Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

18 maggio 2010

Ecco la cittadinanza a punti
Giovedì in Cdm il progetto sul patto di integrazione

ItaliaOggi, 18-05-2010
DI LUIGI CHIARELLO

Cittadinanza a punti e federalismo demaniale saranno giovedì prossimo sul tavolo del consiglio dei ministri. La prima riforma (anticipata il 12 maggio scorso da ItaliaOggi) riguarda l'introduzione dell'accordo di integrazione (basato su un sistema di punteggi), che l'immigrato dovrà stipulare con lo stato, al momento della richiesta del permesso di soggiorno La seconda riforma consiste, invece, nel via libera definitivo al decreto, che restituisce agli enti locali e territoriali un patrimonio e la gestione esclusiva dei beni devoluti. E, in pratica, costituisce il primo tassello della più ampia riforma del federalismo fiscale. Federalismo demaniale. Con esso, i beni verranno restituiti dallo stato ai territori: ai comuni alla cui storia sono legati, alle province, alle città metropolitane e alle regioni, che potranno così valorizzarli, assumendosi anche la responsabilità del loro utilizzo di fronte ai propri elettori. Per i tecnici dell'esecutivo sarà un tour de force sul provvedimento, visto che il dlgs - attuativo dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n.42 - incasserà solo mercoledì prossimo il parere definitivo della commissione bicamerale sul federalismo. E sempre mercoledì, a stretto giro di posta, è previsto per la serata il preconsiglio dei ministri, per discutere dell'adozione definitiva del testo. Il dlgs, va ricordato, dev'essere approvato assolutamente entro il 21 maggio prossimo. Altrimenti scadrà la delega prevista sul tema dalla legge 42, che da mandato al governo per il varo dei decreti attuativi della riforma sul federalismo fiscale. Ma il preconsiglio di mercoledì, avrà anche altra carne al fuoco. Cittadinanza a punti. All'ordine del giorno c'è lo schema di dpr sull'accordo di integrazione tra lo straniero e lo stato. Si tratta di un regolamento (voluto dai ministri del welfare e dell'interno, Maurizio Sacconi e Roberto Maroni), che, sostanzialmente, introduce un meccanismo di crediti e debiti, finalizzato a costruire un percorso di integrazione a punti per l'immigrato. La condotta dello straniero verrà testata lungo un arco di tempo di due anni (più un ulteriore anno di proroga, in caso di risultati parzialmente sufficienti). La capacità di integrazione dell'immigrato sarà misurata attraverso un punteggio, che nelle intenzioni del legislatore dovrebbe rappresentare la capacità (o la volontà) dello straniero a integrarsi nella comunità italiana. Corsi di lingua e senso civico saranno misurati e assicureranno punteggio. Multe e procedimenti penali abbatteranno lo score. Raggiunti i trenta punti lo straniero incasserà un attestato di integrazione, che costituirà un biglietto da visita imprescindibile, per ottenere la cittadinanza. Se il punteggio sarà, invece, inferiore
allo zero, scatterà l'espulsione automatica. Il percorso, dicevamo, introduce il meccanismo della cittadinanza a punti. L'istanza per la stipula dell'accordo d'integrazione dovrà essere presentata dall'immigrato contestualmente alla richiesta di permesso di soggiorno . Doppia imposizione. Al vaglio del preconsiglio andranno, poi, altri due provvedimenti:
-un ddl sulla ratifica ed esecuzione della convenzione tra i governo italiano e canadese, per evitare doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire l'evasione fiscale. Il tutto in base a un protocollo d'intesa, siglato ad Ottawa il 3 giugno 2002;
-un dpr (per l'esame definitivo dell'esecutivo) relativo all'abrogazione del dpr 23 dicembre 2005, n. 303, sull'individuazione dei termini e dei responsabili dei procedimenti amministrativi di competenza del segretariato generale, ex articoli 2 e 4 della 241/1990.








