Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

12 ottobre 2010

Immigrazione Dieci arresti. Il sindacato di polizia Siulp: quella struttura non è idonea, va chiusa per sempre
I clandestini in fuga bloccano gli aerei
Corriere della sera, 12-10-2010
Alberto Pinna
Rivolta nel centro di accoglienza di Cagliari scalo fermo e inseguimenti sulle piste
CAGLIARI—Cento clandestini in rivolta barricati nel centro di prima accoglienza a Elmas, accanto all'aeroporto: io sono riusciti a fuggire, hanno invaso le piste. E mentre polizia e carabinieri davano la caccia agli extracomunitari (quasi tutti algerini) e facevano irruzione nel Cpa con lancio di lacrimogeni, lo scalo aereo è stato chiuso: 11 voli cancellati, 4 dirottati, pesanti ritardi. Atterraggi e decolli vietati dalle 14,50 alle 18,15: nell'aerostazione un migliaio di passeggeri inferociti, caos. Due algerini feriti, 10 arrestati per resistenza e danneggiamento.
Il centro, aperto nell'estate 2008, è una polveriera: tre sommosse in meno di 15 giorni. Da tempo le autorità aeroportuali hanno segnalato il pericolo; la struttura è a 200 metri dalla torre di controllo, basta scavalcare una rete e si è sulle piste.
La rivolta è stata preparata da un gruppo di maghrebini sbarcati d'estate e in attesa di essere trasferiti nella Penisola: il 1 ottobre hanno manomesso le telecamere del sistema di sicurezza e incendiato il secondo piano. Il 5 ottobre distrutto porte e finestre.
Prima ancora, il 27 settembre, la prova generale: 3 algerini hanno cercato di fuggire calandosi dal primo piano con le cinghie delle tapparelle. Ma sono caduti e sono
stati ricoverati in ospedale. Ieri un gruppo di extracomunitari si è barricato in un locale accanto alla mensa, devastando mobili e arredi. Mentre gli agenti accorrevano, altri clandestini hanno scavalcato le finestre e con lenzuola e corde sono saltati al piano terra. Poi hanno cercato di aprire dall'esterno i portoni del Cpa: gli agenti hanno chiuso i cancelli e impedito che fuggissero tutti.
Prima che arrivassero rinforzi una decina hanno scavalcato le recinzioni, sono entrati nelle piste e si sono divisi: un gruppetto verso l'aerostazione e i parcheggi, gli altri nascosti negli stagni ai limiti della pista di atterraggio.
Dalla torre di controllo le prime segnalazioni agli apparati di sicurezza, poco dopo le 1430. Qualche minuto dopo l'ENAC ha ordinato la chiusura dell'aeroporto, un elicottero si è alzato in volo per coordinare le ricerche e guidare le pattu¬glie a terra, a Elmas reparti antisommossa hanno circondato il centro di accoglienza. In pochi minuti — dopo un lancio di lacrimogeni —la polizia ha ripreso il controllo del Cpa: gli extracomunitari, barricati in uno stanzone, hanno accolto gli agenti con le mani alzate. Alle 17,15 fine della rivolta, catturato l'ultimo algerino, aeroporto riaperto. Si è sfiorato lo scontro quando nell'aerostazione sono comparsi i giovani di No Border Sardegna con un cartello: «Libertà ai migranti, liberi tutti», subito contestati, circondati e poi «liberati» dai carabinieri.
Otto rivolte nel 2010, una decina fra il 2008 e il 2009, il Cpa di Elmas, può ospitare fino a 220 persone in 20 camere, extracomunitari che sbarcano dal Nord Africa (questa estate 165) sulle coste sud in Sardegna. Ora chiedono di smantellarlo anche società di gestione dell'aeroporto e sindacati di polizia: «E un lager», lo scalo aereo è stato chiuso 4 volte, troppi allarmi ed emergenze.



Cagliari, rivolta nel centro immigrati aeroporto bloccato, blitz della polizia

la Repubblica, 12-10-2010
GIUSEPPE PORCU
Diecia arresti e struttura devastata. E il terzo caso in pochi giorni
CAGLIARI — Aeroporto paralizzato per tre ore, voli cancellati o dirottati, passeggeri infuriati. L'ennesima rivolta, la terza nel giro di pochi giorni, degli immigrati del Centro di prima accoglienza realizzato nell'area militare dello scalo cagliaritano "Mario Mameli" ha gettato nel caos il trasporto aereo del capoluogo isolano. È stato necessario un imponente spiegamento di forze dell'ordine per riportare la situazione alla normalità e rintracciare una decina di clandestini che avevano invaso la pista, costringendo l'Enac a decretare la chiusura dell'aeroporto per motivi di sicurezza.
I disordini sono cominciati nel primo pomeriggio. Un centinaio di immigrati, per lo più magrebini, intorno alle 14.30 si sono impadroniti del Cpa e hanno messo a soqquadro l'edificio. Nei giorni scorsi in altre due rivolte alcune decine di loro avevano dato alle fiamme materassi, cuscini e arredi. Ieri la protesta ha coinvolto tutti i clandestini, un centinaio circa dopo alcuni recenti sbarchi. La palazzina che li accoglie, un'ex caserma degli avieri dell'Aeronautica militare, è finita sotto il loro controllo e devastata. Alcuni immigrati sono riusciti a superare le barriere di controllo dell'adiacente scalo civile e hanno raggiunto la pista. Dalla torre di controllo è scattato l'allarme col blocco immediato di decolli e atterraggi. L'Enac temendo il peggio ha avvertito tutte le compagnie aeree che lo scalo sarebbe rimasto chiuso sino alle 22. Mentre all'aeroporto confluivano ingenti forze dell'ordine, polizia e finanzieri, ì voli in partenza venivano cancellati uno dopo l'altro. Stesso destino per quelli in arrivo, mentre altri venivano dirottati su Alghero e Olbia. Complessivamente sono stati 14 quelli che hanno subito questa sorte. Altri dieci hanno accumulato ritardi considerevoli.
La chiusura dello scalo ha lasciato a terra centinaia di passeggeri e il gonfalone della Regione Sardegna, in partenza per Roma per i funerali dei quattro alpini caduti in Afghanistan. L'esasperazione dei passeggeri si è sfogata contro quattro militanti dell'associazione "No border Sardegna" che distribuivano volantini e lanciavano slogan all'interno dell'aerostazione a sostegno della rivolta. È stato necessario l'intervento degli agenti per evitare conseguenze più gravi oltre gli insulti. La situazione ha cominciato a normalizzarsi alle 17,quando le forze dell'ordine dopo un lancio di lacrimogeni hanno ripreso il controllo del centro di accoglienza, arrestando diversi immigrati. Altri agenti nel frattempo perlustravano la pista e l'area circostante per rintracciare i clandestini chel'avevano invasa. Il rastrellamento non è stato facile ma alla fine uno dopo l'altro i rivoltosi sono stati bloccati. Le operazioni di check-in sono riprese subito
dopo e alle 18.30 è partito il primo volo, un Meridiana per Roma-Fiumicino in attesa dalle 16.30. Non si conoscono i motivi precisi di queste rivolte. È probabile che all'origine ci sia il tentativo di impedire il trasferimento ad altri centri di alcuni immigrati, dato che la capienza del Cpa dì Cagliari ha superato abbondantemente il limite. Il sindacato di polizia Siulp ha chiesto la chiusura immediata del centro, inadeguato per motivi di sicurezza e per la cronica mancanza di personale di sorveglianza.



Rivolta di clandestini: caos allo scalo di Cagliari

il Sole, 12-10-2010
Marco Ludovico

Alla terza rivolta in undici giorni, ieri alle 14.30 una decina di immigrati del Cpa (centro di prima accoglienza) di Elmas ha invaso l'aeroporto di Cagliari. Così l'Enac ha diffuso un "notam" a tutte le compagnie aeree e agli aeroporti comunicando che lo scalo «Mario Mameli» sarebbe stato chiuso fino alle 22.
Il Cpa sardo, aperto nel giugno 2008, è stato realizzato nell'area militare del Mameli. Sono stati alcuni algerini e tunisini a invadere la pista e un centinaio di immigrati si sono sparsi nella palazzina del centro, distante 150 metri dalla torre di controllo dell'aeroscalo.
Poi, dopo circa tre ore, un blitz delle forze dell'ordine ha riportato gli immigrati nel Cpa e l'aeroporto è stato riaperto. Il via libera alla ripresa dei voli è stato comunicato dalla Sogaer, la società di gestione dello scalo, alle 17,15, ma il primo velivolo, volo Meridiana diretto a Fiumicino, ha lasciato la pista di Elmas alle 18.15, un'ora più tardi per le operazioni di bonifica della pista. Alla fine i voli cancellati sono stati undici (tratte nazionali), di cui sette in partenza e quattro in arrivo, questi ultimi dirottati sugli scali di Olbia e Alghero.
La tensione tra i passeggeri in sala d'attesa è stata alta, tanto che quattro manifestanti dell'associazione «No border Sardegna» presenti all'interno dell'area partenze dell'aeroporto sono stati aggrediti da una ventina di passeggeri infuriati. Il bilancio provvisorio delle forze dell'ordine vede dieci immigrati arrestati con l'accusa di di danneggiamento aggravato e resistenza a pubblico ufficiale.
Questa è la cronaca. Ciò che fa riflettere è che le rivolte nei centri per immigrati si ripetono e non sono a Cagliari. «È l'ennesimo grave episodio che testimonia una situazione spesso fuori controllo nei centri di prima accoglienza e nei centri di identificazione» afferma Emanuele Fiano (Pd). Che aggiunge: «Il governo ammetta che il modello di gestione dei Cie e dei Cpa, soprattutto dopo che il limite per la permanenza nei centri si è protratto fino ai sei mesi, sta fallendo».
Al di là delle considerazioni politiche, è indubbio che il periodo massimo di presenza nei centri per l'identificazione e la conseguente espulsione, passato da 60 a 180 giorni, sia causa di tensioni molto più alte del passato. Negli ultimi anni, rivolte sono state registrate in tutta Italia: da Caltanissetta, dove il centro di Pian del Lago è stato reso inagibile il 14 novembre 2009 da una rivolta che ha portato al trasferimento di tutti gli immigrati rinchiusi, a Gradisca di Isonzo, con ripetute fughe e ferimenti di militari addetti alla custodia. Spesso ci sono tensioni al centro di via Corelli, a Milano. Luigi De Magistris (Idv) sostiene che i centri «sono dei veri e propri lager». Quello che temono gli addetti ai lavori sono in realtà i sei mesi di permanenza, anziché due, che scatenano per forza di cose le tensioni più violente negli immigrati, spesso ex detenuti o con precedenti penali. La rivolta di Cagliari, insomma, potrebbe replicarsi in uno qualunque delle 29 strutture destinate all'accoglienza e alla gestione degli immigrati in Italia.
È p probabile che il Viminale alzi il livello di attenzione. Mentre il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, certo non desisterà dal suo progetto di istituire un Cie (Centro di identificazione ed espulsione) in ogni regione d'Italia, comprese quelle dove finora non sono state ancora costruite strutture del genere, anche per le resistenze delle amministrazioni locali.



