Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

07 febbraio 2011

Roma sotto choc, incendio in un campo rom: 4 bimbi carbonizzati sotto gli occhi dei genitori
Fiamme nell'insediamento sull'Appia Nuova. I quattro bambini hanno un'età compresa tra i 3 e gli 11 anni, sono morti carbonizzati. Sono fratelli. Il campo sgomberato più volte. Alemanno: "Basta campi abusivi"
il Giornale, 07-02-2011
Roma - Quattro bambini sono morti in un incendio divampato in una baracca in un campo rom a Roma. Secondo quanto si apprende l'incendio si è verificato in un insediamento sulla via Appia Nuova. I bimbi deceduti hanno 3, 5, 7 e 11 anni. I vigili del fuoco sono al lavoro per le operazioni di salvataggio o il recupero di eventuali altri corpi. Secondo quanto si è appreso all'interno della baracca viveva un'intera famiglia di nomadi. Sul posto anche il 118 e la polizia.
Il padre I quattro bambini morti nell'incendio del campo rom erano fratelli. "Ora potrei morire anch'io, non ho più parole". A parlare è il padre dei bimbi. L'uomo, protetto dalle altre persone del campo, si è poi allontanato in un angolo insieme alla moglie.
La baracca bruciata C'erano in tutto cinque baracche all'interno dell'insediamento abusivo a Roma, coinvolto in un incendio, nel quale hanno perso la vita quattro bambini rom. Secondo quanto si è appreso, in passato l'insediamento era stato più volte sgomberato, ma i nomadi erano tornati con i loro accampamenti. Solo una baracca è stata distrutta dalle fiamme. All'interno di quest'ultima c'era un nucleo familiare composto da sette persone tra cui i quattro bambini morti.
Censiti a dicembre Il micro-accampamento abusivo di via Appia Nuova era stato censito a dicembre scorso dalla questura. In quattro baracche, vivevano circa 13 persone, tra le quali alcuni bambini. Le baracche si sono spostate per un periodo di tempo per poi tornare al punto di partenza. In una di queste, è scoppiato l'incendio che ha provocato la morte di quattro bimbi.
Alemanno sul posto "Via da Roma maledetti campi abusivi". Lo ha detto il sindaco di Roma Gianni Alemanno arrivando alla baraccopoli di Tor Fiscale. "Queste burocrazie maledette che hanno bloccato il nostro piano nomadi hanno prodotto questo effetto".Rogo in campo rom, morti quattro fratellini Scatta lo sgombero. "Via i campi abusivi"
Il tizzone di un braciere all'origine dell'incendio in zona Appia dove vivono una ventina di nomadi. Il sindaco di Roma chiede poteri speciali. E attacca: "Colpa della burocrazia". Oggi lo smantellamento
la Repubblica, 07-02-2011
Verrà smantellato in giornata l'intero campo abusivo dove ieri sera sono morti nel sonno quattro fratellini rom, tre maschi e una femmina, tra i 4 e gli 11 anni. Le fiamme si sono propagate in poco tempo, poco dopo le ore 21, all'interno della baracca dove i bambini dormivano, mentre la madre, Elena Moldovan e il padre, Erdei Mircea, si erano allontanati per comperare del cibo, mentre la zia era fuori per recuperare dell'acqua. Tra le lamiere c'era anche un cucinino con un fornelletto e una bombola di gas, che però non è esplosa.
LE IMMAGINI
Cinque in tutto le costruzioni di fortuna dove abitano altre venti persone che si sono strette intorno ai genitori di Raul, Fernando, Patrizia e Sebastian, trovati ormai carbonizzati dai vigili del fuoco intervenuti ieri sera sul posto. I nomadi che popolavano l'area attendevano di essere trasferiti in un campo autorizzato. "Un problema di burocrazia", ha spiegato il sindaco di Roma Gianni Alemanno che ha raggiunto il luogo della tragedia, annunciando di volere chiedere poteri speciali per potere attuare il Piano Nomadi.
Il campo, che sorge su un'area di proprietà della società di trasporti Cotral, era stato ripopolato un anno fa, ma già nel 2005 era stato sgomberato una prima volta. In quel luogo, una boscaglia ai margini di via Appia Nuova, gli abitanti erano arrivati dopo la bonifica di un campo nella zona della Caffarella.
I RESIDENTI "Nessuno ha voluto ascoltarci"
"Aiutateci - hanno detto i genitori dei bambini rivolgendosi al sindaco - speriamo di avere assistenza. Vorremmo organizzare i funerali in Romania e quindi portare le salme". Alemanno, che ha offerto il supporto ai genitori delle vittime e agli oramai ex abitanti del campo, offrirà ai venti nomadi dell'insediamento l'accoglienza in una struttura.
Le testimonianze. "Ho visto il fuoco all'improvviso - ha poi spiegato Silvia, una rom del campo ricordando con terrore quei momenti - ci siamo spaventati tutti. Ho paura di vivere nella mia baracca come tutti. Chiunque potrebbe entrare e persino ucciderci". Oggi i nomadi lasceranno per sempre quel posto.
LA POLEMICA "Il piano rom non è solo ordine pubblico"
Le reazioni. "Una morte atroce che ci addolora profondamente". Lo ha dichiarato il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, riproponendo la questione sicurezza. "Questa tragedia - ha detto - ripropone l'urgenza di accelerare e moltiplicare tutti gli sforzi necessari per chiudere gli insediamenti abusivi e consentire a queste comunità presenti sul nostro territorio di vivere in contesti sicuri e dignitosi. La Regione è già intervenuta in un campo in provincia di Latina dove, in collaborazione con il Comune, ha messo a disposizione abitazioni a norma".
"Occorre fare in modo, - ha aggiunto Polverini - con il contributo di tutti i soggetti interessati, attraverso una azione coordinata delle rispettive competenze, che simili tragedie non accadano più".
Esprimere solidarietà alla famiglia Nicola Zingaretti, presidente della Provincia. "L'amministrazione provinciale di Roma - si legge in una nota - è vicina al dolore dei familiari e di tutta la comunità rom, convinta che simili tragedie non possano e non debbano avvenire per nessun motivo".



I 4 bimbi rom morti: «Uccisi dal disinteresse»

