quale? «Se si vuole quanto meno ridurre il numero di morti in mare, bisogna riuscire a ottimizzare il meccanismo del soccorso che dovrebbe essere il più tempestivo possibile, andando oltre le dispute tra Stati, perché in mare non si può perdere tempo, e ogni ritardo può essere letale».
Oltre l`emergenza. Con quale approccio analitico alla questione dei flussi migratori? «In questi anni, il flusso di migranti attraverso il Mediterraneo è stato misto, cioè sulle "carrette del mare" c`erano sia persone in fuga da guerre e persecuzioni, e dunque in cerca di protezione, sia migranti in cerca di migliori condizioni economiche. Per gestire questo flusso non si possono prendere scorciatoie, e cioè usare i respingimenti in alto mare come strumento di contrasto all`immigrazione irregolare.
Questo principio, a noi già noto, lo ha di nuovo raffermato il Consiglio d`Europa, che ha recentemente condannato l`Italia per aver respinto un gruppo di somali ed eritrei verso la Libia, senza aver dato loro la possibilità di fare richiesta d`asilo».?



Primavera naufraga
il manifesto, 04-04-2012
TOMMASO DI FRANCESCO
Ancora vittime a mare. Di fronte alla Fortezza Europa, perdipiù in crisi, non si passa. Siamo in primavera, e a un anno dagli stravolgimenti del nord-Africa del 2011. Altri 10 morti ieri, sei somali e quattro eritrei affogati sulla rotta che dalla Libia conduce a Lampedusa. E lunedì altri 42, tra tunisini e libici, sono stati trovati nella notte sull'isola di Linosa. Solo due settimane fa gli uomini della Guardia costiera avevano visto 5 cadaveri su un gommone in avaria, soccorso al largo delle coste libiche. Qualche giorno dopo, i 52 superstiti hanno raccontato che altre 4 persone erano cadute in mare per un'onda anomala.
Dunque ancora fuggono nella disperazione. Più di un anno fa fuggivano da Gheddafi e dalle sue mire e ricatti, dai campi di concentramento costruiti per contenerli in Libia e impedire il loro arrivo in Italia, secondo il Trattato di Bengasi firmato nell'ottobre 2008 dall'ex raìs e da Berlusconi. Poi un anno fa fuggivano dalla guerra civile e dalla «caccia al nero» da parte degli insorti che li volevano, inesorabilmente perseguitare come presunti «mercenari africani» dell'ex leader libico. Ora, a sei mesi dall'uccisione di Gheddafi, fuggono, dopo i risultati del conflitto sanguinoso tra libici e della guerra della Nato motivata per «proteggere i civili». Risultati tragici. Perché la Libia è allo sbando, in preda alla violenza delle milizie armate fino ai denti che hanno cacciato il raìs, con il Cnt dimissionario, un premier prestanome, senza un governo e in procinto di improbabili elezioni. Non sono scaramucce, ma una nuova guerra intestina, con Bengasi che punta alla secessione della Cirenaica, mentre gli islamismi controllano il potere militare a Tripoli, dove ogni giorno si spara. E la crepa dell'instabilità libica, per diretta derivazione, si è allargata al Mali, in piena guerra civile, Ciad e Niger.
Così fuggono gli stessi libici. In migliaia ieri sono arrivati oltre il confine tunisino per ripararsi dalla battaglia in corso che ha fatto in pochi giorni 170 morti, a Sebha nel sud. Ma anche a sul confine libico-tunisino e a Zowara a ovest. E gli immigrati africani fuggono ancora una volta, come hanno denunciato Amnesty International, Human Right watch e un Rapporto delle Nazioni unite solo venti giorni fa, dalla «caccia al nero», lo sport preferito, che continua imperterrito, delle milizie ex-insorte.
Che fa il governo italiano, avamposto dell'Unione europea, di fronte a tutto questo? Riconosce, per cambiare almeno rotta, i due errori compiuti? Il primo, l'avere firmato con Gheddafi un patto disumano che prevedeva lo scambio scellerato: ammissione dei nostri crimini coloniali in cambio di investimenti per la super-litoranea, a patto che le autorità libiche fermassero l'immigrazione, anche costruendo campi di concentramento, e continuando a fornire petrolio a buon prezzo. Il secondo, la nostra partecipazione alla guerra di bombardamenti aerei, con tante vittime civili, e il sostegno agli insorti che ha portato a un approdo politico a Tripoli, se possibile più tragico del precedente.
No. Tutto il contrario. Si continua come, se non peggio di prima. Ieri la ministra degli interni Cancellieri è andata a Tripoli a definire, nelle more della conferma del Trattato firmato con Gheddafi, un «nuovo» accordo che prevede, oltre alla formazione della polizia locale in funzione antimigranti e la ripresa del pattugliamento delle motovedette, la partecipazione italiana a una «grande opera»: la ristrutturazione di un campo di concentramento «tecnico», il Centro di trattenimento di migranti a Kufra. La stessa struttura finita nel mirino delle Ong per violazione dei diritti umani sotto il regime di Gheddafi.
Sulla pelle dei migranti, vale la pena tenere a galla un governo «tecnico»?