La cittadinanza non si dà a cani e porci

il Giornale, 18-05-2010
Amedeo Giuseppe Marchetti Dori

Dal 1976 al 1986 ho insegnato nella scuola «Al Mazirì» di Tripoli Splaj. Quando arrivai esisteva un contenzioso tra la Libia e l'Italia e riguardava il fatto che la Libia chiedeva al governo romano la consegna di molti libici, però diventati cittadini italiani, perché accusati di attività sovversiva antiregime. L'attrito continuò per anni e un giorno mi occuparono la casa che avevo in affitto a Gargaresh. Prima di me ci andarono di mezzo parecchi libici, alcuni furono uccisi a Malta ed altri a Roma. Adesso Fini vuole dare la cittadinanza a cani e porci, ma siamo sicuri che i governi degli stati di provenienza dei migranti siano d'accordo? La cosa strana è che gli italiani che vanno negli Usa e si naturalizzano, perdono ipso facto la cittadinanza italiana e se vogliono venire in Italia si devono munire di visto che qualunque Consolato concede a vista, non per gentilezza, ma per il fatto che così recita il trattato di pace.








Voto "straniero": si apre il dibattito

laPadania, 18-05-2010

Voto agli immigrati la discussione riprende.
Dopo lo stop elettorale che ha visto la politica "dimenticarsi" per qualche mese dello scottante tema del voto agli stranieri, in questo periodo ricominciano le tavole rotonde e i dibattiti riguardanti il voto straniero in attesa della calendarizzazione del provvedimento in aula alla Camera come già annunciato da Gianfranco fini.
Ieri all'Università Bocconi di Milano si è tenuto il dibattito "Gli italiani di domani", che ha visto la partecipazione dell'eurodeputato leghista Matteo Salvini, del consigliere regionale Pd Giuseppe Civati, professori bocconiani e Radwan Khawatmi, presidente Movimento Nuovi Italiani.
Salvini ha ribadito le posizioni leghiste sull'argomento: «La legge c'è e funziona - spiega -non servono scorciatoie, i 10 anni previsti in Costituzione sono sufficenti per capire se una persona abbia i requisiti per far parte della comunità. In più -aggiunge Salvini - dei tanti immigrati che incontriamo molti ci chiedono sostegno, integrazione, casa, lavoro, nessuno si accapiglia sul voto a differenza di quanto cercano di far credere Fini o D'Alema».
Civati invece ha ricordato le proposte di legge depositate da sinistra e finiani: «I bambini nati in Italia dovrebbero avere la cit-tadinanza di diritto e 5 anni sono più che sufficenti per il percorso di nazionalizzazione».
Intanto la proposta di legge firmata da Sarubbi del Pd e Granata del Pdl verrà discussa a Giugno in Parlamento, punto centrale la diminuzione delle tempistiche: da 10 a 5 anni per inoltrare domanda di cittadinanza a seguito di un esame di cultura italiana e un giuramento.