CAGLIARI - Caccia all'uomo, bloccato lo scalo
Trattati come bestie Rivolta di immigrati
il Fatto Quotidiano, 12-10-2010
Furio Colombo
Un gruppo scappa dal centro di prima accoglienza e occupa l'aeroporto. Ma nei Cpa la situazione è insostenibile
Quanti punti sono una rivolta nel cosiddetto centro di accoglienza presso l'aeroporto di Cagliari? Gli "stranieri" (come scrivono prudentemente le agenzie) dimostrano l'istinto di violenza della giungla o stanno avvertendo la brava  gente
padana   che non si trattano cosi neanche  gli animali   (lo impedirebbe di slancio l'animalista
Michela Brambilla)?
È vero che, come Paese,  siamo tutti impegnati in una delicata riflessione con il ministro della Difesa La Russa: in una missione di pace, un buon rapporto con le popolazioni assistite si realizza meglio con o senza un carico di bombe sui nostri aerei? Cito la perplessità dei nostri più alti livelli sull'Afghanistan perché la situazione di Cagliari ci propone un dilemma simile. Esiste al mondo un modo umano, civile e utile per affrontare l'immigrazione (visto che i migranti arrivano, visto che servono, visto che lavorano, visto che sono poco pagati ma molto cercati) o la sola risposta - come le bombe per la pace - è trattarli da bestie perché così diamo senso di sicurezza ai cittadini? Una volta domata la rivolta,  quanti punti  toglieremo ai riottosi? Voi direte:    domanda    inutile, quelli sono "accolti" nei campi-prigione per essere cacciati. Inoltre la legge dei punti, sulla cui nobile natura    (qualcuno    avrà l'autorità di dare punti a esseri umani per vivere o per  morire),   gareggiano destra e sinistra, non è ancora in vigore.  Peccato. Pensate quante cose sulla   cultura, la civiltà, gli usi, i costumi  e  le tradizioni italiane hanno imparato a botte i rivoltosi che non ce la facevano più a sopportare la nostra accoglienza. Potrebbero dare l'esame subito. Chi ha visto il "centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria" a Roma (rivolta e fiamme nel giugno scorso), chi ricorda le condizioni del campo di Gradisca (lo scorso agosto), chi non ha dimenticato l'insurrezione di luglio e di agosto nel campo di concentramento detto CI.E. di Milano, chi ha negli occhi le immagini delle due notti di Rosarno (8 gennaio 2010), sa una cosa con certezza: un governo cattivo e ottuso guidato dalla Lega Nord, ha devastato la civiltà di questa Repubblica prima di spaccarla. La rivolta di Mohammed Spartacus è un simbolo, anzi un avvertimento che ci riguarda.



CANCELLATI UNDICI VOLI, IL TRAFFICO IN TILT PER ORE
L'aeroporto chiuso per la rivolta al centro immigrati
La Stampa, 12-10-2010
NICOLA PINNA
Cagliari, scalo occupato da 10 uomini in fuga Blitz della polizia con i lacrimogeni: arrestati
CAGLIARI-Cento stranieri che sognavano la libertà, contro cinque agenti. Aspettavano da giorni, gli immigrati rinchiusi nel centro di accoglienza di Elmas, il momento migliore far scoppiare la rivolta e allontanarsi da quella sorta di carcere per disperati. Il piano l'avevano progettato da tempo, ma due per due volte nel giro di due settimane era fallito: ieri pomeriggio, invece, la fuga dalle celle è riuscita. Le misure di sicurezza sono saltate in un attimo e gli stranieri hanno avuto il tempo di raggiungere la pista dell'aeroporto che si trova a due passi. Saltando la recinzione qualcuno si è azzoppato ed è stato costretto a fermarsi, gli altri hanno corso con le braccia e le gambe sfregiate dal filo spinato.
In una decina si sono lanciati in mezzo alla pista e a quel punto il traffico aereo è stato bloccato: i collegamenti tra Cagliari e il resto d'Italia sono andati in tilt. Centinaia di passeggeri sono rimasti a terra, gli aerei in arrivo sono stati dirottati e quelli che sarebbero dovuti partire alla volta della Sardegna sono rimasti in pista, sia a Roma che a Milano.
Per riportare la calma ci sono volute diverse ore: poliziotti, carabinieri e finanzieri con casco e manganello hanno organizzato un gigantesco rastrellamento e i fuggiaschi sono stati tutti acchiappati. In dieci sono stati arrestati. Erano nascosti dietro ai cespugli, all'interno di vecchie costruzioni militari e persino in mezzo ai canneti, sulle rive dello stagno, che lambisce l'aeroporto Mario Mameli.
Il caos, all'interno della palazzina che un tempo ospitava gli avieri, è scoppiato poco dopo le due emezza del pomeriggio. Nel giro di pochi minuti i clandestini, quasi tutti algerini e tunisini, hanno messo a ferro e fuoco la struttura: in gruppo hanno forzato una serranda e così è iniziata l'evasione. In quattro, forse qualcuno in più, sono arrivati in pista e da quel momento la tensione è salita alle stelle. Per riconquistare il centro di accoglienza, polizia e carabinieri, hanno dovuto usare i lacrimogeni: qualcuno si è arreso subito, qualcun altro invece si è rinchiuso nelle stanze. Dopo alcune ore a Elmas è tornata la calma, ma il bilancio dei danni è pesanti.
Quando i poliziotti hanno fatto irruzione nella palazzina sotto assedio, i rivoltosi si erano asserragliati all'interno di uno stanzone. Avevano organizzato una sorta di barricata, ma appena si sono trovati di fronte gli agenti in assetto anti-sommossa, la maggior parte ha avuto paura e ha alzato le mani in segno di resa.
Qualcuno è stato ferito: diverse le ambulanze partite a sirene spiegate verso il pronto soccorso degli ospedali della città. Gravi i disagi per i passeggeri che attendevano di partire. Undici voli pronti al decollo da Elmas sono stati cancellati e altri quattro dirottati ad Alghero e Olbia.
Nella sala partenze del Mario Mameli si sono ritrovati in centinaia: tutti col biglietto in mano, in attesa di avere notizie. Qualcuno ha perso la calma e davanti ai banchi del check-in si sono sentite urla e proteste. Poi sono scoppiate la polemiche, tutte concentrate sulla creazione di un centro di accoglienza per immigrati a due passi dall'aeroporto. Diviso dalla pista da una lastra di plexiglass.



Clandestini in rivolta a Cagliari: aeroporto bloccato, dieci arresti

Il Messaggero,12-10-2010
UMBERTO AIME
Blitz delle forze dell'ordine per riaprire lo scalo. Passeggeri infuriati
CAGLIARI - Alla terza rivolta in un mese, stavolta c'è stato il botto, annunciato e temuto, nel Centro di prima accoglienza per gli immigrati clandestini, una palazzina di due piani, circondata dal filo spinato,  a quattrocento metri dall'aeroporto di Cagliari-Elmas e dentro il perimetro   dell'Aeronautica   militare. Riuscita    la sommossa,
una decina di fuggiaschi hanno invaso la pista, l'aeroporto è rimasto chiuso al traffico per quattro ore, quindici voli sono stati cancellati o dirottati su Alghero e Olbia, quattrocento passeggeri sono rimasti a terra: sono questi i numeri dell'ultimo bollettino dal fronte dell'immigrazione.
Tutto è cominciato nel primopomeriggio quando novantotto di algerini ospiti da due mesi della struttura dopo esse¬re sbarcati sulle coste sud della Sardegna, hanno messo a soqquadro il primo piano del Cpa, in quel momento sorvegliato da poche pattuglie delle forze dell'ordine. Hanno strappato letti, rovesciato tavoli e con un attaccò massiccio sono riusciti a superare il cordone di sicurezza, per poi saltare il filo spinato. Gli uomini in fuga hanno preso diverse direzioni, una buona parte verso le vicine campagne di Santa Caterina. Poi l'allarme è diventato generale quando una decina di immigrati sono riusciti a raggiungere la pista dell'aeroporto civile, affollata, come ogni lunedì, che è da sempre uno dei giorni più caotici nel traffico aereo. In pista c'erano cinque aerei di linea tra quelli appena atterrati e altri in partenza, quattrocento passeggeri erano ormai pronti a imbarcarsi per Pisa, Bergamo, Roma e Milano. Ma tutto si è bloccato all'improvviso dentro e fuori l'aerostazione. Carabinieri, poliziotti e squadre speciali della guardia di finanza sono arrivati in forze: tutti indossavano caschi, impugnavano manganelli e scudi anti-sommossa. Dopo neanche mezz'ora dalla sommossa i primi ottanta algerini sono stati circondati e bloccati quando erano ancora all'interno del cortile del Centro di accoglienza. Pero a chi coordinava i rinforzi è stato subito chiaro che la sommossa doveva essere un diversivo, per mettere a una decina di rivoltosi la vera impresa, quella di attraversare la pista e fuggire davvero dall'altra parte dell'aeroporto. Tentativo che, a ottobre, era già riuscito a un altro algerino, bloccato dagli agenti cinque ore dopo quand'era già riuscito ad arrivare alle porte di Cagliari. Ieri le forze dell'ordine non si sono fatte sorprendere e hanno rastrellato l'area portuale metro dopo metro fino a quando non sono riusciti a bloccare tutti gli immigrati, cinque di loro saranno poi arrestati per danneggiamento, mentre gli altri sono stati rinchiusi nell'altra ala del Centro. Alle 17.30, all'appello, non mancavanessuno,mal'ennesi-ma rivolta ha confermato l'assurdità di questo Cpa aperto a pochi metri da un aeroporto da sempre nella lista degli obiettivi sensibili. E gli effetti di questa logistica lontana da ogni logica sono stati ancora una volta devastanti, con il Sud della Sardegna tagliato fuori per buona parte del pomeriggio da ogni collegamento aereo. I sindacati di polizia hanno protestato più volte per questa "inconcepibile vicinanza", anche la società di gestione dell'aeroporto ha sollevato il caso in prefettura, ma finora non ci sono state risposte. La rivolta di ieri è stata la quarta in un anno, la terza in meno di un mese in un struttura che rischia di scoppiare in ogni momento, anche se dal ministero degli Interni dicono: «I rimpatri sono immediati e regolari, almeno uno alla settimana».



