Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

29 luglio 2014

«Mare Nostrum, eppur si muore ancora» Senza sarebbe peggio. Ora salto di qualità 
Avvenire, 29-07-14
Marco Tarquinio
Gentile direttore,
 quando un anno fa sulla scorta dell’emozione provocata dal naufragio del barcone di profughi al largo di Lampedusa il governo italiano decise di iniziare l’operazione denominata "Mare nostrum", caratterizzata dal dispiego di numerose unità navali militari nel bacino del Mediterraneo per localizzare precocemente e soccorrere le barche di immigrati diretti sulle nostre coste, il motto fu: "Mai più morti in mare". È passato più di un anno, ma si continua a morire nel Mediterraneo. La cosa però appare abbastanza ovvia. Poiché i viaggi dei poveri migranti sono gestiti da organizzazioni malavitose e da persone senza scrupoli, il miglioramento delle possibilità di recupero ha fatto sì che molti più "disperati" tentassero i cosiddetti "viaggi della speranza" e contestualmente ha consentito alle organizzazioni criminali l’utilizzo di barconi sempre più fatiscenti e insicuri, giustificato dal fatto che gli interventi della Marina italiana potevano avvenire sempre più precocemente e sempre più in prossimità dei punti di imbarco. Da un po’ si invoca l’intervento dell’Europa. Si dice: è un problema europeo, l’Italia non può farcela da sola. A mio giudizio questo è semplicemente spostare il problema, è non volerlo affrontare con quella lucidità e quella capacità di analisi che la politica vera dovrebbe avere e mal si sposa con la emotività con cui è stata messa in piedi l’operazione "Mare Nostrum". I risultati che abbiamo ottenuto sono sicuramente un incremento del numero di morti, un incremento concentrato di arrivi obiettivamente difficili da gestire nella contingenza attuale del nostro Paese, una proliferazione delle organizzazioni criminose che gestiscono questi traffici e dei loro guadagni. Per non parlare poi di chi lascia il suo Paese pagando 1.000-2.000 dollari per la traversata. Credo proprio che il problema non si risolva aumentando il numero di navi e coinvolgendo in questo pattugliamento altri Paesi europei. Il problema, che è obiettivamente difficilissimo, può essere affrontato soltanto mettendo dei punti fermi. E questi punti fermi sono in primo luogo contrasto assoluto al traffico di esseri umani, che vuol dire anche cessare i pattugliamenti per scoraggiare in tutti i modi le partenze indiscriminate e incontrollate. E al contempo riprendere in mano, questo sì con il peso di tutta l’Europa e non soltanto dell’Italia, delle relazioni forti con tutti gli Stati da cui partono i poveri immigrati nell’intento da una parte di cercare di aumentare e rendere diffusi progetti seri di cooperazione in loco e dall’altra di intercettare eventuali richieste già nei Paesi di partenza o nei Paesi loro limitrofi togliendo così dalle mani dei trafficanti per quanto può essere possibile la gestione dei "viaggi della speranza".
Giuseppe Chesi, Reggio Emilia