IMMIGRAZIONE: IL BLUFF DI MARONI LE PAROLE DEL MINISTRO E I DATI ISTAT

l'Unità, 18-05-2010
Nicola Cacace

Da un decennio il saldo migratorio annuo -differenza tra ingressi e uscite di immigrati - supera le 420mila unità, di cui solo 20mila dal canale di Sicilia. Ciò malgrado Maroni ha fatto credere agli italiani che Lampedusa fosse diventata un nuovo cavallo di Troia, un astuto mezzo per far entrare gli stranieri, anzi il "nemico" all'interno della "fortezza Italia".
Come è stato possibile che mentre il grosso degli immigrati proveniva da altre vie - permessi di soggiorno, Gorizia, etc. - un colossale bluff diventasse un mantra della campagna elettorale soffiando, tra l'altro, sul pericoloso fuoco della xenofobia? Anche nel 2009, malgrado la crisi economica e dopo il barbaro accordo sui respingimenti con la Libia, l'immigrazione ha continuato intorno alle 400mila unità. Scrive l'Istat: «La crescita di popolazione residente di 3 milioni nel periodo 2002-2009, da 57 a 60, è stata causata esclusivamente dall'immigrazione, il cui saldo migratorio annuo ha più che compensato il saldo naturale negativo (differenza tra nati e morti di circa 20mila unità)». Come è stato possibile consentire a un ministro, alla Lega, al governo di sparare tante bugie per attizzare la xenofobia montante, di tollerare una crociata contro qualche migliaio di "disgraziati" in fuga ogni anno da inferni di guerre, fame e persecuzioni mentre il problema era altrove: 420 mila nuovi immigrati, tra regolari e irregolari, che ogni anno entrano in Italia per la forza del mercato, per rispondere a una domanda di braccia che viene dal Paese più vecchio del mondo perché non fa figli a sufficienza per sostituire i vecchi che vanno in pensione? Il tutto malgrado leggi di immigrazione a di poco inospitali e un clima di paura attizzato dalla destra. Un Paese che, avendo dimezzato dal 1975 la natalità (da un milione a 500mila l'anno) oggi, per ogni milione di sessantenni che va in pensione ha solo 500mila ventenni a sostituirli, che per di più rifiutano i lavori umili. Nessuna meraviglia che il mercato assorba più di 400mila immigrati ogni anno, come anche l'Istat aveva previsto. Tutti gli studi sui flussi migratori dimostrano come tra offerta di Paesi disgraziati e domanda di Paesi ricchi, sia la domanda il motore principale dei flussi migratori. Italia e Spagna, Paesi che più velocemente hanno ridotto la natalità, sono anche quelli dove più velocemente sono cresciuti gli immigrati, passando dal 2% della popolazione fino a sfiorare oggi il 10%. Una considerazione finale sconsolata sulla incultura dominante nei media e nella politica: a pochi giorni dagli ultimi dati Istat sulla popolazione residente nel 2009, tutta "da immigrazione", il neogovernatore leghista del Piemonte rivendicava ancora una volta in Tv il merito di Maroni di aver stroncato con i respingimenti avviati nel 2009, "l'invasione dell'Italia". Reperita, etiam mendacia, iuvant! ?








la Proposta del vicesindaco «Clandestini, nuovo centro a Malpensa»

Corriere della Sera.it, 18-05-2010
Gianni Santucci

De Corato: impotenti sulle espulsioni, via Corelli è insufficiente, la legge risulta poco efficace
MILANO - «Sui clandestini troppo spesso si fa un lavoro a vuoto». Lo dicono i numeri: l’anno scorso 3.779 stranieri hanno ricevuto un ordine di espulsione perché non in regola con i documenti. Tra questi, 1.083 sono passati dal «centro per l’identificazione e l’espulsione» (Cie) di via Corelli. E quelli effettivamente rimpatriati? Appena 670, meno di uno su quattro. Per questo il vice sindaco, Riccardo De Corato, attacca: «È stata fatta la nuova legge sull’immigrazione, ma adesso bisogna renderla esecutiva, altrimenti è inutile proclamare che si fa davvero la lotta alla clandestinità». Carenza principale: le strutture. «Serve un nuovo centro per le espulsioni, l’ideale sarebbe farlo vicino a Malpensa», conclude De Corato.

È un tema di cui si discute da anni. Tema sensibile e su cui i partiti della maggioranza si giocano buona parte del consenso. Argomento di tensioni latenti tra il Pdl (soprattutto gli ex An) e la Lega. Nei fatti, le statistiche spiegano più di ogni altra cosa i limiti delle politiche per contro l’immigrazione irregolare. Tutti i clandestini, prima di essere espulsi, devono passare attraverso un centro di identificazione. Prima per stabilire quale sia il Paese d’origine (se una persona è senza documenti, bisogna accertare al cento per cento quale sia la sua nazionalità affinché lo Stato d’origine la «accetti»); poi in attesa di organizzare in viaggi. Il problema è che il Cie di Milano ha 120 posti e deve ospitare anche stranieri «espulsi» dal resto d’Italia (nel 2009 la maggior parte degli «ospiti» proveniva da altre questure). De Corato registra questo dato di fatto: «Polizia locale, polizia di Stato e carabinieri fanno troppo spesso un lavoro a vuoto. Identificano gli stranieri da espellere, ma poi mancano le strutture. Se governo e ministero degli Interni vogliono davvero aumentare il numero delle espulsioni, come chiedono anche esponenti vicini all’area del ministro, c’è bisogno di altri Cie. I nostri vigili rischiano la loro incolumità, ma così siamo vicini all’impotenza ».