LA TRINCEA DEGLI ULTIMI

la Repubblica, 12-10-2010
ADRIANO SOFRI
CAGLIARI, 11 ottobre, ore 14.30. Un centinaio di immigrati in rivolta si impadronisce del Centro di prima accoglienza, ubicato nell'area militare dell'aeroporto. Ore 14.45, una decina di ribelli fugge scavalcando le reti di cinta di 4 metri. Alcuni si feriscono. Ore 14.50, quattro fuggiaschi vengono avvistati sulla pista dell'aeroporto. Ore 14.55, l'Enac avverte della chiusura dello scalo fino alle 22.
Ore 17.15, la rivolta appena cominciata è già finita, tutti i ribelli sono stati ricatturati. Lo scalo è riaperto. Si registrano ritardi fra le due e le tre ore. Era la terza ribellione nel giro di undici giorni, si è saputo. Però questa volta bisogna dirne qualcosa, perché è stato toccato l'aeroporto.già profanato dalla lotta deì pastori. I voli, da un'isola, sono sacri come i ponti altrove. D'altra parte non ci si stupirà che un Cpa collocato strategicamente a una manciata di metri dalla torre di controllo, nella ex caserma degli avieri, diffonda i suoi spaesati evasi dentro l'aeroporto. A leggere con più attenzione le cronache, i quattro ripresi dentro lo scalo, piuttosto che irrompere sugli aerei, hanno rischiato di finirci sotto.
Dunque bisogna decidere come commentare. Deplorare i rivoltosi che, approdati indebitamente alle nostre coste (possono però essere candidati meritevoli all'asilo), hanno anche danneggiato suppellettili e passato le linee, non mancherà certo chi lo faccia. E i passeggeri danneggiati senza colpa vanno certo capiti, benché la ventina fra loro che ha aggredito quattro cittadini italiani ìnnalzatori di striscione ("Libertà ai migranti liberi tutti") si sia mostrata troppo nervosa.
Però proviamo a vedere le cose, se non dall'infimo punto di vista degli stranieri ribelli ,dannatissimi della terra, almeno da quello del cronista futuro, ammesso che ci sia un futuro e un cronista di microstorie simili. Chissà che giu-dizio si farà il futuro di ideali che già infiammarono gli animi di altre generazioni, e poi andarono fuori corso, come quello che ribellarsi è giusto. Si chiederà, il cronista a venire, che cosa abbia spinto un manipolo di disgraziati a ribellarsi in una così enorme sproporzione di forze. Se non si accontenterà di spiegazioni temerarie ("Sono bestie. E' puro vandalismo "), dovrà misurarsi di nuovo con il rovello che da sempre il carro trionfale della storia si trascina dietro nella polvere, legato a una fune: che cosa spinge gli umani alla rivolta senza speranza?
Molte risposte si sono tentate. La più celebre, e anche la più comune, dice che non hanno niente da perdere. Solo le loro catene, dunque ribellarsi conviene. Ma abbiamo imparato che non è vero. Che c'è sempre qualcosa da perdere, che costa sempre caro ribellarsi. Un'altra risposta chiama in causa l'amore per la libertà. Dev'essere vera. Se no non si spiegherebbe come mai degli esseri umani trovino la forza di ribellarsi anche nella più schiacciata delle condizioni. Anche sulla rampa di un lager. Gli schiavi di Spartaco, extracomunitari rastrellati un po' dappertutto per venire a fare i lavori che i romani non volevano più fare e i giochi da stadio che i romani non sapevano più fare, ne diedero un esempio splendente. I posteri poi spiegarono che non avrebbero comunque potuto vincere, che i rapporti di produzione non erano abbastanza maturi da autorizzare il passaggio a un mercato libero o, chissà, al socialismo: ma per fortuna donne e uomini non si ribellano solo quando i rapporti di produzione lo autorizzino, e quando i rapporti di forza mostrino plausibile la vittoria. Su'l 102 "ospiti" del Cpa di Cagliari non sono certo gli schiavi di Spartaco, riderete voi: naturalmente. Cioè, sì e no. Non proverò a sviluppare il confronto, per non renderlo ridicolo. Mi basta averne insinuato l'eventualità, e ora ciascuno lo segua fra sé e sé.
Comunque sia, anche se si voglia ferreamente tenere la rivolta di Cagliari alla sua misura minuscola e aneddotica, si pensi almeno al rapporto che lega qualunque creatura reclusa, umani o altri animali, al cielo. Quando ogni altra dimensione è sbarrata, lo sguardo cerca il cielo e lo invidia e lo prega. Affida la propria nostalgia a un volo di uccelli o a una nuvola di passo o una scia dì reattore. È per questo che i prigionieri si arrampicano sui tetti, e ora anche tanti che non sono prigionieri. Il cielo e la libertà fanno tutt'uno. Consigli agli imprenditori edili e alle autorità competenti che assegnano loro l'appalto per la costruzione dei Cpa, dei Cia e delle altre galere novissime: non li collocate dentro un aeroporto. È come mettere un gorilla ai piedi dell'Empire State Building.
Comunque, non c'è problema. Questa volta è andata. Materassi bruciati, dieci arrestati. La rivolta appena cominciata è già finita. Il cielo non è più con noi.



La rivolta dei clandestini blocca l’aeroporto

il Giornale, 12-10-2010
Cagliari Hanno prima conquistato il Centro di prima accoglienza, poi diretti al vicino aeroporto hanno occupato la pista, cercando di fuggire attraverso la zona arrivi dello scalo. Una rivolta che ha sorpreso tutti quella organizzata ieri pomeriggio nelle immediate vicinanze dell’aeroporto civile «Mario Mameli» di Elmas (appena dieci chilometri da Cagliari) da un centinaio di immigrati clandestini.
Poco dopo è scoppiato il caos soprattutto per i passeggeri in partenza e per gli aerei in arrivo: l’Enac per precauzione ha deciso di chiudere l’aeroporto fino alle 22 con una comunicazione inviata a tutte le compagnie aeree, in attesa che la situazione tornasse alla normalità. Una dozzina i voli che hanno subito ritardi, 11 cancellati, e 4 spostati nelle destinazioni verso Olbia e Alghero. Soltanto intorno alle 17, a due ore dopo dalla «conquista» del Centro, la polizia ha ripreso il controllo dell’edificio. Dieci i clandestini bloccati e accusati di vari reati.
Il malcontento covava da tempo (tre sommosse in appena dieci giorni) e ieri il blitz, sfociato in momenti di semiguerriglia. Più di venti nordafricani, manomettendo le telecamere di sicurezza, hanno prima messo a soqquadro la struttura, costruito in un’area militare a pochi metri dallo scalo civile cagliaritano, poi sono riusciti a forzare il cordone degli agenti. Senza perdere altro tempo, alcuni immigrati sono scappati verso la pista affollata dagli aerei, vista l’ora di punta.
A quel punto è scattato lo stato di allerta, appena gli uomini-radar dalla torre di controllo hanno avvistato alcune persone correre dirette in pista. Polizia, carabinieri e guardia di finanza sono intervenuti in forze e hanno messo a punto un rastrellamento per riuscire a intercettare i rivoltosi prima che scappassero dalla zona dell’aerostazione.
Intorno alle 17, con la cattura di tutti i fuggiaschi, la situazione è tornata lentamente alla normalità anche se i voli hanno continuato a subire ritardi.
Quella di ieri è solo l’ultima delle rivolte scoppiate nel centro di prima accoglienza. Il primo ottobre alcune decine di extracomunitari avevano appiccato un incendio a materassi e arredi al secondo piano dell'edificio, dove si trovavano circa 40 persone. Quattro giorni dopo la scena si era ripetuta al primo piano, devastato dalla furia dei rivoltosi. All'origine delle sommosse, il tentativo di impedire il trasferimento in un altro centro di alcuni ospiti. Nei giorni scorsi, dopo nuovi sbarchi dal nord Africa, il numero delle presenze nel Cpa è salito a un centinaio di persone.
Aperto il 4 giugno del 2008, il Centro ha una storia tormentata: costruito in una palazzina che un tempo ospitava militari di leva dell'Aeronautica nell'aeroporto militare di Cagliari-Elmas, ospita fino a 240 persone. Un piano è dedicato alla prima accoglienza per i richiedenti asilo provenienti da centri di identificazione della Penisola. L'altro piano ospita immigrati intercettati dalle forze dell’ordine che pattugliano le coste della Sardegna sud-occidentale.
Intanto, assieme alla rivolta, è decollata la polemica sull’ubicazione del Centro. Secondo il coordinamento provinciale Pdl, il caso della struttura di Cagliari «è unico in Italia: è troppo vicino all'aeroporto civile e non è la prima volta che succedono fatti di questo tipo che provocano la chiusura dello scalo. In più occasioni i sindacati della polizia hanno chiesto lo spostamento del Centro, ma ad oggi nessuno ancora è intervenuto. Chiediamo l'intervento immediato del ministero per la verifica della sicurezza dello scalo civile e ci auspichiamo interventi urgenti per spostare il Centro». Per Emanuele Fiano, presidente forum Sicurezza del Pd, «questi episodi dimostrano il fallimento di un aspetto fondamentale della politica nei confronti dei flussi migratori. Il governo ammetta che il modello di gestione dei Cpa, soprattutto dopo che il limite per la permanenza nei centri si è protratto fino ai sei mesi, sta fallendo».



Trattati come delle bestie e ignorati dalla politica

IL GIORNALISTA FABRIZIO GATTI RACCONTA QUELLO CHE HA VISTO NELLE STRUTTURE IN CUI VIVONO GLI IRREGOLARI
il Fatto Quotidiano, 12-10-2010
Beatrice Borromeo
Fabrizio Gatti, giornalista d'inchiesta de L'espresso che per due volte si è finto clandestino per raccontare la vita nei "centri di detenzione" per immigrati, non si stupisce affatto quando legge della rivolta di Cagliari. E spiega: "Non mi meraviglia che gli immigrati, trattati come animali, col cielo oscurato da reti di metallo per impedire la fuga, possano perdere la calma e decidere o di uccidersi oppure di scappare e bloccare per protesta la pista di un aeroporto". E l'unico modo per far sapere quello che succede dentro i centri?
Sì e questo è drammatico. Ci sono centri in cui non distribuiscono più le schede telefoniche perché c 'era chi le usava per tagliarsi le vene. Nel 2000 lei si è fìnto romeno ed è stato nel Centro per immigrati di Milano. Dopo il suo articolo  l'hanno  chiuso.
C'era un recinto d'acciaio, filo spinato e stavamo in container di ferro. Feci per il Corriere della Sera un reportage sulle condizioni igieniche, l'ammassamento e la promiscuità fra ragazzi e ragazze. Ci furono anche violenze sessuali e un'epidemia di scabbia.
Poi, nel 2005, si è fatta catturare nel mare di Lampedusa. Sono stato in quel centro otto giorni. La capienza massima era di 190 persone, invece eravamo 1200. I gabinetti non avevano lo scarico e per andare in bagno si dovevano mettere i piedi in una melma di urina e feci. Quali sono le cose più gravi che ha visto?
L'assoluto isolamento delle persone rinchiuse e la violazione totale delle garanzie costituzionali, come l'udienza con un magistrato entro le 48 ore, oltre alla possibilità di chiedere l'asilo politico. E le autorità che fanno? Una volta i carabinieri hanno fatto il gioco militare del 'corridoio': gli immigrati appena sbarcati,  i più deboli, venivano fatti passare in mezzo a due file di militari addetti alla loro perquisizione e presi a schiaffi sulla testa. Ho visto che urlavano a qualcuno di sedersi, in italiano o in inglese. E chi non capiva l'ordine veniva picchiato. Un ragazzo è stato preso a calci.
Cos'altro facevano i carabinieri? Avvicinavano i minorenni, che in teoria là dentro non avrebbero proprio dovuto esserci e li obbligavano a vedere immagini pornografiche sui loro telefonini. I centri sono anche molto costosi.
C'è un dossier di Medici senza frontiere secondo cui solo il 40 per cento dei detenuti nei centri viene effettivamente rimpatriata. Con i tagli di quest'anno i rimpatri, a carico dello Stato, verranno ridotti ancora. E i nostri potenziali richiedenti asilo, soprattutto eritrei e somali, sono incarcerati in Libia grazie ai nostri accordi con Gheddafi.
Ma i centri sono utili a mantenere l'ordine, almeno?
Sono una grande messa in scena, più utile a rassicurare gli italiani che a ga-rantire la sicurezza o a scoprire l'identità, le intenzioni o i diritti di rifugio di chi sbarca.
Gli sbarchi però sono diminuiti.
Da 176 mila respingimenti del 2008 si è passati a 106 mila del 2009 e questo è un indicatore importante per capire che entrano meno persone. Ma è dovuto soprattutto alla crisi economica. Nel 2005, quando lei fu "ospite"
del Cie di Milano, il periodo massimo di detenzione era molto inferiore rispetto a oggi.
Si stava dagli otto giorni alle due settimane. Il limite massimo previsto dalla legge Turco-Napolitano era di 30 giorni. Poi gli immigrati venivano smistati in altri centri o rimandati in Libia, anche se la loro identificazione era sommaria.
Oggi possono detenerli fino a sei mesi.
E per di più nulla impedisce che, una volta liberati, possano essere fermati e trattenuti di nuovo. In teoria, un irregolare che esce dal centro dopo i sei mesi potrebbe attraversare la strada ed essere fermato nuovamente. E quindi, potenzialmente, la permanenza nel centro può diventare un ergastolo.
Lei è stato a Lampedusa otto giorni. Riesce a immaginare sei mesi lì dentro?
No. E da quando sono usciti dal Parlamento i piccoli partiti, come Rifondazione e i Verdi, che più si occupa-vano di immigrazione, nessuno visita i centri. Noi giornalisti, se vogliamo vederne uno, dobbiamo chiederlo con un preavviso di almeno un mese, rendendo impossibile un vero controllo della situazione. Il senso di abbandono per chi vi è recluso è ancora più forte che allora. La rivolta di Cagliari lo dimostra.