 Condivido in buona parte la sua conclusione, gentile signor Chesi, anche se le premesse da cui parte per arrivare a quelle ottime indicazioni sono sbagliate. Non c’è però alcun dubbio sul fatto che sia necessario "strappare" definitivamente vite (tante) e averi (pochi) di profughi e migranti dalle mani spietate dei trafficanti di esseri umani, utilizzando al meglio la rete delle rappresentanze consolari italiane ed europee di concerto con la Ue e ovviamente in piena collaborazione con l’Onu e il suo Alto commissariato per i rifugiati. In un recente convegno alla Camera, trovando significativi punti di contatto tra loro, si sono spesi per questo anche Laura Boldrini, presidente di quel ramo del Parlamento, Angelino Alfano, ministro dell’Interno, e il sottosegretario agli Esteri Mario Giro. E devo dire che comincia a confortarmi la vasta consapevolezza che, anche a livello politico-istituzionale (pur con alcune tristi eccezioni xenofobe), emerge ormai nel nostro Paese su quale sia la via maestra da percorrere per risolvere una delle più impressionanti tragedie di questi anni: lo sradicamento forzoso di milioni di persone che, nell’area mediterranea, sono costrette a lasciare la propria patria a causa della guerra, della persecuzione religiosa e dell’ingiustizia economica, sociale e politica. Sono anche d’accordo con l’importanza di intensificare le attività di cooperazione allo sviluppo. Ma non posso esserlo, gentile lettore, con il suo sommario bilancio della benemerita operazione "Mare Nostrum" scattata dopo l’ecatombe dell’ottobre 2013 nelle acque di Lampedusa: quell’attività di vigilanza e di soccorso umanitario non ha affatto – come lei scrive – provocato più vittime, ma ha scongiurato migliaia e migliaia di morti! Lo stretto monitoraggio ora attuato registra ogni crimine e ogni naufragio nel Canale di Sicilia, mentre per anni e anni – prima e dopo la terribile stagione dei respingimenti ciechi in mare aperto – piccoli e grandi drammi si erano consumati senza alcun clamore, lontano dai riflettori dei media. Questa è l’amara realtà. Amara come quella che spiega l’aumento del flusso di richiedenti asilo: basta guardare la nazionalità di profughi e migranti in arrivo, che in questi mesi provengono per i quattro quinti da Siria ed Eritrea. La guerra in Siria (con le sue gravi conseguenze sui Paesi vicini, a cominciare dall’Iraq) e la tirannia in Eritrea che anche alcuni importanti Stati europei hanno tollerato e persino incentivato – e purtroppo la follia continua – non cessano di produrre frutti di ingiustizia e di sopraffazione, inducendo alla fuga centinaia di migliaia di persone e spingendone una parte, tra coloro che dispongono di qualche bene o comunque riescono a raggranellare le risorse necessarie, verso i cosiddetti "viaggi della speranza" per l’Europa. Viaggi controllati da gang che, oggi, si sono moltiplicate e agiscono con più protervia non certo a motivo dell’impegno umanitario dell’Italia, quanto piuttosto per il tremendo caos scatenato in Libia – principale sponda nordafricana del traffico – dalla guerra condotta con la pesante partecipazione di potenze occidentali ed europee (Francia e Gran Bretagna sostenute con forza dagli Usa e malvolentieri dall’Italia). Guerra che condusse alla fine del regime di Gheddafi, ma solo per precipitare il Paese nell’anarchia che lo domina sempre più. Perciò: bene, anzi benissimo, il suo appello a una svolta radicale nell’atteggiamento degli occidentali, ma proprio per agire con umanità e lucidità, sulla base di un’analisi rigorosa, è indispensabile tener conto di tutte le cause e di tutti gli elementi dell’attuale situazione, e in particolar modo degli errori compiuti. Liquidare come frutto di scelte «emotive» l’assunzione di responsabilità dell’Italia e l’efficace operazione "di supplenza" che svolge per l’intera Ue, è semplicemente un errore. Indietro non si può tornare, bisogna andare avanti, con più Europa: rimuovendo le cause delle migrazioni forzate e continuando a impedire nuove stragi in mare.
 