Avvenire, 07-02-2011
Erano soli e si riparavano dal freddo rannicchiati, nel sonno, mentre dal tizzone di un braciere è partita una prima scintilla che ha provocato le fiamme divampate nella baracca dove dormivano. In poco tempo i loro corpicini erano carbonizzati. Si è consumata al buio di una boscaglia, in una casupola di plastica e legno, la tragedia in un campo nomadi abusivo a Roma dove 4 bambini sono morti in un incendio. Raul, di 4 anni, Fernando di 5, Patrizia di 8 e Sebastian di 11, erano stati lasciati soli dalla madre, che era andata in un fast food a comperare del cibo mentre la zia era fuori per recuperare dell'acqua. Nel frattempo i 20 abitanti del campo, che popolavano in tutto 5 baracche, si sono ritrovati di fronte alla casupola avvolta dalle fiamme. Ma quando ormai l'incendio era stato domato dai pompieri rimaneva solo cenere, qualche vestito e una bicicletta bruciacchiata. A provocare le fiamme è stato un tizzone di una stufetta, probabilmente un braciere, che forse è finito in terra e in poco tempo ha fatto divampare l'incendio che ha bruciato plastica, legno e tutti gli oggetti che erano nella baracca. C'era anche un cucinino con un fornelletto e una bombola di gas, che però non è esplosa.
Ma le fiamme hanno carbonizzato tutto in poco tempo. Da allora, per diverse ore, si sentivano nella notte solo le urla strazianti di Elena Moldovan, la madre dei quattro piccoli stretta nell'abbraccio di Erdei Mircea, padre di tre dei bimbi morti. Calim Vasile, l'altro padre, quello di Raul, è in Romania. "Ora posso anche morire, non ho più parole", dice Erdei mentre Elena, la madre dei bambini urla "non voglio andare via, resto qui con i miei figli". Quei corpicini erano ancora a terra nella baracca tra la cenere rannicchiati mentre la polizia scientifica era impegnata per i rilievi. Gli abitanti del campo si stringevano intorno alla famiglia infreddoliti e riparandosi con alcune coperte.
Il campo, che sorge su un'area di proprietà della società di trasporti Cotral, era stato ripopolato un anno fa, ma già nel 2005 era stato sgomberato una prima volta a causa di un episodio di pedofilia. In quel luogo, una boscaglia ai margini di via Appia Nuova dove sorgevano fino a qualche giorno fa alcuni insediamenti abusivi, gli abitanti erano arrivati dopo la bonifica di un campo nella zona della Caffarella. Sul posto è giunto anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che ha incontrato i genitori confortandoli e cercando di rassicurarli.
"Aiutateci - hanno detto i genitori dei bambini rivolgendosi al sindaco - speriamo di avere assistenza. Vorremmo organizzare i funerali in Romania e quindi portare le salme". Alemanno, che ha offerto il supporto ai genitori delle vittime e agli oramai ex abitanti del campo, offrirà ai 20 nomadi dell'insediamento l'accoglienza in una struttura.
"Ho visto il fuoco all'improvviso - ha poi spiegato Silvia, una rom del campo ricordando con terrore quei momenti - ci siamo spaventati tutti. Ho paura di vivere nella mia baracca come tutti. Chiunque potrebbe entrare e persino ucciderci". Oggi, l'intero campo e gli altri insediamenti vicini saranno smantellati e tutti quei nomadi lasceranno per sempre quel posto.
“Una grande tragedia. Di fronte a quattro bambini che muoiono bruciati la prima cosa che bisogna fare è tacere, stringersi attorno ad una famiglia così fortemente provata e provare anche la vergogna di una città come Roma dove ancora nel 2011 si può morire bruciati in baracca. Senza con questo moltiplicare le parole in polemiche spesso sterili e strumentali”. Con queste parole Paolo Ciani, responsabile settore Rom e Sinti della Comunità di S.Egidio, commenta la tragedia che si è consumata nella notte nell’insediamento abusivo in via Appia nuova a Roma, dove stanotte sono morti carbonizzati 4 bimbi dagli 11 ai 4 anni. Ciani ha trascorso la notte con i genitori. “Credo – dice - che ci dobbiamo tutti domandare che cosa in questi anni la nostra società e la nostra cultura hanno costruito e distrutto in umanità rispetto agli zingari, rispetto ai rom. Perché il problema è che se ancora si può vivere così, è perché per troppi anni si è seminato antipatia, disprezzo, spesso odio rispetto a queste popolazioni. Per cui è possibile che ci siano persone che vivono in situazioni di povertà estrema, in piccole baracche. La famiglia che ha perso 4 bambini questa notte, è una famiglia che sta in Italia da 10 anni ed è stata sgomberata 30 volte da diversi insediamenti”.
“Ancora una volta il dramma ha segnato una famiglia di rom romeni accampati a Roma”. È quanto afferma in una nota mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes. “Sono morti a causa del freddo, della mancanza dell’acqua, per il disinteresse prima ancora che per le fiamme”, spiega mons. Perego: nella Giornata della Vita, che si celebrava ieri, questo dramma diventa “un nuovo appello per la tutela della vita di ogni persona e in ogni famiglia, anche di chi arriva da un altro Paese europeo o è di una minoranza che non è ancora riconosciuta”. “Mentre come Migrantes siamo vicini a Mircea ed Elena, il papà e la mamma dei piccoli – aggiunge il direttore della Fondazione Migrantes - la speranza ci fa chiedere un impegno maggiore per riconoscere i diritti e la cittadinanza a chi vive nelle nostre città, impegnandoci in una cura maggiore perché il minimo vitale sia garantito a tutti e soprattutto i minori siano tutelati.



Fiori sulle ceneri del tragico rogo Vertice dal prefetto per Alemanno

Riunione d'emergenza in prefettura per esaminare la possibile accelerazione degli sgomberi del Piano Nomadi
Corriere della sera, 07-02-2011
ROMA - Vertice in Prefettura in mattinata e conferenza stampa in Comune nel pomeriggio per affrontare l'emergenza nomadi dopo il tragico rogo in cui hanno perso la vita 4 bambini. All'incontro dal prefetto Pecoraro partecipano il sindaco di Roma Gianni Alemanno e l'assessore alle Politiche sociali Sveva Belviso. Sul tavolo della discussione con tutta probabilità le possibilità di accelerare gli ultimi sgomberi previsti dal Piano Nomadi: a cominciare dalle baracche del campo dove è avvenuta la tragedia, che saranno vuotate a abbattute nelle prossime ore. Intanto sull'Appia, accanto ai resti della baracca da cui solo lunedì mattina sono stati rimossi i corpi dei piccoli, qualcuno ha deposto dei fiori. E mentre infuriano le polemiche, il sindaco di Bari, Michele Emiliano, ha proclamato il lutto cittadino per la morte dei quattro bambini Rom: «I Comuni italiani non possono essere lasciati soli dallo Stato».
IL SINDACO DI BARI - «la morte dei bimbi riempie il cuore di rabbia e di dolore» e che «siamo tutti responsabili di questa tragedia a causa delle sgangherate modalità con le quali affrontiamo il fenomeno dei popoli nomadi». «La circostanza che alcune di queste comunità - spiega Emiliano - ospitino sfruttatori di bambini, non attutisce i nostri errori, nè ci esenta da responsabilità. Anzi le aggrava». Emiliano auspica «una nuova strategia, a cominciare da un decreto legge urgente che assegni ad ogni Comune le risorse per operare una legalizzazione definitiva dei campi Rom dettando norme per assicurare ai bambini ed alle donne Rom gli stessi diritti delle donne e dei bambini di ogni luogo civile del mondo. Soprattutto il diritto all'istruzione, al lavoro e a non essere sfruttati dagli uomini e dagli adulti».
IL PREFETTO -«Ho voluto rendermi conto di persona di quello che è successo. Stiamo lavorando ai nuovi campi regolari: uno lo stiamo terminando, un altro verrà acquisito questa settimana». Così ai microfoni di Skytg24 il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro che si è recato lunedì mattina sul posto dove si è sviluppato l'incendio: lì sono ancora all'opera gli agenti della Scientifica, che stanno effettuando i rilievi anche sui corpi dei bimbi, ancora tra i resti della baracca bruciata.
IL MINISINDACO: «IL PIANO NOMADI VA RIVISTO» - «Non si può continuare a sballottare famiglie con bambini, sgomberandole senza offrire loro proposte alternative e non si può far finta di non sapere in che situazione quelle famiglie si trovavano». E' la denuncia della presidente del IX Municipio di Roma, Susi Fantino, intervistata da Radio Città Futura all'indomani del rogo. «Noi avevamo segnalato la situazione di degrado di quell'insediamento e l'unica risposta è stata il nulla- ha ribadito Fantino. «Il Piano Nomadi del Comune di Roma va rivisto, perchè prevede di costruire i campi lontano dal contesto cittadino e da tutti i servizi: se l'idea è quella di creare delle situazioni isolate, non si dà a queste persone, che ormai non è più corretto chiamare nomadi, la possibilità di inserirsi, di lavorare, di mandare i figli a scuola». «Il sindaco dice che chiederà poteri speciali ma ce li ha già - ha concluso - è il sindaco che in Italia ha più poteri di tutti e ha il dovere di fare delle proposte che partano delle persone e dai loro bisogni reali».
IL PRECEDENTE DELL'AGOSTO 2010 - La Capitale ha un piano nomadi che nell'autunno scorso era stato presentato da Gianni Alemanno al ministro dell'Interno Roberto Maroni. Il progetto prevede la creazione di 10 nuovi campi regolari per dare accoglienza a circa 6 mila persone. Nel corso del 2010, il piano del Campidoglio ha dato il via a numerosi sgomberi forzati di insediamenti abusivi, specie dopo che nel campo rom abusivo della Muratella c'era stato un altro tragico precedente: la morte di un bimbo di tre anni nel rogo della sua baracca.
200 MICROACCAMPAMENTI - Primo obiettivo del piano entrato nel vivo nell'estate 2010: sgomberare i 200 microaccampamenti abusivi presenti alla periferia di Roma. In seguito dovrebbero essere realizzati tutti i 10 campi autorizzati, ai quali si devono aggiungere due strutture d'accoglienza. Nei 10 campi, una volta completate le strutture, verranno ospitate circa 6mila persone. Alle sette strutture attrezzate già esistenti, andranno dunque aggiunti due nuovi campi che verranno realizzati su terreni privati trovati grazie a un bando di gara pubblicato dal Prefetto di Roma in qualità di commissario straordinario del Governo.
I tempi, già stretti, si riducono ancora alla luce della tragedia di domenica sull'Appia: non c'è scadenza certa, ma l'obiettivo è quello di arrivare entro dicembre 2011 alla chiusura di tutti i campi abusivi e tollerati di Baiardo, Tor Dè Cenci, Tor Di Quinto, Foro Italico, Arco di Travertino, Ortolani (Acilia), Monachina, Salviati 1 e 2, Settechiese.
«TETTO MASSIMO» - Seimila ospiti è il «tetto massimo» oltre al quale, secondo quanto più volte ribadito dal sindaco Gianni Alemanno, Roma non può gestire. Questi i principali obiettivi del piano nomadi voluto dal Campidoglio e che verrà attuato entro la fine del 2011.
I due nuovi campi autorizzati potrebbero nascere nel XVI e nel XIX municipio, zone dove fino all'estate 2010 non esistevano campi. Verrà inoltre completamente attrezzato il campo de La Barbuta che diventerà regolare e ospiterà circa 600 persone.