Ecco dove era finito problema immigrati

il Riformista, 12-10-2010
MARCO SARTI
CLANDESTINI. Paralisi di tre ore e 15 voli cancellati: 22 extracomunitari sono fuggiti cercando di nascondersi nei pressi della pista. Prima avevano devastato la struttura che li ospitava. L'allarme è scattato proprio dalla torre di controllo dello scalo. Arrestate nove persone. Ristabilito l'ordine anche nell'edifìcio in cui era partita la sommossa.
? Una rivolta scoppiata nel Centro di prima accoglienza situato all'interno dell'aeroporto Mario Mameli di Cagliari ha paralizzato per circa tre ore, nel pomeriggio di ieri, lo scalo sardo. Almeno 15 i voli cancellati dall 'Enac per permettere alle forze dell'ordine di bloccare i 22 extracomunitari che erano fuggiti cercando di nascondersi nei pressi della pista aeroportuale: otto aerei in arrivo - di cui quattro dirottati ad Alghero e Olbia - e sette in partenza (destinazione Fiumicino, Linate, Madrid e Olbia).
Gli immigrati - nordafricani originari dell'Algeria e della Tunisia - si sono calati dalla cinta muraria del Centro verso le 14.30 dopo aver messo a ferro e fuoco la struttura che li ospitava. L'allarme è scattato proprio dalla torre di controllo dello scalo - distante solo 150 metri dal Cpa - quando i controllori di volo hanno avvistato quattro fuggiaschi sulla pista. Immediato il blocco dell'intero scalo da parte dell'Enav.
Al termine del rastrellamento da parte degli operatori della Polaria e dei militari della Guardia di Finanza presenti al "Mario   Mameli",   coadiuvati   da agenti inviati dalla Questura di Cagliari, sono state arrestate nove persone. Ristabilito l'ordine anche all'interno del Centro di prima accoglienza dove era partita la sommossa. Dopo aver circondato l'edificio, gli agenti hanno fatto irruzione, identificando i 102 ospiti e registrando ingenti danni alla struttura.
Non è la prima volta che nel Cpa di Elmas si registrano incidenti di questo tipo. «Solo in questo mese - racconta al Riformista Vincenzo Mareddu, presi¬dente della società che gestisce lo scalo - è già la terza volta che avvengono episodi simili. La, frequenza di queste vicende,! che danneggiano i passeggeri locali ma anche tanti turisti, è preoccupante».
Lo scorso primo ottobre alcune decine di clan-destini avevano appiccato un incendio al secondo piano dell'edificio -occupato dagli immigrati intercettati dalle forze  dell'ordine  che pattugliano le aree costiere dell'isola - dopo' aver distrutto l'impianto di videosorveglianza.    Pochi giorni fa un'altra rivolta, quando alcuni ospiti della
struttura hanno devastato il primo piano - dedicato all'accoglienza dei richiedenti asilo provenienti dai centri di identificazione di tutta Italia - proprio alla vigilia della visita del : ministro   dell'Interno Roberto Maroni. La struttura, attualmente occupata da un centinaio di immigrati, è in grandi ospitare 220  extracomunitari. Un  Cpa relativamente   nuovo, quello del capoluogo sardo. L'apertura risale al giugno del 2008. Con una scelta che all'epoca fece discutere - a causa della vicina pista dell'aeroporto civile - fu scelto di allestire il centro in una vecchia palazzina dello scalo miliatare di Elmas. In una struttura che prima di allora era destinata ad ospitare i militari di leva dell'Aeronautica militare. Oggi i responsabili dell'aeroporto chiedono che il Cpa venga spostato altrove. «Lancio un appello - spiega il presidente Mareddu - Dopo questo ennesimo grave episodio credo che si debba aprire una riflessione per trasferire il Centro di prima accoglienza lontano da un luogo sensibile come un aeroporto. È paradossale che dopo aver cercato di garanti¬re il massimo della sicurezza a tutti i passeggeri all'interno dello scalo, dobbiamo trovarci di fronte a situazioni del genere. Non è la prima volta che sollevo il problema di fronte alle autorità competenti. Fino ad ora non è arrivata alcuna risposta, alla luce dell'ultimo episodio mi aspetto che venga convocato un tavolo per risolvere il problema».
Una questione legata alla sicurezza che non riguarda solo immigrati e passeggeri. Ieri, infatti, si sono registrati gravi incidenti anche all'interno dell'aeroporto. Vittime, in particolare, quattro membri dell'associazione "No Border Sardegna", che nel pomeriggio hanno manifestato la propria solidarietà agli immigrati all'interno dell'area partenze dello scalo sardo.
I quattro reggevano uno striscione che recitava «Libertà ai migranti. Liberi tutti», quando sono stati aggrediti da un gruppo di passeggeri infuriati. Decisivo l'intervento della Polizia, che ha scortato i manifestanti fino all'esterno dell'aeroporto di Elmas, salvandoli dal linciaggio.



Occupato lo scalo di Cagliari
I clandestini in pista con l'aiuto della sinistra

Libero, 12-10-2010
MARIA GIOVANNA MAGLIE

Minacce, paure, danni, un aeroporto importante bloccato, discredito sulla nostra organizzazione e sicurezza, si può mai sopportare? La rivolta dei clandestini di Cagliari è una vicenda gravissima e merita qualche considerazione, anche sulle complicità di chi lavora in quello e in altri centri. Due sbarchi in Sardegna e uno nel Lazio (...)
(...) nel giro di pochi giorni sarebbero già sufficienti a far temere che la politica di contenimento faticosamente ma efficacemente almeno finora concordata con l'esoso dittatore Gheddafi abbia delle crepe, e sono anche sufficienti a far temere che le resistenze europee alle richieste economiche del colonnello possano essere all'origine del problema. È così?
Ma non c'è solo questo tipo di timore a far star male subito dopo la rivolta nel centro di accoglienza di Cagliari. Intanto fateci caso come soprattutto da noi in Italia gli aspiranti a condizione tutta da verificare di rifugiati si trasformino rapidamente in agit prop, manifestanti, barricaderos, violenti pieni di pretese e pronti alla rivolta solo per la decisione di trasferire un gruppo di loro in un altro centro, quasi che una mano amica li sospingesse, quasi che tra i bravi operatori e volontari dei centri riuscisse agevolmente a nascondersi e a spargere veleno qualche addetto ai lavori peggiori.
La dimostrazione l'abbiamo avuta ieri, c'erano degli esterni che hanno tentato di sostenere la rivolta e si sono beccati un tentato linciaggio da parte dei passeggeri esasperati. Poi guardate agli esempi concreti e capirete che se è vero che gli sbarchi dei disperati del mare sono ridotti in modo vistoso, non è così per la politica di rimpatrio dei clandestini le cui aspirazioni a restare in Italia si siano rivelate infondate, insomma capirete che Sarkozy avrà pur copiato la politica sull'immigrazione da noi, ma lui la fa e non si ferma alle proteste di vescovi o commissari, e noi al solito zoppichiamo. Bravi teorici, pessimi nell'azione.
Conosco i dati positivi: lo sbarco dei clandestini è diminuito del 96 per cento. Il dato, che si riferisce al periodo dal 1° gennaio al4 aprile 2010, se confrontato con quello dello stesso trimestre dello scorso anno, è stupefacente, tendendo anche conto del fatto che il risultato abbraccia soltanto tre mesi: 170 stranieri sbarcati contro 4.573.
Ma conosco anche alcuni esempi inquietanti. Il giro di vite sulle espulsioni dei clandestini è stato varato ed è entrato in vigore l'estate scorsa, esattamente un anno e due mesi fa. Tuttavia tra gli irregolari transitati dal Centro di identificazione e di espulsione (Cie) di via Corelli (1.083 nel 2009) a Milano non ci sono stati espulsi.
Cito dalle cronache dei quotidiani. "Un bilancio sorprendente quello di Vito Dattolico, capo del pool dei giudici di pace, 18 professionisti che ogni giorno si occupano esclusivamente della convalida o meno dei fermi dei clandestini catturati dalla polizia e portati al Cie di via Corelli. Dattolico sostiene che non è possibile effettuare espulsioni perché mancano i fondi. «Tra le condizioni stabilite dal pacchetto sicurezza c'è che il decreto di allontanamento debba essere immediatamente operativo, ma mancano i soldi per finanziare i viaggi di ritorno dei clandestini nei loro Paesi. Così, niente fondi e niente espulsioni»".
Un'altra testimonianza. Francesco De Vito, segretario generale provinciale Ugl polizia di stato Milano, concorda pienamente con Dattolico. «Imbarchi immediati non ne abbiamo mai fatti, quindi è come se la legge Maroni non fosse mai stata applicata. Tra il 2009 e il 2010, a fronte di 2729 espulsi con ordine del questore e di 400 allontanamenti, solo 300 immigrati sono stati trattenuti al centro di via Corelli. In totale, in questo lasso di tempo, la questura di Milano ha imbarcato appena 650 clandestini in tutto (tra i quali ci sono anche i detenuti scarcerati e gli immigrati irregolari provenienti da altre città d'Italia) ma li ha potuti rimpatriare solo grazie alla vecchia legge sull'immigrazione, la Bossi-Fini. Le disposizioni del pacchetto sicurezza, che ha allungato il tempo massimo di detenzione all'interno del Centro di via Corelli da sessanta fino a un massimo di 180 giorni, hanno permesso di ovviare alla mancata collaborazione delle autorità consolari che non sono mai stati celeri nel concederci i documenti d'identificazione dei loro concittadini. D'altro canto, questa prolungata permanenza, ha creato un dispendio di risorse e una serie di problematiche legate alla detenzione degli stranieri. Ne sono un esempio lampante le varie rivolte scoppiate recentemente nel Centro: se gli stranieri non vi avessero soggiornato così a lungo non ci sarebbero state».
«Se pensiamo poi alla stima degli immigrati irregolari presenti a Milano fatta dalla Croce Rossa -conclude De Vito - che parla di ben 50mila unità, (150mila in Lombardia), significa che siamo riusciti a espellere appena il 15 per cento e a imbarcarne solo l'1 per cento».
Se questo dato lo proiettiamo a livello nazionale, c'è di che aver più di un fondato timore che le nostre leggi restino lettera morta.