Delle localizzazioni si parla da almeno due anni. Nel 2008 si era arrivati a un’intesa di massima in Regione per una nuova struttura vicino a Malpensa. Anche per Milano erano state proposte nuove possibili località. In tutto il Nord ci sono soltanto tre Cie: nel capoluogo lombardo, a Torino e a Gradisca d’Isonzo. «Anche noi — conclude il vice sindaco — saremmo pronti a fare la nostra parte, ma credo che il prossimo Cie debba essere costruito nelle zone dove non c’è». In queste settimane, con i lavori in corso, la capienza di via Corelli è ridotta.







oltre Mourinho
Perché in Italia lo straniero non è a casa sua

il Riformista, 18-05-2010

DI ANTONIO POLITO
Nello stesso week end, due persone  intelligenti, professionisti maturi,  manager capaci, hanno reagito in modo opposto al successo ottenuto in terra straniera. Carlo Ancelotti, l'italiano che lavora a Londra, ha festeggiato il «double» del suo Chelsea dicendo che in Inghilterra si sente a casa sua. José Mourinho, il portoghese che lavora a Milano, ha chiosato il secondo scudetto in due stagioni con un «in Italia non mi sento a casa mia». Significherà qualcosa che va oltre il pallone, oltre le baruffe di campionato, sugli arbitraggi discutibili e le «prostituzioni intellettuali» della stampa? Secondo me sì, e vale la pena di rifletterci. Sentirsi a casa propria, in Italia, è difficile per uno straniero. C'è una resistenza sorda e viscosa all'estraneo, che sarebbe sbagliato definire «nazionalistica» perché è piuttosto provincial-autarchica. L'estraneo, per affermarsi, può fare affidamento solo su meriti propri e talenti personali. Per natura, essendo nato fuori da ogni rete di solidarietà (di scuole, di famiiglia  o di interessi), rappresenta un pericolo per la «band of brothers» che regge il potere o ne controlla la macchina. Per definizione, è un  outsider. L'esistente tende ad isolarlo e a espellerlo, perché è il divenire. E il divenire è la minaccia peggiore che possa manifestarsi per l'esistente, perché ogni cambiamento riscrive le regole della corsa per il successo ed è inevitabilmente meritocratico.
Ci sono innumerevoli esempi di questo problema nazionale, che del resto è strettamente connesso con la corporativa struttura di relazione che tiene ingabbiata la società e l'economia.
In Italia il livello di investimenti esteri diretti è il più basso tra i grandi paesi europei, quasi irrisorio. Dipende, certo, dalle tante diseconomie esterne del nostro paese (burocrazia lenta, giustizia pachidermica, corruzione e malavita dilaganti). Ma dipende anche dal fatto che mettersi a fare business in Italia non è visto, come altrove, per quello che è, e cioè un arricchimento della nazione; ma come un impoverimento di chi si è già arricchito. C'è una sindrome da «gioco a somma zero»: è come se questo paese fosse convinto che l'ammontare complessivo di benessere sia fisso e dato, e dunque ci si può solo dividere la torta, ma neanche inmmaginare di renderla più grande per tutti.
Ci sono settori, come la docenza universitaria, dove questo fenomeno è abnorme. La carestia di professori stranieri negli atenei italiani è stupefacente, soprattutto in un campo come quello del sapere e della ricerca in cui l'osmosi delle esperienze e la concentrazione di una massa critica di intelligenza fa la differenza. Di conseguenza, l'Italia è il paese con meno studenti stranieri d'Europa. Per questo attraiamo molti immigrati africani in cerca di un lavoro nella raccolta dei pomodori o di un posto da cuoco nelle trattorie, ma nessun indiano che cerchi una laurea in matematica e nessuna coreana che aspiri a un master in economia.
Questo clima nei confronti dell'outsider, Carlo Ancelotti evidentemente non l'ha sentito a Londra. E come avrebbe potuto, nella capitale più multietnica del mondo, in quella specie di piattaforma offshore nell'Atlantico che è la città della City? Mourinho, invece, l'ha sentito, e non gli si può dar torto.
Lui che dovrebbe essere con il suo club il miglior spot pubblicitario sui vantaggi dell'apertura al mondo, dell'integrazione di modelli ed esperienze e stili di vita diversi. Lui che ha un musulmano in squadra che osserva il Ramadan. Lui che il suo unico giocatore italiano è nero. Lui che guida una società in cui il primo tifoso a prendere un biglietto per Madrid è stato uno studente cinese che vive in Polonia.
Non vogliamo tirare la giacca di Mourinho fin dove lui non è mai arrivato, ma vorrà dire qualcosa dell'Italia il fatto che la forza politica di maggior successo del momento, e quella dotata del più fòrte messaggio culturale, predica la separazione, la chiusura delle frontiere, il rigetto dello straniero?
Provinciale e autarchica. Questa è l'Italia che trova ogni straniero che viene da noi. Di tanti che se ne vanno, non ci accorgiamo nemmeno. Della fuga di Mourinho, invece, dovremmo discutere. Provare a capire quello che ci ha detto. Confrontarlo con ciò che ha detto Ancelotti. E chiederci se non c'è qualcosa di sbagliato in questo nostro paese, di cui siamo giustamente così fieri, che gli stranieri ci invidiano tanto, ma nel quale si trovano bene solo per brevi periodi, il tempo di una gradevole vacanza o di un paio di scudetti, e poi via, dove «uno è più felice professionalmente».