Pd all'attacco: «Il  sindaco deve assumersi le sue responsabilità»

Il Messaggero, 07-02-2011
ROMA - Di campi abusivi a Roma si parlò proprio qualche mese prima dell'elezione di Gianni Alemanno a sindaco, quando da lì partì il rom che uccise, vicino alla stazione di Tor di Quinto, Giovanna Reggiani. Era il primo novembre 2007. Oggi si parla di campi abusivi per una tragedia che ha colpito chi ci abita, chi ci sopravvive.  E  dal Partito democratico attaccano Alemanno:   non   ha mantenuto le promesse.   Il capogruppo Umberto Marroni, e il consigliera comunale Daniele Ozzimo: «E' intollerabile che nel 2011, in un quartiere di Roma si muoia per un incendio scoppiato in una baracca. La situazione dei campi abusivi nella città, peggiorata con la politica di dispersione attuata dalla Giunta Alemanno, è una profonda ferita. Più volte abbiamo denunciato la presenza dell'insediamento abusivo, ma nulla è seguito in termini di atti concreti. Ci stringiamo alla famiglia che oggi ha visto sottratti i loro angeli». Esterino Montino, capogruppo del Pd in Regione: «Difficile non vedere in questo terribile episodio anche un atto di accusa che riguarda tutti. Nella prima serata di una tranquila domenica l'emarginazione, le sacche di abbandono che proliferano in questa città, hanno fatto irruzione colpendo ancora la popolazione Rom di Roma». E Marco Miccoli, segretario romano del Partito democratico: «Troviamo paradossale che Alemanno se la prenda con la burocrazia. ' Ma quando si assumerà le proprie responsabilità il sindaco di Roma?» Susi Fantino, Sinistra ecologia e liberta, presidente del IX Municipio, nel cui territorio è avvenuta la tragedia di ieri sera: «Sono infuriata, il Comune   sbaglia   politica:   vuole
sgomberare campi regolari e integrati come quello che abbiamo qui ad Arco di Travertino, ma non fa nulla d i fronte a questi insediamenti abusivi. Non è accettabile».
Dalla giunta comunale parla Sveva Belviso, assessore alle Politiche sociali: «Siamo sconvolti, non ci sono parole per commentare una tragedia simile che ci tocca tutti. Il nostro primo pensiero va ai quattro bambini morti nell'incendio. Alle loro famiglie vanno il nostro cordoglio e la nostra vicinanza». Sempre dalla maggioranza di centrodestra che guida il Campidoglio, spiega Giordano Tredicine, presidente della commissione politice sociali, ammette: «E' necessario accelerare sull'applicazione del piano nomadi, tutti gli insediamenti abusivi vanno sgomberati. Chiederò al sindaco Alemanno di intervenire in maniera tempestiva per chiudere tutti gli insediamenti abusivi, che nella maggior parte dei casi sono dei luoghi in cui mancano le condizioni di sicurezza». La presidente della Regione, Renata Polverini: «Ancora un rogo in cui a perdere la vita sono dei bambini. Questa tragedia ripropone l'urgenza di accelerare e moltiplicare tutti gli sforzi necessari per chiudere gli insediamenti abusivi e consentire a queste comunità presenti sul nostro territorio di vivere in contesti sicuri e dignitosi. La Regione è già intervenuta in un campo in provincia dì Latina dove in collaborazione con il Comune ha messo a disposizione abitazioni a norma. Occorre fare in modo con il contributo di tutti i soggetti interessati, attraverso una azione coordinata delle rispettive competenze, che simili tragedie non accadano più». Infine, il presidente della Provincia, Nicola Zingaretti: «È un dolore tremendo quello che sta colpendo la nostra comunità per la tragica perdita di quattro bambini morti bruciati in un campo rom della capitale. L'amministrazione Provinciale di Roma è vicina al dolore dei familiari e di tutta la comunità rom, convinta che simili tragedie non possano e non debbano avvenire per nessun motivo».



»I L'intervista «Si tratta di cittadini comunitari, non possiamo rispedirli a casa, la Romania ci aiuti»
«Li avevamo mandati via, sono tornati»
Ciardi, delegato alla sicurezza: non ci sono gli strumenti per evitare queste tragedie
Corriere della Sera, 07-02-2011
Ernesto Menicucci
ROMA—L'allarme rosso è scattato intorno alle 21.30. E sul posto della tragedia, nel mini-accampamento abusivo in via Appia dove sono morti quattro bambini, si è precipitata mezza amministrazione comunale di Roma. Dal sindaco Gianni Alemanno all'assessore alle Politiche sociali, Sveva Belviso. Sul posto anche Giorgio Ciardi, delegato alla Sicurezza del Campidoglio, l'uomo che — insieme a prefettura, vigili urbani e assessorato — ha partecipato a numerose operazioni di bonifica di questi accampamenti, spesso costituiti da alcune baracche e da pochi nuclei familiari. Al telefono, il tono di Ciardi è concitato: «Sto arrivando in questo momento — dice —, la situazione ancora non è chiara. Di certo, si tratta di una tragedia immensa, soprattutto perché le vittime sono dei bambini».
Ma come possono succedere queste cose? Il caso di ieri sera non è l'unico, la lista dei precedenti purtroppo è lunga. Le dimensioni del dramma, stavolta, colpiscono particolarmente. Negli amministratori del Comune, adesso, c'è un sentimento di impotenza, misto a rabbia: «Non abbiamo gli strumenti adeguati per combattere questo tipo di fenomeni ed evitare il ripetersi di episodi del genere», dice Ciardi. In che senso? «Che c'è un flusso anomalo di persone, che arrivano qui da noi in cerca di fortuna o di migliori condizioni di vita. E, nella maggior parte dei casi, si tratta di cittadini comunitari, spesso romeni, che non possiamo certo rispedire a casa».
In questi mesi, di operazioni di sgombero da parte del Campidoglio ce ne sono state diverse. Il più delle volte, però, con esiti infruttuosi: i nomadi, spesso, conoscono dal tamtam mediatico le mosse dell'amministrazione e non si fanno trovare. Le bonifiche, così, si risolvono in un buco nell'acqua: le baracche vengono abbattute, ma la gente che ci stava dentro si sposta altrove. «È proprio così — continua Ciardi —, e di fronte a questo non possiamo fare quasi nulla. Avremmo bisogno di maggiori strumenti, da un punto di vista normativo e legislativo, senza i quali ogni intervento rischia di essere inutile».
Su via Appia, nello stesso micro insediamento teatro della tragedia di ieri sera, erano già arrivati gli uomini della questura: «C'era stato — dice il delegato alla sicurezza di Alemanno — un censimento da parte della questura, a dicembre scorso». Risultato? «Le baracche si sono spostate per qualche tempo, poi sono tornate». Eppure, nella campagna elettorale per le comunali del 2008, quando Alemanno vinse e si insediò al Campidoglio, proprio il tema della sicurezza — sull'onda dell'omicidio di Giovanna Reggiani a Tor di Quinto — era stato il cavallo di battaglia del centrodestra. E il «piano nomadi» era uno dei primi punti del programma elettorale. Poi, però, sono nati i problemi: sia per le espulsioni, sia sulla battaglia per circoscrivere gli insediamenti abusivi. «Con i mezzi in nostro possesso — dice Ciardi — non possiamo fare molto di più. Alcune cose sono state fatte, come lo sgombero del Casilino 900, il più grande campo nomadi d'Europa. Ma servirebbe altro». Che cosa, in particolare? «La collaborazione dei Paesi stranieri, in particolare della Romania, la nazione maggiormente interessata a questo tipo di fenomeno».
Roma, per i rom, resta una meta privilegiata: «Specie d'inverno, con le condizioni climatiche che ci sono in Europa, molti nomadi vengono da noi. E le risorse e le strutture per dare accoglienza a tutti non le abbiamo». Quando poi ci sono dei bambini, è ancora più complicato. E sono loro, i soggetti deboli, ad essere esposti maggiormente a dei rischi: «Quella dell'Appia — conclude Ciardi — è una vicenda atroce. Occorre fare di tutto perché questi episodi non si ripetano più».