Fuga di massa dal Cpa, "Mameli" di Cagliari chiuso per tre ore. Poi la   polizia ripende il controllo con un blitz
Aeroporto Ostaggio dei Clandestini
la Padania, 12-10-2010
ALESSANDRO MONTANARI

CAGLIARI - C'è voluto un blitz in pieno stile militare per liberare l'aeroporto "Mario Mameli" di Cagliari che nel primo pomeriggio di ieri è stato tenuto in ostaggio per quasi tre ore da una rivolta, la terza in meno di due settimane, messa in atto dai circa cento clandestini ospitati nel Centro di Prima Accoglienza situato nell'ala militare dello scalo.
Tutto comincia intorno alle 14 e 30, quando nella palazzina del Cpa, distante 150 metri dalla torre di controllo, scattano i disordini. Come in un piano prestabilito, gli immigrati, in tutto 102 e per lo più di origine algerina e tunisi¬na, passano all'azione mettendo a soqquadro le stanze e infliggendo ingenti danni alla struttura. E Centro, che dal primo ottobre scorso è gestito dal Consorzio Sisifo, aderente alla Lega delle Cooperative e già gestore del Cpa di Lampedusa, viene presto "conquistato". L'allarme però scatta quando dalla torre di controllo avvistano una ventina di clandestini intenti a scavalcare le recinzioni, alte quattro metri, del Cpa ed altre quattro persone correre sulla pista di rullaggio. Avvertita della situazione, l'Enac decreta l'immediato blocco dei voli annunciando la ripresa
del traffico da e per Cagliari per le ore 22. Poi tutto si risolverà con largo anticipo, ma in quel momento la tensione è altissima perché la Polaria, insieme ai rinforzi inviati dalla Questura di Cagliari, dal comando dei Carabinieri e dalla Guardia di Finanza, deve riprendere il controllo della pa-lazzina e recuperare ogni singolo fuggitivo. C'è il rischio concreto che qualcuno riesca a far perdere le proprie tracce ed anche che possa compiere gesti in consulti, come ad esempio prendere in ostaggio un aereo. Per questo motivo occorre rastrellare palmo a palmo non solo la pista ma anche tutta l'area adiacente dove si trovano gli aerei in sosta. La polizia riesce subito ad acciuffare quattro immigrati che si erano mischiati ai viaggiatori all'interno dell'aeroporto, altri poi vengono fermati nelle immediate vicinanze.
Intanto l'ex caserma avieri dell'Aeronautica militare oggi trasformata in Cpa viene circondata da un cospicuo numero di agenti che, prima dell'irruzione, lancia lacrimogeni all'interno della struttura. Lo scenario è da brivido ma la palazzina, quasi completamente devastata, viene facilmente ripresa: i 102 immigrati che vi si trovavano reclusi, infatti, sono tutti usciti fuori in cerca della libertà. Ad uno ad uno, però, verranno recuperati tutti.
Alle 17 e 15 infatti, cioè dopo tre ore di caos, 11 voli cancellati, diversi feriti e dieci arresti, l'Enac può decretare la riapertura dello scalo di Cagliari.
Come dicevamo, la rivolta di Elmas non è giunta del tutto inattesa. Nel Centro di Prima Accoglienza, dotato di una capienza massima di 220 posti e dunque popolato per meno della metà della sua capacità, recente-mente c'erano già stati altri fermenti. Il primo ottobre scorso, ad esempio, alcune decine di extracomunitari dopo aver manomesso le telecamere di videosorveglianza avevano dato alle fiamme materassi, cuscini e arredi al secondo piano dell'edificio. Quattro giorni dopo, il 5 ottobre, la scena si era invece ripetuta al primo piano, devastato e reso inagibile dai rivoltosi. A motivare entrambe le sommosse era stato il tentativo di impedire il trasferimento in altri centri dei clandestini identificati. Va segnalato, peraltro, che durante i fatti di ieri si sono registrati attimi di forte tensione fra i passeggeri dei voli cancellati ed un piccolo gruppo di anarchici che manifestava a sostegno della rivolta scandendo slogan, distribuendo volantini ed esponendo uno striscione con scritto "Libertà ai migranti, liberi tutti". La polizia ha dovuto allontanare il gruppo per evitare che il diverbio con i passeggeri degenerasse in qualcosa di peggio, ma anche la singolare concomitanza tra la rivolta e l'arrivo dei sostenitori politici sarà probabilmente oggetto di approfondimenti da parte degli inquirenti.
Intanto, tirato un sospiro di sollievo per la riapertura dello scalo con diverse ore d'anticipo sul previsto, sui siti internet
dei media locali e nazionali esplode la rabbia dei cittadini e dei sardi in particolare. Per loro, infatti, la chiusura dello scalo significa l'isolamento dal "continente" e se hanno appena sopportato in silenzio la sospensione dei voli causata dalla protesta degli allevatori locali, lo stesso i sardi non sembrano assolutamente disposti a fare con le proteste dei clandestini. «Se non gli piace stare nel Cpa - leggiamo dai commenti apparsi sul web -che se ne ritornino a casa loro, senza fare tanto casino nella nazione alla quale si chiede accoglienza». «Sono entrati illegalmente? - si chiede un secondo commentatore - E allora che vengano rispediti fuori dai confini nazionali!!!». «Se lo facessimo noi Italiani a casa loro - nota un altro - saremmo in una galera a pane e acqua». «Vorrei vederli comportarsi così in Germania o Svizzera!». «Se vogliamo che queste manifestazioni non si ripetano, occorre rispedire subito questi clandestini a casa loro. Il buonismo non fa che renderli più forti».



Dalle associazioni un coro di proteste
"Accorciare i tempi di detenzione"
la Repubblica, 12-10-2010
Il Pd: situazione fuorì controllo,fallita la politica del governo
ROMA — «Riformare tutti i Centri e ridurre i tempi di detenzione». I "ribelli" di Cagliari incassano un primo risultato: opposizio¬ne e associazioni chiedono una «revisione» della politica migratoria del governo. «La rivolta — attacca Emanuele Fiano presidente del forum sicurezza del Pd — è l'ennesimo grave episodio che testimonia una situazione spesso fuori controllo nei centri di prima accoglienza e nei centri di identificazione e ciò dimostra il fallimento di un aspetto fondamentale della politica nei confronti dei flussi migratori. Il governo ammetta che il modello di gestione dei Cie e dei Cpa, soprattutto dopo che il limite si è protratto fino ai sei mesi, sta fallendo». «Nei prossimi giorni — aggiunge Marco Pacciotti, coordinatore del Forum Immigrazione del Pd — una delegazione composta da alcuni parlamentari del Pd si recherà a Elmas per incontrare le autorità civili e i responsabili del Cpa, verificare le condizioni delle persone ospitate e capire come risolvere il problema che ormai rappresenta questa struttura. Chiediamo, inoltre, che 0 governo riferisca in Parlamento sull' accaduto e sulla natura del centro di Elmas».Ancheper Paolo Ferrero (Federazione della sinistra), i fatti di Cagliari sono «l'ulteriore segno del fallimento delle politiche del governo in materia di immigrazione, basate esclusivamente sulla repressione e sulle espulsioni». E per Luigi de Magistris (Idv), «questi centri vanno chiusi e il governo non può sfuggire da questa responsabilità, ma soprattutto deve sostenere il lavoro regolare, l'integrazione, la cittadinanza più facile, il voto amministrativo agli stranieri».
Critiche anche le associazioni. «Il terzo tentativo in soli undici giorni da parte di alcuni immigrati irregolari di evadere dal Centro di prima accoglienza di Elmas, ripropone il tema della utilità dei Centri e la loro effettiva funzionalità.—sostiene Antonio Russo, responsabile immigrazione delle Acli — le condizioni alle quali sono sottoposte le persone ospitate, ma soprattutto il tempo di permanenza che per la normativa vigente è di 180 giorni, richiede una revisione delle legge, che di fatto impone una privazione della libertà attraverso un soggiorno coatto. E tutto questo, se prolungato, può produrre situazioni come quella del Cpa di Cagliari». Sulla stessa linea Marco Paggi, avvocato dell'Associazione di studi giuridici sull 'immigrazione: «Da un alto si è triplicato il tempo di detenzione, dall'altro non si sono migliorate le condizioni di vita nei Centri. Oltretutto — aggiunge Paggi — al termine di questo percorso, molti degli immigrati trattenuti tornano in libertà. I dati sull'effettività delle espulsioni raccontano infatti di una forchetta tra il 40% e il 60% di migranti che non vengono rimpatriati».
Intanto, sul fronte immigrazione, si è registrato ieri un botta e risposta a Torino. Da un lato il sindaco della città, Sergio Chiamparino, che ha chiesto di concedere il voto alle elezioni amministrative anche agli stranieri residenti in Italia da almeno 5 anni. Dall'altro, il ministro dell'Interno Roberto Maroni, secondo il quale invece «la Costituzione dice che il diritto di voto spetta a chi ha la cittadinanza, non il permesso di soggiorno e questo è un limite invalicabile»



DAL 2008 AD OGGI MOLTI CENTRI "VITTIME" DELLA RABBIA DEGLI EXTRACOMUNITARI
Cie, da Milano a Bari fino a Bologna: quella lunga scia di rivolte per la fuga
la Padania, 12-10-2010
SIMONE GIRARDIN
Quest'estate dalla struttura di via Corelli, approfittando dei disordini, erano riusciti addirittura a scappare
in tre: due marocchini di 35 e 40 anni e un tunisino di 24. Senza dimenticare le sommosse, di Crotone
Dagli incendi agli assalti contro le forze dell'ordine fino alle tentate fughe {alcune anche riuscite). I Cie in questi anni hanno spesso mostrato il volto delle rivolte degli extracomunitari. Quest'estate dal centro di via Corelli a Milano erano riusciti addirittura a fuggire in tre: due marocchini di 35 e 40 anni e un tunisino di 24. Avevano approfittato dei disordini seguiti a una rivolta scoppiata all'interno della struttura.
Ma quella volta, stando alla Croce Rossa, la rivolta era finalizzata proprio alla fuga di alcune persone e non sarebbe invece scaturita dal malcontento.
Nello stesso giorno, e nella stessa ora, erano scoppiati disordini anche nel centro di Gradisca, in provincia di Gorizia. Anche lì analoghe modalità: una trentina di persone avevano tentato di fuggire dopo una protesta sui tetti del Cie, dove erano rinchiusi circa 140 immigrati. Tentativo però fallito. In compenso si erano messi a bruciare alcune suppellettili.
Ma la storia ci dice che di mezzo, in questi anni, non ci sono state soltanto Milano o Gorizia. Da Torino a Lamezia fino a Bologna, il passo della rivolta è sempre stato breve.
Materassi bruciati, sciopero della fame, lanci di oggetti: così in quattro su 13 Centri di identificazione ed espulsione, nel 2009 si scatenò una violentissima protesta.
Allora nel mirino degli immigrati c'erano le nuove norme del pacchetto sicurezza varate dal Governo. Secondo la legge i clandestini possono essere trattenuti in questi centri fino a un massimo di 180 giorni. Ma loro no, non ci stavano. E allora via ai disordini.
Una sommossa cominciata ancora a Gorizia e finita a Torino. Risultato: centinaia di stranieri identificati, decine quelli denunciati. E centri letteralmente devastati.
E ancora: a luglio di quest'anno a Bari, con diciotto immigrati, trattenuti nel Cen-tro di identificazione ed espulsione del quartiere San Paolo arrestati dagli agenti della
Questura perché ritenuti responsabili degli scontri avvenuti nella struttura. In quell'occasione ci fu un vero e proprio tentativo di fuga di massa che vedeva protagonisti una cinquantina di ospiti. Purtroppo per gli stranieri, davanti quella volta non si trovarono solo le forze dell'ordine ma anche i militari del Battaglione "San Marco". E così i rivoltosi, dopo aver sfondato le porte d'ingresso di tre settori destinati a moduli alloggiativi, si erano riversati all'esterno dell'area ricettiva muniti di spranghe di metallo divelte dalla recinzione esterna della struttura, affrontando alcune uomini delle forze dell'ordine. Poi l'arrivo dei militari con l'arresto di decine di immigrati.
E come dimenticare quella serata primaverile al Cie di Crotone.  Era successa una cosa simile anche a Caltanissetta, chiuso a novembre. In quello di Crotone erano detenuti circa 50 immigrati. Nonostante non fossero in molti, gli agenti di polizia in servizio e il personale lamentavano continue distruzioni da parte dei detenuti. La rivolta era dietro l'angolo. E arrivò, devastante. Tanto che alla fine il questore fu costretto a chiuderlo per le gravi devastazioni post rivolta.
Storie già viste: come a Lampedusa oggi finalmente "vuoto" ma teatro di diversi
scontri negli ultimi anni. Come Bari, già nel 2008 o Milano nel 2009 e poi quest'anno. Senza dimenticare il 20 luglio 2009 quando scoppiò un'altra rivolta nell'ex cpt di via Mattei, a Bologna. Durante la rivolta rimase ferito un ispettore. O il 13 novembre 2009, nel cie di Pian del Lago, a Caltanisetta. E ci fermiamo qui. Perché la lista è lunghissima. Come le situazioni al limite. I disordini potrebbero scoppiare da un momento all'altro. Vedi il caso di queste ore a Cagliari dove alcuni rivoltosi del Centro di prima accoglienza sono riusciti ad uscire dalla struttura, all'interno dell'aeroporto di Elmas e occupare una parte dello scalo. Fino all'irruzione delle forze dell'ordine che, dopo un blitz, sono riusciti a liberare la zona occupata dagli extracomunitari.