"Stranieri? Non c'è differenza. Siamo tutti fratelli"
il Resto del Carlino, 18-05-2010
di Martina Manzelli Minghetti


I ragazzi della Ressi Gervasi di Cervia hanno studiato l’immigrazione. «Luther King diceva: ‘Ho un sogno...’»
Ravenna, TRA LA FINE dell’Ottocento e la prima metà del Novecento milioni di italiani sono emigrati verso Stati Uniti, Canada, Argentina, Australia, Svizzera e Germania. I nostri connazionali in Europa e in America lavoravano nelle miniere, nelle fabbriche, nei campi, costruivano ferrovie e strade. Furono attirati Oltreoceano dalle lettere dei loro parenti e da biglietti prepagati per espatriare.

Le agenzie dell’emigrazione offrivano un lavoro sicuro, denaro .., ma quando arrivavano in America senza conoscere la lingua, senza possibilità di tornare indietro venivano affidati a padroni che diventavano ben presto degli sfruttatori: questo fu il destino di molti emigranti. Essi approdavano nei nuovi paesi con sentimenti contrastanti: se da un lato c’era la voglia di affermarsi e di far fortuna per riscattarsi dalla fame patita in Italia, dall’altro c’era la nostalgia per gli affetti e per la vita nel proprio paese, spesso lasciato per sempre.

Oggi è l’italia ad essere un paese d’immigrazione. Ma la cronaca ci riferisce spesso di episodi di intolleranza o ancor peggio di xenofobia, alimentati da stereotipi e pregiudizi che si ancorano a presunte superiorità razziali. Nel nostro Paese vivono circa 4 milioni di stranieri, di cui almeno mezzo milione clandestini. I sei principali ceppi d’immigrati — composti largamente da giovani, dei quali uno su dieci nato in Italia — provengono da Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina e Filippine. Tendono a concentrarsi al Centro-Nord, soprattutto in Lombardia, Piemonte, Veneto e Lazio. Il basso tasso di natalità e l’invecchiamento della popolazione italiana evidenziano come il nostro futuro dipenda dall’integrazione degli immigrati. Spesso i Paesi di provenienza sono poveri, con guerre in atto o sotto dittature, che calpestano persino i fondamentali diritti umani. All’immigrazione regolare si affianca il fenomeno di quella clandestina, gestita da trafficanti di esseri umani. Chi arriva in questo modo, e sono uomini, giovani donne, bambini, pur di scappare ‘dall’inferno’ del proprio paese, spesso mette a rischio la propria vita, è obbligato a viaggiare in condizioni disumane e, ‘giunto a destinazione’ diventa oggetto di sfruttamento ed abusi.