 
 
Rabbia e paura in viale MarJonio "Niente ferie occupano le case" 
la Repubblica Milano, 29-07-14
MATTEO PUCCIARELLI 
DA SAN Siro le proteste e la paura di un gruppo di inquilini delle case popolari arrivano fino a Palazzo Marino: «Per tanti di noi niente ferie, abbiamo paura delle occupazioni abusive», dicono dal comitato di quartiere. Che allo stesso tempo chiede un intervento di riqualificazione e legalità, sia ad Aler che al Comune: «Non c`è nessuna integrazione, stiamo diventando la terra di nessuno senza più regole». E la consigliera pd Rosaria Tardino invia una lettera al prefetto. 
AL PRIMO impatto il casermone di viale Mar Jonio numero 7 sembra crivellato dai colpi di un mitra, poi ti avvicini bene ed è solo l`intonaco grigio che si sgretola. Nessuna guerra in corso o forse sì, tra questi caseggiati popolari: il politicamente corretto vorrebbe si dicesse tra chi rispetta le regole e chino, ma qui la pazienza è finita da un pezzo e a certe sottigliezze non ci si pensa più. Guerra è quindi, ma «tra noi e loro». "Noi", gli italiani. "Loro", marocchini, romeni, tunisini, indiani e tutto il resto, decine di etnie diverse e un`integrazione che non esiste. Nella sede del comitato di quartiere San Siro ci sono ritagli di articoli di giornale, una foto di Pisapia sorridente, il gagliardetto dell`Anpi, un carrello della spesa con le confezioni di aranciata rimaste dalla festa organizzata insieme al Sunia Cgil. Siamo al pian terreno, al terzo piano ( l`ultimo) sta venendo giù il soffitto o poco ci manca: una volta lì in cima ci stava proprio l` associazione dei partigiani, poi l`ufficio è diventato inagibile. 
Una quindicina di sciure imbufalite si sono date appuntamento per prendere il tram, direzione Palazzo Marino. Andranno dai consiglieri comunali, dagli assessori, dal sindaco, a dire che loro hanno paura finanche di andare in vacanza. «Quelli ti sfondano la porta, prendono le tue cose, le buttano dalla finestra, cambiano la serratura e tu resti a spasso», racconta la signora Carla. «E successo anche a una signora che era stata ricoverata all`ospedale, stessa faccenda», le fa eco Leda. È razzismo o cosa? Sembra tutto molto più complicato, in realtà. «Questo era un quartiere popolare e operaio bellissimo, forse il migliore della città - ricorda Lucia Guerri, una vita qui - abbiamo assistito all`emigrazione dal sud, fu massiccia, ma era diverso: condividevamo la lingua e la religione. Ma con loro, no, con loro è impossibile...». Loro fanno ( o pare facciano) questo: «occupano le case»; raccolta differenziata «nemmeno a parlarne, uno schifo»; curanelviverecollettivo, «ma figuriamoci!, sono prepotenti». Magari cose piccole, sgarbi piccoli, ma dai oggi e dai domani «qui è il degrado totale, siamo alla mancanza di civiltà, non c`è più solidarietà, non c`è più coscienza», spiega Giulia, nipote di Lucia. 
Il corto circuito sociologico è di quelli belli impegnativi, soprattutto per la sinistra. Basta evocare l`ultimo scontro di qualche giorno fa. «Qui abbiamo un monumento dedicato ai partigiani del quartiere, i martiri della nostra Resistenza - riprende la Guerri - e loro cosa facevano? Giocavano con la corona di alloro, ce l`avevano tra i piedi, si rende conto? I nostri morti, la nostra storia. Non hanno rispetto di nulla». Di sfondo più che le occupazioni abusive in sé c`è il racket, delle occupazioni abusive. Con "agenti immobiliari" che alla modica cifra di qualche migliaio di euro ti individuano l`appartamento giusto, te lo aprono e te lo consegnano. Tra gli immigrati si sparge la voce, hai un parente che arriva dalla Tunisia e cerca un tetto? Ecco, basta chiedere. L`altro comitato distante poche centinaia di metri, invece, è quello del Cantiere, legato ai centri sociali: combattono gli sgomberi e promuovono le occupazioni. Il solo nominarli scalda ulteriormente l`atmosfera. «Non si rendono conto che fanno il gioco degli speculatori. E intanto noi onesti siamo abbandonati, la situazione è esplosiva - ragiona Silvia - le istituzioni ci devono dire cosa vogliono farne di questo quartiere». Difficile individuare di chi siano di preciso le colpe, ma è soprattutto l`Aler a finire sulla graticola. «Gestita in modo fallimentare, manutenzione scadente, controlli inesistenti, se paghi l` affitto ti senti quasi uno scemo». Quanto al Comune, invece, «non capisce: l`assessore Marco Granelli ha mandato due pattuglie che stanno fisse ad un angolo della strada- dice Giulia- ma a cosa serve? A nulla. Serve un presidio mobile, non le statuine». Più tardi in Consiglio sempre Granelli proverà a rassicurare: «Abbiamo posto il problema al prefetto. C`è un piano di intervento per contrastare le occupazioni abusive, anche in agosto». 
 
 
 