Lacrime per i 4 bimbi morti carbonizzati Alemanno: sui rom voglio poteri speciali

Il Municipio: segnalata pericolosità campo pochi giorni fa Presidente commissione sicurezza: pugno duro su sgombri
il Messaggero, 07-02-2011
ROMA - Erano abbracciati, rannicchiati a terra i quattro corpicini dei bambini rom morti carbonizzati ieri sera nel campo abusivo lungo l’Appia nuova. Così, gli agenti della polizia scientifica e i vigili del fuoco hanno trovato il più piccolo di 4 anni che si chiamava Raul, Fernando di cinque anni, Patrizia di otto, e Sabatino di undici. Intorno alla baracca di plastica arsa completamente da fuoco ci sono cumoli di immondizia, panni stesi, cenere e i giocattoli di quei quattro sfortunati ragazzini.
Al campo rom oggi c'è poco voglia di parlare. Alle parole si sono sostituite le lacrime di chi ha perduto i figli. Gli agenti della polizia scientifica sono alla ricerca di qualche indizio per ricostruire l'incidente ma sembra chiaro che l'incendio si è sviluppato da un braciere acceso usato come riscaldamento.
Alemanno: voglio poteri speciali. «Chiamerò il governo e chiederò urlando poteri speciali per il prefetto, perché si possa realizzare il nostro piano nomadi». L’urlo evocato dal sindaco stride con i lamenti, che non smettono mai, delle donne, e col pianto, inconsolabile, della madre che stasera ha perso quattro figli in una baracca. Il sindaco attacca: la maledetta burocrazia dei cavilli, i ricorsi al Tar dei Comuni, la Sovrintendenza, tutti coloro che, insomma - spiega - in questi anni di amministrazione, gli hanno impedito di realizzare i «campi regolari, sicuri, autorizzati». C’erano, ce ne sono tre a portata di mano e potevano essere già pronti. «Via per sempre da Roma i maledetti campi abusivi - aggiunge il sindaco - Questa è una tragedia terribile per la nostra città. La tragedia dei campi abusivi: noi avevamo lanciato l’allarme, perché sono pericolosissimi».
Le critiche della opposizione però lo raggiungono proprio a pochi passi dal rogo: dove la presidente del Nono Municipio, Susy Fantino, incalza il primo cittadino, accusandolo di non aver dato ascolto alle segnalazioni provenute dal quartiere. Lui non ci sta, rifiuta di polemizzare: «Non si strumentalizzano i morti», dice. «Queste burocrazie maledette che hanno bloccato il nostro piano nomadi hanno prodotto questo effetto - si sfoga -. Noi avevamo individuato il campo della Barbuta, avremmo potuto ampliarlo. E invece siamo stati bloccati. Prima un ricorso al Tar del Comune di Ciampino poi dalla sovrintendenza perché ha trovato non so che tomba».
L’attacco ai cavilli burocratici non convince però la presidente del quartiere: «Non credo si possa dire che il problema sono i cavilli. Da due anni a questa parte evidenziamo il livello di degrado di queste baracche. L’ultima segnalazione è stata mandata 15-20 giorni fa». Una circostanza che il sindaco sminuisce: «Non so se ci sia stata una segnalazione. Il punto però non è questo. Il problema è che, se non abbiamo campi regolari, non c’è fisicamente il luogo in cui portare queste persone». Per la Fantino, comunque, resta l’incongruenza delle politiche del Campidoglio: «Nell’elenco del piano dei campi da spostare hanno inserito l’unico regolare della zona. Questi microinsediamenti, invece, nessuno li ha considerati».
Oggi è il giorno delle polemiche. «Non è più possibile tollerare che accadano incidenti così gravi. Le istituzioni devono adoperarsi per trovare alloggi alternativi a chi si trova in queste situazioni, devono mettere in sicurezza i nomadi, specialmente i bambini». È quanto afferma Vannino Chiti, commissario del Pd Lazio e vice presidente del Senato. Nonostante le risorse economiche straordinarie profuse Alemanno ha fallito. Il suo “Piano Nomadi” tanto propagandato, soprattutto in campagna elettorale, si è rivelato inadeguato, sia dal punto di vista dell’integrazione che da quello della sicurezza. Gli incidenti si sono ripetuti nei campi rom fino al culmine della strage di ieri».
«A quanto pare le politiche adottate sono insufficienti, sia sul versante degli sgomberi che su quello dell’assistenza. In altri paesi europei non sarebbe ammissibile consentire il proliferare di baraccopoli - lo dichiara in una nota Fabrizio Santori, Presidente della Commissione Sicurezza di Roma Capitale -. Basta però con la demagogia. Del problema legato al flusso incontrollato di nomadi nella Capitale, delle loro fonti di approvvigionamento e della reale possibilità di accoglienza se ne è parlato fin troppo. Alle azioni devono necessariamente seguire i fatti. L’unica strada per risolvere il problema rimane l’espulsione coatta per chi commette reati o non è in grado di permanere nel territorio nazionale in quanto, non avendo una residenza né un lavoro, occupa abusivamente aree della città. Serve una linea dura».



MAIPIU

Il Messaggero, 07-02-2011
CLAUDIO MARINCOLA
QUATTRO bambini arsi vivi in una baracca. Se qualcuno vuole imprecare alla malasorte, all'ineluttabilità del destino è libero di farlo. Noi no. Non si muore per caso se si vive nascosti nella vegetazione, accampati come Sioux. Si era detto: mai più. E mai come in questi ultimi anni si era dato un mandato preciso. Non può succedere. Non lo merita Roma, non lo meritano i romani che in tante occasioni hanno dato prova di ess¬re una comunità solidale. Si è detto tante volte: tollerare e integrare non sono la stessa cosa. La sequenza bonifica/ spot/nuovo insediamento/blitz, non serve a nessuno. Sappiamo di non essere i soli alle prese con un problema che ha proporzioni storiche. Che i nomadi non sono più le Anime salve che cantava Fabrizio De André, né quelli che ispiravano Bruce Chatwin. Che è finito il tempo di chi viaggiava in direzione ostinata e contraria per affermare la propria diversità. Oggi chi viaggia fugge. Scappa dalla miseria e dalla fame. Serve un piano che faccia i conti con questa nuova realtà. Non una procedura a singhiozzo, un'emergenza a giorni alterni. Sappiamo che qualcosa si è fatto: viene in mente la chiusura di Casilino 900, uno degli insediamenti abusivi più grandi d'Europa, una ferita rimasta aperta per 40 anni, O i 45 campi sgomberati in sei mesi che però hanno portato alla moltiplicazione dei micro-insediamenti. Vuol dire che non è bastato, non è servito a fermare l'orrore: 7 morti negli ultimi 3 anni. Si muore per un tizzone dimenticato, per una candela lasciata accesa, per difendersi dai topi. Ma si muore anche di malattie infettive ormai debellate nel Terzo Mondo. Se ogni periferia ha le sue capanne occultate, la sua "riserva". Si muore se il governo continua a girarsi dall'altra parte tutte le volte che la capitale chiede nuovi poteri. Se non si è tutti concordi e decisi nel dire: mai più.