IN CLASSE abbiamo discusso molto su questo tema, leggendo libri e giornali, guardando film che ci raccontavano di paesi tanto lontani dal nostro, che a malapena riuscivamo a ritrovarli sulle carte geografiche. Abbiamo incontrato testimoni di altre culture, che ci spiegavano delle loro esperienze di immigrati, delle difficoltà in un paese straniero e non sempre ospitale, delle speranze di un futuro migliore per i propri bambini. Queste persone le trovavamo sempre più simili a noi, dov’era la differenza? Anzi ci hanno fatto riflettere in un modo per noi tremendamente serio sulle incomprensioni, sui pregiudizi, sulle discriminazioni che spesso serpeggiano anche fra noi adolescenti. Si possono ricordare le parole, quanto mai attuali, che Martin Luther King pronunciò nel 1963, cinque anni prima di essere assassinato per questo ideale: «Ho un sogno: che un giorno gli uomini si rendano conto di essere stati creati per vivere insieme come fratelli».




La sentenza Resta in America la zia di Obama (Era clandestina)

il Giornale, 18-05-2010

Zeituni Onyango, zia kenyota di Barack Obama, che da ormai quasi sei anni viveva illegalmente entrata negli Stati Uniti potrà restare nel Paese. Lo ha deciso il giudice Leonard Shapiro sanando la posizione della donna entrata come rifugiata politica nel 2002, status che aveva perso due anni dopo. Da allora le autorità le avevano chiesto di lasciare il Paese ma lei era riuscita a guadagnare tempo presentando appello due volte. Onyango è sorellastra del padre del presidente americano. Nessun commento dalla Casa Bianca...








Diritto d'asilo negli Stati Uniti
La zia clandestina di Obama può restare

La Stampa, 18-05-2010

Dopo una lunga battaglia legale «zietta Zeituni», una zia keniana di Barack Obama che viveva da immigrata clandestina negli Usa, potrà restare in America. Un giudice di Boston le ha infatti concesso il diritto d'asilo, legalizzando la situazione della donna, che ha 58 anni e soffre di una malattia al sistema immunitario. L'esistenza di «zietta Zeituni» era stata rivelata alla vigilia del voto per la Casa Bianca dai media britannici. Il Times di
Londra aveva fotografato una donna male in arnese che girava coi bastone sotto un casermone popolare alla periferia di Boston. «Non sapeva che viveva qui illegalmente. Ovviamente bisogna seguire le leggi», aveva replicato Obama. Il presidente -come sì legge nelle memorie «Sogni di mio padre» - l'aveva conosciuta da bambino in Kenya e rivista poi occasionalmente quando lei era venuta negli Usa con un visto turistico.