Cinesi a Prato, incontro tra Rossi e il presidente Thierry Mariani
Il governatore ha incontrato il presidente della commissione su migrazioni, profughi e rifugiati dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. “I cinesi devono capire che non si può mangiare e dormire nello stesso posto in cui si lavora”
Redattore sociale, 28-07-14
FIRENZE - “Intendiamo agire con gradualità per legalizzare e bonificare il Macrolotto perché diventi un colosso legale del tessile, un distretto legale e produttivo come in Toscana ce ne sono tanti. Su una cosa non intendo transigere: gli imprenditori cinesi devono capire che si deve lavorare in sicurezza e che non si può mangiare e dormire nello stesso posto in cui si lavora. I 74 ispettori della sicurezza che abbiamo assunto servono a verificare che queste condizioni minime ci siano. O su questi punti ci si mette in regola o non si sta in Toscana”.
Il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, ha spiegato con queste parole il fenomeno rappresentato dalla presenza cinese a Prato al presidente della commissione su migrazioni, profughi e  rifugiati dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, il francese di origini abruzzesi Thierry Mariani, che ha ricevuto nel suo studio di Palazzo Sacrati Strozzi, accompagnato dall'onorevole Andrea Rigoni con il quale in mattinata aveva visitato la realtà pratese incontrandosi con il sindaco e gli altri amministratori locali.
Nel corso del colloquio Rossi ha parlato della necessità di una legge nazionale per favorire l'emersione, dell'opportunità di premiare gli imprenditori virtuosi, della necessità di stabilire per legge un salario minimo per i lavoratori, dicendosi convinto che si debba intervenire con serietà e gradualità, senza “girare la faccia dall'altra parte” o pensare che le cose si possano risolvere da un giorno all'altro.
“Credo – ha concluso il presidente Rossi – che lo Stato non abbia ancora compreso bene la portata di questo problema e da Roma mi aspetterei di più di quanto fatto finora. Siamo all'emergenza umanitaria e sotto il profilo della sicurezza. Non servono spot ma una presenza più assidua e costante. A Palazzo Chigi ci hanno detto che sarebbero tornati a Prato e nel frattempo noi abbiamo fatto accordi con Prefetture e Procure e siamo andati avanti con il nostro progetto”.
Il presidente infine si è detto disponibile a raddoppiare, qualora ce ne fosse bisogno, tecnici ed investimenti, ricordando di aver concordato con il sindaco di Prato l'assunzione di altri vigili urbani per aumentarne il numero e la presenza nei quartieri.
Il presidente Mariani ha parlato di Prato come di un esempio unico in Europa di una così grande concentrazione di cinesi in una città di medie dimensioni, ma anche di “una opportunità e di una sfida per affrontare insieme e risolvere il problema della sicurezza”. Il presidente della Commissione migrazioni ha detto che “la Regione Toscana dopo la tragedia del dicembre scorso ha preso misure giuste per l'assunzione dei controllori e al tempo stesso continua il lavoro di Comune e Provincia sul territorio. Così credo che riusciremo a risolvere il problema. L'immigrazione cinese, che è pacifica e che non pone problemi di ordine pubblico, occorre vederla come un'opportunità anche perché la Cina è uno dei più grandi mercati mondiali e tutti quelli con cui ho parlato stamani a Prato sono stati concordi nel dirmi che la città è riuscita a resistere alla crisi anche grazie ai cinesi”. 
 
 
 
Il Papa: "L'Europa ha paura degli immigrati"
Il Pontefice elogia il caso della Svezia, paese capace di accogliere senza problemi e squilibri 800mila migranti a fronte di una popolazione di 9 milioni e mezzo di abitanti.
stranieriinitalia.it, 28-07-14
Roma, 28 luglio 2014 - Il valore cristiano dell'accoglienza ma anche lo sforzo di integrare quanti arrivano da lontano offrendo loro il lavoro (indispensabile per la sopravvivenza delle societa' che invecchiano) sono esaltati da Papa Francesco che - in un'intervista al giornale argentino 'El Clarin' tradotta in italiano dal sito 'Vatican Insider' - elogia il caso della Svezia, paese capace di accogliere senza problemi e squilibri 800mila migranti a fronte di una popolazione di 9 milioni e mezzo di abitanti.
Paragonando l'atteggiamento della Svezia a quello dei paesi vicini Bergoglio afferma: "l'Europa ha paura". Lo scorso 15 giugno, all'Angelus, il Pontefice aveva parlato delle colf e delle badanti straniere, ricordando il loro servizio "prezioso" nelle famiglie e lamentando che "tante volte noi non valorizziamo con giustizia il grande e bel lavoro che fanno". E anche la colf della sua famiglia quando era bambino. "Provo molta simpatia - confida il Papa nell'intervista - per le donne di servizio, per le domestiche, che devono avere riconosciuti tutti i loro diritti sociali, tutti. E che non devono essere oggetto di sfruttamento o maltrattamenti. Quello che ho detto per loro, nell'Angelus di un mese fa, non c'era nel testo preparato, mi e' venuto dal cuore".
Nell'intervista Francesco spiega questo suo sentimento rivelando di portare sempre con se', in tasca, una medaglietta del Sacro Cuore donatagli in punto di morte dalla collaboratrice domestica che aveva aiutato sua madre quando lui era bambino: una vedova di origine siciliane, 'morta con il sorriso sulle labbra' e con 'la dignita'' di chi ha sempre lavorato. Quando il giornalista Pablo Calvo, ricevuto a Santa Marta lo scorso 7 luglio, dice a Francesco di essere rimasto colpito dal fatto che un Papa, abituato a ricevere capi di stato a regine, durante l'Angelus abbia ricordato il lavoro delle donne di servizio, Francesco slaccia due bottoni della tonaca e estrae la medaglietta dalla tasca vicina al cuore.
S.C.
 