Centri" troppo affollati e permanenza lunga

IL Messaggero, 12-10-2010
CARLO MERCURI
ROMA - Le rivolte nei Centri di prima accoglienza (già Centri di permanenza temporanea) e nei Centri di Identificazione ed espulsione o comunque si voglia chiamare queste strutture per immigrati, sono inevitabilmente frequenti. Alcune drammatiche (la rivolta di Trapani del 1999, quando sei immigrati morirono nell'incendio appiccato per favorire una fuga), altre clamorose (la protesta di Lampedusa dell'anno scorso, con la distruzione del Centro di accoglienza, settanta feriti tra immigrati e poliziotti), ma tutte tali da innescare pericolosi focolai di tensione.
Gli è che i Cie (o i Cpa) sono autentiche polveriere, vista la situazione di degrado in cui versano. I mali sono quelli di sempre, gli stessi che affliggono le carceri italiane: sovraffollamento, scarsa assistenza, inadeguatezza delle strutture. La permanenza in questi Centri, che la legge ha elevato da 60 a 180 giorni, ha complicato la situazione. Se si pensa che in Italia, tra Cpa e Cie, ci sono 29 strutture per un totale di 7.653 posti e che, dal 1 gennaio 2010, sono stati quasi diecimila i clandestini transitati nei Centri per essere riaccompagnati in Patria, si capisce che la differenza di quasi 2.500 clandestini in più rispetto ai posti disponibili è la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Il Governo è naturalmente consapevole di questa situazione deficitaria, tanto che il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, ha già affermato che presto saranno aperte nuove strutture. Naturalmente modulando le necessità. A cominciare dalle aree che ancora oggi sono sprovviste di tali Centri, cometa Campania, il Veneto e la Toscana.
In Campania, ad esempio, quindicimila immigrati di circa 50 diverse etnie, vivono nella zona di Castel Volturno, nella provincia di Caserta. E' una delle aree più esplosive d'Italia, dove i clandestini divengono facile preda della camorra per essere avviati per lo più a fare i corrieri della droga. Qui, due anni fa, i Casalesi uccisero sei immigrati ghanesi e gli africani si ribellarono, distruggendo auto e negozi. Un'altra rivolta, per fortuna meno cruenta ma ugualmente drammatica, fu attuata sempre in Campania, a San Nicola Varco (Salerno), dove l'ex mercato ortofrutticolo fu occupato da 700 nordafricani quasi tutti senza permesso di soggiorno. Gli immigrati protestavano perché - dissero - vivevano in condizioni disumane.
La Toscana è in una condizione particolare: a Prato, ad esempio, vivono 70 mila stranieri su 180 mila abitanti e gli stranieri sono quasi tutti cinesi. E' una comunità nella comunità, quella cinese: ha regole separate e perfino la malavita cinese si adopera contro gli stessi cinesi e non tocca gli italiani. Campania e Toscana, ecco due banchi di prova importanti per il Governo. Installare qui strutture di accoglienza per clandestini (Cie o Cpa) rappresenta una bella sfida.
Anche in Veneto non ci sono strutture di accoglienza, ma qui il discorso è diverso. Si potrebbe dire che la Regione stessa è la più grande struttura d'accoglienza, visto che nel Nord Est gli immigrati sono i benvenuti e nessuno pensa a rimpatriarli. Nella provincia di Vicenza, nel settore della concia dei pellami la manodopera è costituita al cento per cento da operai senegalesi e indiani. Qui la presenza degli extracomunitari vie¬ne considerata una risorsa, A che serve aprire in Veneto Centri di iden-tificazione ed espulsione?



PIDDI QUALCOSA DI DESTRA

il Fatto Quotidiano, 12-10-2010
Luca Telese
Sondaggi a picco, voci discordanti. Dall'Afghanistan alla Fiat, agli immigrati: posizioni (quasi) mai di sinistra
Per dire. L'ultimo sondaggio in ordine di tempo, quello realizzato dal Cfi group per In Onda-Lai solo sabato scorso (un campione di 800 persone) forniva un responso-choc. Il Pd è oggi, secondo questa ricerca, al 22.6% dei consensi con un dato (per farsi un'idea) ai livelli toccati dal solo Pds nel 1996. Per tutti gli altri istituti, una settimana prima, il partito oscillava comunque tra il 24 e 25%. Per Walter Veltroni, che ha attaccato la segreteria di Pier Luigi Bersani, il partito è al 24.6%. Dati che fanno paura se confrontati con il 33.1 raccolto dall'ex sindaco alle elezioni politiche. Concorrenza a sinistra. Difficile capire dove si fermi esattamente il boccino, oggi, di fronte a un elettorato che a sinistra si muove con grande emotività: sale Beppe Grillo, ormai stabile intorno al 2% con il suo movimento Cinque stelle; esplodono Nichi Vendola e Sinistra e libertà (secondo il Cfi al 6.2%, secondo Manneheimer al 5.5%), tiene l'Italia dei Valori (tra il 7 e l'8% a seconda degli istituti). Insomma, la situazione di emergenza nell'emorragia di consensi è innegabile. Il Pd era, dopo le politiche, l'architrave della nuova possibile coalizione: ora è l'anello debole dell'opposizione. Se si cerca una spiegazione, la risposta è semplice: dall'Afghanistan (dove Piero Fassino prima chiede i bombardamenti e poi si corregge), alla Fiat (dove il partito sostiene posizioni equidistanti fra Marchionne e gli operai), al rapporto con Berlusconi e la giustizia, alle primarie le poche prese di posizione note all'opinione pubblica sono di segno modera¬to, se non "di destra" (per stare alle categorie politologiche). La lotta fra le correnti imperversa a base di lettere astruse e documenti criptati, l'emorragia di dirigenti verso le formazioni centriste è forte: dopo l'addìo, di Francesco Rutelli, Enzo Carra e Paola Binetti, persino un capo-corrente come Giuseppe Fioroni minaccia strappi. Contropiede mediatico. I ti¬mori per questa situazione traspa¬rivano nell'intervista difensiva di Bersani, domenica scorsa a Che tempo che fa: "Non sono per fare l'autolesionismo - ha detto - però il Pd non è la salmeria di nessuno". Ma forse per capire le sue difficoltà bisogna ricostruire l'analisi del leader prima e dopo il congresso. Bersani, infatti, vince contro Dario Franceschini proponendosi come ritorno alla normalità e al buonsenso: ripete in tutte le salse: "Non farò il candidato premier". Spiega che vuole ricostruire la coalizione, archiviare la "vocazione maggioritaria" Di Veltroni, che aveva portato il partito a un risultato elettorale deludente, ma non drammatico: e che però aveva sterminato gli alleati condannando il centrosinistra alla minorità. Voltafaccia. Dopo aver battuto Franceschini, però, Bersani stravolge la linea. Il primo ad aprire le danze, nei rapporti con il centrodestra è il vice, Enrico Letta ("C'è n'è uno di sinistra - secondo una nota battuta di Vendola - è quello che sta a Palazzo Chigi"). Letta stupisce tutti con un'intervista a Il Corriere della sera. Berlusconi - sosteneva "Ha diritto a difendersi nel processo e dal processo". Due giorni dopo (sempre al Corsero), D'Alema va oltre: "Se per evitare il suo processo (di Silvio Berlusconi, ndr) devono liberare centinaia di imputati di gravi reati, è quasi meglio se facciamo una leggina ad personam per limitare il danno". Due aperture molto forti, il tentativo di "pacificare "il conflitto e recuperare "lo spirito della Bicamerale". È il moderatismo la bussola del nuovo gruppo dirigente. A far saltare l'intesa è la radicalizzazione di Berlusconi, che ignora le profferte del Pd. Non può più accettarle: Fini lo sta attaccando proprio sulla legalità. Il caso Puglia. Bersani e D'Alema sbagliano totalmente la partita in Puglia, il secondo errore strategico. Puntano su un candidato centrista (Boccia) e sulla deposizione di Vendola. Ottengono il risultato opposto. Poi scommettono sulla sconfitta alle elezioni. E invece Vendola è l'unico presidente di sinistra che vince fuori dalle regioni rosse. Vendola si candida alle pri¬marie nazionali. Bersani dice che "È prematuro". Ieri cambia idea. La Bindi e Letta dicono: "Il candi¬dato è lui". Però scende in campo anche Sergio Chiamparino. Scoppia la guerra del referendum a Pomigliano? La Cgil si schiera contro la Fiom che difende il contratto, Bersani dice: "Gli operai sanno cosa votare" (cioè sì). Il responsabile industria, Matteo Colaninno aggiunge: "Ha torto la Fiom: Marchionne sbaglia, ma non si può dire di no alla Fiat". Mentre Fini chiede diritti per gli immigrati, a Veltroni propone un permesso di soggiorno restrittivo "a punti". La Russa chiede i bombardieri? L'ex segretario si illumina: "Parliamone". Poi, dopo un coro di insulti fa retromarcia. L'altro nodo strategico: "Il terzo polo". Su cui scommette, ancora una volta, Enrico Letta: "Se noi ci alleassimo con Fini e Casini, separandoci da Di Pietro e da Vendola potremmo vincere" . Bersani deve correggere il tiro anche lì, forse troppo tardi. Torna attuale una storica battuta di D'Alema. A Ferdinando Adornato, che aveva scritto un saggio intitolato Oltre la sinistra, disse: "Nando, ricordati che oltre la sinistra c'è solo la destra". Capito Pier Luigi?