Gli immigrati in Italia visti attraverso i libri

Giornale di Sicilia, 17-05-2010
di ALDO FORBICE

La letteratura sugli immigrati comincia a diventare sempre più ricca. Infatti a studiare i fenomeni migratori non sono ora solo i giornalisti e gli scrittori, ma anche sociologi, psicologi ed economisti che ogni giorno analizzano tutti gli aspetti della clandestinità e dell'integrazione di esseri umani provenienti dall'est europeo, ma anche dall'Africa, dall'America latina e dall'Asia (Iraq, Afghanistan, Cina, dalle Filippine). Indubbiamente la minoranza comunitaria più numerosa in Italia è quella proveniente della Romania: oltre un milione di persone (compresi i rom). Si tratta di una comunità che è difficilmente censibile visto che i romeni non hanno più bisogno, in quanto cittadini dell'Ue, di permessi di soggiorno. E soprattutto si tratta di una immigrazione molto variegata. Lo conferma un libro uscito in questi giorni di Alina Harja (una giovane giornalista romena) e di Guido Melis (professore di storia delle istituzioni pubbliche all'Università La Sapienza di Roma e deputato del Pd).Infatti, nel saggio Romeni - La minoranza decisiva per l'Italia di domani (Rubbettino) si fa una radiografia della comunità romena in Italia, anche per confutare quei luoghi comuni, alimentati dalla cronaca nera, attraverso documenti e interviste con giornalisti, italiani e romeni, studiosi e gli stessi immigrati. E allora si scopre che in Italia vi sono 27mila aziende romene e che non tutti gli immigrati sono colf, badanti e lavoratori dell'agricoltura, ma anche operai, tecnici, musicisti e professionisti. Vi si trovano uomini di cultura, orgogliosi della loro identità, che rivendicano una maggiore integrazione. Certo, buona parte di questi immigrati (come è avvenuto con gli albanesi) tenderanno a ritornare nel loro Paese non appena le condizioni economiche miglioreranno, ma una buona parte è decisa a rimanere per diventare italiana, senza ovviamente rinunciare alle proprie origini. Da questo libro emerge anche una critica forte ad ogni forma di razzismo e xenofobia.
Su un'altra comunità di immigrati, quella ucraina, si è fermata l'attenzione di una studiosa rigorosa, Francesca Alice Vianello (ricercatrice all'Università di Padova): Migrando sole - Legami transnazionali tra Ucraina e Italia (FrancoAngeli). Nel corso di questa ricerca sono state intervistate le donne che hanno lasciato l'Ucraina da sole, lasciando in patria i figli e spesso anche i mariti. Un fenomeno, questo, nuovo, che si è registrato in quasi tutti i paesi dell'Est dopo la dissoluzione dell'Urss e che ha coinvolto tutta l'Europa occidentale, come destinataria dei migranti. Quasi tutte le donne ucraine vengono utilizzate nel settore domestico (provengono, nella grande maggioranza, da Leopoli, Ternopil e da Ivano-Frankivsk). Un dato poco conosciuto è rappresentato dal livello di istruzione: il 37% di queste immigrate ha una laurea, il 36% un diploma professionale e il 22% un titolo di scuola media superiore. Nel libro vengono analizzati tutti gli aspetti sociali e umani dell'immigrazione, compresa l'intensità dei rapporti con la società d'origine e quelli nuovi instaurati con i Paesi di accoglienza. Una ricerca importante che fa capire moltissime cose agli addetti ai lavori. E non solo.
Ma da qualche tempo si sono moltiplicati anche i libri di denuncia che raccontano le tante storie di immigrati. Fra questi ricordiamo: Quasi uguali (Mondadori) di Francesco De Filippo. L'autore, un giornalista, ha raccolto numerose storie rigorosamente autentiche: storie di miseria, di degrado, «fantasmi invisibili nella nostra società, ai margini». Nel libro vi sono anche gli esempi positivi, di quelli cioè che sono riusciti a integrarsi a prezzo di duri sacrifici. Sulla stessa linea si colloca il recentissimo Tutti indietro (Rizzoli) di Laura Boldrini, con molte testimonianze di immigrati. L'autrice è la portavoce dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati, una donna coraggiosa che abbiamo visto spesso scontrarsi con le autorità italiane per difendere i rifugiati arrivati avventurosamente via mare in Sicilia e in Calabria. La Boldrini non ama che si definiscano «clandestini» coloro che arrivano illegalmente via mare (o via terra, ai nostri confini), ma al di là della definizione, si tratta pur sempre di esseri umani che varcano le frontiere in modo irregolare, quasi sempre senza passaporti e altri documenti. Certo, la politica dei respingimenti crea difficili problemi umani (soprattutto per quanto concerne i rifugiati che fuggono da guerre e persecuzioni di regimi tirannici) ma è pur vero che si è rivelata l'unica in grado di fermare il flusso selvaggio, senza regole (che alimenta, fra l'altro, il traffico delle organizzazioni criminali internazionali). Purtroppo la politica umanitaria, a volte troppo a senso unico, scivola a volte nella demagogia, nella denuncia generica, nella strumentalizzazione politica che non tiene conto di altre responsabilità: quelle dell'Ue, dei governi dei Paesi mediterranei e delle stesse Nazioni Unite, che non sempre riescono ad affrontare organicamente - per ragioni politiche e di risorse economiche - i problemi posti dalle migrazioni internazionali.








Rapporto italiani e stranieri. Il dirigente scolastico Giuseppe Greco scrive alle famiglie

Orvietosi.it, 18-05-2010   

Riceviamo e pubblichiamo la lettera inviata dal dirigente scolastico Giuseppe Greco alle famiglie del suo Istituto per invitarle ad un incontro a Fabro Scalo, il 20 maggio, alle ore 17,30, nella Sala Polivalente. Tema il rapporto con gli starnieri.