«Napoli crocevia del Mediterraneo parte da qui la sfida ai traffici illeciti»

Il Mattino, 07-02-2011
Marco Tonello
Intervista
Il prefetto Ronconi: la città punto d'aggregazione tra popoli e centro di raccolta delle idee
Non intendiamo certo sorvolare  sugli aspetti negativi legati a questa città. Ma preferiamo vedere il bicchiere mezzo pieno: Napoli è una città mediterranea per antonomasia e può essere il simbolo della collaborazione tra le due sponde del mare nostrum». Il prefetto Rodolfo Ronconi, direttore centrale dell'Immigrazione e della Polizia delle frontiere, è l'organizzatore della Conferenza euroafricana che incomincerà domani. Napoletano doc, studi al liceo Umberto, Ronconi spiega i motivi che hanno spinto il Dipartimento di pubblica sicurezza a scegliere il capoluogo campano, dopo le due precedenti edizioni romane, come sede dell'importante appuntamento.
Immigrazione clandestina, traffico di droga, criminalità organizzata: Napoli come crocevia dei temi che affronterete nella due giorni delia conferenza?
«Tutto vero: che Napoli sia una città "calda" dal punto di vista della criminalità e dei traffici illeciti è innegabile. Ma il motivo per cui l'abbiamo scelta come sede della Conferenza è un altro. Nel corso della sua storia, Napoli è stata punto di aggregazione dei più diversi popoli del Mediterraneo, centro di raccolta di idee. È su questo lato positivo che vogliamo puntare, ovviamente senza dimenticare i tanti lati negativi». Cosavi aspettate da questo appuntamento? «Abbiamo organizzato un evento aperto, che per la prima volta non sarà incentrato soltanto sul tema dell'immigrazione clandestina e che servirà ad avviare con le polizie degli altri Paesi una collaborazione destinata a durare nel tempo. Basti pensare che i quattro gruppi di lavoro sui temi della conferenza saranno permanenti, dunque non si concluderanno mercoledì». Una collaborazione che nascerà proprio da Napoli? «Negli ultimi tre anni abbiamo intensificato il lavoro di cooperazione con le polizie internazionali, in particolare con quelle africane. Non solo con gli Stati del Maghreb, ma anche con quelli dell'Africa subsahariana, con i quali il nostro Paese ha interessi forse meno eclatanti, ma di certo non meno importanti. Accordi che, mi piace sottolinearlo, costituiscono un modello tutto italiano, unico in Europa».
Quali sono gli effetti di questi accordi?
«Se prima i colleghi delle polizie straniere venivano in Italia soltanto per frequentare dei corsi di formazione, ora, grazie alle intese siglate con i singoli Stati, vengono distaccati nel nostro Paese e lavorano fianco a fianco con i nostri agenti in tutti i settori in cui si ritiene necessario il loro supporto, non solo per il contrasto all'irnmigrazione clandestina. Questo tipo di collaborazione è partito proprio con la Nigeria ed è proseguito con il  Niger e il Cambia. Mi auguro che proprio a Napoli si possano porre le basi per accordi analoghi con altri Paesi africani».
Nel primo giorno della Conferenza è prevista la presenza del ministro dell'Internò Roberto Maroni. «Il  ministro ci sarà e la sua presenza sarà un momento qualificante dell'evento. Quando si è parlato di cooperazione tra le polizie internazionali, il ministro non è mai mancato: ha sempre prestato molta attenzione a questo aspetto della nostra attività».



Immigrazione risorsa da gestire senza demagogie

Il Mattino, 07-02-3011
Antonio Pascale
Dal 31 gennaio è partito il cosiddetto «click day», ossia la possibilità di garantire lavoro regolare a quasi 100mila cittadini extracomunitari. Quest'appuntamento può essere l'occasione per fare un bilancio e chiedersi: ma l'immigrazione, a conti fatti, è una risorsa o una minaccia? Di certo, una semplice passeggiata in  alcune aree del Napoletano e del Casertano - ma basta girare nei pressi della stazione centrale per farsi una idea sommaria - produce un senso di scoramento e minaccia. Gli stranieri sembrano tanti e tutti impegnati in attività illecite. Risale proprio al giorno dell'avvio del «click day», poi, la scoperta di un gruppo criminale impegnato nell'organizzazione, in provincia di Salerno, di truffe per favorire l'erogazione di pubblici contributi e avviare gli immigrati al lavoro clandestino. Vicenda peraltro non nuova.
Queste notizie rafforzano la percezione negativa del fenomeno e ci spingono a chiedere provvedimenti restrittivi. Forse per vederci chiaro è giusto provare a osservare quanto accade sulla scorta dei numeri. Gli immigrati regolari sono 3.891.925, pari cioè al 6% della popolazione italiana, mentre quelli irregolari ammontano a 650.000, cioè l'1% della popolazione. Il 6% non rappresenta una quota alta. Soprattutto se confrontiamo questo dato con quello degli altri Stati, europei e non: in Spagna l'11,6%, in Germania si sale al 14,2%, negli Stati Uniti siamo al 15% e in Canada la quota di immigrati è pari a 25%.
Un altro dato interessante è rappresentato dal livello di istruzione. Ebbene, gli extracomunitari hanno livelli di scolarizzazione molto simili a quelli di casa nostra: il 39,4% degli italiani ha un diploma di scuola superiore contro il 38,9% degli immigrati. Anche la quota di laureati è pressappoco identica (il 12,5% rispetto al 10,2%). Questi dati per prima cosa aiutano a definire gli effetti che l'immigrazione ha sul mercato del lavoro.
Gli immigrati sono giovani, l'80% degli stranieri ha meno di 45 anni (a fronte del 50% degli italiani), e il 20% ha meno di 13 anni (a fronte del 13% degli italiani); hanno inoltre alti tassi di occupazio¬ne (più al'Nord che al Sud) e sono il miglior bacino di manodopera per molte imprese italiane. Di fatto, gli stranieri sono il 6% della popolazione ma generano il 10% del Pil italiano (Ismu, 2009); sono, poi, una risorsa perché danno alla Stato più di quanto ricevono, basta osservare le entrate fiscali. Il 4% delle suddette arriva dalla tassazione degli immigrati, mentre solo il 2,5% di quanto lo Stato spende in sanità, istruzione, pensioni, sussidi, va ai lavoratori stranieri.
Abbiamo poi bisogno degli extraco-munitari perché senza di loro faticheremo a pagarci le pensioni. L'Italia è, dopo il Giappone, il Paese con la popolazione più vecchia al mondo. Questo, in parole povere, vuole dire: più anziani pensionati ed allo stesso tempo meno persone in età lavorativa che pagano i contributi. La popolazione straniera è molto più giovane di quella italiana e questo contribuisce a diminuire l'indice di dipendenza (ossia il numero di anziani rispetto alla popolazione in età lavorativa).
Tutto rose e fiori? In effetti, il timore che i nuovi arrivati sostituiscano i lavoratori italiani poco qualificati oppure li obblighino a guadagnare un salario più basso, non è del tutto infondato. Tutto sta a capire in che misura questo fenomeno si realizza e in che condizioni sociali. In particolari nel Sud e in Campania c'è un effettiva domanda di manodopera poco qualificata da parte delle imprese che non è pienamente soddisfatta dall'offerta di lavoro degli italiani. Ora, anche se i lavoratori italiani e stranieri, a parità di qualifica, spesso non sono considerati sostituibili dall'impresa e quindi i nuovi immigrati competono direttamente con i vecchi immigrati - e non con gli italiani - c'è da considerare la forte diffusione del mercato nero. Il fenomeno si sa è più forte nelle aree depresse del Mezzogiorno e qui il disagio esiste.
Il secondo problema riguarda la percezione della criminalità. Il 26% dei crimini in Italia - anche in questo caso più frequenti al Sud che al Nord - sono commessi dagli stranieri e il 37% delle persone in carcere sono di nazionalità diversa dalla nostra. Tanti o pochi? Abbastanza, soprattutto se il dato è rapportato alla percentuale sulla popolazione italiana (come detto, il 6%). Tuttavia, il tasso di criminalità tra gli stranieri è diminuito, e sensibilmente, negli ultimi anni - e questo nonostante il forte aumento del fenomeno migratorio. È un bilancio parziale, suscettibile di modifiche e integrazioni, ma una cosa è certa: l'immigrazione è sempre una risorsa (e i costi, a conti fatti, sono bassi). Non ha nessun senso parlare di difesa dell'identità. Non solo il concetto di origine è falso e parecchio fuorviarne, ma il mondo evolve in meglio solo se sono possibili scambi culturali. Anche in situazioni oggettivamente difficili come al Sud. Si spera che un Paese civile riesca a' gestire l'immigrazione e i conseguenti scambi senza retorica e ideologia, ragionando in maniera lungimirante sui dati oggettivi, anche se l'elenco dei dati oggettivi può sembrare noioso