“L’Italia sono anch’io”: le proposte di legge iniziano l’iter parlamentare nelle Commissioni.
Ieri la convalida delle firme e l’assegnazione alle commissioni Affari costituzionali ed Esteri.
Immigrazioneoggi, 04-04-2012
Iniziato ufficialmente ieri l’iter parlamentare delle due proposte di legge di iniziativa popolare promosse dalla campagna L’Italia sono anch’io.
A darne notizia sono stati i promotori che, in una nota, hanno informato come la verifica delle firme sulle due proposte di legge sia stata ultimata ed andata a buon fine. Le due proposte sono state registrate ed assegnate all’iter parlamentare presso la Camera dei deputati.
La proposta di legge sulla concessione della cittadinanza ai figli degli immigrati che nascono in Italia (da un genitore legalmente residente da almeno un anno) aveva raccolto 109.268 firme. È stata registrata con il n. 5030 ed assegnata alla commissione Affari costituzionali.
La proposta di estensione del diritto di voto nelle elezioni amministrative agli stranieri residenti da almeno 5 anni era stata presentata con 106.329 sottoscrizioni. Sarà discussa, con il n. 5031, congiuntamente dalle commissioni Affari costituzionali ed Esteri.
“Abbiamo compiuto un’altra tappa importante – dichiarano i promotori della campagna – adesso la parola passa alle Commissioni parlamentari. Chiediamo ora una definizione chiara e rapida del calendario di esame delle proposte, in rispetto dei tantissimi cittadini che le hanno sostenute”.
La campagna nazionale “L’Italia sono anch’io” è promossa da 19 organizzazioni della società civile: Acli, Arci, Asgi - Associazione studi giuridici sull’immigrazione, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cgil, Cnca-Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza, Comitato 1° Marzo, Emmaus Italia, Fcei - Federazione Chiese evangeliche in Italia, Fondazione Migrantes, Libera, Lunaria, Il Razzismo è una brutta storia, Rete G2 - Seconde generazioni, Tavola della Pace e Coordinamento nazionale degli enti per la pace e i diritti umani, Terra del Fuoco, Ugl Sei e dall’editore Carlo Feltrinelli. Presidente del comitato è il sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio.



Immigrati e truffe, avvocato in manette Falsi permessi di soggiorno per 5000 euro
Il professionista aveva «confezionato» illegalmente circa 1200 istanze per conto di altrettanti cittadini
Il Messaggero, 04-04-2012        
ROMA - Falsificava documenti, procacciava datori di lavoro fittizi, ai quali prometteva somme di denaro che poi non corrispondeva. Aveva «confezionato» illegalmente circa 1200 documenti al fine di richiedere il permesso di soggiorno. Ai suoi clienti chiedeva dai 500 ai 5mila euro. L'uomo, 55 anni, avvocato specializzato in diritto dell'immigrazione è stato arrestato questa mattina dagli agenti dell'Ufficio Immigrazione diretti da e della Squadra Mobile guidati dal dirigente Maurizio Improta. Al legale è stato contestato il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Indagati anche 10 italiani e 49 cittadini stranieri.
La truffa. Il professionista, conosciuto tra i cittadini extracomunitari a livello nazionale, era pronto a soddisfare qualsiasi richiesta degli stranieri. La duplice truffa si concludeva quando il 55enne, una volta percepito il compenso dagli extracomunitari, consegnate le ricevute che attestavano l'avvenuta comunicazione allo Sportello Unico, presentava poi alle autorità competenti una denuncia/querela con la quale disconosceva la paternità dei documenti prodotti, provocando così il rigetto delle domande. L'arrestato, oltre ad occuparsi delle richieste e di seguire l'iter burocratico, aveva esteso il suo raggio d'azione con il passaparola, facendo convergere verso la Capitale, numerosi stranieri da svariate città italiane. In questo caso, l'avvocato, ricevuta la somma pattuita, consegnava il kit postale compilato, che consentiva allo straniero di richiedere l'ambito documento per «attesa occupazione», salvo poi assisterli legalmente una volta che le domande venivano rigettate, estorcendo ulteriori somme di denaro. Da ulteriori accertamenti è risultato inoltre, che in alcuni casi il legale, per allungare i tempi delle pratiche e quindi percepire ulteriori soldi, aveva presentato contro i decreti di archiviazione del Questore di Roma anche ricorsi straordinari non previsti dalla normativa vigente.
 

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