Immigrati i "punti" riformisti

Europa, 12-10-2010
SANDRO GOZI

Eppur si muove», verrebbe da dire. Dopo tanti mesi sprecati in dibattiti su partiti solidi e gassosi, tipici dei nostri leader del secolo scorso, siamo ritornati al presente, ai problemi concreti della gente e cominciamo a preoccuparci del futuro dell'Italia. Un futuro certamente legato anche all'immigrazione, a come la affrontiamo, a quali scelte compiamo oggi pensando all'Italia che vogliamo essere tra 20 anni.
All'assemblea nazionale del Pd di Varese è stato aperto un dibattito su come governare il fenomeno dell'immigrazione. Fenomeno strutturale, non emergenziale, come fanno credere le destre. Fenomeno che implica scelte di fondo, da cui dipende come vivremo e con chi. Fenomeno che trova una risposta solo se lo si affronta in modo obiettivo, pensando alle caratteristiche e alle esigenze del nostro paese. Fenomeno che, proprio per questo, deve tenere conto delle esperienze di altri paesi, ma richiede una via italiana alla convivenza e all'integrazione.
Tra le proposte emerse, il sistema "a punti" è stato quello più dibattuto.
Una proposta che non va certo scartata, come alcuni hanno fatto, solamente perché viene menzionata anche in documenti di alcune forze conservatrici eu¬ropee. Una soluzione intelligente ed efficace di fronte a un feno¬meno così nuovo deve superare gli schemi partitici novecenteschi, non può basarsi su considerazioni così superficiali; e una proposta non può venire accolta o scartata a priori solo perché l'ha proposta la Merkel anziché Zapatero, i conservatori svedesi anziché i liberaldemocratici britannici.
In base al sistema a punti, l'ammissione in Italia di un aspirante immigrato dipenderebbe dal raggiungimento di un punteggio minimo, basato su conoscenze linguistiche, titoli accademici, formazione professionale, età ecc. Un sistema che nega esista uno ius migrandi e che parte dall'assunto che immigrare è un'opportunità concessa dal paese di accoglienza non un diritto di chi lascia il suo paese. Assunto discutibile alla luce di quei principi universalmente riconosciuti dal diritto internazionale e dei valori a cui il Pd deve ispirarsi. Comunque sia, da quest' impostazione di fondo derivano ovviamente delle scelte specifiche, come quella del sistema a punti. Un sistema che privilegia gli immigrati qualificati, che non ha (ancora?) raggiunto i suoi scopi nei paesi in cui è stato praticato e che non è adeguato per il caso italiano. Vediamo perché.
Il sistema è basato sull'idea che il numero di posti di lavoro sia fisso e, soprattutto, che immigrati e nativi siano in concorrenza per gli stessi impieghi. Non si considera invece che un immigrato che lavora può anche creare degli impieghi e non solo occuparli. Qual è il primo problema sociale? Che i posti occupati dagli immigrati sono chiaramente visibili, spesso per lo stesso colore della pelle, mentre quelli indotti o favoriti dall'immigrazione non lo sono. Senza badanti, forse ancor meno donne italiane potrebbero lavorare, a esempio. I nuovi salari degli immigrati costituiscono un aumento della domanda di case, di prodotti, di servizi. Senza menzionare il loro contributo a un sistema di previdenza sociale insostenibile con i tassi italiani di crescita demografica. Se dovessimo fare arrivare solo immigrati selezionati in base innanzitutto alle loro qualifiche, e non in base alla loro volontà di integrazione civica, linguistica e sociale, faremmo venire solo gente molto simile a noi, che magari creerebbe meno problemi in questa fase, ma che non risponderebbe alle vere, concrete esigenze della nostra società oggi e domani. Anzi, all'inizio farebbero scendere i salari degli italiani in posti più qualificati, per poi ritornare ai livelli medi nel medio periodo. Ciò non avrebbe né un impatto negativo, né uno positivo. Mentre rimane una costante: negli hotel, nelle fabbriche, nei campi, nella   case italiane sono   sempre di   più   richiesti stranieri per lavori che gli italiani non vogliono fare. Basta guardare alle lavanderie degli hotel, ai servizi di catering, alla nettezza urbana, alle fonderie del nord ecc. ecc. Australia e Canada, che hanno peraltro una geografia e una demografìa molto diversa da quella italiana, e - dal 2005, in parte anche il Regno Unito -puntano da anni su un sistema a punti che privilegia gli immigrati qualificati. Risultato? Ci sono tanti tassisti in Canada con laurea indiana di ingegnere elettronico... cioè ci sono tanti immigrati overqualified, occupati in lavori ben al di sotto delle loro qualifiche. Costoso per gli immigrati, se non altro a livello psicologico; costoso per lo stato, che investe tanto su un sistema che non porta i veri risultati perseguiti. Costi sociali, costi economici e costi burocratici. Noi ci lamentiamo dell'incomprensibile permesso di soggiorno italiano (ci vuole veramente una laurea in "burocrazia approfondita" per capirlo). Ma è nulla rispetto alle 700 pagine della Australian standard slassifications of occupations, che indica i 986 posti di lavori australiani... ve l'immaginate la e-bureaucracy italo-brunettiana gestire un sistema così complesso?
Peraltro, è perfettamente contraddittorio rafforzare - giustamente - i legami tra politiche migratorie e cooperazione allo sviluppo e poi sviluppare una politica dell'immigrazione che punta a svuotare i paesi di provenienza dei loro migliori cervelli (brain dram). Molto meglio, allora, optare per un sistema di quote, da gestire progressivamente a livello europeo, e collegato ad un'analisi (oggi inesistente) dei reali bisogni del mercato del lavoro in un'ottica integrata europea. In tal modo, di potrebbe anche collegare - e favorire nel medio periodo - la mobilità interna al mercato unico comunitario dei lavoratori alla gestione dei flussi di extracomunitari. Mentre - nell'immediato - occorre lavorare sulla scia della direttiva europea sui lavoratori qualificati del 2005, per garantire delle corsie preferenziali a ricercatori, universitari, manager extracomunitari che troppo spesso abbandonano l'idea di venire - o rientrare! - in Italia - dopo aver per atteso invano per più di un anno il rilascio o ancor peggio il rinnovo del permesso di soggiorno. Visti più facili per i lavoratori qualificati, ma in un sistema di quote, non di punti, poiché quest'ultimo forse rassicurerebbe solo a prima vista gli italiani e senza risolvere nessuno dei problemi concreti da affrontare. In parallelo, occorre essere molto più esigenti con le politiche di integrazione. Senza parlare italiano è impossibile integrarsi veramente in Italia: rendiamo obbligatorio per tutti, creando i fondi per il suo insegnamento anche attraverso un prelievo specifico da richiedere agli immigrati stessi.
L'Italia è una repubblica laica - anche se alcuni italiani, soprattutto al governo, sembrano dimenticarlo...: rendiamo obbligatorio lo studio della Costituzione e lavoriamo sulla convivenza attraverso la mediazione interculturale per dare soluzioni concreti di problemi quotidiani di convivenza e diffidenza in modo capillare, quartiere per quartiere. E pretendiamo pieno rispetto della legalità repubblicana, cominciando col rendere più efficace la macchina della giustizia. Ma questo ci porta molto lontano, o forse "al punto" - abbandonando "i punti": l'immigrazione ingigantisce le debolezze strutturali della società italiana. Scarsa coesione sociale, assenza di senso civico, violazione quotidiana della legalità. Difetti che gli immigrati, qualificati o meno, imitano subito....



Immigrazione "a punti"? Sì, se può salvare la democrazia

Europa, 12-10-2010
Cara Europa, di quel pochissimo che ho sentito o letto dell'assemblea del Partito democratico a Varese, partito per il quale voto da vecchio tescano, pur trovandomi molto in minoranza da queste parti, l'idea forte che mi è rimasta in testa è la proposta di Veltroni di fissare un numero e alcune condizioni per l'immigrazione in Italia. A me sembra che sia quello che tutti pensiamo. Ma evidentemente i leader, carichi di storia, magari avariata, pensano diversamente: o, se pensano come noi elettori, non riescono a dirlo. Difatti, mi pare che la proposta sugli immigrati "a punti" sia caduta nelle risoluzioni finali dell'assemblea, anche se Bersani ha precisato che «non siamo un partito buonista». Opinione, se non sbaglio, già espressa da Francesco Rutelli. E allora?
VASCO BALLERINI, COMO
RISPONDE
FEDERICO ORLANDO
Caro Ballerini, le dirò la mia opinione. Fu Rutelli - per primo nel Pd - a sostenere che l'immigra¬zione incontrollata e la politica delle porte spalancate sono fomite di risentimenti popolari, che possono arrivare fino alla rivolta contro la democrazia. Anche domenica l'ex leader del Pd, ora leader dell'Associazione per l'Italia (Api), ha dichiarato d'aver visto con piacere che a Varese «qualcuno nel Pd ha proposto il tema dell'immigrazione e della cittadinanza a punti, che io stesso avevo lanciato». E ha lamentato che la proposta di Vetroni non sia stata adottata dall'assemblea perché c'erano altri con posizioni opposte, sicché alla fine «hanno approvato tutte e due le linee all'unanimità». Io seguo poco la vita interna dei partiti da quando morì di tangentopoli l'unico partito nel quale abbia attivamente militato, quello liberale: e debbo dirle che non comprendo la conclusione di Varese riguardo al tema dell'immigrazione. Eppure, mentre a Varese si discuteva nell'isolamento della campagna di Malpensa anziché nel cuore di Milano o Torino o Venezia, come avrei preferito, a Vienna il partito antislamista stravinceva le elezioni amministrative passando dal 12 al 27 per cento e costringendo il partito socialdemocratico dal 49 al 44 per cento (Vienna è "rossa" dal tempo di Francesco Giuseppe). Non parliamo dei popolari, ridotti al 13 per cento. Il voto austriaco segue a quello danese, a quello olandese, a quello svedese. Con un risultato positivo e uno negativo. Positivo a me sembra il richiamo all'identità dei popoli, e il rifiuto del multiculturalismo unilaterale (che cioè vale per noi europei ma non per chi viene in Europa e conserva feroce¬mente le sue idee e pratiche culturali). Negativo perché il voto può eccitare altri xenofobi o estremisti di destra, che plaudono all'espulsione dei rom "in quanto tali" da parte di Sarkozy (che poi viene dal papa a farsi ribattezzare in nome del «contesto») ; o addirittura plaudono alla Lega, dimenticando che essa non è solo "razzista" ma ufficialmente secessionista e quindi non meno pericolosa per la democrazia e la civiltà italiana di quanto lo sia l'immigrazione islamica, se diventa invasione. A noi interessa invece avversare democraticamente l'islamismo: che a Teheran celebra la giornata di domenica contro la pena di morte impiccandone quattro; in Olanda pugnala a morte il regista Teo van Gogh; in Italia uccide mogli e figlie (quasi non bastassero a ciò gli italiani, coi loro mobbing e i loro stupri). Insomma, vorremmo evitare che, tra qualche anno (il partito che ha avuto il 27 per cento a Vienna, cinque anni fa era al 3, poi è balzato al 12), i nostri figli dovessero trovarsi di fronte all'alternativa: o si muovono i politici o si muovono i popoli. Sappiamo che i popoli, quando si muovono per sfiducia nella politica (vedi Lega), non sempre seguono la moderazione e la democrazia. In ogni caso, l'immigrazione col contagocce, che io auspico, non può prescindere da una politica di interventi nel Sud del mondo: che invece (come ha ricordato domenica il radicale onorevole Mecacci all'assemblea parlamentare dell'Osce, riunita a Roma), molti paesi dell'Organizzazione trascurano, oltre ad aver abbandonato "Carte" come la convenzione di Ginevra, votata dopo la seconda guerra mondiale. Allora le emigrazioni forzate riguardavano milioni di europei che avevano perduto la patria (tedeschi orientali, sudeti, polacchi dell'est, italiani d'Istria e Dalmazia). Oggi riguarda altri popoli che non sono riusciti a vincere la guerra alla povertà e, purtroppo, alla loro cultura primordiale, che dobbiamo aiutarli a correggere.