IMMIGRATI, LA LEZIONE INGLESE PER L'ITALIA

Corriere della Sera, 06-02-2011
BEPPE SEVERGNINI
Sotto la dottrina del  multiculturalismo di Stato, abbiamo incoraggiato culture differenti a vivere vite separate, staccate l'una dall'altra e da quella principale. Non siamo riusciti a fornire una visione della società, alla quale sentissero di voler appartenere». Così David Cameron ieri, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Gli inglesi non sempre sono rapidissimi, ma ci arrivano. Il multiculturalismo — ognuno faccia ciò che vuole, basta rispettare alcune regole base di convivenza — è stato, per la Gran Bretagna, una scelta dovuta a una necessità. Come l'immigrazione di massa, conseguenza di una poderosa storia imperiale.
Integrare e motivare milioni di persone diverse per etnia, storia, religione e condizione economica era un'impresa troppo grande, per un Paese uscito stremato dalla Seconda guerra mondiale.
Quando l'umore e i redditi sono migliorati, si sarebbe potuto tentare esperimenti più ambiziosi. Ma si è scelto di chiamare rispetto la rassegnazione e cautela l'impotenza. Le conseguenze si sono viste nel tempo. Gli anni Ottanta, in Gran Bretagna, sono stati costellati da incomprensioni, incidenti e imbarazzi: dalle rivolte nei quartieri-ghetto alle bimbe islamiche che pretendevano di entrare in piscina col pigiama. La rivoluzione cosmetica di Tony Blair, negli anni Novanta, ha coperto le magagne con le parole. Mentre Londra spendeva e brillava, nel resto del Paese molti staccavano la spina. Lavoro e silenzio. Questo erano pronte a offrire tante famiglie d'origine asiatica — ma non molto di più.
«Una società passivamente tollerante rimane neutrale tra valori differenti. Un Paese davvero liberale fa molto di più. Crede in certi valori e li promuove attivamente» ha detto David Cameron in Germania, sotto lo sguardo d'approvazione di Angela Merkel. Sembra il riassunto — ripulito e retoricamente efficace — di tanto cinema e letteratura britannica di questi anni.
Si è capito, per esempio, che permettere a un padre bengalese di scegliere il marito per la figlia, e chiuderla in casa se rifiuta, non è multiculturalismo: è una crudeltà e un errore. In «Beauty», bel romanzo del 2009, si narra una vicenda simile. Una ragazza di Wolverhampton—Beauty, bella di nome e di fatto — fugge da casa per evitare un matrimonio forzato con un uomo anziano in Bangladesh; incontra la burocrazia britannica e alcuni inglesi strampalati che, a modo loro, l'aiutano. Tornerà in famiglia, dove hanno capito la lezione. Sebbene l'autore, Raphael Selbourne, abbia vissuto in Italia, il libro non è stato tradotto. Dovrebbe, perché queste vicende sono accadute, accadono e — se non stiamo attenti — accadranno sempre di più anche da noi.
A meno che ci muoviamo: è ora. Il Paese multietnico è una realtà; se gestito bene, una ricchezza. Il Paese mul-ticulturale diventa invece, inevitabil¬mente, un luogo di ghetti, incomprensioni e solitudini. «Alcuni giovani musulmani si sentono sradicati», ha spiegato Cameron. Vero e pericoloso, dovunque. Magdi Allam parlava di «schizofrenia identitaria»: un buon riassunto di una cattiva situazione che può diventare pessima. Pensate agli attentati di Londra (2005), bombe nel metrò e sugli autobus. Azioni pianificate e messe in opera da ragazzi cresciuti in Gran Bretagna.
L'Italia ha avuto un impero-bonsai: nulla di simile agli altri grandi Stati europei. Negli anni della ricostruzione postbellica e del boom economico la manodopera è arrivata dal sud, non dall'estero. Se il nostro Paese ha una vita politica spesso grottesca, possiede un'economia reattiva e uno stile di vita contagioso. Molti dei nuovi arrivati lo hanno adottato perché gli piaceva, non perché gli è stato imposto. Diamo loro diritti e doveri; e la cittadinanza a chi nasce qui. Altrimenti gli adolescenti di oggi diventeranno i clandestini di domani: è questo che vogliamo?
Possiamo non commettere gli errori degli altri. Anzi, per una volta partiamo avvantaggiati. I nostri leader devono avere il coraggio che ha avuto David Cameron, un conservatore che — si ha l'impressione — Gianfranco Fini invidia molto (ha il governo, più voti, meno anni). Certo: le nazioni multietniche devono inventarsi il futuro, a costo di rischiare qualcosa. Devono coinvolgere i nuovi arrivati in un progetto comune. Se la nuova Italia non sarà di tutti, infatti, sarà un posto più povero e triste, capace di procurarci meno soddisfazioni e più guai.



Cameron: «Il multiculturalismo, un fallimento»

Il premier britannico condanna la «tolleranza passiva» e lancia un monito all'Europa
Corriere dela Sera, 06-02-2011
Fabio Cavalera
LONDRA — Il premier britannico dichiara guerra al multiculturalismo e volta pagina nella politica sull'immigrazione. «Basta con la tolleranza passiva». I diritti delle minoranze etniche e religiose vengono dopo il dovere, che esse hanno, di imparare e dì rispettare le norme etiche e giuridiche della società e dei Paesi democratici dove vivono. Le nuove strategie che governano le relazioni fra le civiltà, e soprattutto fra la civiltà occidentale e la civiltà islamica, vengono riassunte da David Cameron in due parole: «liberalismo muscolare»
o, in traduzione più     morbida, «liberalismo vigoroso».
Il numero uno di Downing Street, che sceglie la platea della conferenza sulla sicurezza a Monaco per lanciare la sua campagna, straccia le teorie relativiste con l'assunto se¬condo cui le comunità posso¬no formarsi e svilupparsi in contesti urbani vicini ma distinti, con modalità di comportamento anche conflittuali fra loro, seguendo i canoni morali e di costume imposti dalle rispettive storie, e prospetta un equilibrio con altre fondamenta: «Con la dottrina del multiculturalismo abbiamo incoraggiato differenti culture a vivere separatamente. Abbiamo fallito nel garantire la visione di una società unica. Abbiamo tollerato che queste comunità segregate potessero agire contro i nostri principi. Se un bianco esprime concetti razzisti, giustamente, lo condanniamo.
Ma quando punti di vista e pratiche ugualmente inaccettabili provengono da chi non è bianco diventiamo troppo cauti, persino timorosi nel prendere posizione contro di essi».
Il «liberalismo muscolare» o vigoroso, nella versione di David Cameron, significa percorrere strade alternative, più severe. Dunque, per appartenere al Regno Unito si deve credere ai valori che sono nati e si sono consolidati nel Regno Unito, i valori dell'uguaglianza fra i sessi, della democrazia politica, delle libertà.
Queste sono le premesse dell'integrazione. Se altrimenti, afferma il premier conservatore, si ammette, magari col silenzio, che i gruppi di immigrazione possono costituirsi in entità autoregolamentate e chiuse, estranee ai codici della nazione che li ospita, allora si favorisce l'insorgere dei ghetti e del razzismo, inoltre si sottovaluta il pericolo del terrorismo. Il fanatismo ideologico, infatti, si consolida nelle comunità che non hanno contatti con l'esterno, che si chiudono, che rifiutano di capire e di adeguarsi agli stili e ai valori occidentali.
L'avvertimento di Cameron esce dai confini del Regno Unito: «L'Europa deve svegliarsi e deve rendersi conto di ciò che sta accadendo nei nostri Paesi. Abbiamo bisogno di essere assolutamente chiari sulle origini degli attacchi terroristici e su come si diffondono le ideologie estremistiche islamiche che vi stanno dietro».
È quindi necessario prendere atto che le politiche fino a oggi adottate mostrano il passo e si rivelano fallimentari perché non hanno contrastato quelle derive terroristiche che non rappresentano l'islam e che ne offrono, semmai, una interpretazione integralista e pericolosamente sbilanciata. Nessuna condiscendenza, allora, verso il multiculturalismo che, nel giudizio di Cameron (in verità molto simile a quello già espresso dal laburista Tony Blair), favorisce lo scontro anziché il confronto e che accoglie le ambiguità di molte organizzazioni operanti in un'area ideologica di confine, un'area che non condanna esplicitamente l'estremismo. «È legittimo chiedersi: queste organizzazioni sono a favore dei diritti umani? Credono nella democrazia? Credono nell'uguaglianza di fronte alla legge? Incoraggiano l'integrazione o incoraggiano la segregazione e il separatismo culturale?». Il messaggio è chiaro: nessun aiuto e nessun finanziamento saranno ammessi. E non si avvierà nessun dialogo in assenza di pronunciamenti che ripudiano il fanatismo e accettano le leggi britanniche. O da questa parte o dall'altra. Londra manda in soffitta la «tolleranza passiva».