"Cari genitori, nel rapporto degli italiani con gli stranieri, specie negli ultimi tempi e nelle grandi città, non tutto va bene. C’è chi falsifica i fatti e crea allarme e paura. La realtà ci dice che gli stranieri delinquono, ma come delinquono gli italiani, allo stesso modo. C’è molto risentimento verso gli stranieri, accresciuto in questo momento di crisi economica mondiale, nazionale e locale: agli stranieri si addossano tutte le colpe e le responsabilità. C’è chi soffia sul fuoco  per aumentare atteggiamenti razzisti.
Noi tutti, italiani e stranieri, vogliamo che il nostro Paese viva nell’ordine, nella legalità e nella sicurezza. Ma come afferma monsignor Enrico Feroci della Caritas, sappiamo che gli immigrati non sono né angeli, né demoni e quel milione di romeni che vive in Italia ha sicuramente dei problemi legati alla migrazione, che è un fenomeno inarrestabile e dal quale tutti, italiani e stranieri possiamo ricevere adeguati benefici. C’è bisogno però della comprensione reciproca, dell’ascolto, ed è per questo che Vi invitiamo a prender parte all’incontro di Fabro Scalo il 20 maggio alle ore 17,30nella Sala Polivalente in via del campo sportivo,   in cui la mediatrice romena Julma Diana del Cidis di Perugia e di Terni ci delineerà un quadro storico culturale e sociale della Romania e farà l’identikit di chi è un romeno, di cosa significa essere romeni;  Monsignor  Giovanni  Scanavino, Vescovo di Orvieto, responsabile regionale per i problemi dell’immigrazione, porterà la parola della Chiesa sul tema dell’immigrazione; l’insegnante Ester Montagnolo, responsabile del progetto intercultura delle scuole dell’Alto Orvietano, sintetizzerà l’esperienza dei romeni in Italia, come si evince dal Rapporto Caritas- Idos; il Dirigente Scolastico dr.Giuseppe Greco  farà una sintesi del processo di formazione della identità italiana sulla base della letteratura più qualificata ed evidenzierà  i legami tra la cultura romena e la cultura italiana. Interverranno  esponenti qualificati della direzione Scolastica regionale, della regione Umbria e i sindaci del Comprensorio le forze sociali sindacali e politiche, le parrocchie e le associazioni locali.
Saranno  distribuiti gratuitamente  alcune copie del volume bilingue italiano romeno della Caritas-Migrantes “I romeni in Italia – tra rifiuto ed accoglienza” e materiali tratti dal dossier statistico della Caritas sull’immigrazione. Vi aspettiamo tutti.
Il Dirigente Scolastico
Dott. Giuseppe Greco "








I migranti che lavorano nel paese respingente. Uno scambio ineguale

l'Unità, 18-05-2010

L’Italia sta mutando: e ciò accade nonostante tutti gli ostacoli, palesi e occulti, posti in essere dall’attuale legislazione che rende difficile l’integrazione dei migranti nella società italiana.
Secondo l’Istat, tra il 2006 e il 2009 la percentuale di lavoratori stranieri è aumentata del 165% (da 85mila a 225mila nuove unità l'anno) e tra il primo e il 4° trimestre 2009, la percentuale è aumentata del 13%. A un simile incremento contribuisce anche il fatto che gli stranieri sono disposti ad accettare qualunque compromesso pur di non perdere il posto di lavoro e con esso il permesso di soggiorno.
Ma non è tutto. Secondo i dati di Unioncamere, nel 2009 sono nate 14mila nuove partite iva con titolare straniero e sono stati 600 mila gli stranieri che hanno ricoperto una carica aziendale (titolare, socio, amministratore).
Al 31 dicembre 2009 risultavano iscritte 324.749 partite Iva straniere, con un aumento del 4,5% in più rispetto all’anno precedente e su cento imprese individuali, nel 2009, 77 risultano guidate da extracomunitari.
Un ulteriore dato significativo è rappresentato dalla presenza femminile tra le partite Iva straniere, una su cinque è infatti intestata ad una donna.
Sono tutti dati che meritano di essere meditati con attenzione.
Secondo le stime disponibili (dati del 2007), gli stranieri contribuiscono al PIL nazionale con un contributo pari al 9.1%, garantiscono un gettito fiscale non indifferente e contribuiscono in modo significativo anche alle casse previdenziali dell’INPS, alle quali versano un contributo pari al 4% a fronte di un’erogazione di prestazioni pensionistiche a proprio favore pari all’1%.
Quel che si dice uno scambio ineguale.
Italia-razzismo
Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links