 
 
Un anno fa l’uccisione di Andrea a Termini, una morte senza colpevoli
La trans colombiana fu trovata ammazzata di botte al binario 10 la mattina del 29 luglio. “Le indagini continuano”, ma nessuna telecamera ha ripreso l’aggressione, nessuno ha visto nulla. Restò 5 mesi all’obitorio, poi in tanti si ritrovarono al suo funerale
Redattore sociale, 29-07-14
ROMA - Un anno fa Andrea, una trans colombiana di 30 anni, veniva uccisa a bastonate alla stazione Termini di Roma. Ammazzata di botte, colpo dopo colpo. La mattina del 29 luglio 2013 il suo corpo gonfio per le percosse è stato trovato lungo il binario 10.
Sono passati 365 giorni e ancora non si sa chi ha interrotto la vita di Andrea. La polizia continua le indagini, ma non ci sono indagati. Nessuna telecamera ha ripreso le immagini dell’aggressione, nessuno ha visto nulla, nessun colpevole sta pagando per la sua morte.
Andrea era arrivata in Italia quattro anni fa, piena di sogni. Invece, era finita a vivere per strada, la stazione Termini era diventata la sua casa. Portava sul corpo i segni delle violenze subite: era stata aggredita ad Ostia, aveva trascorso sette mesi in coma e al suo risveglio non aveva potuto più muovere un braccio e trascinava a fatica una gamba.
Al centro il sindaco Ignazio Marino e il ministro per l’integrazione Cecile Kyenge
Dopo la sua morte, per cinque mesi è rimasta nell’obitorio del Verano di Roma in attesa che l’ambasciata rintracciasse qualche parente in Colombia. Ma Andrea era sola al mondo. Non lo è stata però il giorno del suo funerale: il 27 dicembre 2013 centinaia di persone si sono strette a lei per darle l’ultimo saluto nella Chiesa del Gesù a Roma, addobbata di fiori bianchi. Erano presenti il sindaco Ignazio Marino, l’ex ministro per l’integrazione Cecile Kyenge, i volontari delle associazioni, i senzatetto della stazione Termini e tante persone comuni accorse anche se non la conoscevano. Francesca Danese, presidente del Cesv, insieme alla Caritas Italiana ha organizzato il suo funerale: “Andrea resterà sempre nel nostro cuore. Purtroppo sono ancora tante le persone che vivono come lei. L’intera città l’ha abbracciata per darle un ultimo saluto, ma il nostro impegno deve essere quello di non ricordarci degli ultimi quando ormai è troppo tardi”.
Se Andrea fosse ancora viva vedrebbe che poco è cambiato. I senzatetto, che continuano a dormire davanti all’ingresso principale della stazione Termini e lungo via Marsala, sono 3.200.Vedrebbe che solo lo scorso anno sono stati 260 i corpi dimenticati rimasti nell’obitorio di Roma aspettando che qualcuno si offrisse di pagare il funerale. Una attesa inutile: a seppellirli in questo caso è l’Ama, l’azienda municipale per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, che con il Comune si fa carico della sepoltura. Vedrebbe che il suo assassino è ancora libero. Ma vedrebbe anche che sono tante le persone che non l’hanno dimenticata.
“Quello che è successo ad Andrea ci ha molto rattristato, ma ci ha insegnato a reagire come comunità”, afferma Padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli di Roma che insieme a Don Enrico Feroci della Caritas Italiana ha celebrato il funerale. “Realtà diverse e lontane si sono unite per pregare per lei. La sua vicenda ci obbliga ad avere più attenzione per tutte le trans che ogni giorno sono esposte ad aggressioni e soprusi. Non le dobbiamo lasciare sole nel momento del bisogno. Andrea è scappata dalla violenza e ha trovato altra violenza. Questo non deve più succedere. E’ morta una nostra sorella ma rimarrà sempre viva nella memoria di tutti noi”.
Di Andrea restano le sue ultime parole, le speranze, le paure che poco prima di morire ci aveva confidato: temeva che qualcuno potesse farle del male, voleva trovare un fidanzato con tanti soldi, cambiare vita perché la strada è “troppo brutta”. Restano pochi minuti di un video in cui sorrideva alla telecamera e si sistemava i capelli tinti di biondo raccolti in due codini. Resta il suo sguardo pieno di fiducia, nonostante tutto. (Maria Gabriella Lanza)
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