Se gli inglesi rifiutano la società multiculturale

la Repubblica, 06-02-2011
JOHN LLOYD
IL MULTICULTURALISMO in Gran Bretagna è morto, e David Cameron gli ha inferto il colpo di grazia. La cosa più interessante è che l'abbia fatto in Germania, dove a fine anno anche Angela Merkel aveva dichiarato il fallimento del mul-ticulturalismo in stile germanico. Entrambi sono giunti a questa conclusione per la stessa ragione.
IL MULTICULTURALISMO si era sviluppato come risposta all'immigrazione di massa in Europa; voleva celebrare la diversità dei gruppi religiosi ed etnici, convincere la nazione ospitante che quei gruppi facevano parte di un nuovo ordine della società, più colorato, variegato, interessante.
Si diceva che avrebbero arricchito la vita sociale: dalla cucina alla letteratura, dal linguaggio agli usi matrimoniali; la monotonia si sarebbe trasformata in un'affascinante varietà.
In parte, questo si è avverato. La cucina britannica è indubbiamente migliorata: dal più economico ristorante indiano ai più raffinati chef cinesi e coreani del centro di Londra, ci hanno offerto buoni cibi. I vantaggi si sono visti in altri settori, con l'apporto dimedici, di lavoratori nel settore dei trasporti, o nei mestieri che i britannici svolgono con riluttanza. Quanto alla classe media, vanno affermandosi profes¬sionisti di ogni parte del globo. È elegante avere vicini di casa indiani, africani o orientali.
Però, c'è il rovescio della medaglia. Il multiculturalismo ha inaugurato una lotta per l'identità. È fonte di accuse di razzismo. Impone un caro prezzo a chi vuole preservare le diversità, e porta alcuni a vedere con sospetto l'integrazione. La questione non è diventare britannici,bensì restare (ad esempio) pachistani.
La "britannicità" è un concetto inafferrabile. Composta da diverse nazioni — Scozia, Galles, Irlanda e Inghilterra — la Gran Bretagna contava sul collante del-l'impero e della religione protestante. Ora che entrambi sono svaniti, è priva dell'identità repubblicana degli Usa o della Francia, o della mono - etnicità (fino a tempi recenti) dei Paesi scandinavi. Quando i movimenti nazionalisti negli anni Sessanta e Settanta si rafforzarono e l'immigrazione di massa andò aumentando, la Gran Bretagna parve scossa dall'incertezza.
Lo shock, tuttavia, è venuto dall'estremismo islamico, non solo importato, ma anche radicato nei musulmani nati in GranBretagna, spesso di origine pachistana. Il fatto che alcuni si siano rallegrati per gli attentati alle Torri gemelle nel 2001, abbiano predicato l'odio verso ebrei e cristiani, e nel 2005 abbiano incitato alcuni giovani a seminare morte nella metropolitana di Londra, ha suscitato una diffidenza crescente. Ha preso corpo l'idea che la comunità musulmana covi odio. Manon è così: la maggior parte dei musulmani è indifferente all'islamismo, e molti leader hanno alzato la voce contro di esso. L'idea, però, è tanto radicata da avvelenare i rapporti.
Così si spiega il discorso di Cameron. Come già Gordon Brown prima di lui, Cameron vuole rafforzare il sentimento che la britannicità sia qualcosa che noi britannici — di qualsiasi origine — dovremmo proteggere; che non dovremmo sottolineare le differenze, ma trovare invece le affinità. Nelle società miste dell'Europa occidentale la via è obbligata: bisogna trovare un'unità nelle società. Se no, sono guai. (traduzione di Anna Bissanti)



Infibulazione: in Italia si pratica, eccome Sono a rischio migliaia di bimbe immigrate