Il ministro a Milano e a Torino per inaugurare la nuova video-sorveglianza delle stazioni
Voto agli immigrati? Solo se cittadini
laPadania, 12-10-2010
PAOLO BASSI

Maroni ribadisce: «Il permesso di soggiorno è un requisito che non può bastare»
Un "grande fratello" elet-tronico vigila sulla sicurezza dei viaggiatori che partiranno o arriveranno nelle stazioni di Milano e Torino. Sono oltre 300 le telecamere in funzione da ieri, in "Centrale" e in "Porta Nuova". Occhi digitali pronti a "immortalare" il via vai dei passeggeri o "inquadrare" gli angoli più bui. Immagini che vengono trasmesse a due sale operative attrezzate con video e impianti per la registrazione digitale gestite dalla polizia ferroviaria. Un nuovo passo in avanti nel sistema della sicurezza che è stato inaugurato in entrambe le città alla presenza del ministro dell'Interno Roberto Maroni, dell'ad del gruppo Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, dal sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti, Bartolomeo Giachino e dal sindaco di Milano, Letizia Moratti.
«Abbiamo scelto di investire nella sicurezza dei mezzi di trasporto, che per loro natura sono molto esposti a furti e borseggi, ma anche ad attacchi terroristici - ha annunciato Maroni -. Con questa tecnologia - ha sottolineato - ci poniamo all'avanguardia in Europa e offriamo un ottimo modello di collaborazione tra il pubblico e il privato».
Il titolare del Viminale ha anche fornito alcuni numeri che testimoniano l'impegno di Governo e forze dell'ordine per rendere più sereni i viaggi degli italiani. «Un dato su tutti: nei primi mesi del 2010 - ha sottolineato l'esponente del Carroccio - sono stati identificate e controllate dalla Polfer 724.968 persone con un più sette per cento rispetto al 2009. Voglio evidenziare questo dato perché le polemiche che continuano ad esserci sui tagli alla sicurezza e sulla riduzione di risorse sonò sempre smentite in ogni settore dai risultati che sono l'unica cosa che conta».
Dalle cifre fornite, risultano aumentati anche i servizi di vigilanza nelle stazioni: nei primi nove mesi dell'anno sono stati 161.179 con 20.458 pattugliamenti lungo le linee ferroviarie e con servizi di scorta e viaggiatori pari 50 mila interventi. Segno meno invece per i furti: quelli ai danni dei viaggiatori sono diminuiti del 20%.
Intervenendo poi in serata ad un dibattito con il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino sul libro scritto dal primo cittadino del capoluogo piemontese e intitolato "La sfida", Maroni è tornato sulla questione della cittadinanza agli immigrati. «La Costituzione - ha sottolineato -dice che il diritto di voto spettala chi ha la cittadinanza e non il permesso di soggiorno e questo è un limite invalicabile. Pertanto - ha aggiunto -diritto di voto solo a chi ha la cittadinanza. Detto questo si può discutere sui tempi per concedere la cittadinanza che deve essere il riconoscimento di un percorso di integrazione. Credo - ha proseguito - che dopo 10 anni uno straniero abbia diritto ad avere la cittadinanza e ad averla subito», ha concluso sottolineando la divergenza con il presidente francese Sarkozy: «Io penso che una volta che la si è concessa non la si possa revocare».



intervista
Libia, migliaia di profughi bloccati
Avvenire, 12-10-2010
PAOLO LAMBRUSCHI
Migliaia di richiedenti asilo, tra cui 250 eritrei, sono insabbiati in Libia da tre mesi. Senza alcuna possibilità di regolarizzarsi o di lasciare il paese, il cui governo non riconosce loro lo status di rifugiati perché non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra. Novanta giorni circa dopo la rivolta e la conseguente deportazione nel deserto, lo conferma il Gir, consiglio italiano per i rifugiati, unico organismo occidentale rimasto in Libia a occuparsi di profughi dopo la cacciata dell'Alto commissariato   Onu   lo scorso giugno ad opera delle autorità della Jamahiriva. La vicenda si
inserisce nella più complessa trattativa tra Ue e Tripoli sugli accordi per il contenimento delle partenze di immigrati dell'Africa sub sahariana verso le coste italiane. C'è chi preme per riproporre come modello a Bruxelles il trattato italiano con la Libia che prevede anche il respingimento delle barche intercettate verso i porti dello stato nordafricano, ma neppure lì la questione dei rifugiati è stata chiarita. E chi dice che gli accertamenti sui requisiti di rifugiato possono essere fatti sul suolo libico, ma chi potrebbe farlo, l'Acnur, non c'è più. Intanto una settimana fa il colonnello Gheddafi ha rilanciato in un'intervista al quotidiano francese "Paris Match" la richiesta all'Ue di 5 miliardi di euro per fermare l'immigrazione e ha ribadito che mai firmerà la Convenzione sui rifugiati. L'Ue, che il 3 e 4 ottobre ha inviato per la prima volta a Tripoli due commissari per definire un accordo di cooperazione, gli ha replicato che può spendere 50 milioni di euro l'anno. Se ne riparlerà a fine novembre, al vertice di Sirte tra Ue e Unione africana, ma la questione del riconoscimento dello status di rifugiati non è eludibile per le democrazie europee. Ne parliamo con il direttore del Cir, Christopher Hein.
Qual è la situazione dei bloccati in Libia?
Nei centri di detenzione al momento non vi sono richiedenti asilo. Ne sono stati liberati 4200 in estate, dopo l'approvazione della nuova legge libica sull'immigrazione, una sorta di sanatoria che lasciava a costoro tempo fino al 15 agosto per regolarizzarsi, presentandosi alle autorità locali con un'assunzione e un documento di identità. Tripoli infatti non riconosce diritti ai rifugiati. Poiché la scarcerazione è avvenuta a ridosso dei termini, quasi nessuno si è regolarizzato e la situazione di chi è fuggito da persecuzioni per trovare asilo in Europa resta drammatica. Sono in un limbo. E i 205 eritrei che hanno attirato l'attenzione dei media in estate? Quella è stata una vicenda esemplare della condizione dei rifugiati in Libia. Scatenarono una rivolta a luglio nel centro di detenzione di Misurata dove alcuni esponenti della loro ambasciata provarono a fargli firmare una dichiarazione di rimpatrio volontario, atto contrario a tutte le convenzioni e che equivaleva a una condanna una volta rientrati. Una ventina di loro, ricordo, erano stati respinti verso i porti libici dalle forze armate italiane nel Mediterraneo. Dopo la rivolta, la polizia libica li deportò nel Sahara, nel centro di detenzione di Al Braq e lì erano destinati a morire. Quando il caso è stato riportato dai mezzi di informazione europei, vi sono stati numerosi interventi sui governi occidentali, e sono stati liberati. Ma nessuno li ha aiutati. Ovviamente non vogliono rimpatriare e non possono lasciare il paese né trovare un'occupazione regolare in quanto illegali. Come risolvere la situazione? Al momento non è possibile fare nulla, se non assistenza umanitaria. L'unica autorità competente per riconoscere lo status ai rifugiati e aiutarli a partire da Tripoli era l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, l'Acnur con la quale il Gir collaborava strettamente. Ma a giugno le autorità libiche hanno deciso la chiusura dell'ufficio perché era privo di uno status diplomatico. Secondo lei l'Acnur riaprirà a Tripoli?
La questione è oggetto di trattative tra governo libico e i vertici dell'Acnur. A noi risulta che ci siano possibilità che entro fine anno si giunga al riconoscimento di uno status diplomatico all'Alto commissariato. Anche il nostro governo sta lavorando per trovare una soluzione. E il Cir come sta operando in Libia? Possiamo solo prestare assistenza umanitaria intervenendo su casi personali, ad esempio con i ricongiungimenti famigliari, o svolgere attività di formazione professionale. Per proseguire la nostra attività in questa fase abbiamo presentato un progetto ponte ai governi europei fino a dicembre. Il costo ammonta a 140 mila euro, finora solo Berlino ne ha stanziati 10 mila.
Continuano ad arrivare rifugiati ? I flussi stanno calando. Sono somali, eritrei, nigeriani e subsahariani. Gli eritrei, la maggioranza, si attestano nei campi in Etiopia e si stanno spostando verso l'Egitto, paese di transito verso Turchia e Grecia, nuove porte d'Europa.



La finanza islamica non è mai gratis

la Padania, 12-10-2010
GIUSEPPE REGUZZONI
Quando la realtà supera la fantasia, quando l'Eurabia si fa reale... Capita anche che nella civilissima Berlino nascano i contratti d'affitto islamicamente corretti. Vi immaginate un proprietario milanese che ponga, come clausola di un contratto d'affìtto che il locatario non faccia indossare il chador alle mogli e non cucini il couscous? Non è difficile intuire la reazione indignata dei soliti sapientoni multiculturali e nemmeno la "ferma presa di posizione della curia milanese".
Invece loro possono. Possono tutto, come nella metropoli del futuro, la Berlino capitale della Germania riunificata e seconda città turca del mondo.
Nella Ernst TeuterPlatz, a Berlino Charlotteburg è stato appena inaugurato un modernissimo stabili per negozi ed uffici Seimila metri quadrati di cristalli ad alto isolamento e tecnologia d'avanguardia, in uno dei quartieri più prestigiosi di Berlino. Solo che questi spazi sono riservati a chi tenga una condotta conforme ai dettami della sharia. Il contratto d'affitto è chiarissimo: «I locali possono essere affittati e subaffittati solo a persone o enti che non esercitino e non favoriscano: 1) l'esercizio della prostituzione e della pornografia 2) il commercio e il consumo di alcool 3) il commercio e il consumo di carne di maiale 4) le pratiche finanziarie che implichino l'applicazione di interessi con la sola eccezione dei contratti assicurativi basati sul principio di reciprocità».
L'Islam non è mai citato, ma è ampiamente sottinteso, anche perché, è bene sottolinearlo, il grande e moderno edificio della Ernst Teuter Platz è stato costrutto con capitali arabi da una finanziaria araba che, ora, pone le proprie condizioni. La Legge tedesca, oltre tutto, lo consente, come dichiara alla Bild Ulrich Roptertz, dell'Associazione Tedesca dei Proprietari di Immobili: «Nel caso di un edificio a destinazione commerciale il locatore, diversamente da quello che accade con i locali a uso abitativo, può porre le condizioni che crede, anche quando possano sembrare estreme. Di per sé, quindi, sono possibili delle  clausole  esplicitamente islamiche». L'unica condizione contrattuale che lascia davvero perplessi gli stessi islamici berlinesi è quella del divieto di prostituzione e di pornografia, di cui, come è noto, il mondo arabo è un accanito e fedele consumatore. Qualche tempo fa, suscitò non poca ilarità la scoperta che una società specializzata nella diffusione on line di materiale di questo genere nei paesi arabi avesse sede in Israele. Quanto ad alcol e carne di maiale, chissà come la prenderanno nel paese di birra e wùrst, tanto più che, a leggere la Bild, l'interesse della finanza islamica per gli investimenti immobiliari in Germania va crescendo di giorno in giorno.

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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