La legge vieta le mutilazioni genitali femminili, ma ancora molte donne continuano a sottoporsi a questa pratica. L'allarme di Aldo Morrone, direttore dell'Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie nella povertà: "Ci sono ancora medici che agiscono nell'illegalità". Firmare l'appello di "Non c'è pace senza giustizia"
la Repubblica, 05-02-2011
VALERIA PINI
"In Italia, ogni anno ci sono 2000-3000 bambine a rischio di essere infibulate". E' l'allarme lanciato da Aldo Morrone, direttore dell'Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp), alla vigilia della Giornata Mondiale contro le mutilazioni genitali femminili, fenomeno che solo in Italia interessa 30-35mila. Tuttavia, le tragedie personali della mutilazione genitale hanno dimensione planetaria, se si pensa che nel mondo sono oltre 120 milioni le donne vittime di questa pratica, in 29 pesi, con 3 milioni di bambine e ragazzine che ogni anno subiscono l'infibulazione. E' possibile firmare un appello per la messa al bando di questa pratica sul sito di Non c'è pace senza giustizia 1 .
La ricerca. E' un dramma nascosto quello delle donne immigrate vittime di questa pratica. Solo nella capitale, dal 1996, sono state curate in diecimila. I dati arrivano dalla ricerca svolta in quattro regioni italiane e raccolti nel libro: "Sessualità e culture- Mutilazioni genitali femminili: risultati di una ricerca in contesti socio-sanitari", a cura di Aldo Morrone e Alessandra Sannella. Lo studio ha esaminato un campione composto da 1.421 persone che lavorano in ambito socio-sanitario. Coinvolgendo 313 mediatori culturali e 1.108 operatori sanitari si è cercato di capire chi di loro era venuto a contatto con bambine a rischio di infibulazione.
Si pratica
a pagamento. Anche se in Italia la legge vieta questa pratica, la situazione è sempre più preoccupante. "Nel nostro Paese ci sono ancora medici e le anziane delle comunità che, a pagamento, praticano l'infibulazione - spiega Morrone - ce ne accorgiamo solo quando le donne vengono negli ambulatori e osserviamo danni recenti che fanno pensare a un intervento di questo genere".
Senza anestesia. Spesso le mutilazioni sono fatte senza anestesia, con coltelli, lame di rasoio, vetri rotti o forbici. Situazioni a rischio che possono portare anche alla morte.  L'emorragia che ne consegue viene arrestata tamponando la ferita con garze e bendaggi o, nei casi migliori, con punti di sutura. Le conseguenze sono infezioni, cheloidi, tetano e addirittura infertilità, oltre a problemi nei rapporti sessuali e durante il parto.
Le bambine del Corno d'Africa. "Essere a rischio non vuol dire che verranno infibulate - afferma Morrone - ma si tratta di bambine che provengono da Paesi a forte tradizione rescissoria, come  Corno d'Africa, fascia sub-sahariana, Egitto e Sudan, e se non riusciamo ad intercettarle facendo conoscere alle famiglie la realtà italiana e la legge che vieta l'infibulazione, c'è la possibilità che questo numero passi da rischio a realtà".
La legge del 2006. A quattro anni dalla legge (n.7-01-2006) che vieta l'infibulazione è ancora difficile fare un bilancio sulla sua efficacia in Italia. Nel mondo più di 130 milioni di donne e bambine hanno subito mutilazioni genitali (Mgf) e solo in Italia si calcola che siano 30.000-35.000. E' il dato più alto in Europa, che in totale conta 500mila vittime.
Un fenomeno nascosto. Nel nostro Paese non esistono dati ufficiali sul questo fenomeno nascosto visto che chi pratica questa usanaza può essere punito con una pena che può arrivare a 12 anni di reclusione. Spesso il problema è quello delle vacanze nei paesi d'origine. Se in Italia 'il taglio' è vietato, la possibilità di superare l'ostacolo è infatti quello di effettuare l'infibulazione all'estero.
Si fa nei centri per piercing. In molti paesi europei le mutilazioni vengono eseguite nei centri di chirurgia estetica vaginale o in quelli dove si fanno piercing e tatuaggi. "Il fenomeno paradossale - dice  Morrone  - è quello delle giovani ragazze, adolescenti nate in Italia da genitori immigrati o trasferitesi da piccole che desiderano essere infibulate, una volta raggiunta la maggiore età. "Siamo a conoscenza anche di casi in cui, dopo un viaggio nei Paesi d'origine - prosegue Morrone - alcune bambine sono state infibulate. Su questo gli insegnanti possono svolgere un'azione di sentinella, osservando i comportamenti e i cambiamenti d'umore delle bambine".
L'appello. Contrastare il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili, secondo Morrone, è possibile solo conoscendo a fondo le sue origini e la sua diffusione in Africa, dove viene praticato in 28 Paesi. "E' un fenomeno possibile tra le comunità immigrate più isolate. Per questo è importante lavorare con la scuola e i mediatori culturali. Bisogna favorire l'integrazione", dice Morrone che lancia un appello: "Si potrebbero offrire dei "benefit sociali"  alle donne immigrate che, formalmente, rinunciano all'infibulazione. Partirei da buoni per l'acquisto di libri scolastici, accesso facilitato agli asili nido e alle scuole elementari, strumenti che tacitano l'integrazione".
** Dal sito di "Non c'è pace senza giustizia" ecco le tappe della lunga battaglia per sconfiggere la pratica delle mutilazioni genitali femminili.
DATE E PASSAGGI IMPORTANTI DI 10 ANNI DI ATTIVITÀ
dicembre 2000  -  Tourela, Mali Nel Dicembre del 2000 Emma Bonino visita il villaggio di Tourela in cui la tradizione delle MGF è stata spontaneamente abbandonata e sostituita da una festa, che simboleggia il rito di passaggio dalla adolescenza all'età adulta.
2000, Parlamento Europeo Su iniziativa degli eurodeputati radicali e di Emma Bonino il Parlamento europeo ha adottato una Risoluzione di condanna delle MGF come violazione dei diritti fondamentali della persona.
6 marzo 2001  -  Roma, ITALIA Di ritorno a Roma dopo la visita in Mali, Emma Bonino organizza alla Camera dei Deputati una prima conferenza internazionale, con la partecipazione di militanti anti-MGF provenienti da diversi Paesi africani. Tra gli altri, alla Conferenza prende parte Khady Koita, senegalese, una delle protagoniste più attive e determinate nella lotta alle mutilazioni genitali femminili.
10-12 dicembre 2002  -  Bruxelles, BELGIO NPSG, con EURONET-FGM, AIDOS e sette ONG africane, lancia la campagna internazionale "Stop FGM!".
21-23 giugno 2003  -  Cairo, EGITTO Il Consiglio Nazionale per l'Infanzia e la Maternità (NCCM) egiziano organizza al Cairo, con NPSG e AIDOS, la Conferenza internazionale sugli "Strumenti legislativi per la prevenzione delle Mutilazioni Genitali Femminili", patrocinata dalla First Lady Suzanne Mubarak, adottando la Dichiarazione del Cairo per l'Eliminazione delle MGF.
luglio 2003, il Protocollo di Maputo Gli Stati membri dell'Unione Africana (UA) adottano il Protocollo aggiuntivo alla Carta Africana dei Diritti dell'Uomo e dei Popoli relativo ai Diritti delle Donne (comunemente chiamato Protocollo di Maputo), il cui art. 5 bandisce le MGF come una patente violazione dei diritti umani di base.
16-18 settembre 2004  -  Nairobi, Kenya Il governo del Kenya e NPSG, in collaborazione con la Association of Media Women in Kenya, organizzano una Conferenza internazionale dal titolo: "Sviluppare un contesto politico, legale e sociale per l'implementazione del Protocollo di Maputo" che adotta una dichiarazione finale per sottolineare l'importanza della legge come parte di un approccio multi-disciplinare nella lotta alle MGF.
2-3 febbraio 2005  -  Gibuti, Gibuti Con il patrocinio della First Lady Kadra Mahmoud Haid, il governo di Gibuti e NPSG organizzano una Conferenza Sub-Regionale dal titolo "Verso un consenso politico e religioso contro le MGF". La dichiarazione finale evidenzia come, dopo un ampio scambio di vedute tra i dignitari religiosi presenti, sia da ritenere indubbia l'inesistenza di basi religiose nel Corano come nei testi di riferimento delle altre religioni rivelate, a giustificazione della pratica.
21-22 febbraio 2006  -  Bamako, MALI Il governo del Mali, NPSG e diverse ONG locali organizzano a Bamako la "Conferenza sub-regionale sulle MGF e l'implementazione del Protocollo di Maputo", con la partecipazione della First Lady Touré Lobbo Traoré. Lo scopo della conferenza è di esortare gli Stati ad applicare il Protocollo di Maputo attraverso l'adozione di leggi ad hoc e a sensibilizzare la popolazione attraverso campagne di informazione e prevenzione.
15-17 dicembre 2007  -  Khartoum, Sudan L'ONG sudanese Entishar Charity Society e NPSG organizzano un seminario sulla legislazione in materia di MGF e sul Protocollo di Maputo, nel contesto più ampio dei diritti delle donne in Africa.
27-28 marzo 2008  -  Asmara, Eritrea L'Unione Nazionale delle Donne Eritree (NEUW) e NPSG organizzano una conferenza regionale sull'eliminazione delle Mutilazioni Genitali Femminili.
8-9 ottobre 2008  -  Gibuti, Gibuti L'Unione Nazionale delle Donne di Gibuti (UNFD) e NPSG, organizzano, sotto gli auspici della Presidenza del Parlamento di Gibuti, un seminario parlamentare su "La legge contro le Mutilazioni Genitali Femminili e la sua applicabilità".
14-15 dicembre 2008  -  Cairo, Egitto Cinque anni dopo la Conferenza Internazionale del Cairo sugli strumenti legislativi in materia di Mutilazioni Genitali Femminili, il Consiglio Nazionale egiziano per l'Infanzia e la Maternità (NCCM) e NPSG rinnovano la loro collaborazione per organizzare una riunione di alto livello, patrocinata dalla First Lady Suzanne Mubarak, per rilanciare la campagna internazionale e attirare l'attenzione mondiale sul fenomeno.
agosto-settembre 2009  -  Banjoul, gambia e Bamako, Mali NPSG concentra le sue energie nel mobilitare la volontà politica a favore dello sviluppo di legislazioni di messa al bando delle MGF, sostenendo le attiviste in Mali e organizzando, insieme al Comitato gambiano sulle pratiche tradizionali che incidono sulla salute di donne e bambini (GAMCOTRAP), un seminario parlamentare in Gambia.
9-10 novembre 2009  -  Ouagadougou, Burkina Faso NPSG organizza in collaborazione con il Ministero dell'Azione Sociale e della Solidarietà Nazionale e con il patrocinio della First Lady Chantal Compaoré, la riunione "Dal Cairo a Ouagadougou: verso la messa al bando universale delle Mutilazioni Genitali Femminili (MGF)".
4 febbraio 2010  -  Nouakchott, Mauritania NPSG insieme con il Mauritanian Committee on Traditional Practices Affecting the Health of Women and Children (AMPSFE  -  IAC Mauritania), e con il Network of Parliamentarians on Population and Development, organizza un seminario parlamentare su "Le Mutilazioni Genitali Femminili e la legge".
3-4 maggio 2010  -  Dakar, Senegal Il Ministero della Famiglia del Senegal in collaborazione con NPSG e con l'organizzazione senegalese La Palabre, organizza la Conferenza inter-parlamentare "Armonizzare gli strumenti legali contro le Mutilazioni Genitali Femminili: condividerne i successi, consolidarne i risultati, perseguirne i progressi! Verso la messa al bando della pratica alle Nazioni Unite".
giugno 2010  -  Kampala, Uganda Il Parlamento ugandese approva una mozione che chiede al governo, all'Assemblea Legislativa dell'Africa orientale e all'Unione Africana di presentare alla 65a Sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite una risoluzione di messa al bando delle Mutilazioni Genitali Femminili. In Uganda la lotta alle MGF è fortemente incoraggiata dalla First Lady Janeth Kataha Museveni.
Queste sono solo alcune delle tappe importanti che ci hanno portati così vicini ad una Risoluzione dell'ONU, ma nel corso degli anni tante e diverse personalità e istituzioni si sono impegnate in questo senso dando il loro preziosissimo contributo: i leader religiosi cristiani e musulmani, il Parlamento Europeo (con le Risoluzioni del 13 marzo 2008, dell'8 maggio 2008, del 24 marzo 2009, del 26 novembre del 2009) e diverse agenzie delle Nazioni Unite  -  OHCHR, UNAIDS, UNDP, UNECA, UNESCO, UNFPA, UNHCR, UNICEF, UNIFEM e OMS.

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Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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